31 luglio, venerdì



Nel cuore del deserto del Neghev:
la bellissima e buonissima creazione di Dio, il Vivente,
e l'inquinamento del peccato, negativa realtà di morte.
In principio Dio creò il cielo e la terra;
ora la terra era il deserto e il vuoto
[Gen 1,1-2a]

Quando il Signore Dio fece la terra e il cielo,
nessun cespuglio campestre era sulla terra,
nessuna erba campestre era spuntata
[Gen 2,4b-5]

Paesaggi terrestri e acquatici. Orizzonti desertici e "paese di frumento, di orzo, di viti, di fichi e di melograni; paese di ulivi, di olio e di miele ... paese dove le pietre sono ferro e dai cui monti scaverai rame ... paese fertile" (Dt 8,8-10).
Iniziamo a immergerci in questa natura che ci circonda, a riconoscerla come creazione di Dio e, all'interno di essa, percepire noi come creature amate e volute da Dio. Sentire in noi l'invito a scoprire la gratuità del dono della vita, che abbiamo tra le mani. Che il Signore ci dia di riconciliarci con la nostra esistenza, cosi come essa è.

Ci si dirige verso il meridione del paese, attraversando la Shefelà, l'umile "terra bassa" (questo il suo significato in ebraico), e la zona dell'antica pentapoli filistea di cui parla la Bibbia. Oltrepassata Beersheva (numerose in essa le memorie dei patriarchi biblici), ci troviamo nel Neghev, il grande deserto.
Nella terra d'Israele incontreremo due deserti (non di sabbia, ma pietrosi): il deserto di Giuda, ad oriente di Gerusalemme, e l'esteso deserto meridionale del Neghev, che ci circonda.




Nonostante il fascino che esercita su di noi, per il popolo di Israele il deserto è qualcosa di tremendo. Immaginate di passarvi come lui ha fatto 40 anni!
Tuttavia c'è nel deserto una lezione che sta racchiusa proprio nel termine ebraico che lo designa. In ebraico deserto di dice midbar, dove le tre consonanti fondamentali della parola (ogni termine ebraico è costruito su tre consonanti base) - DBR - sono le stesse di davar, che significa parola/evento. Il midbar/deserto per Israele è stato il luogo dell'ascolto del davar/parola del Signore, di quel davar/evento dell'alleanza che dal Sinai in poi segnerà per sempre la sua esistenza.
Il deserto è tagliato da grandi e profonde valli (wadi in arabo, nachal in ebraico), che di solito vanno in direzione ovest-est , scendendo verso la depressione del Mar Morto e dell'Aravà, la lunga arida fossa che dal Mar Morto scende fino al Mar Rosso. In queste valli desertiche, durante la stagione delle piogge, scorre impetuosa l'acqua. È questa l'immagine che troviamo ad es. nel Sal 126: «Riconduci Signore i nostri prigionieri, come i torrenti del Neghev». Ma queste valli, trasformate in letti di torrenti, possono essere insidiose, pericolo di morte: l'acqua ti prende all'improvviso mentre stai camminando nel fondo di esse e ti travolge senza possibilità di scampo (ogni anno diverse persone muoiono in questo modo). In Geremia c'è questa tremenda espressione, rivolta al Signore dal profeta: «Tu sei diventato per me un torrente infido, dalle acque incostanti» (Ger 15,18).

In questo contesto del deserto leggiamo due pagine, le prime della Bibbia, che parlano della creazione di Dio.
Lasciamo risuonare in noi il primo capitolo della Genesi alle prime luci dell'aurora, accorgendoci come in realtà ogni mattina ciascuna realtà venga all'esistenza dal caos della indistinta notte. Ci avvertiamo dentro questo ininterrotto processo, che riaccade ciascun giorno, con immancabile fedeltà.
Sostiamo a Sde Boqer (il qibbutz dove è vissuto ed è stato sepolto Ben Gurion, il padre del moderno Stato d'Israele, e sua moglie Paula).
Di fronte allo spettacolo mozzafiato regalatoci dal wadi Tzin. Ci incamminiamo nello straordinario canyon di En Avdat, alla ricerca della sorgente, sempre più in là, sempre più in alto, suggestiva metafora della ricerca dell'origine della nostra esistenza. Leggiamo Genesi 2 alla sorgente-oasi a forma di occhio ("occhio" e "sorgente" in ebraico sono resi con lo stesso termine) in fondo al canyon, nella calura del mezzogiorno.


