5 agosto, mercoledì



Il "ministero del regno" del Messia Gesù:
dal Giordano al Mare di Galilea

Ci avviamo oggi verso le acque del fiume Giordano e del Mar di Galilea, che sta a circa 190 metri sotto il livello del mare. In realtà il lago/mare che incontriamo porta molti nomi: in ebraico ancor oggi è chiamato Jam Kinneret (= "mare arpa", per la sua forma che ricorda questo strumento musicale), ma nel vangelo troviamo anche lago/mare di Tiberiade o lago/mare di Genesareth. Quello che colpisce è che questo lago sarà da guardare come un "mare", con tutte le risonanze che una coscienza ebraica avverte in questo termine.
La giornata odierna darà a noi l'opportunità di cogliere Gesù in quel passaggio fondamentale della sua esistenza che è stato il suo battesimo al Giordano, inizio del suo ministero pubblico e itinerante del Regno. Cercheremo di cogliere alcune note fondamentali di questa nuova fase dell'esistenza di Gesù, servo del Padre e messia d'Israele.

Al Giordano, la chiamata messianica di Gesù

Facciamo sosta a una località che chiamano Jardenit (in ebraico, "Giordanino"), luogo allestito dagli Israeliani immediatamente a sud del lago, laddove il Giordano riprende il suo corso verso il Mar Morto, per permettere ai cristiani delle varie confessioni di celebrare le loro memorie e liturgie battesimali. Quello che è certo è che NON è qui, ma più ben più a sud, che Gesù fu battezzato da Giovanni il Battista, in una zona che essendo attualmente linea di confine non è possibile accostare. A noi poco importa il luogo esatto (che d'altronde ancora nessuno ha con certezza individuato: ci sono diverse opinioni al riguardo), quanto piuttosto rileggere sulle rive del Giordano le testimonianze che si riferiscono a uno degli snodi fondamentali dell'esistenza di Gesù.

Il battesimo di Gesù, il figlio/servo/sposo, e la vocazione del Padre. Seguiremo stamane soprattutto l'evangelo di Marco, incominciando qui al Giordano dal principio: Mc 1,1-8.

Incontriamo Gesù inserito nel movimento carismatico e popolare di Giovanni, il "battezzatore", ministero profetico di prima caratura, che lasciò un segno impressionante nel giudaismo del tempo. Attraverso quel gesto significativo del battesimo, la gente che si accostava a quel gruppo era invitata a guardarsi dentro, a raccogliere in sé tutti i desideri di salvezza e di rinnovamento di vita presenti nella propria coscienza e ad iniziare un nuovo percorso reso possibile grazie al "tempo di grazia" rappresentato dal perdono del Signore. La gente confessava i peccati, il male che sperimentava in sé, percependo un'accoglienza amorevole da parte di Dio. Spinti da quell'esperienza d'amore, sentivano che il loro cuore e la loro vita erano invitati ad una nuova stagione che si sarebbe di lì a poco manifestata.

Ebbene colpisce vedere Gesù in questo contesto di persone, inserito in un movimento iniziato da un altro. Gesù non sarà mai il fondatore di una nuova religione, ma sarà sempre colui che porta a compimento qualcosa che è iniziata prima di lui. Egli porta a pienezza una storia di salvezza, che ha vissuto diverse tappe e attende ora il suo sbocco definitivo. Colpisce quest'umiltà di Gesù, che sa inserirsi dentro una storia, non buttando a mare nulla di quanto questa storia è portatrice, ma piuttosto raccogliendone tutte le virtualità positive e lasciandone emergere i tratti di rivelazione ancora nascosti.
"Battezzare" è un verbo greco, quasi sempre usato nel NT nella sua forma passiva: significa "essere immerso" nell'acqua, "andare a fondo" nell'acqua (c'è sempre la mediazione di qualcuno che aiuta a vivere questa esperienza). Un termine ricco di simbologia: entrare nella morte e riemergere in una esistenza diversa, rinnovata, inedita. Proprio questa modalità simbolica voleva esprimere quanto questa gente stava vivendo con Giovanni, nel suo essere aiutata da lui in un discernimento sulla propria esistenza, che portasse a intraprendere nuovi percorsi e assumere nuovi costumi di vita.

