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La filosofia dell'educazione di John Dewey dalle lezioni del
1899 a Democrazia e Educazione
di Maria Francesca Picella |
1. John Dewey: filosofo e pedagogista.
1.1 Aspetti fondamentali della filosofia di Dewey
John
Dewey
Grande
pedagogista, dunque, sia teorico che pratico, ma prima ancora grande filosofo. Come tale
ha avuto il merito di sviluppare a pieno la lezione del pragmatismo americano verso
esiti razionalistico-critici, metodologici ed etico-politici, connotati in senso
strumentalistico, cioè legati ad unidea di ragione aperta come strumento nella
complessa dinamica dellesperienza, individuale e storica.
Dewey
fu, infatti, molto attento alle trasformazioni sociali e politiche avvenute nella società
del suo tempo: si pensi al passaggio dallagricoltura allartigianato, alla
produzione industriale, che porterà al fenomeno dellurbanesimo e del livellamento
sociale, grazie alla diffusione sempre crescente dello spirito democratico.
A
partire dallosservazione di questi fenomeni, Dewey giunge a sposare lidea di
società evoluta, cioè di una società che, come già era stato sottolineato
nellambito dellutilitarismo inglese, in particolare da Bentham, si organizzi
su basi nuove, al fine di produrre la maggior felicità possibile al maggior numero
possibile di persone. Il filosofo americano rifiuta, però, i più comuni parametri di
giudizio necessari per definirne il livello di progresso raggiunto. Il progresso di una
società, precisa, non dovrebbe, infatti, misurarsi sulla base dellincremento del
prodotto lordo, come vuole ad esempio leconomia politica, ma in termini di
organizzazione sociale.
Tutto
dovrebbe, dunque, ruotare intorno ad una vera e propria legge che consenta lavanzare
secondo ragione: Dewey viene così a ridurre le stesse differenze sociali a dati di fatto
su cui la ragione deve intervenire ed operare in vista di un sempre maggiore progresso; un
progresso guidato esclusivamente dalla ragione!
Nonostante
le apparenze, però, in realtà il filosofo americano arriva a mettere in discussione la
scienza positivista perché questultima aveva svolto una funzione esclusivamente
celebrativa della società industriale in ascesa.
Secondo
Dewey, invece, occorre una trasformazione radicale della società per risolverne i
problemi e superarne le contraddizioni interne.
Il
fine? La realizzazione della felicità come valore sociale, annullando o quantomeno
correggendo le diverse forme di squilibrio esistenti, che sole non consentono il pieno e
libero sviluppo della creatività della vita in forme sempre più articolate.
Al
proposito Dewey accetta il principio fondamentale che sta alla base della cosiddetta
dottrina del migliorismo, così come era stata già formulata da James.
Il
migliorismo muove, infatti, dallassunto che il mondo sia imperfetto, ma possa essere
migliorato: proprio in ciò risiede la sua novità rispetto al vecchio modo di concepire
il mondo stesso, guardato a seconda dei casi con ottiche assolutamente pessimiste o
ottimiste.
Dewey,
invece, parte da una concezione del mondo come sede di ogni contrasto, di ogni male ed
errore (da cui deriva la sua imperfezione), ma proprio in un simile contesto affonda le
radici la sua fiducia ottimistica in un miglioramento, in un progresso.
Limperfezione
del mondo viene, infatti, ad esercitare una funzione di stimolo sullintelligenza
poiché la induce ad analizzare la situazione specifica, ad individuare gli ostacoli che
rendono difficile lattuazione di condizioni migliori. Il migliorismo è, dunque, la
credenza che le condizioni specifiche esistenti in un dato momento, buone o cattive che
siano, possano in ogni caso essere migliorate, grazie ad un corretto uso della ragione.
Questultimo
punto, in particolare, mette bene in evidenza uno dei tre aspetti fondamentali
dellintera opera di Dewey: lIlluminismo.
Allinterno
della sua particolare forma di pragmatismo, lo strumentalismo (si pensi alla polemica
deweyana contro il mito dellintelletto puro, tipico dellidealismo, a favore
del carattere strumentale della ragione), è possibile parlare, dunque, anche di
Illuminismo, dato il compito regolatore ed ordinatore che il filosofo americano
attribuisce alla ragione.
Il
termine naturalismo, infine, esprime
perfettamente il terzo aspetto dellopera di Dewey, quello che per la precisione
tende a vedere una sostanziale continuità tra luomo e la natura (e la società),
tra il mondo biologico e quello spirituale.
Solo
dopo aver ricordato tutto ciò e pensando, inoltre, al particolare contesto sociale
rappresentato dallAmerica nei primi decenni del secolo (si pensi alla necessità di
adeguare lo spirito filosofico al livello tecnico e scientifico che informa di sé la
società in pieno sviluppo economico e in piena trasformazione sociale), possiamo essere
in grado di cogliere i principali contenuti dellopera di Dewey, la cui filosofia, e
non è un caso, verrà a costituire il fondamento del New Deal di Roosevelt
(ovvero di quel programma di ricostruzione economica e democratica della società
americana dopo la grande crisi del 1929) ed anche lideologia con cui gli Stati Uniti
affronteranno la guerra antinazista.
