12 agosto, mercoledì



Betlemme, casa del pane e della carne:
i vangeli dell'infanzia e l'epifania del Figlio

Spendiamo la penultima giornata nella Terra del Santo a Betlemme, la città natale di Davide e ancora, dopo mille anni, di Gesù. Oggi è una delle città dell'Autonomia palestinese.
Rileggiamo alcune battute del bellissimo rotolo di Rut, la bisnonna moabita di Davide.
Visitiamo la Basilica della Natività (oggi tenuta dalla chiesa greco-ortodossa e armena), che conserva la grotta dove, secondo un'antichissima tradizione giudeocristiana, Gesù è nato. Betlemme per noi, come per i racconti evangelici (e ricordiamo come un po' sia così anche per l'icona orientale della natività e S. Ignazio nel libretto degli Esercizi Spirituali), compendia e ricapitola tutta la vicenda dell'"epifania" del Figlio che nasce, muore e risorge per noi, Emmanuele con noi.
Nelle grotte sotto l'attigua chiesa francescano-cattolica dedicata a S. Caterina, ricordiamo anche la figura di S. Gerolamo, il suo amore per la Scrittura (la sua traduzione vulgata, per il popolo di Dio a cui la Parola è destinata), il monachesimo a Betlemme e nel vicino deserto di Giuda.

Betlemme, casa del pane e della carne. Per chi parla ebraico o arabo, il nome di Betlemme di Giuda (vi è un'altra località che si chiama Betlemme anche in Galilea, a un dozzina di chilometri a ovest di Nazareth) accenna a un mistero. Bet-lechem significa, in ebraico, "casa del pane", mentre Beit-lahm in arabo vuol dire "casa della carne".
Betlemme è il villaggio presso il quale Rachele morì dando alla luce Beniamino (Gen 35,19). È la regione nella quale si svolse la vicenda di Rut, la straniera moabita divenuta credente nel Signore d'Israele (l'ebraismo non è un fatto di razza, ma di fede), bisnonna di Davide. Ed è proprio in Betlemme che nacque Davide, al quale il Signore promise una "casa" per sempre (2Sam 7,11: «...una casa farà a te il Signore»).
Lo spazio della casa è esattamente quello dove prende carne una esistenza umana. Nell'intima fraternità di una casa si gusta quel pane che intrattiene nella vita. Casa e pane per tutti noi - fragili creature di carne - sono stati e permangono i riferimenti primari del nostro stare al mondo. Laddove una casa è maledetta dall'assenza di pane, la carne soffre e miseramente deperisce. Ma è altrettanto vero che anche dove il pane abbonda, senza il nutrimento amorevole di calde e autentiche relazioni domestiche il nostro respiro è strozzato e il nostro fiato ansima disorientato. Questo vale per ognuno di noi. Questo fu evidente per Beniamino, cresciuto senza le tenerezze di sua madre; per Ruth, che è stata ben istruita su ciò che significa "carestia" (si rileggano nella Bibbia le prime battute del libro che porta il suo nome); di Davide che «mentre dimorava nel deserto di Giuda» ha percepito la sua «carne come terra deserta, arida, senz'acqua» (Sal 63, 1-2; cf. anche 2Sam 23,15-17).
Betlemme porta racchiuso nel suo nome il mistero dell'essere creatura: carne bisognosa dell'affetto rassicurante di una casa, nutrita di quel pane di cui non si muore mai d'indigestione perché impastato con genuinità (al pane si possono attribuire le qualità che noi sappiamo essere quelle di Dio: è buono, semplice, umile, si lascia spezzare, è per tutti, si accompagna a tutto...).
Quando Gesù viene al mondo per condividere il nostro "essere carne" è proprio Betlemme che lo accoglie, in una delle sue grotte-casa, nel posto più intimo e caldo dell'abitazione di allora, vale a dire l'interno nella roccia. Sì, a Betlemme Gesù ha trovato casa. La sua carne umana è stata accolta e deposta nel lettuccio di soffice fieno di una protettrice mangiatoia. A Giuseppe e Maria non è certamente mancato il pane casareccio spezzato nella festa del clan familiare.
Forse mi spiace di sconcertare o deludere chi è abituato ad immaginare diversamente la scena: niente posto nell'albergo per Gesù, rifiutato da tutti, tremante per il gelo dell'inverno... La nostra fantasia è libera di espandersi a briglia sciolta, ma vangelo e costume mediorientale ci portano in una precisa direzione. Nel capitolo secondo del vangelo secondo Luca non si parla affatto dell'albergo (quasi che allora si costumasse andare negli alberghi a cinque stelle come nella prassi degli odierni pii "pellegrinaggi cristiani"!), ma della parte anteriore della casa-grotta, il katàluma. Ebbene: semplicemente non c'era posto nello stretto e trafficato spazio anteriore alla grotta, ma piuttosto si pensò al più riparato ed adatto anfratto nel fondo della casa. Se uno conoscesse poi da vicino i costumi ancora pieni di umanità della gente della terra palestinese, mai gli verrebbe a pensare solo per un istante che Maria non abbia ricevuto tutte le cure e attenzioni con cui ogni donna che dà al mondo un figlio viene in quel contesto circondata. Sono popolazioni civili e non imbarbarite come noi, che dell'ospitalità abbiamo smarrito il senso. Sanno benissimo, diversamente da noi, che abbandonare un viandante senza dagli rifugio equivale a votarlo a morte sicura.
La nascita di Gesù fu vissuta da coloro che ne furono coinvolti come un evento bello e semplice, pur nel trambusto generale del censimento voluto dell'occupante militare di turno. Il fatto è che istintivamente proiettiamo su Betlemme l'ombra cupa delle dinamiche di insipienza e ingiustizia di cui noi oggi siamo capaci: paura, chiusura, indifferenza, aggressività, violenza, intolleranza, calcolo...
Certo la Betlemme dei nostri giorni, nel crogiolo del conflitto israeliano-palestinese, ha patito - in questi anni e ancora in queste ultime settimane - lo strazio di non poter essere né casa, né pane. Ha sentito la rabbia di non poter rispondere alla vocazione ricevuta di essere "casa del pane" per ogni "carne" umana che nasce dal suo grembo. Ma è inutile che, ancora una volta, mettiamo in moto la nostra intraprendenza per contraffare la nascita di Gesù con quelle tinte drammatiche che servono solo a fare una parodia della Betlemme di allora. È un'operazione che ci lascia alla fine impotenti: "vedete, è sempre andata così, non c'è nulla da fare!". Non è vero, all'inizio non fu così: Betlemme fu capace di essere casa e pane per la carne di Gesù, fu la "casa della sua carne tra noi".
Siamo noi che abbiamo reso Betlemme area chiusa ed impossibilitata ad accogliere chi bussa alla sua porta, spazio di affamati senza casa e senza patria propria, isola di disperati straziati nella loro carne e dignità, gente a cui viene contestata l'identità. Betlemme diviene così segno maledetto del nostro cuore violento. Perché possa ritornare a essere la Betlemme di Beniamino, di Rut, di Davide e di Gesù dobbiamo cambiare noi. Ma forse non ci riusciremo se da Beniamino, Rut, Davide e Gesù non ci lasceremo consegnare il segreto della loro vita, il segreto della loro speranza.