Giovanni si presenta come una figura singolare: si cibava di locuste, vestiva in modo sobrio... Egli dice di "non essere degno di sciogliere i legacci dei suoi sandali" (cf. Mc 1,7), espressione che non è semplicemente dichiarazione di umiltà, ma che va capita all'interno dei costumi d'Israele. Ci aiutiamo a capirla facendo riferimento al rotolo di Rut (soprattutto si legga il capitolo 4). Secondo la legge del levirato, se un uomo sposato moriva senza lasciare figli, vincolava il fratello a subentrare nel legame matrimoniale prendendo in sposa la sua donna: il figlio che sarebbe nato avrebbe portato il nome del padre defunto (con tutti i "costi" del caso per il nuovo marito: divisione di eredità, debiti precedenti da accollarsi, ecc.). Se il fratello del defunto, chiamato ad essere il nuovo sposo, voleva rinunciare a questo suo "diritto" si scioglieva il legaccio del sandalo e lo dava a colui a cui cedeva il suo "diritto". Ebbene Giovanni dicendo che non può compiere quest'azione rivela che non è lui il legittimo "sposo" atteso (qui sotto c'è l'immagine sponsale dell'alleanza tra Israele e il Signore Dio), né può diventarlo, ma che questo diritto appartiene ad un altro che viene dopo di lui.

Gesù avverte nitidamente una voce che risuona nella sua coscienza: "Tu sei il Figlio mio prediletto". Agapetòs (tradotto "prediletto") è l'amato: Gesù ha una fortissima esperienza, quella di sentirsi amato come il figlio. I cieli aperti su di lui significano la possibilità di comunicare con il "cielo" , con Dio in un rapporto senza diaframmi. Gesù percepisce in modo netto che il Padre lo sta chiamando a vivere secondo quanto stava scritto in Is 42, nel primo "canto del servo di Dio", che inizia proprio con queste battute che egli sente risuonare nella propria coscienza. Fare il servo di Dio significa per Isaia portare il suo "diritto" sulla terra (più volte ricorre questa espressione: diritto, giustizia...). Ma quale è il senso di questo diritto, della giustizia di Dio? La giustizia umana è, secondo i latini, "dare a ciascuno il suo". Ma questa non è la giustizia del Signore, visto che egli non ci deve proprio nulla. La giustizia di Dio che Gesù sente di dover portare da parte del Padre è questa: dare a ciascuno ciò che NON è suo, ciò che non spetta a nessuno, cioè il perdono, l'amore, la misericordia, la grazia. Come porterà Gesù questa giustizia? Proprio seguendo quelle istruzioni così caratteristiche di cui fa menzione Isaia: senza gridare, senza fare propaganda da capopopolo, senza buttare nulla disperando della situazione. Il ministero pubblico di Gesù sarà un ministero di "restauro": c'è un "lumicino" che sta per spegnersi? Farà di tutto per ridargli luce e vigore. C'è una "canna spezzata"? Non verrà definitivamente infranta, ma si cercherà di ristabilirla nel primitivo assetto.
Compiere questo servizio, con mezzi umili e poveri, senza compromessi col potere, sarà la costosa fatica che Gesù sceglierà di assumere come sua, passione di servizio e d'amore che gli costerà la vita.
Gesù coglie che dovrà fare il Messia di Dio esattamente in questo modo, non assecondando le attese del mondo circostante, ma seguendo fedelmente le disposizioni di Isaia. Questo dire "sì" alla proposta del Padre comporta dei decisi "no" a tutte quelle modalità di fare il messia che puntano sul successo, sul potere, sull'apparenza.
Quello che colpisce è che qui Gesù sta in completo silenzio, non parla mai. Gesù tace per poter discernere e ascoltare la voce del Padre e accoglierla. E proprio sul modo di vivere questa vocazione messianica il satana lo tenterà e Gesù dovrà operare il suo discernimento spirituale, respingendo tutte le diaboliche proposte alternative che l'avversario gli prospetterà per rendere efficace la sua missione. Ecco perché subito immediatamente dopo il battesimo al Giordano c'è il racconto della tentazione nel deserto (Mc 1,12), da cui Gesù uscirà con la conferma della sua chiamata da vivere secondo il cuore di Dio.
Gesù esce dalla lotta interiore con il satana con le idee chiare su quello che dovrà essere il suo cammino. Non torna a Nazareth, ma quando viene a conoscenza che Giovanni è stato imprigionato, dà inizio al suo ministero, in continuità con quello del Battista.
Ci racconta Luca che quando tornerà a Nazareth e entrerà come al solito il sabato in sinagoga per la lettura della Torah, gli daranno il rotolo del profeta Isaia per leggere l'haftarah (cioè l'aggiuntivo commento profetico alla sezione della Torah letta) e lui proclamerà e commenterà proprio un brano di Isaia in consonanza a quanto ha capito al Giordano rispetto alla sua chiamata: è lui il servo che apre gli occhi ai ciechi, libera i prigionieri...: cf. Lc 4,16-30. Solo allora Gesù prende la parola e rende conto di quanto ora muove la sua coscienza di Figlio.

