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La famiglia di fronte all'handicap .
di Enzo Magazzini |
4. La presa di coscienza dei genitori: dallo shock all'adattamento
Come
detto in precedenza, diversi autori sono concordi nell'individuare specifiche tappe che si
succedono in una famiglia nel momento in cui viene a scoprire che il figlio è
handicappato .
Le
reazioni materne di fronte alla nascita di un bambino disabile sono largamente
influenzate, oltre che dalla gravità dell'handicap, dalle relazioni vissute durante
l'infanzia con i propri genitori. Massimo Ammaniti scrive in proposito: "Se la madre
è sufficientemente sicura della propria identità femminile può affrontare questa
esperienza dolorosa senza esserne travolta. Ma se la madre è ancora legata alla propria
infanzia e non ha superato i propri conflitti nevrotici infantili la nascita di un figlio
handicappato può far risorgere le sue angosce e può essere vissuta su un piano
fantastico. Il bambino può diventare allora agli occhi della madre il segno vivente della
propria incapacità di essere donna e madre e questo viene vissuto con colpa se la madre
nella sua infanzia aveva provato sentimenti di ostilità o di eccessivo attaccamento ai
suoi genitori."
4.1. Lo shock iniziale
Rifacendoci
alla citata Mannoni, il figlio "fantasticato ", il figlio "di sogno",
ha la funzione di realizzare, di fornire una riparazione nei confronti di "tutto ciò
che nella storia della madre è stato giudicato insufficiente o sentito come una mancanza,
e di protrarre ciò a cui essa ha dovuto rinunciare." Ebbene, l'autrice si chiede:
Che
avviene a questo figlio, carico di tutti i sogni perduti, nasce infermo? L'irruzione nella
realtà di un'immagine del corpo infermo provoca nella madre uno shock: laddove sul piano
fantasmatico il figlio immaginario veniva a colmare un vuoto, l'essere reale con la sua
infermità non solo risveglia i traumi e le insoddisfazioni precedenti, ma impedisce che
sul piano simbolico la madre possa finalmente risolvere il proprio problema di
castrazione. Infatti questo vero e proprio accesso alla femminilità deve ineluttabilmente
passare attraverso la rinuncia al figlio feticcio, che non è altro che il figlio
immaginario edipico.
La
maggior parte dei genitori prova un'iniziale reazione di shock e passa un periodo di
comportamenti irrazionali, caratterizzati da pianti continui e sensazioni di impotenza.
Questo è chiaramente testimoniato da espressioni come "ci è mancata la terra sotto
i piedi", "è stato come ricevere uno schiaffo", oppure da comportamenti
involontari come ad esempio, in una madre, la scomparsa del latte, come se essa non
potesse nutrire il bambino handicappato che ha preso il posto del suo bambino ideale.
4.2 Il rifiuto
Alcuni
genitori cercano di sfuggire la realtà e attutiscono l'impatto con il rifiuto. Questa
reazione è molto comprensibile ma a volte è così poco evidente che può passare
inosservata.
Gargiulo
riporta la definizione di "rifiuto" elaborata nel 1956 da Gallagher, il quale
vede questo tipo di reazione come la conseguenza di una valutazione non realistica e
negativa del figlio, al punto che tutto il comportamento dei genitori ne è strettamente
condizionato. Il rifiuto può tradursi, per Gallagher, nei seguenti comportamenti:
1.
Forte sottovalutazione della possibilità di miglioramento. Ciò influenza negativamente
il bambino il quale si comporta in modo inferiore alle sue reali possibilità, creando
così un clima da profezia che si autoavvera.
2.
Obiettivi non realistici. Obiettivi che di solito riguardano la sfera emotiva e sociale.
3.
Fuga. I genitori mostrano apertamente il loro rifiuto mettendo il bambino in un istituto
specializzato. In genere questa scelta è motivata dal non sentirsi capaci di badare al
bambino, anche se in realtà non è così.
4.
Formazione reattiva. Questo tipo di rifiuto è un complesso meccanismo di difesa. I
genitori non accettano di ammettere i loro sentimenti negativi nei confronti del figlio,
quindi li nascondono agli altri e a se stessi. Non è una posizione ipocrita, essi credono
veramente nell'immagine che riescono a dare agli altri.
