4 agosto, martedì



La Galilea, quinto evangelo: Sefforis e Nazareth

L'arrivo nel nord del paese e l'ingresso in Galilea rappresenta per noi l'occasione, dopo aver fatto memoria di alcuni medaglioni della storia della salvezza nell'Antico Testamento, di prendere contatto con il Nuovo Testamento, soprattutto con l'evangelo di Gesù di Nazareth, così come ci è raccontato dai quattro vangeli. Terremo fisso lo sguardo su di Lui per cogliere come egli sia l'autore e il perfezionatore della corsa della fede: cf. Eb 11,1-2. Vedere alcuni luoghi evangelici ci permetterà di leggere testi che la gran parte di noi già conosce, ma che possiamo accostare in modo nuovo proprio grazie alla cornice storica e geografica nella quale cercheremo di collocarli. Chiediamo al Padre, nel nome di Gesù, una certa "ingenuità del primo ascolto" in questa rilettura dell'evangelo, per non rischiare di lasciare passare questi giorni presumendo di aver già compreso ciò che in verità è inesauribile mistero ancora capace di riempirci di riconoscente stupore.
E proprio nella città di Nazareth e nel parco nazionale della vicina Sefforis/Tzippori - recentemente rimessa in luce da imponenti scavi archeologici ancora in corso - cerchiamo di ricomprendere cosa siano stati per Gesù i trent'anni di vita ordinaria vissuti da queste parti, che hanno segnato per sempre la sua esistenza umana. Dedichiamo la mattinata - a differenza di quanto si fa nella gran parte dei pellegrinaggi cristiani "mordi e fuggi" - proprio a visitare Sefforis, che ci permette di ricostruire l'ambiente storico, culturale, socio-economico e religioso della Galilea del tempo di Gesù.

Sefforis/Tzippori, multiculturale capitale della Galilea al tempo di Gesù, a soli cinque chilometri da Nazareth

Raccogliamo alcuni dati, traducendo in italiano il depliant che ci viene dato all'ingresso.