«Gesù ... venne ad abitare a Cafarnao, presso il Mare, nel territorio di Zàbulon e Neftali» (Mt 4,13): il suo "ministero del Regno"

Di Cafarnao l'evangelista Matteo ricorda come, dopo aver lasciato Nazareth, fosse diventata di fatto "la sua città" (Mt 9,1). Infatti proprio facendo perno su questo villaggio e i suoi dintorni Gesù diede inizio al suo "servizio del Regno".

Come si presenta oggi questa importante località, situata lungo la strategica Via Maris? L'identificazione topografia di Cafarnao è sicura. Ma quando i francescani nel 1894 acquistarono l'area su cui sorgeva la località evangelica, non si vedevano che sporadiche rovine emergenti dal terreno.

I primi sondaggi e scavi all'inizio del 1900 disseppellirono una sinagoga e, vicino ad essa, una chiesa bizantina. Altre indagini allargarono in seguito il campo dello scavo, ma fu solo nel 1968 che p. Corbo e p. Loffreda, due archeologi francescani dell'Istituto Biblico Francescano di Gerusalemme, diedero inizio a scavi completi, che misero in luce quanto oggi possiamo vedere:
1) Sotto la sinagoga di pietra bianca del IV-V secolo ne individuarono un'altra di pietra nera basaltica del II secolo, sotto la quale pare ce ne sia una terza (la sinagoga del tempo di Gesù, in cui sono ambientate diverse scene evangeliche?). Un'area divenuta sacra resta tale nel corso del tempo e sopra una sinagoga se ne edifica un'altra (non poche volte a sua volta soppiantata, in diverse località, da edifici di altre religioni, vuoi chiesa oppure moschea).
2) La casa della suocera di Simone-Pietro (Pietro era originario della vicina Betsaida), trasformata nel IV secolo in Domus ecclesia (= casa-chiesa) giudeocristiana, sopra la quale nel V secolo i bizantini avevano edificato una chiesa ottogonale (di cui restano i mosaici). Oggi è stata costruita, sopra lo scavo, una chiesa moderna, inaugurata nel 1990 (leggere la scheda sotto riprodotta).
3) Lo scavo dell'insula (= isolato) lungo il Cardo massimo (l'arteria principale nord-sud della cittadina), tra l'area della sinagoga e quello della "casa di Pietro", ci dà un'idea di come erano fatte qui a Cafarnao le abitazioni (ben diverse dalle case-grotte di Nazareth o Betlemme, visto che siamo in pianura), come era organizzata la vita e molte scene evangeliche in questo contesto si squadernano (l'amico che bussa alla porta per chiedere un pane, la donna che perde una moneta negli interstizi del pavimento e si mette a cercarla, le folle accalcate alla porta d'ingresso dell'isolato, il paralitico calato dal "tetto", ecc.).
Gli elementi che mano a mano venivano alla luce negli scavi non solo gettavano nuova luce sulle pagine evangeliche, ma confermavano i racconti dei diari che i pellegrini bizantini avevano lasciato della loro visita di Cafarnao.
L'area è stata quasi interamente sottoposta a scavi dai padri francescani (e anche nella contigua proprietà ortodossa). Qui vivevano solo ebrei e l'esistenza di una sinagoga del tempo bizantino e della chiesa ottogonale dello stesso periodo lascia aperte diverse domande circa il rapporto tra ebrei legati al rabbinismo e ebrei-cristiani (quale era la relazione tra le due comunità entrambe ebraiche?).
Il villaggio dopo la conquista araba del paese nel 638 fu lasciato in stato di abbandono, fino a quando, alla fine del '900, i francescani e gli ortodossi hanno comperato il terreno. Ironia della sorte: nella zona ortodossa (dove si scorge una chiesa dalle cupole rosse) del tempo evangelico non è stato ritrovato niente degno di nota, mentre nell'area francescana sono state ritrovate memorie che nessuno si sarebbe aspettato.
Quando il 29 giugno 1990 venne inaugurata la nuova chiesa, nel libretto della liturgia distribuito quel giorno, c'era una scheda su Cafarnao e sulla "casa di Pietro", che troviamo utile rileggere:

