Pubblichiamo qui di seguito un articolo tecnico che
ci ha inviato il dott. Franco Carnevale (che ringraziamo) a proposito della
sorveglianza sanitaria degli ex esposti all’amianto e ad altre sostanze
cancerogene. La discussione fra gli esperti è molto accesa. Vi è chi ritiene
che una sorveglianza sanitaria, intesa come pratiche cliniche di visite ed
esami, sia inutile e controproducente e vi è
chi invece pensa che sia opportuno sottoporre gli ex esposti a pochi
tipi di controllo. I lavoratori e i pensionati ex esposti vedendo purtroppo come
molti loro compagni di lavoro siano
stati colpiti da gravi e a volte terribili malattie si aspetterebbero di più. A
questo punto è bene che vi sia un confronto tra esperti e lavoratori che l’AEA
può organizzare.
Possiamo
però intanto dire alcune cose considerando che in alcune regione ci sono leggi
e norme che prescrivono la sorveglianza sanitaria degli ex esposti (Friuli
Venezia Giulia, Toscana, Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna) e che qualche A-USL
la sta praticando (A-USL di Frosinone).
Anzitutto i
lavoratori ex esposti dovrebbero fare riferimento ai servizi di prevenzione nei
luoghi di lavoro i quali devono essere, in questo caso, a contatto con i medici
di medicina generale, e quindi dotare di libretto sanitario e di rischio (o
cartella clinica personale) ogni lavoratore ex esposto. In tale libretto deve
essere scritta tutta la storia dei rischi cui il lavoratore o il pensionato è
stato sottoposto, oltre naturalmente le notizie cliniche che lo riguardano. Al
lavoratore devono essere dati alcuni consigli fondamentali che riguardano l'alimentazione,
nel senso che questa deve comportare una dieta ricca di fibre, verdura e frutta
e scarsa di carni e formaggi, nonché naturalmente la raccomandazione
dell’eliminazione assoluta del fumo di tabacco. Si consideri che la ragione per
cui è stato definito dalla legge la possibilità di ridurre il tempo di lavoro
per coloro che sono stati esposti ad oltre dieci anni all’amianto attiene alla
necessità di vivere in una condizione di maggiore salubrità ambientale, essere
meno stressati, avere maggiore cura di se stessi e della propria salute.
Si pone il
problema successivo di quali controlli medici fare. E’ difficile a questo punto
dare una risposta certa e uguale per tutti perché questa dipende da tanti
fattori, soprattutto i livelli di esposizione, la sua durata, le condizioni
generali della persona. Si sa certamente che purtroppo non esistono forme di
diagnosi precoce per i mesoteliomi e che quelle per i tumori ai polmoni sono in
via di sperimentazione ed oggi tutt’altro che certe (nella fattispecie la TAC
spirale). Sarebbe opportuno che ogni regione in relazione alle A-USL di quei
territori in cui si è fatto grande impiego di amianto si studiasse appositi
protocolli sanitari da applicare agli ex esposti in riferimento alla loro
storia e alle loro condizioni.
Da parte
nostra, come AEA, stiamo lavorando dopo avere parlato con gli esperti
dell’Istituto superiore di Sanità, nonché con il dott. Franco Carnevale ed
altri di organizzare un convegno, probabilmente a Firenze, al fine di entrare
nel merito, soprattutto, come abbiamo detto all’inizio di mettere in
collegamento gli esperti e i tecnici con i lavoratori ex esposti.
Fulvio Aurora
La sorveglianza
sanitaria degli ex-esposti a cancerogeni occupazionali:
qualche riflessione
operativa
Innocenti
A.1, Carnevale F.2, Ciani Passeri A.3, Loi A.M.4, Seniori Costantini A.5
1 UF PISLL USL 3 Pistoia; 2 UF PISLL USL 10
Firenze; 3 Sistema Regionale
di Prevenzione Collettiva - Regione Toscana; 4 UF PISLL USL 6
Livorno; 5 UO Epidemiologia, Istituto di Ricerca Regionale per la
Prevenzione Oncologica (CSPO), Firenze
Il D.Lgs. 277/91 all'art. 4
e all'art. 29 ed in particolare l'art. 17 e l'art. 69 del D.Lgs. 626/94
prevedono la opportunità che venga effettuata sorveglianza sanitaria nel caso
di esposizione ad agenti cancerogeni anche dopo la cessazione del lavoro. I
tumori insorgono dopo un lungo periodo di latenza dalla esposizione e spesso in
soggetti anziani ormai ritirati dal lavoro o comunque non più esposti, con
notevole differenza da quanto avveniva in passato per la maggior parte delle
malattie professionali classiche (come la silicosi e le intossicazioni da
alcuni metalli) che si manifestavano durante la attività lavorativa o da quanto
avviene per alcune patologie correlabili con il lavoro (come le malattie
muscolo-scheletriche).
