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La filosofia dell'educazione di John Dewey dalle lezioni del
1899 a Democrazia e Educazione
di Maria Francesca Picella |
2. Filosofia dell'educazione: elementi di continuità tra 1899 e 1916
2.1 Il nesso tra studi pratici ed intellettuali e la distinzione tra educazione
formale ed informale
Nel
1963, Reginald D. Archambault
Esse,
pubblicate solo nel 1966 a New York, e tuttora non disponibili in traduzione italiana
A
mio avviso, è molto interessante vedere come in queste lezioni sia possibile già trovare
alcune idee del giovane filosofo (che si sta costruendo la sua personale filosofia
delleducazione) che verranno poi riprese, con aggiunte, in Democrazia e
Educazione (1916), opera di passaggio prima che Dewey approdi ad una completa
maturazione delle sue posizioni filosofiche e pedagogiche.
Le
lezioni di filosofia delleducazione rappresentano a loro volta il testo
essenziale di passaggio dalle opere giovanili alle due grandi sistemazioni del pensiero
pedagogico deweyano, Come pensiamo e Democrazia e educazione, delle quali
rappresentano il nucleo originario
I
punti fondamentali delle lezioni vengono evidenziati dallo stesso Archambault, il quale
aggiunge anche veri e propri riassunti schematici per ciascuna lezione.
La
questione si apre subito con il discorso intorno alla natura delleducazione, con
limportante distinzione tra educazione formale e informale (lezioni I-XIII).
Il
secondo raggruppamento di lezioni è dedicato interamente al discorso intorno
allintrinseca organizzazione della cosiddetta scuola di vita, della quale vengono
considerate sia il curriculum specifico del corso di studi, sia il metodo adottato
(lezioni XIII-XVIII).
Nella
terza parte del manoscritto troviamo, invece, quelle lezioni in cui Dewey si concentra su
lorganizzazione delle materie di studio quali matematica, storia, scienze e
geografia, ma anche arte e vere e proprie esercitazioni attraverso lattività
manuale (lezioni XVIII-XXX).
Le
ultime lezioni riguardano, infine, lorganizzazione del metodo, basato su concetti
come attenzione, interesse, gioco, ma soprattutto imparare ed apprendere attraverso
lesperienza (lezioni XXX-XXXIII).
Si
arriva, dunque, un po a quello che nel 1916 sarà un learning by doing e che
qui è già un learning by experience.
Daltra
parte lo stesso anno in cui teneva queste lezioni
può
affiatarsi allora con la vita, diventare la dimora del ragazzo, dove egli impara vivendo,
invece di ridursi ad un luogo dove si apprendono lezioni, che hanno unastratta e
remota relazione con qualche possibile vita che gli toccherà di vivere in futuro. Essa ha
la possibilità di diventare una comunità in miniatura, una società embrionale
Nel
1899, Dewey è, dunque, già perfettamente consapevole del legame che deve esserci tra la
scuola e la realtà del lavoro, in modo tale da rendere il bambino gradualmente partecipe
della coscienza sociale, in vista di un sempre maggior progresso sociale.
A
tal fine, la scuola dovrà innanzitutto cambiare volto e presentarsi come una vera e
propria scuola-laboratorio in cui, accanto alle molteplici attività teoriche, siano anche
presenti quelle produttive (come ad es. la tessitura e la falegnameria) e familiari (si
pensi allattività del cucinare).
Dewey
sottolinea, infine, anche limportanza che viene ad assumere in questo tipo di
educazione il lavoro manuale, che rende i ragazzi:
svegli
e attivi, anziché passivi e ricettivi; li rende più utili, più capaci, e quindi
maggiormente inclini ad aiutare in famiglia; li prepara quindi in qualche modo ai doveri
pratici della vita
Ed
ancora prosegue Dewey:
Dobbiamo
concepire il lavoro in legno e in metallo, il tessere, il cucire, il cuocere come metodi
di vita e di apprendimento, non come insegnamenti a sé.
Dobbiamo
intendere il loro significato sociale, li dobbiamo considerare tipi di processi mediante i
quali la società progredisce, operazioni con le quali si rendono familiari ai fanciulli
certe primarie necessità della vita in comune e modi mediante i quali queste esigenze
sono state soddisfatte dalla crescente penetrazione e ingegnosità delluomo; in
breve li dobbiamo considerare strumenti mercé i quali la scuola è destinata a diventare
una forma schietta di attiva vita in comune, anziché un luogo appartato dove si
apprendono lezioni
Per
queste ragioni, Dewey arriva a concepire, già in questi anni, per la sua scuola
laboratorio, un apposito curriculum, in stretta
connessione con le problematiche della vita sociale.