1.2 Contenuti principali dellopera deweyana
Il
dualismo esistente nella società moderna, come già in quella antica, tra lavoro manuale
e intellettuale, tra cultura e lavoro, intellettuali ed operai, osserva Dewey, è
pericoloso perché ha storicamente sempre portato a scontri o incomprensioni tra gruppi
sociali contrapposti, minacciando così uno sviluppo ordinato e pacifico della democrazia.
Ma
che cosa intende Dewey per democrazia (punto intorno al quale ruota tutta la sua
riflessione politica)?
Innanzitutto
spirito di collaborazione, solidarietà e rispetto di ogni iniziativa individuale.
Tuttavia il filosofo americano matura anche la convinzione che la democrazia comporti
anche e soprattutto lassunzione del principio di responsabilità. Ciascuno, cioè,
deve collaborare, compiendo principalmente il proprio dovere, al progresso della
democrazia: a tutti è demandato il compito specifico di offrire la propria
collaborazione, ad esempio ponendo le proprie esperienze al servizio della società, in
modo che per il bene e la felicità comune possano essere sempre adottate le scelte e le
decisioni migliori.
Come
risulta evidente, queste considerazioni di Dewey sulla democrazia riflettono il
migliorismo che è alla base delle sue vedute sociali e politiche, oltre che della sua
concezione delluomo.
Anche
linteresse di Dewey per leducazione e la scuola è strettamente connesso alle
sue vedute filosofiche più generali. Daltra parte, per lui, la filosofia non è
altro che teoria generale delleducazione, secondo la definizione che lui
stesso ci offre nel suo capolavoro pedagogico, Democrazia e educazione (1916).
Fautore
di una nuova concezione delleducazione, da lui stesso denominata educazione
progressiva, Dewey critica la contrapposizione, prevalente nella scuola tradizionale, tra
la dimensione intellettuale e quella pratica e sostiene, come vedremo, un apprendimento
basato sul fare (learning by doing = apprendere attraverso il fare).
Allinterno
della scuola pensata da Dewey e, in generale, allinterno di tutto il cosiddetto
movimento delle scuole nuove, centro del processo educativo diventa, dunque, il bambino
con la sua attività e i suoi interessi.
Si
afferma ormai che la scuola non deve più trasmettere un sapere già definito, ma deve far
sì che il bambino, attraverso la sua del tutto autonoma attività, ed anche attraverso la
vita comunitaria e lautodisciplina, pervenga al sapere come ad una conquista
personale.
In
definitiva, ad una scuola (quella tradizionale) vista come semplice luogo di mera
alfabetizzazione, si contrappone un tipo di scuola (la scuola nuova) vista, invece, come
il luogo in cui sia possibile realizzare esperienze personali allinterno di una
concezione comunitaria della vita.
Solo
così la scuola potrà assumere una funzione realmente costruttiva anche sul piano
sociale.
Daltra
parte, quando si riflette sulleducazione in unottica filosofica, come fa
Dewey, essa non può che apparire come un processo di crescita dellesperienza che
arricchisce lesperienza stessa di nuove prospettive, ampliando gli orizzonti del
singolo individuo e, in ultima analisi, dellumanità tutta.
Alla
luce di quanto ricordato finora, appare ormai chiaro, dunque, il motivo per cui Dewey
viene considerato come il più grande interprete della profonda crisi che serpeggia
nellordinamento tradizionale degli studi e nei vecchi tipi di scuola,
e il suo pensiero come la più poderosa rivendicazione dellautonomia
delleducazione e la più incalzante critica di qualsiasi residuo di oggettivismo
didattico, che siano apparse nella speculazione contemporanea.
La
sua proposta di scuola attiva, non a caso, influenzerà tutto il pensiero pedagogico
dellattivismo, nonché le sue realizzazioni pratiche.
Per
questo motivo, essa costituisce senzaltro un punto di non ritorno per la
teoria delleducazione contemporanea.
Professore di filosofia dapprima presso lUniversità del Minnesota e dal 1889 in
quella del Michigan. Successivamente (1894 -1904) gli venne affidata la cattedra di
filosofia, psicologia e pedagogia allUniversità di Chicago. Insegnò, infine, anche
a New York a partire dal 1904 in poi. Tra le sue opere più importanti vale la pena
ricordare: Il mio credo pedagogico (1897), Scuola e società (1899), Come
pensiamo (1910), Democrazia e educazione (1916,) Esperienza e educazione
(1938), Libertà e cultura (1939) e Leducazione di oggi (1950). Tra le
altre cose ha avuto anche il merito di fondare la prima scuola elementare attiva.
Ernesto Codignola, Le scuole nuove e i
loro problemi, La Nuova Italia, Firenze, 1974, p. 31.
[3] Franco Cambi, Storia della pedagogia,
Laterza, Bari, 2001, p. 454.
F.
Cambi, Storia della pedagogia, cit., p.455.
William James (1842-1910) fu liniziatore del pragmatismo. Dewey è considerato
linterprete della versione sociale del pragmatismo, lo strumentalismo.
Si pensi ad opere come Individualismo vecchio e nuovo (1930), Liberalismo e
azione sociale (1935), Libertà e cultura (1939), Problemi di tutti (1946).
E. Codignola, Le scuole nuove e i loro problemi, cit., p.32.
E. Codignola, Le scuole nuove e i loro problemi, cit., p. 32.
Furio Pesci, Da Dewey a Kelly, Centro Editoriale
Toscano, Firenze, 2000, pp. 11-12.
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