Il problema riveste notevole
interesse sotto molti aspetti: numerosità della popolazione da sottoporre a
sorveglianza sanitaria, onerosità delle prestazioni, competenza nella
pianificazione degli interventi rivolti a evitare accertamenti inutili, costosi e che comportano rischi di eccessiva
medicalizzazione, con la prospettiva che una volta iniziato si debba continuare
indefinitamente. Il D.Lgs. 626/94 peraltro non ha individuato quali soggetti
(pubblici o aziendali) dovranno farsi carico operativamente ed economicamente
di tale attività sanitaria.
In realtà, se la
sorveglianza sanitaria in ambito occupazionale è intesa come l'esecuzione di
controlli medici periodici e longitudinali nel tempo sul singolo lavoratore non
è ancora ben definito cosa si intenda per sorveglianza sanitaria sugli ex
esposti. Infatti per il lavoratore esposto si tratta di una pratica di tipo
sanitario (anche se non esclusivamente clinica), a carattere ripetitivo o
periodico con scadenza prefissata, finalizzata alla prevenzione e alla tutela
della salute, obbligatoria ai sensi
delle norme vigenti in tutte le situazioni previste o stabilita dal datore di
lavoro, dietro indicazione del medico competente in rapporto alla valutazione
dei rischi.
Per il lavoratore "ex
esposto" si può trattare di una pratica di tipo sanitario (anche se non
necessariamente clinica), cui egli si sottopone, peraltro non
obbligatoriamente, sulla base dell’informazione resa - in questo caso
obbligatoriamente - dal medico competente
dopo la cessazione dell’esposizione. Il lavoratore "ex
esposto" può quindi effettuarla spontaneamente (in conformità alle
informazioni di cui dispone e/o alle linee guida diffuse dalle Istituzioni) o a seguito di richiamo attivo ovvero di offerta d’assistenza
da parte del SSN per particolari patologie rilevanti.
Nella sorveglianza sanitaria
degli ex esposti a cancerogeni occupazionali si perde ovviamente la valenza di
prevenzione primaria sulla collettività di cui fanno parte i soggetti in esame,
ma rimane quella di prevenzione
secondaria a livello individuale. In questo caso ha senso prevedere una
procedura vera e propria di sorveglianza, cioè una procedura periodica di
identificazione di effetti sanitari, solo se questa è in grado di configurarsi
come una vera diagnosi precoce( Wagner 2000). Se questo non è il caso, sembra più opportuno mettere
in atto procedure di raccolta delle informazioni sulla occorrenza delle
eventuali patologie da fonti abituali di dati sanitari (ricoveri, certificati
di decesso, denunce INAIL di malattia professionale) o attivare quei soggetti
che istituzionalmente hanno in carico assistenziale gli ex esposti, cioè i
medici curanti. Anche così si è in grado di ottemperare a quel debito di
giustizia sociale che consiste nel riconoscimento delle eventuali malattie
professionali o comunque attribuibili al pregresso rischio lavorativo.
L’attuazione di protocolli
di sorveglianza presenta molti punti di criticità. La decisione sembra essere
motivata oltrechè da ragioni scientifiche, soprattutto da ragioni di ordine
etico-sociale. Ricordiamo che in campo occupazionale metodi di screening
possono essere più giustificati in piccoli gruppi esposti ad alti livelli di
cancerogeni che in grandi gruppi esposti a bassi livelli e comunque metodi di screening
di routine per i tumori professionali
non possono essere raccomandati sulla base delle conoscenze attuali (Gustavsson
1998). Un aspetto di particolare interesse è quello dell’utilizzo di indicatori
di danno precoce, in particolare di danni al DNA, per la prevenzione negli
ambienti di lavoro. Non esistono in realtà protocolli specifici validati per quanto riguarda il ricorso ai
test genetici per monitorare
modificazioni biologiche individuali che abbiano un significato
prognostico e quindi “preventivo”. L’utilizzazione di dati biologici per
finalità di “prevenzione collettiva” è stata comunque ipotizzata, in attesa di
validazione dei test a fini decisionali sui singoli casi (Pira, 1999).