Da
quanto detto finora, traspare ormai con una certa evidenza il pragmatismo che sta alla
base della pedagogia deweyana, soprattutto per quel che concerne il costante contatto che
essa pone tra momento teorico e pratico, in modo tale che al centro
dellapprendimento si collochi il fare delleducando, quell
imparare vivendo di Scuola e società che va di pari passo con il learning
by experience delle lezioni ed il learning by doing di Democrazia e
educazione.
Arrivati
a questo punto, urge, però, fare una precisazione. E certo che, per il filosofo
americano, il semplice processo di vivere da solo già di per sé educa. Ma esiste
ovviamente una profonda differenza tra questo tipo di educazione, che Dewey definisce
semplicemente come accidentale o naturale, e leducazione di cui sta, invece, ora
parlando, quella diretta, intenzionale, anche detta educazione formale, e che viene
impartita dalla scuola.
La
prima, spiega Dewey nellopera del 1916, sinnesca spontaneamente dalla
relazione con gli altri: ciascuno di noi è, infatti, inserito fin da subito in una
società in cui la presenza dellaltro è inevitabile. In questo rapporto costante
con laltro, il singolo individuo partecipa, dunque, ad unesperienza più
ampia, potremmo dire allargata, che produce in lui esperienza e, dunque, arricchimento. In
Democrazia e educazione si legge, infatti:
lo
stesso processo della vita è insieme educativo. Esso allarga e illumina
lesperienza, stimola e arricchisce limmaginazione
La
vita sociale, però, man mano che la civiltà avanza facendosi sempre più complessa e
determinando così un sempre crescente divario tra capacità originali ed attuali, tra
capacità dei giovani ed interessi degli adulti, esige uneducazione formale.
Questultima,
indispensabile perché si verifichi una completa trasmissione di tutti i risultati
raggiunti fino ad un dato momento da una società complessa, è promossa da organismi o
istituzioni ad hoc: le scuole.
Con
questa importante differenza (da cui prenderà le mosse lintero discorso di Dewey e
la sua stessa filosofia delleducazione) si apre, dunque, lopera del 1916.
Ad
essa, però, come ho già ricordato, Dewey aveva, per la verità, già dedicato alcune
lezioni (1898), per la precisione le lezioni III-IX, contenute nella prima sezione del
suddetto manoscritto, intitolata La Natura e lo svolgimento
dellEducazione.
In
queste lezioni, il punto di partenza della filosofia delleducazione di Dewey è
rappresentato, in particolare, dallo studio della storia delle diverse forme di
educazione.
Il
discorso si apre subito con un esplicito richiamo al filosofo Platone. Per
questultimo, ci spiega Dewey, non esisteva alcuna distinzione tra leducazione
che i bambini apprendono nella vita in famiglia e la disciplina che vengono ad impartire
loro gli adulti nella vita sociale, servendosi delle leggi dello Stato.
Platone,
prosegue Dewey, era solito definire leducazione come un continuo processo che dura
tutta la vita, in cui gli insegnanti sono la madre, il tutore e le leggi dello Stato;
discorso questo che trova una giustificazione se si considera il particolare contesto in
cui visse ed agì Platone: la Grecia classica, caratterizzata da una popolazione
sostanzialmente omogenea, con stesse tradizioni, credenze religiose ed una lingua comune.
La
famiglia stessa, dunque, in una simile visione, veniva ad essere considerata come semplice
mezzo per affermare i voleri dello Stato. In caso contrario, infatti, se cioè
leducazione fosse stata eterogenea già a partire dal contesto familiare, si sarebbe
corso il rischio di rompere lequilibrio sociale, arrivando a vere e proprie forme
danarchia, che avrebbero a loro volta determinato una disintegrazione della società
tutta.
Allinterno,
dunque, della visione tipicamente greca della vita come continuità, un posto centrale
veniva ad essere ricoperto dalla famiglia, che comunque aveva soprattutto una funzione da
svolgere: formare il cittadino.
Altro
contesto educativo fondamentale, oltre la famiglia, è poi storicamente rappresentato
dalle scuole filosofiche, inaugurate per primi dai Sofisti.