La collina di Tzippori si trova a ovest della Galilea inferiore, a 286 m di altitudine, in una regione di colline calcaree tra il fiume Tzippori a sud e la valle di Bet Netofa al Nord. Tzippori è circondata da fertili vallate ricche d'acqua e facili da coltivare. La topografia offre strade facilmente accessibili, nei tempi antichi importanti arterie di trasporto.
«...E perché il suo nome è Tzippori? Perché essa è assisa alla sommità di una montagna come un uccello (tzippòr, in ebraico)» (Talmud Babilonese, Meghillah, 6a). Nonostante questa tradizione del Talmud, l'origine del nome non è molto chiara. I romani chiamarono la città Diocesarea (Dio = la città del dio Zeus; cesarea = dell'imperatore). All'epoca dei crociati, essa fu chiamata "Le Sephorie", nome che fu conservato nel villaggio arabo di Saffouryeh, in seguito qui costruito. L'attuale moshav Tzippori ha ripreso l'antico nome ebraico.
Si fa la prima menzione di Tzippori per la prima volta sotto il regno di Alessandro Janneo (103 a.C.), ma alcuni ritrovamenti archeologici venuti alla luce testimoniano l'esistenza di un insediamento sul posto durante il tempo del primo Tempio. Nel 63 a.C. le armate romane, sotto il comando di Pompeo, conquistarono il paese nel 55 a.C. il governatore della Siria Gabino fa di Tzippori la capitale regionale della Galilea. Nel 37 a.C., durante una tempesta di neve, Erode si impossessa della città. Durante le rivolte che scoppiarono dopo la morte di Erode nel 4 a.C., il romano Varo conquista la città e vende i suoi abitanti in schiavitù. In seguito la Galilea passò sotto il controllo di Erode Antipa, che ricostruì e fortificò la città di Tzippori. È questo il tempo in cui visse Gesù, domiciliato nel vicino villaggio di Nazareth, a circa sei chilometri da Tzippori.
In seguito, durante la grande rivolta del 68-70 d.C., la popolazione di Tzippori sostenne Vespasiano, gli aprirono la città e così fu salvata dalla distruzione. Non è certo se Tzippori prese o meno parte alla rivolta di Bar Kochbà del 132-135 d.C., ma è sicuro che a quest'epoca la gestione della città passa dagli ebrei ai gentili e così il nome della città mutò in Diocesarea. «Il Sinedrio fu esiliato in dieci luoghi... da Gerusalemme a Yavne, da Yavne a Usha... da Usha a Shefar'am, da Shefar'am a Beit She'arim, da Beit She'arim a Tzippori (e da Tzippori) a Tiberiade...» (Talmud Babilonese, Rosh HaShana 31,a-b). All'inizio del III secolo, quando venne restituita l'autonomia ebraica alla città, rabbi Yehuda HaNassi venne ad abitare a Tzippori e il Sinedrio si istallò in città (Sinedrio era il nome dato al corpo di governo giudaico, il Consiglio religioso e giudiziario supremo dell'ebraismo, che era composto da saggi ed era diretto da un presidente, nassì in ebraico). Rabbi Yehuda visse a Tzippori 17 anni fino alla sua morte e fu qui che egli redasse la Mishnà, intorno al 200 d.C. Tzippori è citata molte volte nella letteratura Talmudica ed era conosciuta come città ebraica nella quale vi erano 18 sinagoghe, diverse "case di studio" (bet midrash), alcune delle quali sono conosciute per nome. Durante il periodo della Mishnà e del Talmud abitarono qui diversi saggi, tra i quali Rabbi Halafta, Rabbi Elazar Ben Azarya e Rabbi Yossi Ben Halafta. Il sinedrio rimase a Tzippori fin quando fu trasferito a Tiberiade da Rabbi Yohanan l'Amoreo, nella seconda metà del III secolo.
Sotto il regno di Costantino il grande (325 d.C.), Giuseppe, un ebreo convertito denominato Giusto, tentò invano di costruirvi una chiesa. Nel 351 scoppiò a Tzippori una rivolta contro l'imperatore Gallo. La rivolta fu domata da Aursecinus, comandante in capo dell'esercito romano, senza che la città fosse totalmente distrutta. In una lettera mandata da Cirillo, il vescovo di Gerusalemme, si menziona il devastante terremoto che colpì il paese nel 363 d.C. e che causò la completa distruzione di Tzippori. La città fu interamente ricostruita. Durante il periodo bizantino, con lo sviluppo della comunità cristiana, la città divenne la sede del vescovo e probabilmente vi si costruì una chiesa. Ciononostante la maggioranza della popolazione della città restò ebraica e la città continuò a prosperare fino alla fine del periodo bizantino. Dopo la conquista araba sembra che Diocesarea abbia perduto poco a poco il suo splendore.
All'epoca dei crociati essa divenne "le Sephorie", una piccola città, con una fortezza e una chiesa. Fu qui che le armate crociate nel 1187 partirono per la battaglia dei Corni di Hattin, dove furono sconfitte da Saldino. Nel XVIII secolo il luogo divenne uno dei rifugi del beduino Dahr El Omar, governatore della Galilea, che la fortificò e vi ricostruì il castello. Durante la rivolta araba (1936-1939) e la guerra d'Indipendenza d'Israele (1948) Saffourye divenne il centro della guerriglia araba che combatteva contro i circostanti villaggi ebraici. La guerriglia usò il castello come suo quartiere generale e il loro comandante, Mahmud Saffuri, controllò l'intera regione, finché l'Operazione Dekel conquistò il villaggio. Nel 1949 fu creato il moshav Tzippori.
I primi scavi archeologici sul luogo furono fatti nel 1931 da L. Waterman dell'Università del Michigan (USA). Degli scavi e delle ricerche più ampie sono stati condotti nel 1983 e 1985 da una delegazione dell'Università del Sud Florida, sotto la direzione di J.F. Strange, come anche da un'equipe della Duke University (USA) insieme all'Università Ebraica di Gerusalemme. Dal 1990 lavora sul posto una squadra dell'Università Ebraica di Gerusalemme, sotto la direzione di Z. Weiss e E. Netzer.

