6 agosto, giovedì



La "crisi" e la conferma del Padre, che trasfigura:
dal Mare al Monte della metamorfosis

Andiamo oggi nel ferace altopiano del Golan, l'ellenistica Gaulanitide (che con la sua roccia nera basaltica ci ricorda come un tempo quest'area fosse vulcanica), territorio strategico tra Siria e Israele e oggi oggetto di negoziato per poter stringere un trattato di pace tra le due nazioni. Accanto a ebrei israeliani, abitano sulle alture alcune migliaia di drusi, che stanno soprattutto in quattro villaggi sotto il massiccio dell'Hermon (la maggiore delle tre cime raggiunge i 2800 m).
Lungo la strada che sale sull'altopiano incontriamo Qatzrin, dove hanno scoperto e messo in luce un villaggio talmudico del V-VIII secolo. Lo visitiamo per renderci conto di come nel tempo bizantino si viveva in una comunità ebraica che seguiva la Torah orale, trasmessa e interpretata dai rabbini.
Ci spingiamo fino al confine siriano, dove sorgeva la città di Quneitra, distrutta durante i conflitti bellici del 1967 e 1973. Sotto di noi una grande pianura e la zona delle truppe ONU che vigilano sull'armistizio in vigore dalla Guerra del Kippur (1973): nei giorni tersi è possibile intravedere Damasco. Riflettiamo sugli intricati nodi della guerra e della pace.
Dopo aver visitato il castello arabo di Nimrod, raggiungiamo Banias, sul confine libanese ai piedi del Monte Hermon, dove vi è una delle tre sorgenti principali del Giordano, che dà vita ad una vegetazione lussureggiante. Banias è la storpiatura araba del nome greco Paneas, località legata in epoca greco-romana al culto del dio Pan (ancora visibile la grotta e i resti degli altari a lui dedicati). Fu donata dall'imperatore Augusto ad Erode, il quale in onore di Augusto costruì un tempio, e lasciata da Erode a suo figlio Filippo, che la scelse come capitale della sua Tetrarchia, chiamandola Caesarea sempre in ossequio dell'imperatore romano.
È questa la Cesarea di Filippo che incontriamo nel NT: che successe in questo contesto secondo il racconto evangelico?

Banyas, l'evangelica Caesarea Philippi: «Tu sei il Messia»


Secondo la testimonianza dei racconti evangelici, dopo un primo periodo di ministero che aveva registrato un certo "successo", una qualche "presa" sulla gente, Gesù incominciò a registrare le prime incomprensioni e defezioni («Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui»: <Gv 6,66), che in non poche occasioni divennero aperte opposizioni alla sua persona, al suo modo di agire e parlare («E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire»: Mc 3,6).
Il suo modo di fare il Messia pareva non convincere, non cambiare radicalmente le cose, in contraddizione con le attese di molti. Ma è proprio di lui che parlavano le Scritture? È proprio questa la modalità in cui si deve manifestare l'intervento di Dio? Perché Gesù si sottrae alla sua possibile "regalità" (cf. Gv 6,15: «Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo»)?
Gesù si allontana dal lago, varca il confine ebraico e si spinge verso nord in territorio pagano fino a Cesarea di Filippo, località impregnata dell'ideologia regale e del culto imperiale (Augusto, Erode, Filippo: il nome di Cesarea era emblematico di molte cose). Il suo cuore si sta interrogando: "cosa capisce la gente di lui? e cosa hanno colto i suoi discepoli più vicini della sua identità?". La risposta di Pietro «Tu sei il Messia, il Figlio del Dio vivente» (cf. Mt 16,16-19; Mc 8,29; Lc 9,20) è ancora satura di ambiguità. Gesù sente, guardandosi intorno e constatando come stanno andando le cose, che la sua strada sta entrando in una "passione" che lo porterà alla morte (leggere l'intero brano di Mc 8,27 - 9,8; oppure Lc 9, 18-61).
Ripensa alla sua vocazione al Giordano, dentro di sé cerca di capire quanto sta vivendo lasciandosi illuminare dalle Scritture divine d'Israele (Torah/Mosé e Neviim -Profeti/Elia): dove mi sta conducendo il Padre?
Proprio in questo contesto il racconto evangelico parla di un evento che esso compendia nel termine "metamorfosis/trasfigurazione": Gesù viene illuminato dalla voce del Padre che conferma la sua chiamata ad essere il Figlio/servo, secondo quella modalità colta nel suo battesimo. Di fronte alla possibilità di scappare ulteriormente verso settentrione, Gesù fa partecipi i suoi del suo libero "destino" (per tre volte li avverte della sua "passione, morte e resurrezione") e indurito il volto - quel volto illuminato nella trasfigurazione - si dirige verso Gerusalemme. Noi lo seguiremo, andandogli "dietro" (cf. Lc 9,51-62; Mc 8,33-38: «Dietro di me...»)



«Al fragore delle tue cascate» (Sal 42,8): le cascate di Banyas


Scendiamo un sentiero a pochi chilometri dalla sorgente di Banyas. È incredibile come in questa breve distanza le freschissime acque si raccolgano in un torrente impetuoso. Il deserto che abbiamo assaggiato pochi giorni fa è lontano mille miglia: improvvisamente siamo avvolti da una tonificante frescura, dagli spruzzi d'acqua che ci lavano il sudore e dall'enorme fragore del salto dell'acqua nella valle, dove andrà a formare il Giordano. Un vero giardino paradisiaco.

Leggiamo il Sal 42, preghiera impastata di lacrime di un uomo esiliato che «dal paese del Giordano e dell'Ermon» (v. 7) ricorda quando festoso saliva al Tempio di Gerusalemme (cf. v. 5), per godere dell'incontro col "volto del Dio vivente" (v. 3). Tutto questo è passato e lui si trova nella tristezza e nella solitudine, oppresso interiormente: «Un abisso chiama l'abisso al fragore delle tue cascate; tutti i tuoi flutti e le tue onde sopra di me sono passati». Queste cascate del Giordano diventano per lui, esiliato al nord, fuori della sua terra, una metafora di ciò che il Dio assente («Dov'è il tuo Dio? » gli rinfacciano tutti: vv. 4 e 11) gli sta facendo provare. Rompono irruenti e terribili: così Dio sta rompendo il suo cuore di esule che non può tornare.
Eppure una voce, forte come il rimbombo dell'acqua, ritorna senza sosta nel cuore e lo sostiene: «Perché ti rattristi anima mia, perché su di me gemi? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui salvezza del mio volto e mio Dio» (v. 12 e ancora Sal 43,5).
Ripensiamo anche all'esule Gesù, alla sua tristezza per la durezza del cuore dell'uomo, alla Voce che anima in lui speranza, al suo volto che si illumina nel volto del Padre.