Qualora quindi non sia
possibile mettere in atto un vero e proprio screening di gruppi di popolazione
finalizzato alla diagnosi precoce di patologie attese, è opportuno che la
sorveglianza sugli ex esposti si configuri
come un'indagine trasversale che consenta di ricostruire la storia di
esposizione laddove mancante, di informare e comunicare al singolo soggetto, se
a lui non noti, quegli aspetti di rischio e preventivi legati alla passata
esposizione, nonché le informazioni sulle possibilità diagnostico-terapeutiche
e medico-legali per le eventuali patologie correlate. Tutto ciò potrebbe essere
effettuato da personale tecnico, pubblico o privato, in grado di farlo
correttamente. Abbastanza più complessa appare la gestione di altri aspetti
quali ad esempio la cessazione dell'abitudine al fumo o la acquisizione di stili
di vita adeguati, che comportano la applicazione di tecniche di counseling e di altro (tecniche
farmacologiche, psicologiche, ecc.) generalmente poco diffuse nei servizi
sanitari. In ogni caso si rende necessario un investimento finanziario non
indifferente sia in termini di formazione del personale tecnico che di
disponibilità e accesso alle varie metodiche.
I medici curanti dei singoli soggetti, che li hanno
istituzionalmente in carico assistenziale anche su precisa scelta dei loro
assistiti, potrebbero svolgere, opportunamente indirizzati, un'azione di
controllo dell'eventuale occorrenza delle patologie professionali che
successivamente potrebbero essere meglio definite dai servizi territoriali
pubblici di medicina del lavoro. I medici curanti inoltre potrebbero promuovere
l'adozione di quegli stili di vita considerati a minor rischio per i loro
assistiti: i medici di famiglia sono infatti le figure professionali che meglio
potrebbero riuscire a svolgere un'attività di counseling, che comporta una sorta di sostegno attivo dei pazienti
sia nella fase di identificazione dei problemi che nella fase di scelta delle
strategie di intervento e in quella di applicazione delle stesse.
Stime degli esposti a
cancerogeni
Una stima della prevalenza
degli esposti a cancerogeni può essere fatta secondo i criteri adottati nel
contesto dello studio CAREX. Questo è un sistema informativo internazionale
sulle esposizioni professionali a cancerogeni, supportato dall’Unione Europea
che fornisce il numero di esposti a cancerogeni certi o sospetti per paese,
attività industriale e agente. (Mirabelli, 1999). Si basa sulla composizione
della forza lavoro nel periodo 1990-1993. Sono esaminate 55 branche di attività
economica, disaggregate secondo la classificazione UN-ISIC Rev 2 e sono presi
in considerazione 139 agenti classificati dalla IARC in “certi”, “probabili” e
“possibili” (gruppi IARC 1, 2A, 2B).
Le stime della prevalenza
degli esposti in Italia, come negli altri paesi, sono state effettuate, in
assenza di dati italiani sulla proporzione di esposti per branca di attività economica, in base alla prevalenza
di esposti di due paesi di riferimento, la Finlandia e gli USA, ove tali dati
erano disponibili. Tale sistema di stima
può comportare errori nelle stime dei singoli paesi, soprattutto
riferibili alle diverse condizioni produttive e di esposizione dei lavoratori,
oltre che a differenze nel definire le esposizioni professionali tra i diversi
valutatori. In alcuni casi il sistema sovrastima (vedi ad es. il benzene che, per
l’Italia, sembra essere notevolmente in eccesso in quanto dal 1963 ne è
proibito l'uso nelle vernici e nei mastici, salvo che in concentrazioni
inferiori all'1% della parte solvente), mentre in taluni casi sottostima in
quanto non sono catalogate tutte le esposizioni. Tale data-base comunque rappresenta l’unico sistema informativo esteso
ai diversi paesi dell’Unione Europea, sistematico e semplice nell’uso e nella
consultazione.
In
tabella 1 è riportata la stima (Mirabelli, 1999) del numero degli esposti in Italia nel periodo 1990-93 ad
alcuni cancerogeni certi o sospetti, che è in totale di 4,2 milioni di
lavoratori, pari a circa un quarto/un quinto degli occupati.
Ovviamente la stima degli
esposti nel periodo 1990-93 deve essere interpretata anche alla luce delle
modificazioni organizzative, legislative, ecc. intervenute successivamente. Se
ad esempio consideriamo la Toscana, i lavoratori esposti ad amianto secondo i
criteri di CAREX risultavano essere stati 27.000 (secondo quanto risulta dalla
registrazione dei nominativi dei lavoratori addetti ad attività che
comportavano l'uso di amianto risultano essere circa 30.000) mentre attualmente
i potenzialmente esposti (operatori di ditte di bonifica esposti a livelli
bassi, ma comunque superiori a quelli della popolazione generale) risultano
essere 4100. Analogamente gli esposti a CVM risultavano 200 nella stima CAREX,
la coorte storica di addetti alla polimerizzazione presso l'unica ditta
produttrice è di 181 lavoratori (Belli e Coll 1987), ma attualmente è
completamente cambiato il ciclo produttivo e non risultano esservi lavoratori
esposti.