Queste note ci permettono d'inquadrare l'eccezionale caratura di questo importante centro, con cui Gesù certamente ha avuto a che fare, probabilmente anche in forza del suo lavoro di "manovale" (muratore-falegname-fabbro carpentiere...). Mentre Nazareth al tempo di Gesù era un minuscolo villaggio con una quarantina di famiglie (300 persone circa), il vicinissimo capoluogo di Tzippori attirava un sacco di gente in forza della sua rilevanza. Certamente Gesù non visse "nascosto" per trent'anni a Nazareth, ma si è incontrato con questa realtà cittadina, che oltre a dar lavoro a tante persone, imponeva il suo "modo di vivere" a quanti venivano a contatto con lei, faceva cultura (anche attraverso le rappresentazioni che venivano allestite nel Teatro). Anche Gesù avrà assimilato alcune categorie "cittadine" di Tzippori. Quando ad es. Gesù dirà: "Non siate come gli ipocriti...", rivela di aver preso a prestito questo termine greco "ipocrita" proprio da quel contesto, in quanto "ipocrita" era esattamente la maschera che si usava nel teatro: nella vita non siate doppi teatranti! I segni poi della convivenza di giudaismo e mondo greco-romano ci suggeriscono quale fosse il discernimento cui si veniva invitati muovendosi tra i diversi quartieri - ebraico-osservanti o ellenistico-romani - di questa città cosmopolita e ricca di stimoli culturali.

Nazareth e l'ordinaria vita del Figlio di Dio

Visitiamo gli scavi della Nazareth del tempo di Gesù, sotto e accanto all'attuale basilica, cercando anche qui di raccogliere quell'insieme di dati che ci aiutino a riflettere e a meditare fondamentalmente su due fronti: 1) Cosa è stato l'evento dell'annunciazione/incarnazione? 2) Cosa ha rappresentato per Gesù vivere e crescere in un modestissimo villaggio come questo, dove ha speso i primi trent'anni della sua esistenza?
Partiamo dalla visita all'attuale recinto francescano, all'interno del quale è quasi completamente racchiuso l'antico villaggio, lasciando che memoria e fantasia, andando a ritroso, ci aiutino a ricostruire dentro di noi il contesto vitale della Nazareth di Gesù, Maria e Giuseppe.

Oggi, entrati nel recinto francescano, vediamo una grande chiesa a due piani - la basilica dell'Annunciazione - terminata nel 1969. Al piano inferiore, più raccolto e silenzioso, è racchiusa la grotta di Maria, con i segni dei primi edifici costruiti sopra e al suo fianco; il piano superiore è la chiesa parrocchiale araba degli attuali cristiani latini di Nazareth.

Prima di edificare questo nuovo complesso nel 1959 si decise di demolire la chiesetta francescana del 1730 per consentire l'indagine archeologica dell'area. E fu proprio questo intenso lavoro di scavo, condotto dall'equipe dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, sotto la direzione di padre Bagatti, che permise di guadagnare nuovi dati e di poter interpretare le testimonianze letterarie sotto una nuova luce.
Ebbene Nazareth, mai citata nell'AT, né da Giuseppe Flavio e neppure dal Talmud, in verità fu un insediamento umano già dal tempo del bronzo (primi secoli del III millennio a.C.; così documenta la ceramica trovata). Al tempo di Gesù Nazareth era un villaggio delimitato da un corso d'acqua che scorreva circa 3 metri sotto la basilica attuale dell'Annunciazione. Questa zona, larga 240 m. e lunga 180 m., era abitata da 43 famiglie circa (approssimativamente un 300 persone) che vivevano in case-grotte, che si estendevano in direzione nord-sud verso la sorgente del villaggio.