In
altre situazioni può manifestarsi un rifiuto tale nei confronti del bambino handicappato
da portare a negare la stessa esistenza del figlio. La madre può sentirsi colpita nella
propria immagine personale e nel proprio orgoglio al punto di arrivare a non tollerare
minimamente la presenza del figlio, il quale diventa l'immagine vivente di tutto ciò che
è negativo e che deve essere annullato. E' il caso riportato da Ammaniti, di una giovane
donna che, messa al corrente della lesione cerebrale della figlia che non le permetterà
di camminare, prende la decisione improvvisa di metterla in un istituto per handicappati,
con la motivazione che lei non è in grado di occuparsene poiché è necessaria una
continua assistenza medica. "Non riesco a vederla, la sua presenza mi
distrugge", queste le parole della donna, le quali non possono non esprimere un senso
di rifiuto.
Un
ulteriore caso di rifiuto, riportato ancora da Ammaniti, riguarda il padre di un bambino
microcefalo. L'uomo una volta a conoscenza dell'handicap del figlio, reagisce in modo
drammatico negando una realtà per lui insopportabile. Ripete continuamente che il figlio
non è suo, accusando tutti di quello che gli è successo: il primo responsabile è Dio
che non doveva permettere che una cosa del genere accadesse proprio a lui e alla sua
famiglia, così religiosa. Accusa anche i medici della clinica che gli hanno sostituito
"il figlio buono con questo povero microcefalo". L'uomo non si decide a dirlo
alla moglie, ma forse in realtà non vuole dirlo chiaramente a se stesso. I due coniugi,
in ogni caso, si dedicheranno molto al figlio, in modi diversi: il padre con ostinazione e
risentimento per mostrare a tutti che il figli, nonostante sia handicappato, ce la può
fare come tutti. La madre come se dovesse pagare una colpa, forse con l'inconsapevole
speranza di poter cambiare una realtà troppo dolorosa. In entrambi vi è sempre
un'altalena fra negazione e accettazione della realtà, scrive Ammaniti: "Continua a
serpeggiare nella coppia l'idea che sarebbe meglio se il figlio morisse, ma nessuno dei
due accetta di riconoscere come propri questi pensieri e li attribuisce all'altro".
4.3 Il dolore e la depressione
Per
alcuni genitori, come abbiamo visto, l'handicap rappresenta simbolicamente la morte del
figlio ideale e può far precipitare in una situazione di dolore come quella che
accompagna la perdita di una persona cara. Gargiulo spiega che: "Il dolore è una
reazione necessaria e utile che non dovrebbe essere evitata, perché rappresenta il
periodo di transizione per adattare alla realtà i sogni e le fantasie che avevano sul
figlio perfetto. Il dolore è necessario anche a far passare i genitori dallo stato
iniziale di shock e sgomento a quello di consapevolezza della delusione".
Olshansky
parla invece di "dolore cronico" e ritiene che sia una risposta del tutto
naturale e molto comune ad un evento tragico come può essere la nascita di un bambino
handicappato. Per questo autore i genitori soffriranno per tutta la vita, sia che il
figlio abiti in casa, sia che venga affidato a un istituto. Una tale sofferenza, sempre
secondo Olshansky, può essere alleviata solo dalla morte del figlio.
Per
ciò che concerne la depressione invece, essa si pone come conseguenza di molti processi
dolorosi e può esserlo anche di quello legato alla perdita del figlio fantasticato.
Secondo alcuni ciò si può spiegare in riferimento al fatto, come scrive Gargiulo, che:
"la maggior parte delle persone ha interiorizzato un senso di onnipotenza e pensa
quindi che tutte le cose più terribili che possono succedere al mondo, capitino in
realtà a qualcun altro". Quando si verifica uno di questi eventi terribili, come la
nascita di un figlio handicappato, viene meno il senso di onnipotenza e i genitori si
rendono conto di essere in realtà vulnerabili, cadendo così in depressione e
prendendosela con se stessi per la propria debolezza e impotenza. La depressione è tra
l'altro considerata dalla società come un sentimento intollerabile, mentre al contrario
fa parte di un processo naturale e necessario.
Per
questo motivo tutti coloro che lavorano con i genitori di bambini handicappati devono
rapportarsi alla depressione di queste persone come una reazione "ragionevole e
legittima" che permette loro di accettare una realtà immodificabile.
4.4 L'ambivalenza
Un
bambino disabile può "intensificare le normali reazioni di amore e rabbia che la
maggioranza dei genitori prova nei confronti del proprio figlio. Maggiore è la
frustrazione, più intensi sono questi sentimenti, tanto che alcuni genitori possono
arrivare a desiderare la morte del figlio."
In
genere un forte sentimento di colpa accompagna questi sentimenti negativi, al quale spesso
certi genitori reagiscono con una dedizione totale, mentre altri rispondono con il
rifiuto, come abbiamo visto sopra.
I
genitori che reagiscono con il senso di colpa assumono l'atteggiamento del martire, che di
solito porta a trascurare gli altri membri della famiglia, nonché a interrompere la
relazione con il coniuge.