Possibili protocolli di
intervento per ex esposti a cancerogeni
Come
messo in evidenza nella Conferenza Nazionale sull'Amianto tenutasi a Roma nel
marzo 1999, "vi è consenso sulla
necessità di garantire il controllo degli esposti mediante sorveglianza
epidemiologica e/o sanitaria in forma programmata e gratuita a cura dei Servizi di Prevenzione e
Sicurezza degli ambienti di lavoro delle ASL" (Bettoni, 1999), ma in
mancanza di linee guida razionali ed efficaci esistono posizioni differenti
riguardo alla sorveglianza sanitaria (Gerosa, 1999; Spolaore e Sarto, 1999, ASL
Milano 2001, Carnevale e coll. 2001) per cui il dibattito negli ultimi tempi si
è fatto molto serrato (Magnavita 2000, Prandi e Cantoni 2001, Sartorelli 2001)
. Per questo è ricordare vantaggi e svantaggi della messa in opera di tale
attività nei riguardi di un consistente numero di soggetti, nell'ottica di una
corretta valutazione costi/benefici.
I vantaggi di un programma di
sorveglianza sanitaria possono consistere in:
a)
utilità
clinica (possibilità di efficace diagnosi precoce e controllo dello stato di
salute)
b)
utilità
di sanità pubblica (riduzione del rischio aggiuntivo)
c)
utilità
etico-sociale (possibilità di informazione capillare e contatto individuale)
d)
utilità
medico-legale (tempestività di certificazione di malattia professionale)
e)
utilità
epidemiologica (migliore conoscenza del rapporto causa/effetto)
Gli
svantaggi di un programma di sorveglianza sanitaria possono essere brevemente
così riassunti:
a)
impegno
economico rilevante prevalentemente pubblico, senza certezze sui benefici
indotti sul singolo e sulla collettività
b)
rischio
di eccessiva medicalizzazione
c)
possibilità
di indurre inappropriate aspettative di risarcimento ed eccessive
preoccupazioni sullo stato di salute sia nei singoli che nelle collettività
d)
mancato
abbandono di comportamenti a rischio (ad es. fumo) motivato dal fatto di essere
inseriti in un programma di sorveglianza sanitaria.
Nei paragrafi seguenti si
vuole offrire una possibile traccia per orientare le scelte o le decisioni
qualora si volessero intraprendere iniziative in questo campo
A)
Interventi sanitari in ex-esposti ad amianto
Se i nuovi casi di asbestosi
risultano in diminuzione nelle nazioni industrializzate, il picco dei casi di
mesotelioma attualmente osservato, (tenuto conto della lunga latenza della
malattia) potrà proseguire nei primi decenni del 2000 anche in relazione ad
esposizioni di basso livello o comunque non controllate (Boutin, 1998; Merler,
1999; Peto 1995, Xxxxx 2000). Allo stato attuale delle conoscenze è necessario
valutare approfonditamente la possibile utilità clinica di un intervento
sanitario in relazione alla possibilità di avere a disposizione un valido test
di screening.
Per l'asbestosi è
possibile effettuare una diagnosi precoce, la cui utilità è tuttavia limitata
in quanto non sono disponibili interventi terapeutici risolutori; al momento attuale
non è stata pubblicata nessuna valutazione dell'efficacia della sorveglianza
sanitaria nel rallentare la storia naturale della fibrosi polmonare o
nell'aumentare la sopravvivenza (Merler, 1997). Per il mesotelioma non esistono
tests di screening, inoltre la diagnosi precoce non sembra migliorare né il
tempo di sopravvivenza né la qualità della vita. Analogamente per il tumore
polmonare: nessun test di screening, per quanto a periodicità serrata, è
risultato efficace in termini di significativa riduzione di mortalità. Una
diagnosi precoce può consentire in alcuni casi un intervento terapeutico
(chirurgico e/o chemio-radioterapico)
risolutore o almeno tale da prolungare la sopravvivenza, ma al momento
attuale non esistono le condizioni
tecnico-scientifiche per attuare un programma di screening attivo. Alla luce
degli sviluppi della ricerca medica, in particolare per l'uso della TC spirale
a basse dosi (Consensus Report, 2000), sarebbe invece opportuno iniziare studi
controllati in soggetti con ben definito livello di esposizione.