Per sapere cosa accadde a Nazareth dopo Gesù, leggiamo alcune note storiche dall'ottima guida di Galbiati-Acquistapace (IPL, Milano 1997, III ed.), attualmente la migliore guida biblico-turistica della Terra Santa in italiano (pp. 476s): «Benché le due rivolte giudaiche contro l'occupazione romana lasciassero tracce pesanti anche sulla Galilea, tuttavia il piccolo ed insignificante villaggio non fu distrutto da Vespasiano in quanto si trovava fuori dalle grandi vie di comunicazione del tempo. Però, in seguito alla seconda rivolta giudaica, Adriano distrusse la città; le famiglie sacerdotali, che vi si erano rifugiate, furono costrette a trasferirsi altrove. Ai margini della comunità giudaica rimasta, viveva una piccola minoranza: i fedeli di Gesù di Nazaret. Fra loro in particolare vi erano "i fratelli del Signore, che vi abitavano e conservavano le genealogie della loro famiglia" (Giulio Africano, fra il II e il III sec.). A capo di costoro, dicono le Costituzioni Apostoliche (IV sec.), vi era l'Apostolo Giuda Taddeo, attorno al quale viveva una comunità giudeocristiana detta dei "Nazareni", praticamente costretta a vivere quasi in clandestinità. Era ovvio che questa comunità si raccogliesse attorno al luogo dove Gesù aveva passato la sua giovinezza, così la casa di Maria venne poco per volta trasformata in SINAGOGA-CHIESA sullo stile delle sinagoghe del tempo. Verso la metà del sec. V, essa fu sostituita da una CHIESA BIZANTINA a pianta basilicale, a tre navate e, adiacente ad essa, un piccolo convento. La grotta non venne incorporata nella chiesa ma si comunicava con essa mediante una scala che vi scendeva. Questo edificio pur avendo subìto distruzioni e rifacimenti vari rimase in funzione fino all'epoca crociata.
La proclamazione della libertà di culto del 313 incrementò i pellegrini in Palestina. Tuttavia le più antiche relazioni giunte fino a noi (il Pellegrino di Bordeaux del 313 ed Egeria nel 380) non parlano di Nazaret. La stessa basilica bizantina sorse relativamente tardi. Le prime notizie di pellegrini sono del 570. Esse ci giungono dall'Anonimo Piacentino che ne parla in tono enfatico e miracolistico: la sinagoga dove è appeso il libro sul quale il Signore apprese l'ABC, la trave sulla quale egli sedeva e la bellezza delle donne che attribuiscono ad un particolare dono della Vergine essendo esse, dicono, della sua parentela.
L'invasione di Cosroe (614) fu accolta con gioia anche dagli ebrei di Nazaret. La riconquista bizantina della città (624), da parte dell'imperatore Eraclio, durò pochi anni: fino all'arrivo dei nuovi padroni: i musulmani (638). L'occupazione araba, come in genere per il resto della Palestina, fu inizialmente rispettosa dei luoghi cristiani; Arculfo (670) infatti annota di aver visto "La chiesa costruita sulla casa in cui l'arcangelo Gabriele entrò e salutò la Beata Maria". In seguito le cose non dovettero migliorare: ad una prima fase di tolleranza succedette gradualmente una dura discriminazione sociale e religiosa. Anche le relazioni di viaggio di questo periodo, pur numerose, non hanno particolari accenni ad una visita a Nazaret, probabilmente perché fuori mano e perché, lontana dall'autorità centrale, era la più esposta alle tirannie delle autorità locali. Una pellegrina anglosassone che visitò Nazaret nel 1103, annotò che la città era stata completamente devastata dai saraceni. È in quest'epoca che arrivano i crociati.
Occupata Nazaret nel 1099, Tancredi, principe di Galilea, fece subito edificare la CATTEDRALE CROCIATA sopra la vecchia basilica bizantina. Il nuovo edificio (75 m di lunghezza per 30 di larghezza) era di proporzioni assai più grandi di quello bizantino (19 m per 8) e più grande anche dell'attuale basilica. In tale epoca Nazaret venne eretta a sede vescovile. Sconfitti i crociati e distrutta la chiesa, rimasero solo rovine a ricoprire la grotta dell'Annunciazione. I frati francescani, ne ebbero il possesso nel 1620, come dono del principe Fakhr ed-Din. In seguito, nonostante le persecuzioni e i massacri di cui furono più volte oggetto, ottennero finalmente il permesso di erigere un edificio sacro. La CHIESA FRANCESCANA incorporava la grotta in una specie di cripta sotto l'altare maggiore; in essa venne costruito un piccolo altare con l'iscrizione, ancora visibile: "Qui il Verbo si fece carne". Il tempo accordato loro per la costruzione fu di sei mesi, il tempo cioè che il funzionario musulmano avrebbe impiegato a compiere il pellegrinaggio alla Mecca, a spese evidentemente degli stessi frati. La chiesa francescana, eretta a parrocchia, fu ingrandita alla fine del secolo scorso ed infine demolita per dar luogo alla attuale BASILICA DELL'ANNUNCIAZIONE».