Cafarnao deve tutta la sua fama a Gesù, che ne fece il centro dell'attività in Galilea, e alle testimonianze dei vangeli che narrano numerosi episodi qui accaduti.
Di Cafarnao Gesù fa la sua città lasciando Nazareth (Mt 4,12-17; 9,1). Qui Gesù, associandosi Pietro, paga la tassa per il Tempio di Gerusalemme (Mt 17,24-27). Chiama i primi discepoli (Mt 4,18-22; 9,9-13; Mc 1,16-20; 2,13-17; Lc 5,1-9; 5,27-32). Guarisce un indemoniato (Mc 1,21-28; Lc 4,31-37), la suocera di Pietro (Mt 8,14-15; Mc 1,29-31; Lc 4,38-39), un paralitico (Mt 9,2-8; Mc 2,1-12; Lc 5,18-26) e il servo del centurione (Mt 8,5-13; Lc 7,1-9; Gv 4,46-54). Nella sinagoga di Cafarnao insegna più volte ed è qui che si proclama "pane vivo disceso dal cielo" (Gv 6,26-59). Probabilmente anche altri episodi, come quelli dell'emoroissa e della figlia di Giairo (Mc 5,21-43), dell'uomo dalla mano paralizzata (Mc 3,1-6) si sono svolti a Cafarnao. Anche la Madre di Gesù è stata a Cafarnao secondo le testimonianze evangeliche (Gv 2,12; Mc 3,21.31; Mt 12,46-50; Lc 8,19-21).
Dalle informazioni dei vangeli appare chiaramente che l'attività di Gesù a Cafarnao è concentrata sulla riva del lago e in particolare nella sinagoga e nella "casa di Pietro e Andrea" (Mc 1,29). La casa non è solo residenza di Gesù, ma è luogo riservato alla formazione dei suoi discepoli e immagine eminente della Chiesa.
L'evangelista Marco mette in particolare evidenza il significato ecclesiale della casa di Pietro. Dopo aver proclamato le parabole e gli altri ammaestramenti alle folle non lontano da qui, a Tabgha, luogo dell'insegnamento pubblico, nella casa di Pietro Gesù dava l'insegnamento privato: "A voi è stato confidato il mistero del regno di Dio; a quelli di fuori invece tutto viene esposto in parabole" (Mc 4,11).
La distinzione tra quelli che sono fuori e quelli che sono dentro, seduti ai piedi di Gesù ad ascoltarlo, è costituita dalle mura di questa casa, anzi della sala principale di essa, che fu poi venerata dalla prima generazione di cristiani, sottratta all'uso domestico della famiglia di Pietro e trasformata in chiesa, luogo di riunione, di proclamazione e di culto. E non a caso.
Nello stesso vangelo di Marco, al capitolo 3, troviamo come sceneggiato l'inizio della formazione della Chiesa. Vengono i suoi, la madre e i fratelli da Nazareth, preoccupati perché la gente diceva: E' pazzo! Gli ascoltatori affollano la sala principale e i cortili della casa. I suoi stanno fuori e lo cercano. Gesù dice: Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? E guardando intorno a quelli che stavano dentro ad ascoltarlo dice: Quelli che fanno la volontà del Padre mio sono miei fratelli, sorelle e madri. Gli ospiti della casa di Pietro sono ormai i membri della sua famiglia e i membri della nuova famiglia del Padre.