Per prendere
le opportune decisioni in merito alla sorveglianza sanitaria, è pertanto
necessario individuare per ciascun lavoratore il livello di esposizione reale o
presunto. E' stimato che il rischio relativo di tumore polmonare aumenta dello
0.5-4% per ogni fibra/ml per anno (fibre/anno). Con l'uso del limite superiore
di questo range, si stima che una esposizione cumulativa di 25 fibre/ml/anno
aumenta il rischio di tumore polmonare di 2 volte e casi clinici di asbestosi
possono essere presenti ad una comparabile esposizione cumulativa (Consensus
Report, 1997). Soggetti con elevata esposizione professionale (³ 25
fibre/ml/anno), di età superiore a 50 anni, fumatori di almeno 20
pacchetti/anno, con una appropriata latenza dalla prima esposizione ad amianto,
potrebbero essere utilmente inseriti in
programmi di studio-ricerca con la TC spirale a basse dosi (Consensus
Report , 2000). In assenza di conoscenze sulla entità del rischio, si concorda con un
approccio in cui si punta molto sull'azione di counseling antifumo (Commissione Oncologica Regione Emilia Romagna
1999).
Al medico di base che stabilisse
l'opportunità o la necessità di procedere a un controllo diagnostico
strumentale per un proprio paziente "a rischio" di tumore polmonare,
sarebbe comunque opportuno consigliare di procedere alla esecuzione di TC
spirale a basse dosi, piuttosto che a ripetuti Rx standard.
Sul piano operativo si può
ipotizzare che i servizi di prevenzione nei luoghi di lavoro attuino interventi su domanda di singoli soggetti o
di gruppi di lavoratori, basati su due stadi (percorso iniziale e percorso di
approfondimento). Tali percorsi avranno le caratteristiche di assistenza
individuale per i singoli soggetti che aderiranno; si prevede che il percorso
iniziale sia offerto a tutti i soggetti, mentre quello di approfondimento sarà
effettuato prioritariamente nei casi ad alta esposizione. A questi interventi
deve essere affiancata una iniziativa strutturata di counseling sulla cessazione del fumo e riduzione dei rischi
aggiuntivi che richiede personale appositamente formato ed un progetto
operativo specifico.
Il percorso iniziale può
consistere in una campagna informativa, per tutta la popolazione, sui rischi
per la salute legati alla esposizione ad amianto e le misure preventive disponibili
(sospensione dell’abitudine al fumo e della esposizione a polveri ed irritanti
respiratori), seguita per i singoli soggetti dalla raccolta della anamnesi
lavorativa e patologica con questionari mirati, dall'esame della documentazione sanitaria e dalla
visita medica, con orientamento
sull’eventuale futuro percorso di sorveglianza sanitaria.
Il percorso di approfondimento per la diagnosi di
asbestosi consiste nel ricorso a strutture specialistiche individuate dalle
Regioni e dalle USL per l'effettuazione di PFR e DLCO (qualora gli
esami non fossero già presenti al momento della visita, purché non antecedenti
a 2-3 anni) e per la valutazione della necessità di una Radiografia A/P (da
refertare secondo la classificazione ILO/BIT 1980) con proiezioni oblique sec.
McKenzie e/o l'ipotesi di una HRCT. Si
ritiene che la radiografia sia in ogni caso necessaria perché la stadiazione
della asbestosi è solo radiologica, e che al momento attuale l'HRCT si ritiene
- come segnalato dal "Consensus Report" di Helsinki (1997) e tenuto
anche conto che espone il paziente a dosi di radiazioni ionizzanti da 2 a 10
volte superiori a quelle dell'Rx torace tradizionale - che possa essere
impiegata per confermare le immagini radiologiche di asbestosi e mostrare
alterazioni iniziali non visibili alla radiologia tradizionale, ma non a fine
di screening (Albin e Coll. 1992).
B)
Interventi sanitari in ex-esposti a cancerogeni con organo bersaglio
principale polmone, (ad es. IPA nella
produzione di coke e peci, silice libera cristallina, cromati nella industria
della concia e della galvanica, ed altri)
Come
già affermato relativamente al problema degli ex-esposti ad amianto al momento
attuale non appaiono esistere le
condizioni tecnico-scientifiche per attuare un programma di screening attivo e
valgono le stesse considerazioni per quanto riguarda l'uso della TC spirale a
basse dosi. Tuttavia, a differenza di quanto possibile per l'esposizione ad
amianto (Consensus Report, 2000), in
questi altri casi non è facile identificare un livello di esposizione al quale
corrisponda un rischio di tumore doppio rispetto a quello della popolazione
generale.
Anche in questo caso al medico curante che
stabilisse l'opportunità o la necessità di procedere a un controllo diagnostico
strumentale per un proprio paziente "a rischio" di tumore polmonare,
sarebbe opportuno consigliare di procedere alla esecuzione di TC spirale a
basse dosi, piuttosto che a ripetuti Rx standard.