Gli scavi condotti, che documentano i tre anelli della tradizione (il primo e più antico "anello" giudeocristiano; il secondo "anello" bizantino; e il terzo "anello", quello della testimonianza crociata), ci danno quindi la certezza "morale" che è proprio questa la Nazareth di cui parlano i vangeli, i quali designano Gesù come il "nazareno", una realtà ben più modesta della scintillante Sefforis. Da dove il nome Nazareth? Esso rimanda all'ebraico nètzer (= virgulto, germoglio) della profezia isaiana (cf. Is 11,1 e 60,21): probabilmente nel villaggio si stabilirono dei giudei di famiglia davidica rientrati da Babilonia a cavallo del II e I secolo a.C., che amavano chiamarsi "natzorei" (= "i virgultici", cioè "i davidici") proprio in relazione al testo di Isaia. Anche Gesù alcune volte viene detto "natzoreo" (cf. Mt 2,23; 26,71; Gv 18,5.7; At 2,22; 3,6; 4,10; 6,14; 22,8; 26,9), per rimarcare il suo essere "figlio messianico di Davide".
Ebbene proprio in questa cornice possiamo fare qualche considerazione circa quei due misteri sui quali vorremmo affacciarci: 1) L'evento dell'annunciazione a Maria e l'incarnazione del Verbo/Figlio di Dio; 2) I trent'anni di vita ordinaria (non "nascosta"!), che hanno plasmato il corpo e il cuore di Gesù, la sua psicologia e la sua religiosità, le sue relazioni e il suo rapporto unico col Padre.

L'annunciazione a Maria e l'incarnazione del Figlio. Alcuni spunti che possono aiutare per l'orazione, tempo di ascolto della Parola e del nostro cuore.
a) Maria: è una persona in cui l'azione del Signore ha "buttato tutto all'aria". Dall'annunciazione comincia anche per lei un cammino pieno di sorprese e di imprevisti, fino al Calvario e alla mattina della resurrezione. Ella, d'ora in avanti, si troverà impregnata più di cose che non sa, che di cose che sa con chiarezza. Anche Maria si sarà interrogata sulla missione di suo figlio. Anche lei ha condiviso il "fallimento" del figlio, ha vissuto il momento di contraddittorietà: come mettere insieme la morte di Gesù in croce con la sua missione di Re Salvatore del mondo. A lei stessa sarà stata rimproverata l'ipostura del figlio, nel suo ruolo di Madre di un Messia che sembrava fallito.
b) L'incarnazione del Verbo di Dio: consideriamo tutto quello che vuole dire, con l'immenso valore e significato che ha, l'incarnarsi di Dio in un tempo, in una terra, in una cultura... Potremmo farci aiutare da quelle note per la contemplazione dell'Incarnazione, che troviamo nel libretto degli Esercizi Spirituali di S. Ignazio (nn. 101-109). Prima della nascita di Gesù vediamo dapprima l'umanità come un gregge disperso; poi la Trinità che si interroga e decide l'incarnazione per la salvezza di questa umanità; finalmente, guardiamo a quella piccola stanzetta di nostra Signora a Nazareth. S. Ignazio non è mai stato a Nazareth ma la forza di questa sua contemplazione sta nel passaggio dal massimo di estensione storica e teologica, alla piccolezza del grembo di Maria. Dio è capace di farsi contenere tutto nella realtà più piccola, in un seme fecondato. E Dio non ci sta stretto, non sta mai stretto nel più piccolo, come nell'Eucarestia. Questo è il più grande terremoto della storia: noi infatti siamo ancora qui, dopo 2000 anni, messi in ballo da questa incarnazione.
c) Dio entra nella nostra vita con questa capacità di rimpicciolimento, che è concentrazione di potenza. Maria è portatrice di questa economia. Ella tiene il passo del Figlio; quando il Figlio muore sul Calvario anche lei muore alla sua maternità, ma diviene madre del discepolo e di tutta l'umanità. È la vita che nasce dalla morte. Tutto questo mistero di incarnazione, morte e vita, si svolge nello stile tranquillo di Nazareth. Maria e Giuseppe vivono lo sconvolgimento che Dio ha prodotto nella loro vita nelle grotte. Sicuramente anche loro si erano costruiti delle immagini della loro vita matrimoniale, ma le hanno lasciate infrangere dalla crescita nella fede. In questo sono figli di Abramo. Troviamo in ciò una continuità naturale che è la sapienza di Dio, che passa attraverso la gloria di un Cristo crocifisso.