Quando nel 1968 ripresero gli scavi archeologici a Cafarnao, nel quartiere o insula n. 1, denominata sacra perché includeva la tradizionale casa di S. Pietro, si vedevano resti di una chiesa ottagonale costruita nel quinto secolo e riportata alla luce nel 1921. Rimosso il mosaico del pavimento e scavando accuratamente tutta la zona gli archeologi hanno individuato tre strati principali con molte fasi intermedie di occupazione:
primo strato: case private costruite nel secondo secolo a. C. e in uso fino al quarto secolo d. C.;
secondo strato Domus-ecclesia, o casa adattata per riunioni di culto;
terzo strato: chiesa ottagonale del quinto secolo. La casa di Pietro era non lontana dalla sponda del lago ed era fiancheggiata ad est dalla strada principale nord-sud (cardo maximus) del villaggio. Essa ripeteva lo schema delle altre case caratterizzate da piccole stanze coperte che si raccolgono attorno ad ampi cortili a cielo scoperto.
Naturalmente l'interesse e l'attenzione degli archeologi si è concentrata in maniera tutta particolare su questa casa. Essi vi hanno riscontrato la sovrapposizione di diversi livelli di occupazione a partire dal tardo periodo ellenistico. Dalla seconda metà del secondo secolo a. C. fin verso la metà del primo secolo d.C. i livelli occupazionali risultano di strati di terra battuta mescolata con ceramica casalinga (frammenti di giarre, tegami, scodelle, lucerne). Sopra questi strati più antichi si è rilevato qualcosa di eccezionale.
Su un'area di circa 12 metri quadrati sul lato nord-est della stanza venerata è tornato alla luce il pavimento costituito di almeno sei livelli sovrapposti di intonaco bianco. Inoltre sono stati raccolti diversi frammenti di intonaco colorato che certamente decorava i muri della stanza. Contemporaneamente si è notata la quasi totale assenza di resti di ceramica casalinga. Da notare infine che in tutto il villaggio di Cafarnao, di cui è stata scavata una buona parte, questa è l'unica stanza con intonachi sulle pareti e nel pavimento. Tutto ciò porta a concludere che la casa di Pietro, la stanza venerata, già nella seconda metà del primo secolo era adibita a luogo di riunioni per la comunità.
Senza alcuna interruzione nell'occupazione del posto verso la fine del quarto secolo si verificano profondi cambiamenti. L'intero quartiere dell'insula sacra venne circondato da un muro di cinta e isolato dal resto della città per un perimetro di metri 112,25. Due porte, aperte rispettivamente agli angoli nord-ovest e sud-ovest davano accesso all'insula.
Questi mutamenti comportarono la distruzione di alcune case e la focalizzazione dell'insieme sulla stanza venerata che subì anch'essa delle modifiche. Ricevette un nuovo pavimento e un nuovo tetto e al suo interno lo spazio fu suddiviso in due parti attraverso un arco in direzione nord-sud. Il muro di nord della medesima fu ricostruito, mentre gli altri tre restarono in piedi e sul lato orientale fu ricavato un atrio di forma con un atrio ad est e il punto focale ad ovest unitamente al muro di cinta conferirono al luogo il carattere tipico degli edifici cultuali. Dal punto di vista strettamente archeologico questa Domus-ecclesia del quarto secolo è ritenuta una coperta estremamente importante.
Di questa trasformazione della casa di Pietro in Domus-ecclesia: abbiamo una preziosa testimonianza attribuita alla celebre pellegrina Egeria, che visitò Terra Santa alla fine del quarto secolo: "In Cafarnao poi, la casa del principe degli apostoli (Pietro) fu trasformata in chiesa; senonché le sue pareti sono restate immutate".
Gli scavi archeologici hanno dimostrato quanto accurata e fedele sia la descrizione sopra menzionata. Gli abbondanti resti di intonaco con numerosi graffiti di pellegrini (in greco, aramaico, siriaco e latino), che invocano il "Signore Gesù Cristo" e Pietro o riproducono invocazioni e formule liturgiche nonché motivi decorativi con croci, confermano che il luogo era visitato e tenuto in onore dai cristiani.
Verso la seconda metà del quinto secolo tutta l'insula sacra venne sepolta sotto una chiesa a pianta ottagonale ad opera dei bizantini. E' interessante notare che essi, certamente allo scopo di perpetuare la memoria della casa di S. Pietro, impostarono l'ottagono centrale della chiesa proprio sulla stanza venerata. L'anonimo pellegrino di Piacenza, passando a Cafarnao intorno al 560-570, ricorda proprio quest'ultima trasformazione: "Poi giungemmo a Cafarnao nella casa di S. Pietro, che ora è una basilica". Seguiranno secoli di abbandono e di oblio nei quali di Cafarnao si perderà anche la memoria della localizzazione.
La rinascita di Cafarnao inizia un secolo fa con l'arrivo dei Francescani della Custodia di Terra Santa nel 1894. L'attuale Memoriale vuole anzitutto conservare e proteggere le venerabili rovine del luogo dove Pietro ospitò il Maestro di Nazareth. Nello stesso tempo esso vuole offrire ai numerosi pellegrini cristiani che visitano Cafarnao la possibilità di celebrare l'Eucarestia sulla casa di S. Pietro nel villaggio dove Gesù ha detto: "Io sono il pane disceso dal cielo" (Gv 6,41).

La "giornata-tipo" di Cafarnao. Gesù dunque si stabilisce a Cafarnao ed inizia il suo "servizio del Padre". Ma come vive questo suo ministero messianico (cf. Mc 1,14-15), servizio del Regno di Dio?
«Il tempo è compiuto» (v. 14): per gli ebrei il tempo non è l'eterno ripetersi dell'identico, come crede il mondo greco, ma una realtà che avanza verso un fine, verso una pienezza di senso, verso un compimento di salvezza. Ebbene per Gesù ha inizio ora quel "compimento", quella "pienezza del tempo di salvezza" che si esprime in un appello: «Convertitevi e credete all'evangelo» (v. 15). Gesù stesso è questo evangelo, la Buona Notizia, la sua stessa persona è questa novità di vita che si sta manifestando. Quindi l'appello potrebbe essere ritradotto così: "cambiate modo di vedere le cose, credete in me e seguitemi, seguite ME". Infatti la scena immediatamente successiva è la chiamata di alcuni pescatori perché diventino suoi discepoli, persone che leghino a lui la loro vita.
Sul lago si possono vedere ancora oggi dei pescatori. Marco, quando racconta la chiamata dei primi quattro amici di Gesù, usa dei termini tecnici della pesca sul lago, che specificano modalità di pesca ancora seguite ai nostri giorni. Gesù incontra questa coppia di fratelli, al lavoro lungo le rive del mare, li chiama e questi, lasciando tutto, vanno "dietro di lui". Probabilmente Gesù li avrà incontrati precedentemente, ci avrà parlato insieme, avrà istituito un rapporto di confidenza, di amicizia, di scambio. È da "svitati" e irresponsabili lasciare tutto e andare dietro al primo che ti dice di seguirlo senza sapere chi è! Certamente loro avevano incominciato a conoscere Gesù, a sentirsi affascinati dal suo modo di fare e di parlare... e quel giorno decidono di fare quel passo, di "attaccarsi" alla persona del Maestro Gesù diventando suoi amici e discepoli. Sono i primi quattro, ma poche battute più in là viene chiamato un quinto, il pubblicano Levi (che "botta" accogliere nel gruppo uno come questo!). Quindi cinque discepoli incominciano a seguire Gesù (non è un numero a caso: secondo Talmud solitamente un maestro ha 5 discepoli). Solo in un tempo successivo, dopo le prime difficoltà, dopo una notte di preghiera (secondo quanto ci dice Luca), Gesù sceglie e chiama altri ad aggregarsi a lui e si arriva al numero di 12 discepoli.