C)
Interventi sanitari in ex-esposti a cancerogeni con organo bersaglio principale
vescica (ad es. IPA nella produzione di coke e peci, amine aromatiche nella
industria della concia, delle tintorie e 'utilizzo di coloranti con dati di esposizione e di rischio, altri)
I
progressi in campo terapeutico, che hanno determinato una riduzione della
mortalità per tumore vescicale, ripropongono l'importanza della diagnosi
precoce negli ex-esposti. Varrebbe quindi la pena di effettuare studi
controllati, mentre non sembra proponibile l'analisi dei dati esistenti non
raccolti sulla base di protocolli che prevedano la definizione della
esposizione.
Potrebbero essere
identificati gruppi di lavoratori ex-esposti, da poco tempo, che abbiano
partecipato a programmi monitorati di sorveglianza sanitaria, comprendenti
anche indagini di screening (citologia urinaria, ematuria microscopica), da
seguire nel tempo proponendo protocolli comprendenti la citologia, l'esame
dell'ematuria microscopica e l'ecografia vescicale. La validità di tali esami
appare confermata da precedenti studi (Pingitore, 1994) qualora tali esami
siano effettuati presso strutture che diano garanzie rispetto al controllo di
qualità.
Ai medici di famiglia si
potrebbe suggerire di favorire la partecipazione di ex-lavoratori a progetti di
studio controllati. Un criterio per l’ammissione potrebbe essere almeno 1 anno
di esposizione ed almeno 10 anni dalla prima esposizione (European Commission,
1994)
D) Interventi sanitari in ex-esposti a cancerogeni
con organo bersaglio principale fegato (ad es. produzione CVM ed arsenico)
Per
lavoratori con documentata pregressa esposizione a cloruro di vinile monomero potrebbe essere svolta da parte dei
medici di famiglia una sorveglianza
sanitaria comprendente anche esami ecografici la cui frequenza nel tempo deve
ancora essere meglio precisata (Fontana, 1997).
E) Interventi sanitari in ex-esposti a cancerogeni
con organo bersaglio principale naso e seni paranasali (ad es. polvere di legno
e polvere di cuoio)
Per
lavoratori con documentata pregressa esposizione per almeno 10 anni a polveri di
legno a concentrazioni >1 mg/m3 e con almeno 20 anni dalla prima
esposizione (European Commission, 1994) può essere proponibile la
partecipazione a programmi di sorveglianza sanitaria comprendenti una visita
ORL (rinologica) la cui modalità e periodicità deve ancora essere meglio precisata.
Per
lavoratori ex-esposti a polveri di cuoio potrebbero essere proposti analoghi
interventi.
Allo stato delle conoscenze
scientifiche ed epidemiologiche non sembrano proponibili interventi sanitari in
ex-esposti a cancerogeni con organo bersaglio principale sulla cute (IPA,
catrame, fuliggine etc.) in quanto le neoplasie indotte non pongono a rischio
di sopravvivenza a differenza di quanto avviene per il melanoma, che peraltro
non riconosce una eziologia professionale se non per la esposizione a raggi
solari. Anche in questi casi la corretta informazione fornita dal Medico
Competente dovrebbe essere sufficiente a consentire al singolo soggetto di riferirsi al proprio medico curante nel
caso insorgessero lesioni cutanee sospette.
Soggetti coinvolti PER L’ATTUAZIONE DEI PERCORSI ASSISTENZIALI
Poiché
la legge non dà nessuna indicazione su quali siano i soggetti che devono
eseguire la sorveglianza sanitaria degli ex esposti è naturale che l’istanza
sociale venga primariamente rivolta alle pubbliche istituzioni. Tuttavia in
particolari contesti non possono essere esclusi soggetti privati, quali ad
esempio gli stessi datori di lavoro presso le cui imprese si sia realizzata
appunto la pregressa esposizione.
I
soggetti pubblici o privati che si potrebbero considerare coinvolti nella
effettuazione di programmi di sorveglianza sanitaria sono numerosi, ma appare
opportuno che gli interventi e le azioni di ciascuno si svolgano in un quadro
generale di riferimento o “linea guida”, trattandosi di azioni di pubblica
utilità e finalizzate alla conoscenza dei fenomeni oltre che a fini
strettamente sanitari ed etico-sociali.
Anche gli
interventi che potrebbero essere ipotizzati sono numerosi e con diverse
ricadute e implicazioni economiche. Tali interventi possono collocarsi di volta
in volta in un ambito strettamente sanitario e di diagnosi precoce, oppure di
mera informazione sul pregresso rischio, lasciando al singolo soggetto la
facoltà di iniziativa; oppure possono essere inquadrati nell'ambito di una
prestazione offerta dal Servizio Sanitario Regionale a gruppi di soggetti, dei
quali sia nota la pregressa esposizione ad agenti cancerogeni e qualora siano disponibili validi test di monitoraggio
e diagnosi precoce.