A Nazareth si trovano le Religiose di Nazareth; ordine nato da una cooperazione gesuita, la cui vocazione è riprodurre il più possibile la vita di Nazareth, vivendo cioè maggiormente il quotidiano. Sono molto diffuse in Medio Oriente dove vi sono arrivate nel 1860 circa insediandosi a Nazareth. Dopo una trentina di anni hanno scoperto sotto al convento una volta romana e una tomba. Questo luogo è stato messo in relazione con un racconto del pellegrino Arculfo (670 d.C.), il quale dice di esso: "dove il nostro Salvatore è cresciuto". Arculfo parla inoltre di un pozzo dal quale si prelevava l'acqua e in questo luogo sono presenti tali segni (sorgente e foro da cui si prelevavano i secchi d'acqua) nella presunta Chiesa della Nutrizione attuale. E' stato trovato inoltre uno scheletro seduto con dei paramenti (probabilmente si trattava di un vescovo).
Quando le suore comprarono il terreno sapevano che per tradizione lì c'era la "Tomba del giusto", cioè S. Giuseppe. Si sono trovate anche fondamenta di una Chiesa del I sec., di una casa, con un condotto che dava sulla strada, coperta dai crociati, sempre del I sec., una tomba di famiglia a loculi, con pietra che rotolava davanti all'ingresso, e anche resti bizantini. Entriamo per visitare questa tomba e per prenderci un altro tempo di meditazione sui trent'anni di Gesù a Nazareth.