Gen 1, il primo racconto della creazione: è un grande affresco in sette quadri, uno stupendo inno di gioia di fronte alle meraviglie del creato. Il Creatore è colui che sa trasformare il caos in còsmos (= ordine), il buio tenebroso in giorno luminoso, la morte in vita, distinguendo e ordinando nello spazio e nel tempo ogni realtà, perché ognuno possa essere felice ospite della sua creazione. La creazione è ciò che Dio ha fatto e continua a fare per noi e senza di noi: non abbiamo deciso noi di venire all'esistenza, non siamo stati interpellati. Ci siamo: è un dono.
Secondo l'altro racconto parallelo di Gen 2 l'Adam (= terrestre/umanità) viene al mondo non per vivere da solitario, ma come essere-in-relazione con chi gli è "aiuto-di fronte-a-lui" (kenegdo dice l'ebraico: ke, cioè "come", neged, vale a dire "di fronte, contro..."): maschio e femmina, che si riconoscono in una mutua coappartenenza (osso delle mie ossa, carne della mia carne...), ma nella rispettiva diversità e libertà ("di fronte a lui"). Ognuno di noi viene al mondo cogliendosi come un essere-in-relazione. I due racconti della Genesi ci ricordano che tre sono le relazioni fondamentali per noi: "in alto, sopra di noi" (una metafora, evidentemente) il rapporto con Dio, la sorgente della vita; "di fronte, davanti a noi" c'è l'altro/a, aiuto senza il quale si muore di disperante solitudine; "sotto di noi" c'é il rapporto con la terra - adamà - il suolo che ci sostiene, dal quale veniamo (Adam viene da adamà, il "terrestre" dalla "terra"), che ci intrattiene nella vita con ogni suo bene.
Queste due pagine dono diverse eppure dicono fondamentalmente le stesse cose. Genesi 1 parte da un ambiente pieno di acqua e la vita può apparire facendo l'asciutto: certamente è stato scritto in Babilonia, tra i grandi fiumi Tigri ed Eufrate, dove l'acqua non scarseggia, anzi bisogna domarla perché la vita possa crescere. In Genesi 2 la situazione è completamente diversa: tutto è secco e senza acqua, tutto muore (è un po' la situazione in cui ci troviamo qui nel Neghev). Il problema è quindi consentire a un giardino irrigato di crescere, per poterci vivere.
Ci sono molti modi per cogliere e accogliere la creazione di Dio, il suo mistero. Niente è per caso, né le cose né le persone: tutti siamo al mondo perché Qualcuno è contento che siamo qua, ci ama, ci vuole e ci desidera (cf. Sap 11,24 - 12,1). In questo giorno dedicato a gustare la creazione è importante lasciarsi attraversare da questo meraviglioso messaggio d'amore che noi stessi siamo, ospiti nella vita perché voluti, amati e desiderati dal Vivente, "amante della vita".

Visitiamo le rovine dell'antica città nabatea di Avdat (nel passato centro commerciale ed agricolo nel cuore del deserto) e dopo pranzo l'enorme formazione geologica del Makhtesh Ramon (makhtesh = cratere, mortaio) e del museo che svela il millenario segreto della sua incredibile formazione. Ci sono varie teorie su come si sia formato questo cratere-mortaio naturale di diversi chilometri di larghezza, testimonianza di varie ere geologiche. Nel filmato, oltre le origini del makhtesh, vediamo bellissime riprese primaverili quando il deserto da queste parti è completamente pieno di multicolori fiori.
Il pomeriggio riprendiamo la strada del deserto che ci porta sulle rive del Mar Rosso. Durante il viaggio ci chiediamo: perché esiste il deserto?


Il fascino della creazione e l'enigma del deserto, terra inospitale. Ci troviamo immersi nel silenzio e negli infiniti spazi aperti del vasto deserto pietroso del Neghev, che ci affascina e ci spaventa.
Idealmente dovremmo contemplare la creazione partendo dalla verdissima Galilea, dove la vegetazione è straripante, e poi scendere nella orrida regione del Neghev, assaggiando l'arsura pesante del nudo e secco deserto. Allora potremmo realizzare la differenza stridente tra vita e morte nella concretezza della geografia. Ma cercheremo di avvertire lo stesso "scarto" partendo non tanto dall'elemento "terra", ma dalla realtà "acqua".

Guardando cosa c'è sotto la superficie del Mar Rosso non ci mancherà l'occasione di cogliere la forza di vita e il richiamo di bellezza di cui è capace Dio, scoprendo la sua inesauribile fantasia in un mondo, quello delle creature marine, che forse conosciamo poco: «Là - nel mare - ci sono anche cose singolari e stupende, esseri viventi di ogni specie» (Sir 43,25). Immergendoci poi nel mar Morto, dove non c'è traccia di vita vegetale o animale, coglieremo come esso sia una specie di... deserto acquatico.