Cafarnao era una zona strategica, sulla linea di confine tra la zona ebraica e quella pagana, posta sulla trafficata Via Maris, snodo di passaggio di gente e di idee. Gesù sceglie proprio di stabilirsi qui per farsi conoscere e far conoscere la sua "Buona Notizia". Ma che faceva esattamente Gesù dalla mattina alla sera? Marco (e anche Luca) ci racconta, all'inizio del vangelo, una "giornata tipo" nella quale è possibile rintracciare le dimensioni fondamentali del suo "servizio del Padre", con quelle caratteristiche che si ritroveranno in tutto il suo ministero successivo.

Mc 1,21: è sabato, siamo nella sinagoga di Cafarnao, e Gesù si mette ad insegnare nel luogo e nel giorno santo per Dio e per i fratelli. Si pregano le benedizioni, si legge la Torah, si aggiunge la lettura dell'haftarà (un passo preso dai profeti), e poi ciascuno può intervenire per il commento. Anche Gesù si mette a spiegare la Parola. Marco non ci dice cosa insegnasse Gesù: forse la sua stessa persona era un insegnamento vivente, un vissuto parlante. I presenti in sinagoga erano stupiti perché "parlava come uno che ha exousia", cioè forza, autorevolezza, efficacia, non come gli incolori e pesanti scribi, i "professori" e i teologi dell'epoca. C'è un uomo, con uno spirito "immondo", mischiato tra la folla. Secondo voi la gente sapeva che aveva uno spirito immondo? Se lo avessero saputo lo avrebbero fatto entrare in sinagoga? E quest'uomo stesso aveva coscienza di essere abitato da questa realtà di "morte" ("immondo" non significa "sporco", ma designa una "realtà che ha a che fare con la morte")? Ebbene, Gesù comincia ad insegnare e lo spirito immondo viene stanato, si mette a gridare, non sopportando questa parola di luce che lo smaschera. Questo spirito parla al plurale: molteplici sono le realtà negative che ci disturbano dentro. La parola di Gesù è efficace, è concretamente capace di smuovere dentro qualcosa, di operare verità, di stanare in noi le realtà che ci opprimono e di liberarcene, di far tacere i pensieri di morte che ci abitano e condizionano. Gesù sgridò lo spirito: "taci". Il processo di liberazione non è indolore, è talvolta uno strazio: non è indolore liberarsi da un'abitudine cattiva, da un vizio. Si entra in una lotta, ma è una lotta liberatoria. Quando il male rimane nascosto non possiamo farci niente: egli continua indisturbato ad operare in noi. Ma quando viene alla luce, è scoperto, ecco che deve confrontarsi con la vita, la verità, e qui si ingaggia un confronto doloroso, che però risana l'esistenza.
Ecco quindi in sinagoga due ingredienti essenziali del ministero di Gesù: l'insegnamento e la liberazione dalle forze di male, che la sua Parola è capace di operare.

È shabbat, Gesù e i suoi nuovi quattro amici escono dalla sinagoga per entrare nella vicina casa della suocera di Pietro, dove li aspetta il gioioso pranzo sabbatico. Ma la padrona di casa è a letto, febbricitante. Non può servire: cosa è una vita quando è colpita da una malattia che impedisce di servire? Tutti noi, in realtà, soffriamo di questa infermità! Gesù la risana, le permette di rivivere la sua esistenza come servizio. Se l'esorcismo è liberazione dal male, questo intervento "miracoloso" è azione di Gesù per ristabilire quel bene che è "servizio" agli altri.

La mattina presto Gesù si ritira in disparte a pregare: un intenso dialogo con il Padre, di ascolto e di consegna, scandirà il suo cammino. Gesù non fa nulla se non in questa comunione che orienta la sua libertà e le sue scelte.