Trent'anni di vita ordinaria per imparare a vivere. L'incarnazione non fu evento di un istante, ma un processo che investì l'intera vita di Gesù, che scelse di trascorrere a Nazareth trent'anni anni della sua esistenza, lasciandosi plasmare profondamente dalle relazioni vissute in questo villaggio, con le sue ricchezze e i suoi limiti. Ci sarà poi una svolta nella vita di Gesù: dopo l'esperienza al Giordano con il gruppo di Giovanni, Gesù si staccherà dal suo villaggio e comincerà una vita itinerante, tenendo come riferimento la casa della suocera di Pietro a Cafarnao, vicino alle rive del Lago di Galilea.
Quali dimensioni ha incontrato e hanno forgiato la sua coscienza? Certo vivere in un villaggio che portava questo nome già ci fa cogliere come egli cresca in un ambiente intriso di memorie ricche di significato per i nazaretani, di attese messianiche, anche se mai sospetteranno chi e quale sarebbe stato il Messia di Dio.
Gesù ha certamente cominciato a conoscere Dio attraverso la vita di Giuseppe e Maria, la loro testimonianza di persone "pie", mosse dall'ascolto della Parola e della voce di Dio dentro di loro. Gesù, come i suoi genitori, è stato educato ad essere un osservante della Torah, un chassid, un uomo giusto, come si dice nel vangelo di Giuseppe. Mai una sola volta gli viene rimproverato di non osservare la legge, se non per lo shabbat (ma in realtà Gesù non mirava affatto a dissacrare il sabato, ma voleva viverlo secondo l'intenzione di vita originaria di Dio, che nel settimo giorno gode della sua creazione buona e positiva).
Gesù non solo frequentava la sinagoga del suo villaggio, ma - ci dicono le testimonianze evangeliche - saliva a Gerusalemme per celebrarvi le grandi feste di pellegrinaggio e per compiere i gesti del culto santo d'Israele. Il suo modo di vestire era quello tipico degli osservanti: nel suo successivo ministero pubblico quando qualcuno voleva guarire tentava di toccargli le frange del suo tallid, cioè del mantello della preghiera che Gesù indossava. Dunque era un pio, che metteva tutto se stesso nelle mani del Padre, ma non un fanatico religioso. Gesù non era un uomo di Gerusalemme, ma un galileo della "Galilea della genti", un uomo che sapeva cosa vuol dire vivere a contatto con altre culture.
Quando a 12 anni va a Gerusalemme per il suo bar mitzwn, il primo pronunciamento pubblico di ciò che sta vivendo nella sua coscienza, egli rivela un rapporto specialissimo con Padre celeste, che condiziona i suoi comportamenti. Gesù matura nella sua coscienza di uomo il suo essere Figlio di Dio, realtà che alla sua umanità si rivela pienamente nella sua morte in croce e nella sua resurrezione (cf. Fil 2,7-11).
Cerchiamo nella preghiera di contemplare, guardare cioè con gli occhi del cuore, la vita di Gesù in questo microscopico villaggio. Immaginiamo Gesù che guarda, dalla cima di una di queste collinette di Nazareth, la Valle di Itzreel/Esdrelon, dove sono accaduti molteplici eventi della storia del suo popolo: la battaglia di Debora e Baraq contro Sisara e il suo esercito sul Tabor, con l'impresa di Giaele (Gdc 4 - 5); La chiamata di Gedeone alla sorgente del torrente Charod e lo scontro con i Madianiti, che sconvolti dalla luce della notte e dal suono delle trombe, si ammazzano tra loro (Gdc 6 - 7); il confronto mortale tra Saul e il figlio Gionata contro i filistei, che ai monti di Gelboe furono pianti da un Davide inconsolabile (cf. 2Sam 1,17-27); Shunem (attualmente denominata Sulam) avrà ricordato la storia del vecchio Davide con la bella Abisag, la "shullammita" (1Re 1,3-4.15; cf. anche Ct 7,1), oppure la vicenda di Eliseo e della resurrezione miracolosa del figlio di colei che aveva lui accordato ospitalità (2Re 4,8-37); la località di Izreel conservava poi ancora la memoria terribile dell'assassinio di Nabot da parte del re Acab e della crudele moglie Gezabele (1Re 21); allo sguardo del Carmelo come poi non ricordare tutte le vicende di Elia profeta (1Re 17,1 - 2Re 2,18) oppure di Eliseo (2Re 2,1 - 13,21), con i loro decisi scontri contro l'idolatria e i falsi profeti; e ancora la vista di Meghiddo, in fondo ad ovest, avrà risvegliato in lui tutto il mistero legato alla vicenda del re Giosia, il giusto trafitto, che per sempre sconvolse la "coscienza retribuzionistica" (bene=vita; male=morte) d'Israele (2Re 23,29-30; 2Cr 35,20-27; Sir 49,1-4; Zc 12,10 - 13,1). Proprio fissando il Tabor, En Charod, i monti di Gelboe, Shunem, Izreel, il Carmelo, Meghiddo... la coscienza di Gesù ripercorre interiormente quelle vicende di vita e di sangue e morte, di vittorie e di sconfitte, cercando di interrogarsi sul senso che tutti quegli eventi avevano anche per la sua esistenza messianica, per la sua coscienza e la sua libertà.