In un tale quadro,
che lascia ampia libertà di scegliere le soluzioni più adatte ai singoli
contesti, data anche la impossibilità, nella maggior parte delle situazioni, di
individuare interventi di provata efficacia preventiva, alle Regioni spetta un
compito prevalentemente orientativo e regolamentare, anche se non
necessariamente legislativo; sarebbe infatti preferibile evitare interventi a
carattere prescrittivo, data la ampia gamma di soluzioni possibili. E’ invece
opportuno che siano emanate linee guida operative verso i soggetti erogatori di
servizi, operatori sanitari pubblici e privati, ai quali si rivolgano le
istanze di sorveglianza sanitaria da parte dei soggetti ex-esposti a
cancerogeni. E’ auspicabile che sia evitato l’eccesso di esami diagnostici che
possono non avere una utilità dimostrata di carattere preventivo o anche
strettamente sanitario. Le Regioni oltre a predisporre linee guida sulle
modalità di attuazione della sorveglianza sanitaria degli ex esposti,
dovrebbero indicare centri di riferimento
per la eventuale esecuzione di esami specialistici, nonché le risorse
economiche necessarie.
Sempre
le Regioni dovrebbero, utilizzando la propria rete di servizi, raccogliere i
dati risultanti dalle azioni di sorveglianza sanitaria degli ex esposti, per
consentire l’osservazione epidemiologica delle condizioni di esposizione, delle
cause di morte e delle patologie correlate o correlabili alla esposizione. Esse
infatti sono anche il soggetto istituzionalmente deputato a tenere rapporti
informativi verso l’ISPESL sui risultati della sorveglianza sanitaria degli ex
esposti.
Qualsiasi
intervento dovrebbe essere adeguatamente presentato e preceduto da una campagna informativa, attuata sempre da
parte delle Regioni attraverso i mass-media.
Questo infatti potrebbe essere lo strumento più idoneo per adempiere ad una
funzione di informazione pubblica ed i suoi contenuti minimi dovrebbero essere
finalizzati alla diffusione delle principali conoscenze riguardo alle
lavorazioni che hanno comportato rischi nei principali comparti produttivi del
territorio; essa dovrebbe essere inoltre finalizzata alla informazione sui
principali servizi offerti ai lavoratori
interessati che ne volessero usufruire.
I servizi
territoriali di prevenzione nei luoghi di lavoro dovrebbero svolgere
principalmente un ruolo di coordinamento delle iniziative territoriali, di
orientamento ed informazione verso i lavoratori, soprattutto riguardo alle
opportunità, ai vantaggi e ai limiti delle azioni di sorveglianza sanitaria. La
loro funzione è particolarmente rilevante nella ricostruzione dei rischi lavorativi attraverso la documentazione
storica ovvero attuale sulle lavorazioni a rischio. I servizi dovrebbero
inoltre verificare la applicazione delle linee guida regionali e validare, in
collaborazione con le strutture di epidemiologia, i protocolli sanitari
applicati. Gli stessi servizi potrebbero, in particolari casi, eseguire
direttamente tali protocolli sia sui singoli soggetti che sui gruppi, attribuire le patologie di interesse a causa lavorativa e
attivare le procedure conseguenti; dovrebbero
infine collaborare con la Regione alle campagne informative e
partecipare ai programmi di counseling.
Le
strutture e gli osservatori epidemiologici regionali ricostruiscono, qualora
necessario e in collaborazione con i dipartimenti di prevenzione, le coorti
degli ex esposti; forniscono i dati
correnti di incidenza e di mortalità dei tumori di interesse; conducono
studi di coorte finalizzati alla valutazione del rischio cancerogeno e
collaborano alle attività di counseling
per la riduzione del rischio. La ricostruzione delle coorti dei lavoratori che sono
stati esposti ad agenti cancerogeni, la ricostruzione dello stato in vita e
l’analisi delle cause di morte possono talora rendersi necessari, vuoi per
accertare le pregresse condizioni di rischio e la prevalenza delle malattie
attribuibili alla esposizione lavorativa, vuoi per interpretare su base
epidemiologica le osservazioni di patologie riscontrate nei lavoratori ancora
viventi.
Ai
medici curanti dovrebbe essere affidato
il controllo periodico dello stato di salute. Il medico di famiglia
sufficientemente informato dovrebbe essere in grado di seguire nel tempo lo
stato di salute dei propri assistiti ed esercitare un appropriato counseling per la riduzione del rischio
aggiuntivo.