Ecco individuati gli ingredienti del suo ministero pubblico:
a) chiamata di persone, le più diverse, a diventare suoi discepoli;
b) insegnamento, con una parola efficace, capace di operare quello che dice;
c) liberazione da tutte le realtà di male (= esorcismo) annidate nel cuore dell'uomo;
d) guarigione da tutte le infermità (= miracolo) che bloccano nell'uomo la sua identità di figlio di Dio, chiamato a vivere la vita come servizio;
e) intensa preghiera, che accompagna giorno dopo giorno la coscienza di Gesù, che orienta il suo discernimento interiore.

Queste sono le cose che Gesù sentiva di dover vivere e fare dalla mattina alla sera. Questo è il suo modo di essere il Messia di Dio. Si potevano trovare altre modalità di fare il "cristo" (cioè il messia "unto" di Dio), ma Gesù sarà fedele fino alla fine a questo specifico modo di essere e agire come il Cristo del Padre.

Il "monte delle beatitudini",
compendio dell'insegnamento di Gesù

Se il "lago" per i vangeli è un "mare", anche questa collinetta vicino a Cafarnao per essi è un "monte": il luogo dove il Rabbi Gesù ha fatto il suo discorso più esteso e coinvolgente. In filigrana l'evangelista Matteo, che ci ha consegnato la memoria di questo "discorso della montagna" (Mt 5 - 7; per Luca l'insegnamento è impartito in pianura, cf. Lc 6,17-49), sta cercando di farci capire che nel contatto con la persona di Gesù si sta rivivendo in modo nuovo la vicenda dell'esodo: il passaggio del mare e l'alleanza del Sinai. Nella relazione con quest'uomo, evangelo di Dio, ci viene offerta ancora una volta una Torah, insegnamento di felicità per i piccoli del Regno, rivelazione dell'intenzione ultima ed profonda di quanto al Sinai era già stato annunciato.

Dalla sommità di questa collina si guadagna con uno sguardo l'intera area a nord del lago, che è stata il teatro di moltissime vicende legate al ministero pubblico di Gesù in Galilea (quello che padre Pixner, monaco benedettino e grande conoscitore della "Galilea, quinto evangelo", ha chiamato il "triangolo evangelico": la zona cioè compresa grosso modo tra Tabgha, Betsaida e Corazin).
Allungando lo sguardo, adagiata sulla sponda sud-ovest del lago, si vede Tiberiade. Fu fondata in perfetto stile ellenistico da Erode Antipa, quando Gesù era ventenne, fu dedicata all'imperatore romano Tiberio (di qui il suo nome), e divenne la capitale del regno. Possedeva un anfiteatro, delle terme con benefiche acque calde ed evidentemente il palazzo reale. Si trovava all'incrocio di due strategiche vie antiche: la strada che dalla Siria conduceva in Egitto, in direzione nord-sud, e la strada che dal Mediterraneo, in direzione est, portava, attraverso la pianura di Esdrelon, verso oriente. Un'altro centro dove, come a Sefforis, il "roman way of life" era in voga, non solo sotto l'aspetto socio-culturale (tra l'altro, dal momento che era stata edificata sopra un antico cimitero era considerata impura dagli ebrei osservanti e perciò evitata: ecco debitamente selezionati i suoi abitanti), ma sotto quel'aspetto che non è mai trascurabile per nessuno, cioè quello militare. Erode stava al servizio di Roma e i suoi sostenitori erano attenti a non contestare o contrastare la sovranità romana sulla zona. L'appartenenza all'area di influenza imperiale era, dentro quelle mura cittadine, indiscussa: i vantaggi di questa "politica internazionale", per coloro che contavano, non mancavano.
Ebbene: nessun episodio evangelico è ambientato a Tiberiade: sembra proprio che Gesù da quelle parti non sia mai passato. Perché Gesù non è mai stato laggiù, dove avrebbe potuto istaurare un confronto interessante con i notabili del tempo e forse fornire loro utili strumenti di valutazione per districarsi nella complessa trama politica del momento?