Anche Gesù, uomo come noi, ha dovuto imparare una lingua, entrare in una cultura, apprendere un mestiere, guadagnarsi da vivere lavorando... crescere nella sua umanità (cf. Lc 2,39-40), a partire dalle concrete relazioni di vicinanza e amicizia che ha tessuto tra gli abitanti delle grotte intorno a casa sua (amici d'infanzia, parenti, vicini di casa, colleghi di lavoro...). Così come noi, nei tratti del nostro corpo, del nostro viso, della nostra psiche, portiamo quelli dei nostri genitori, anche in Gesù possiamo rintracciare quei tratti che si appartenevano e caratterizzavano Giuseppe e Maria. Sappiamo qualcosa dei suoi genitori proprio guardando cosa Gesù ha assimilato da loro: silenzio e raccoglimento, laboriosità e onestà, fede in Dio e fiducia negli altri, un ritmo di vita sensato, cordialità e attenzione agli altri, gentilezza e accoglienza...
A Nazareth Gesù ha imparato il gusto per le cose semplici e solide, diversamente dal "greek-roman way of life" di Sefforis, dove tutto era più sofisticato e ricco, ma forse anche più falso e ambiguo. Gesù ha vissuto - e scelto di vivere: perché non ha scelto di cambiare casa e traslocare nel grande centro urbano? - le realtà modeste ma autentiche di Nazareth, abituandosi al modo franco e schietto dei semplici, conformandosi ai costumi e ai valori di solidarietà che legano tra loro i membri di un piccolo centro abitato. Ma il vivere a Nazareth non era esente da note negative e pesanti: le beghe del piccolo ambiente, il pettegolezzo e le piccole contese e invidie, il sapere tutto di tutti che ti incasella e rinchiude la tua vita nel "soprannome"... insomma tutte le tare dell'ambiente e della mentalità "ristretti". Quando infatti ritornerà nella sua patria, proprio i suoi lo "pesano" e lo "prendono in giro": "Sappiamo bene chi tu sei, il carpentiere, che pretendi di essere? ". Non poche volte avrà dovuto perdonare giudizi e fraintendimenti pesanti, essere "strumento di riconciliazione" nelle inevitabili contese sempre presenti dove si vive insieme gomito a gomito.
A Nazareth Gesù ha conosciuto anche le pieghe dolorose della vita: ad es. la morte di Giuseppe avrà rappresentato anche per lui una tappa decisiva di confronto con la realtà drammatica del morire, che non è facile per nessuno.
Inoltre anche per lui passano gli anni (come sarà invecchiato Gesù? Come avrà avvertito le prime rughe, i primi acciacchi alla salute...?) e Gesù non si sposa: cosa avranno pensato gli amici, la gente del villaggio. Non prendere moglie era considerato una follia, un essere un po' spostato; oppure un trasgredire al primo comandamento di Dio, al "crescete e moltiplicatevi". Come avrà reagito a simili sospetti e mal celati giudizi di rimprovero o condanna?
E poi l'esperienza del lavoro: un'occupazione faticosa quella del manovale, non poche volte umiliante, senza grandi garanzie, di modesto stipendio. Cosa ha rappresentato per Gesù il lavoro e la sua fatica?
Eppure Gesù è però cresciuto come uomo profondo, riflessivo e intelligente: Gesù impara dalle Scritture e dalla sapienza della vita, impara a conoscere gli uomini e il loro cuore, a cogliere il dono del Padre di cui ognuno è portatore e le immancabili ferite che ognuno porta. Nel contesto agricolo-contadino di Nazareth impara a guardare alla creazione con gli occhi del Re del mondo, a cogliere proprio in essa il suo modo di regnare e di guidare i tempi e i frutti. Impara a benedire e rendere grazie per ogni creatura, sapendo cogliere come tutto è dono. Soprattutto impara ad ascoltare se stesso, a percepire dentro di sé la voce del Padre, che ogni istante lo accompagna nella sua coscienza a vivere la sua esistenza come un servizio a Lui nelle cose di tutti i giorni, anche nella vita "banale" e senza troppi sbalzi di Nazareth. Niente per Gesù è stato "banale", perché lui non era un uomo "banale" e Nazareth fu la sua palestra di vita.
Sostiamo su alcune di queste dimensioni lasciando che gettino un raggio di luce anche sulla nostra ordinaria ma densa quotidianità.