Esse
erano scuole organizzate per listruzione, nelle quali si riunivano uomini che
condividevano una comune dottrina filosofica.
In
queste scuole, che avranno il merito di permettere la trasmissione delle idee e dei valori
della Grecia classica attraverso i secoli, sinsegnavano la grammatica, la retorica,
le matematiche, ma anche la musica e la filosofia.
Questo
metodo dinsegnamento durerà per lappunto anche in anni successivi, in periodi
caratterizzati da una sostanziale eterogeneità a livello di stati sociali, dai quali
emergerà la vita moderna.
Dopo
la famiglia e la scuola, acquisterà, nel corso degli anni, una certa importanza sul piano
educativo la Chiesa, centro di ideali, di morale e di principi spirituali, ma anche vera e
propria istituzione politica (elemento questultimo fondamentale, che le permetterà
di perpetuarsi attraverso i secoli).
Il
metodo che essa adotterà sarà molto diverso da quello delle scuole filosofiche. La
Chiesa, infatti, al fine di allargare la sua educazione ad un maggior numero di persone,
farà appello alla sfera dei sentimenti, delle emozioni e dellimmaginazione (e non
più solo dellintelletto), collegando così le idee filosofiche con lelemento
religioso.
Quarta
istituzione educativa sarà, infine, lo Stato.
Col
mutare delle condizioni sociali, il problema delleducazione diventerà, infatti, di
sua competenza perché esso assumerà su di sé ulteriori funzioni che meglio
risponderanno alle esigenze di un individuo che si trova ormai a vivere allinterno
di una società più evoluta. Questa forma educativa, non a caso, è la più recente.
Dopo
questa considerazione storica, la filosofia deweyana delleducazione (così come si
sta organizzando nelle lezioni) passa poi, più nello specifico, a concentrarsi sul
problema della relazione tra individuo e ambiente circostante.
Dewey
ci parla allora delleducazione come adattamento, a sua volta inteso come processo
dinamico dinterazione tra il singolo individuo capace deducazione e le varie
condizioni sociali nelle quali egli si trova a vivere ed operare. E come dire che si
tratta di un adattamento reciproco dellindividuo e dellambiente sociale, che
determina una trasformazione, un cambiamento di entrambi. Lindividuo trasforma,
infatti, i suoi impulsi istintivi in vere e proprie abitudini, che una volta acquisite non
restano però fisse per sempre. Col mutare delle condizioni ambientali, infatti, anche le
abitudini si trasformano.
Il
processo di adattamento, dunque, non va inteso in senso statico, ma dinamico, come un vero
e proprio processo di cambiamento, che è già di per sé crescita, sviluppo. In altre
parole, sia per lorganismo che per lambiente la norma (standard)
si trova nel processo di crescita e di sviluppo.
Anche
questo elemento lo ritroveremo in Democrazia e educazione, nel capitolo IV,
intitolato Leducazione come crescita.
Qui
Dewey, infatti, sottolineando la grande portata educativa del concetto di sviluppo,
afferma:
La
nostra conclusione netta è che la vita è sviluppo, e che svilupparsi, crescere, è vita.
Tradotto nei suoi equivalenti educativi, questo significa: a)che il processo educativo non
ha altro scopo che se stesso: è il suo proprio scopo; e che: b) il processo educativo è
processo di continua riorganizzazione, ricostruzione, trasformazione
Tornando
alle lezioni, Dewey ci presenta poi la teoria dello stimolo-risposta, criticandola
Per
lui, infatti, non esiste stimolo puramente fisico-meccanico, cui corrisponde
automaticamente una risposta da parte del bambino.
I
più efficaci stimoli educativi per il bambino sono i significati che egli stesso assimila
attraverso le relazioni sociali informali.
Questi
stimoli socializzati (proprio perché il bambino li interpreta attraverso il contesto
sociale) vengono da Dewey distinti nei seguenti processi: dimitazione, di
suggestione e di comunicazione.
Limitazione
non è per Dewey mera riproduzione, ma manifestazione di sé. Essa parte, infatti, sempre
da un qualche impulso naturale del bambino. E come dire che egli imita solo ciò che
innanzitutto ha suscitato in lui interesse.