Da questa stessa collina delle beatitudini, muovendo la testa leggermente ad est, si può scorgere un altro importantissimo centro abitato al tempo di Gesù: Gamla, nido d'aquila protetto da profonde valli, dove nell'anno 6 d.C. un certo Giuda diede vita al movimento zelota. Giuda insegnava una teocrazia radicale: soltanto Dio è il sovrano d'Israele, non l'imperatore romano. Tutto il movimento zelota, come sappiamo, era fortemente motivato da attese messianiche: un messia politico avrebbe posto fine al tracotante dominio romano. Come si vede Gamla non era solamente sull'altra sponda geografica del lago, ma esattamente sul fronte opposto dell'opzione politica. Quelli di Gamla guardavano al di là del lago e vedevano gli sporchi "collaborazionisti". Viceversa i babbi illuminati additavano ai loro bimbi, sempre al di là del mare, quei pericolosi "fanatici" di zeloti da cui avrebbero fatto bene a guardarsi. Una miscela esplosiva le due sponde, occidentale e orientale, del lago!
Non può non destare meraviglia il fatto che Gesù mai abbia visitato queste due località. Quale discernimento avrà tenuto lontano lui e i suoi amici e discepoli da entrambe?

Qui sulla collina leggiamo e meditiamo, avvolti nel silenzio del posto, il testo di Matteo e di Luca: beati... beati...beati...; amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori ...; quando fate l'elemosina ... quando pregate... quando digiunate ... non giudicate... È un vangelo in miniatura, dotato di una forza che ancora ci attrae, trasformando dentro di noi i criteri con cui stiamo al mondo. Entriamo nella coscienza di Gesù, nel suo modo di guardare la vita e gli uomini, nella libertà di colui che vive sotto lo sguardo del Padre e tutto abbraccia col cuore di Dio. Come saremmo diversi se questo modo di stare al mondo fosse il nostro?

Tabgha: il mistero della "divisione dei pani"

Da dove l'attuale nome di Tabgha dato a questo luogo? È la storpiatura araba (che non riescono a pronunciare la lettera "p") del nome greco eptapegon, cioè sette sorgenti (c'è qui un'abbondanza di sorgenti, vicino alla riva del lago).
Qui viene ricordato dalla tradizione cristiana - che ha edificato sul sito due chiese bizantine e una recente (inaugurata nel 1984) - un fatto significativo dell'operare di Gesù: il cosiddetto miracolo della "moltiplicazione dei pani", episodio riportato in tutti i vangeli.

In realtà Matteo e Marco parlano di due moltiplicazioni sulla riva del lago: una qui in territorio ebraico (Mt 14,13-21; Mc 6,30-44: quella delle dodici ceste di pane avanzato, numero delle tribù d'Israele) e una sulla sponda orientale, pagana (Mt 15,32-39; Mc 8,1-l0: le sette sporte rimaste simboleggiano il numero dei "gentili"). Gesù, unico pane, riesce a sfamare la straboccante folla, sia essa composta di ebrei o di pagani. C'é pane per tutti.
Di fronte a questo spettacolare segno miracoloso siamo riempiti di ammirazione per un gesto che noi però non siamo capaci di operare. Grande apprezzamento per questo prodigio, ma anche una invalicabile distanza tra Gesù, con le sue mirabilanti facoltà, e noi, con i nostri concretissimi limiti. Una bellissima scena... del passato, oggi non più ripetibile.
Questo modo di guardare le cose sembra vero, ma in realtà è "simil-vero". Serve solo a non comprometterci, a non vedere che questo testo parla di noi, di quello che possiamo fare anche noi. Nel racconto infatti non si parla mai di "moltiplicazione" (se non nei titoletti posti da chi oggi stampa la Bibbia), ma di "spezzare", "dividere"! Gesù non opera un miracolo "magico": il testo vuole sottolineare proprio come da cinque pani e da due pesci raccolti - dal poco che tutti danno - per mezzo della divisione Gesù riesce a sfamare tutti.
Eh già "moltiplicare" non lo so fare, ma "dividere" sì, eccome! Anzi è proprio dividendo, che c'è "pane" e vita per tutti: è la "con-divisione" il miracolo ancora possibile oggi e sempre alla nostra portata. Ma forse bisogna provare un po' di quella compassione di cui parla il testo («si commosse per loro perché erano come pecore senza pastore»: Mc 6,34) per tirare fuori dal nostro sacco quanto abbiamo per condividerlo. Che bella pagina questa "divisione dei pani"!

A Tabgha, accanto alla chiesa della "moltiplicazione", tenuta dai benedettini tedeschi, c'è un'altra piccola cappella francescana, costruita in pietra nera nel 1933 proprio sulla riva del lago, sulle tracce di una precedente chiesetta bizantina: il piccolo santuario del "primato di Pietro".
Sulle rocce che scendono in acqua leggiamo il testo di Gv 21, gli "atti degli apostoli" del quarto evangelista. Forse si capisce meglio in questo umilissimo posto - dove il Risorto preparò la colazione per i suoi amici - piuttosto che nel sontuoso Vaticano, il carattere "soprannaturale" del "servizio di Pietro" (fondato sul suo tradimento perdonato!): essere segno di Gesù Pastore (i MIEI agnelli, le MIE pecorelle), a cui ogni uomo e donna continua ad appartenere.