E'
il caso riportato da Gargiulo di un bambino affetto da paralisi cerebrale, i cui genitori
arrivano a chiedere il divorzio. La madre non voleva avere figli e inoltre, durante la
gravidanza sentiva che qualcosa non andava. Una volta nato il bambino, dopo lo shock
iniziale, si dedicò in maniera assoluta al figlio. Lentamente tutta la famiglia si
riorganizzò intorno al bambino e il marito, sentendo che non c'era più spazio per sé,
si lasciò assorbire completamente dal lavoro. Dopo qualche anno fu sua la decisione di
chiedere il divorzio: lui e la moglie non facevano più niente insieme, non incontravano
più gli amici, non avevano più una vita sessuale. La notizia del divorzio fu una
sorpresa per tutti perché non si erano mai presentate liti furibonde o discussioni, ma la
moglie in un certo senso si sentì sollevata, non avrebbe avuto una persona in più da
sfamare e per cui lavorare o pulire. Non fece obiezioni neanche quando l'ormai ex marito
si risposò e prese a vivere con sé l'altra figlia.
Durante
lo stadio del senso di colpa, la reazione più comune è appunto il bisogno di
compensazione portato all'eccesso. L'handicap finisce per diventare più importante del
figlio stesso, i genitori sono disposti a negare se stessi per dei pretesi bisogni del
figlio.
4.5 La vergogna e l'imbarazzo
I
comportamenti del bambino in pubblico riflettono il modo in cui i genitori hanno assolto
alle loro responsabilità. Gargiulo evidenzia che: "Per alcuni la paura
dell'imbarazzo per il comportamento del bambino è tale che non osano avventurarsi fuori
casa con il figlio e finiscono con il ritirarsi dalla vita sociale."
Accanto
ai sentimenti di vergogna e di imbarazzo si ha la perdita della stima di sé. Ciò avviene
poiché spesso i genitori tendono ad identificarsi con i propri figli, vedendoli come un
prolungamento di sé stessi, di conseguenza un difetto nel bambino può essere
interpretato come una loro mancanza.
4.6 I patteggiamenti
Questa
fase è tra le ultime degli stadi del processo di adattamento. Viene illustrato con queste
parole: "E' un atto molto personale di cui gli altri non si accorgono, con il quale i
genitori sperano di fare un patto con Dio, la scienza, o chiunque altro prometta di
rendere il figlio normale"; è l'ultimo tentativo di curare il bambino.
4.7 L'accettazione e l'adattamento
L'accettazione
è la meta che vuole raggiungere la maggior parte dei genitori. "E' un processo
attivo e continuo, uno stato mentale nel quale si compie coscientemente uno sforzo per
riconoscere, capire e risolvere un problema, anche se non si riuscirà mai a cancellare
gli stadi negativi che hanno preceduto l'accettazione".
Ogni
volta che i sentimenti dolorosi si ripresentano e i genitori sono in grado di superarli,
compiono un passo avanti nel processo di crescita personale meglio a capire se stessi e
gli altri, comprendendo che l'accettazione riguarda non solo il bambino, ma anche sé
stessi, le proprie forze e le proprie debolezze.
Al
concetto di accettazione è strettamente correlato quello di adattamento. Esso è
un'azione "positiva e propositiva", non è uno stadio che inizia nel momento in
cui i genitori cominciano ad accettare la realtà dell'handicap, così come non è una
battaglia che finisce, ma un processo "difficile e continuo" legato al modo di
pensare e alla personalità del genitore.
Per
concludere questa analisi dei vari tipi di reazione dei genitori nei confronti
dell'handicap del figlio, è tuttavia importante ricordare, come sostiene Gargiulo che:
"nessuno può prevedere come essi risponderanno, così come non si può prevedere
come noi stessi ci comporteremmo. Poiché le reazioni sono basate sulle emozioni,
l'intensità dei sentimenti e delle reazioni dei genitori dipende dalla loro percezione
del problema. Quindi ogni situazione è unica e il passaggio dall'una all'altra delle tre
fasi che abbiamo descritto sarà diverso da caso a caso: per qualcuno il processo sarà
lento, per altri sarà graduale, per altri ancora la pena, il dolore, il disappunto, anche
se andranno diminuendo con il tempo, saranno sempre presenti. Può darsi che tutti
genitori debbano riciclarsi, ritornando a fasi precedenti in momenti chiave della propria
vita o della vita del figlio, per esempio quando anticipano il pensionamento, quando il
figlio adolescente non è invitato al ballo della scuola o quando non riesce a partecipare
agli sport con i compagni." |