Al
proposito, sono comunque due i punti su cui pone laccento Dewey: per prima cosa
occorre vedere quali sono le tendenze naturali del bambino e quali i suoi interessi
spontanei che soli lo portano a considerare lazione di qualcuno come modello; questo
modello, in ambito educativo, non è comunque una fixed copy (=copia fissa) che il
bambino deve limitarsi semplicemente a seguire, riprodurre letteralmente, ma è per lui
uno stimolo in una ben determinata direzione. In ogni caso:
il
bambino non sta cercando realmente di copiare un modello, lui sta semplicemente
rispondendo ad uno stimolo
Il
tutto avviene, precisa Dewey, secondo processi inconsci.
Qual
è, però, la differenza tra limitazione vera e propria e la suggestione?
La
prima è diretta e, dunque, lo stimolo è concretamente presente al bambino. Dice,
infatti, Dewey:
lintero stimolo è realmente presentato a lui concretamente
La
seconda, invece, avviene per via indiretta e, dunque, non è necessario che lo stimolo sia
presente:
significa
che unimmagine è lo stimolo piuttosto che una qualche diretta presentazione
ingiunzione
e proibizioni attraverso il linguaggio sono una forma, la più diretta forma, di
suggestione
Viene,
infine, il processo di comunicazione, che è una forma di estensione della suggestione. Si
tratta, in altre parole, di un genere di suggestione, ma ancora più indiretta:
E la suggestione fatta ancora più indiretta
Ci
troviamo ora completamente sul piano del linguaggio, attraverso il quale ogni persona può
presentare un suo parere, un suo pensiero o una sua idea ad un interlocutore, restando poi
in attesa di una sua del tutto autonoma risposta.
Per
quanto riguarda, invece, leducazione formale, prosegue ancora Dewey nelle lezioni,
si tratta di quel tipo di educazione che viene impartita a scuola, intesa come vera e
propria istituzione organizzata.
Mentre,
dunque, i processi alla base delleducazione informale, lo abbiamo visto, erano
fondamentalmente inconsci, leducazione formale a scuola si organizza in modi del
tutto consci e consapevoli.
Esiste
una specifica istituzione che deve avere la sua propria funzione (
). Significa che
la scuola ha per sua funzione lorganizzazione in un modo più conscio e completo
delle risorse e dei metodi e dei materiali. Quelli sono usati in maniera più inconscia e
non ragionata allesterno
Se
la scuola non potrà mai sostituirsi alleducazione informale (anzi, per la verità,
non sarebbe nemmeno mai esistita senza le idee trasmesse attraverso gli anni dai processi
informali), è altrettanto vero che presenta, però, alcuni vantaggi rispetto ad essa, che
si esprimono in termini di organizzazione.
La
scuola trova, infatti:
i suoi vantaggi nel criterio dellorganizzazione
Ecco
allora emergere tutta limportanza della scuola in una società complessa. Suo
compito primario sarà, infatti, di presentare al bambino la vita sociale in una forma
semplificata, adatta alle sue capacità.
Oltre
a semplificare la complessità della vita sociale, seleziona o riduce la
complessità delle forze operanti dal di fuori
Facendo
un ulteriore passo avanti, Dewey ci ricorda anche che la scuola viene generalmente
considerata come il luogo dellistruzione:
sicuramente
lo strumento che principalmente contraddistingue
leducazione
formale da quella informale è listruzione
Ma
proprio per questo motivo si rischia di isolare la scuola stessa dalla vita reale.
Denuncia, infatti, Dewey, nelle lezioni:
cè
una tendenza per la scuola a diventare unistituzione isolata
Si
verrebbe così a creare una pericolosa dicotomia tra educazione formale ed informale, tra
vita scolastica e vita sociale, tra attività puramente intellettuale ed esperienza.
La
scuola, invece, dovrebbe essere considerata come un luogo in cui lesperienza non sia
separata dal puro apprendimento, ma si consolidi attraverso esso.
Nelle
lezioni, dunque, dopo averci presentato la differenza tra educazione formale ed informale,
Dewey ci prospetta anche, come abbiamo visto, gli eventuali pericoli che da essa possono
derivare.
Proprio
per evitare questi pericoli, Dewey perviene già nel 1899 ad una sua particolare
concezione del curriculum scolastico. Esso, spiega il filosofo, deve garantire una
continuità tra lelemento informale e formale delleducazione.
Solo
così il bambino potrà apprendere a scuola non materie astratte, ma che siano intimamente
connesse alla vita di tutti i giorni.
Questo
punto verrà ripreso e ribadito anche in Democrazia e educazione, in cui Dewey teme
proprio che si possa verificare una scissione tra ciò che si impara a scuola e
lesperienza diretta in ambito sociale.