Anche
i servizi aziendali attraverso il medico competente possono esercitare questa
funzione, qualora sia stata programmata in accordo con il datore di lavoro e in
collaborazione con i servizi territoriali di prevenzione nei luoghi di lavoro.
Tale situazione si può concretizzare più facilmente quando il lavoratore sia
ancora al lavoro e sia, anche per altri rischi, tuttora sottoposto a
sorveglianza sanitaria.
Una
azione tra le più rilevanti è quella di
counseling per la riduzione del
rischio, che potrebbe essere svolta sia dai medici curanti che da gruppi
organizzati ad hoc ad esempio presso i distretti delle USL o presso altri
centri specializzati. Una azione di questo genere richiederebbe tuttavia una
adeguata opera di informazione e formazione verso i medici curanti e i medici
competenti. Il servizio territoriale di prevenzione anche in questi casi
dovrebbe comunque svolgere un ruolo di consulenza, orientamento e
coordinamento.
Considerazioni conclusive
Da quanto
sopra esposto appare evidente che le problematiche indotte dalla realizzazione
diffusa della sorveglianza sanitaria degli ex esposti lasciano intravedere una
operazione complessa che investe diverse competenze e responsabilità. Infatti,
diversamente da quanto avviene per la sorveglianza sanitaria degli esposti -
che è un preciso obbligo del datore di lavoro e che per la ormai consolidata
prassi, è una attività tecnicamente nota e affidata al medico competente – non
esiste una interpretazione univoca delle azioni e dei contenuti che la
costituiscono. Le finalità sono certamente quelle legate alla rilevazione delle
patologie correlate e correlabili al rischio, sia ai fini di etica e giustizia,
sia ai fini di conoscenza epidemiologica dei fenomeni. La incertezza determinata
dalla interpretazione delle norme giustifica la discussione e il dibattito che
si è venuto a sviluppare. Non sono infatti trascurabili le ricadute
socio-economiche, se si considerano le elevate stime circa la numerosità degli
ex esposti, vuoi che si tratti di soggetti già ritirati dal lavoro o di
soggetti ancora in attività. Per questi motivi è necessario, se non si vuole
vanificare il disegno normativo, stabilire strategie e priorità, in particolare
riferite alle coorti di ex esposti a cancerogeni noti, quali ad esempio
l’amianto, la silice libera cristallina, il cloruro di vinile monomero, gli
idrocarburi policiclici aromatici. Tuttavia la ricerca degli effetti a lunga
distanza ed in particolare dei tumori professionali, non può prescindere dai
criteri di affidabilità ed efficacia degli esami diagnostici e dalla loro reale
utilità per la diagnosi precoce, il miglioramento della sopravvivenza e della
qualità della vita.
Il controllo
periodico degli ex esposti, concetto implicito in quello di sorveglianza,
dovrebbe essere fondamentalmente indirizzato alla registrazione delle patologie
non altrimenti evidenziabili attraverso le fonti routinarie di informazione
sanitaria. Tuttavia la conoscenza diffusa dei rischi e la istituzione dei
registri degli esposti dovrebbero in futuro facilitare l’interesse e il
coinvolgimento anche dei medici curanti e degli specialisti nella segnalazione
delle patologie correlate e correlabili alla pregressa esposizione lavorativa.
Senza questo salto culturale sarà oltremodo difficile assolvere il compito
previsto dal dettato normativo. Di segno negativo sarebbe infatti un
intervento, istituzionale o non, orientato alla periodica esecuzione di test
che non si siano dimostrati efficaci per la diagnosi precoce, come anche di
scarsa utilità risulterebbe una diagnosi precoce se non sia stato dimostrato un
reale miglioramento della prognosi.
Tab. 1 - Elenco degli agenti cancerogeni con oltre
50.000 esposti in Italia negli anni 1990-93. Sono esclusi gli agenti ambientali
come il fumo di tabacco e le radiazioni solari che interessano rispettivamente
770.000 e 562.000 lavoratori (da Mirabelli 99 - mod)
|
esposti
|
|
esposti
|
Acidi inorganici forti
|
117.434
|
Lana di vetro
|
149.525
|
Asbesto
|
677.177
|
Legno (polvere)
|
318.899
|
Benzene
|
194.076
|
Piombo e composti inorganici
|
285.871
|
Composti del CromoVI
|
134.056
|
Scarichi motori Diesel
|
552.495
|
Composti del Nickel
|
78.575
|
Silice cristallina
|
284.311
|
1,2-Dibromoetano
|
165.689
|
Stirene
|
66.199
|
Diclorometano
|
131.278
|
Tetracloroetilene
|
183.458
|
Formaldeide
|
175.380
|
Tricloroetilene
|
90.032
|
Idrocarburi Policiclici Aromatici
|
353.098
|
|
|
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