Da qui ci nasceranno opposte domande: da dove viene la vita? Da dove, invece, la morte del "deserto", sia esso di terra o di acqua? A cosa è dovuta tale negativa e drammatica situazione? Il deserto si presenta infatti come realtà maledetta, mortifera, che non ha nulla da spartire con il Vivente, cioè come una realtà che non conosce la feconda benedizione del Creatore.

Il deserto potrebbe potenzialmente essere un giardino (basta vedere un'oasi, o cosa cresce laddove è portata l'acqua, o quale festa di fiori e di colori sboccia nella brevissima primavera), ma non arrivando dal cielo la pioggia (per Is 55,10-11 calzante metafora della Parola di Dio), è terra che sperimenta la mancanza dell'elemento vitale: la benedizione fecondatrice non arriva e resta realtà sterile, maledetta, incapace di produrre vita.

Perché questo? La Bibbia, nelle sue battute iniziali, capisce le cose in un certo modo e ce ne fa partecipi, secondo le modalità (che a noi possono apparire ingenue) del "racconto mitico", che rivelano una lettura della cose profondissima: se le cose stanno così non è colpa di Dio! Il deserto non è una realtà che esce così dalle mani del Signore della vita. E non è per nulla un dato necessario, perché "in principio" - cioè secondo il volere di Dio, antico e ancora attuale: Lui è fedele alla sua creazione! - il Creatore desidererebbe che oggi e sempre tutto fosse un paradisiaco giardino. Ma c'è qualcuno - l'uomo-umanità, l'Adam, il terrestre - che ha nelle sue possibilità la libertà di trasformare questo "giardino" in un "deserto".

Certo, quelle del racconto genesiaco sono "icone geografiche" che ci portano a rintracciare queste realtà dentro la nostra coscienza: questa possibilità di desertificazione della vita è dentro di noi, possibilità reale di inquinare le relazioni fondamentali del nostro esistere, incrinando cioè il rapporto con Dio, con l'altro e con la terra e rovinando così la nostra e altrui esistenza. È quella realtà che compendiamo nel termine "peccato".
Ma una volta desertificato il giardino - cioè quelle relazioni che sono vitali per ciascuno di noi - come fare a farlo rifiorire, cioè come ripartire a rivivere secondo l'intenzione perenne di Dio, il Creatore che fa e farà bene ogni cosa? Tutta la Scrittura, da Abramo in poi, cerca di indicarci questa strategia di Dio Creatore di restaurare il giardino, diventando nostro Signore e Salvatore, stringendo con noi un'alleanza, conducendoci sulle vie della fede in Lui, dell'amore verso l'altro e della speranza nei confronti delle realtà del mondo di cui siamo ospiti.

I primi 11 capitoli della Genesi non sono una cronaca storica, ma vogliono essere racconti archetipici, che vogliono gettare un raggio di luce e di sapienza su come "funziona" il mondo.

I primi due capitoli, che rivelano la componente permanente dell'opera di Dio nel mondo: due racconti diversi per dire come Dio crea ancor oggi il mondo, bello e positivo per l'uomo, chiamato a vivere con fede, benedizione e adorazione la relazione col Creatore; con amore e solidarietà la relazione con l'altro/a, "osso delle proprie ossa e carne della propria carne"; con spirito di servizio e custodia la relazione col mondo, giardino di Dio.

Poi ci sono i capitoli che denunciano la possibilità che l'uomo ha di "inquinare" il mondo buono di Dio. Il capitolo terzo: il "peccato nei confronti di Dio; il quarto, Caino ed Abele: il peccato contro la fraternità (l'invidia che sfocia nel fratricidio). Il capitolo 11, la torre di Babele: la scoperta "scientifico-tecnologica" del bitume e del mattone per costruire "dà alla testa" (si sfida Dio costruendosi da sé un nome, si vuole prendere in suo posto nel cielo, si dimentica di vivere il mondo con ospitalità e non come "materia di saccheggio"...). Il ciclo di Noè è poi una grande ripetizione del "senso del peccato", che tutto "rovina", e della salvezza di Dio, che tutto vuol salvare.

Racconti sapienziali ancora oggi capaci di spalancare al mistero della vita e di squadernare il dramma del male e della morte. Ma il Signore non si arrende al male, ma si compromette per operare la salvezza, tirando fuori la vita dalla morte.


Percorriamo la strada che costeggia il confine egiziano. Arriviamo nei pressi del Mar Rosso e ci fermiamo sulla montagna di Khizkiyahu, da dove godiamo una splendida vista panoramica sull'intero Golfo di Aqaba/Eilat.
Si chiama Mar Rosso perché è circondato da montagne, ricche di ferro e rame (cf. Dt 8, 9), che all'alba e al tramonto si arrossiscono e si riflettono nel mare, tingendo tutto di rosso.