Cè
costantemente il pericolo che il materiale dellistruzione formale sia un mero
argomento scolastico, isolato dal contenuto dellesperienza della vita
Questo,
conclude Dewey, rappresenta:
uno
dei problemi più gravi che deve affrontare la filosofia delleducazione
In
sintesi, dunque, sia nelle lezioni che in Democrazia e educazione Dewey ci dice che
già il processo di vivere di per sé educa.
Esiste,
però, una profonda differenza tra questo tipo di educazione (accidentale o informale) che
avviene inconsciamente ed inconsapevolmente, e leducazione scolastica (quella
diretta, formale).
Questo
divario cresce man mano che la civiltà si fa sempre più complessa.
Sia
nel 1899 sia nel 1916, inoltre, Dewey mostra il pericolo di tutto questo discorso,
evidenziato anche da Codignola con le seguenti parole:
Il
trapasso dalleducazione della vita a quella diretta della scuola implica già in sé
gravi pericoli. Leducazione diretta e formale tende a staccarsi dalla sua matrice,
dalla immediata e vissuta esperienza sociale, da cui è nata, per costituire un regno a
sé, per farsi remota, astratta, libresca, tende a costituire simboli verbali alla
pregnante esperienza individuale
In Democrazia
e educazione, nel capitolo intitolato Studi intellettuali e pratici, Dewey
fa addirittura diretto riferimento ai greci, in particolare alle concezioni
dellesperienza e della ragione che avevano Platone e Aristotele.
Essi
contrapposero nettamente ragione ed esperienza. Quanto più esaltavano la prima, tanto
più disprezzavano la seconda.
Per
loro, infatti, la conoscenza vera aveva unesistenza indipendente, in un luogo
immateriale, i suoi interessi e fini erano puramente spirituali, il suo oggetto specifico
era la verità eterna, e perciò era per sé stessa completamente autosufficiente. Di
contro, la vita pratica, intesa come un continuo desiderio e bisogno, non era completa.
Non
a caso Platone mise a capo della sua repubblica i filosofi, cioè lintelligenza
puramente razionale, che sola può garantire armonia tra tutte le cose, mentre
dallesperienza possono nascere solo opinioni.
Da
qui la predilezione, presso i Greci, per materie puramente intellettuali, a discapito di
quelle basate sullattività, sul fare, sullesperienza.
Si
dovette aspettare lavvento delletà moderna (XVII-XVIII sec.) perché si
arrivasse a fare appello allimportanza dellesperienza.
Per
primo, F. Bacone sentì la profonda esigenza di andare al di là di quelle concezioni
classiche che anticipavano la natura imponendole opinioni semplicemente umane,
e di fare finalmente ricorso allesperienza, intesa però ancora solamente come
ricezione passiva di sensazioni isolate. Commenta, infatti, Dewey:
lideale
era il massimo di ricettività
Siamo
ormai nel pieno dellempirismo e della dottrina sensistica.
Con
lavvento della psicologia e grazie al metodo sperimentale in ambito scientifico,
lesperienza cessa, finalmente, di essere empirica e diventa sperimentale. La
ragione cessa di essere una facoltà remota e ideale, e significa tutte le risorse con le
quali lattività è resa feconda di significato
Ciò
determina la fine dellantitesi tra razionalismo ed empirismo.
Per
dirla con Dewey:
il
risultato logico è una nuova filosofia dellesperienza e della conoscenza, una
filosofia che non contrappone più lesperienza alla conoscenza e alla spiegazione
razionale
Per
tutto ciò, quello della psicologia e soprattutto della scienza sperimentale, conclude
Dewey, è senzaltro:
il
colpo più diretto che sia stato dato alla separazione tradizionale tra fare e sapere, e
al prestigio tradizionale degli studi puramente intellettuali
Da
quanto esposto finora, è possibile cogliere, dunque, una certa continuità nel pensiero
di Dewey attraverso gli anni per ciò che concerne la distinzione tra educazione formale
ed informale, il nesso tra studi pratici ed intellettuali, ed anche limportanza che
viene ad assumere lesperienza nel processo educativo, ed il lavoro allinterno
del corso di studi.
Altro
punto fondamentale, comune sia alle lezioni che allopera del 1916, e dal quale non
è possibile prescindere, riguarda poi la visione biologica del filosofo
americano, dalla quale scaturiranno i suoi personali concetti di crescita,
interesse e disciplina.
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