Canti - XXXII "Palinodia al Marchese Gino Capponi"

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Leopardi Giacomo

Canti XXXII

Palinodia

al Marchese Gino Capponi

Il sempre sospirar nulla rileva.

Petrarca

 

       Errai, candido Gino; assai gran tempo,

E di gran lunga errai. Misera e vana

Stimai la vita, e sovra l'altre insulsa

La stagion ch`or si volge. Intolleranda

Parve, e fu, la mia lingua alla beata

Prole mortal, se dir si dee mortale

L'uomo, o si può. Fra maraviglia e sdegno.

Dall'Eden odorato in cui soggiorna,

Rise l'alta progenie, e me negletto

Disse, o mal venturoso, e di piaceri

O incapace o inesperto, il proprio fato

Creder comune, e del mio mal consorte

L'umana specie. Alfin per entro il fumo

De' sígari onorato, al romorio

De' crepitanti pasticcini, al grido

Militar, di gelati e di bevande

Ordinator, fra le percosse tazze

E i branditi cucchiai, viva rifulse

Agli occhi miei la giornaliera luce

Delle gazzette. Riconobbi e vidi

La pubblica letizia, e le dolcezze

Del destino mortal. Vidi l'eccelso

Stato e il valor delle terrene cose,

E tutto fiori il corso umano, e vidi

Come nulla quaggiù dispiace e dura.

Nè men conobbi ancor gli studi e l'opre

Stupende, e il senno, e le virtudi, e l'alto

Saver del secol mio. Nè vidi meno

Da Marrocco al Catai, dall'Orse al Nilo,

E da Boston a Goa, correr dell'alma

Felicità su l'orme a gara ansando

Regni, imperi e ducati; e già tenerla

O per le chiome fluttuanti, o certo

Per l'estremo del boa. Così vedendo,

E meditando sovra i larghi fogli

Profondamente, del mio grave, antico

Errore, e di me stesso, ebbi vergogna.

      Aureo secolo omai volgono, o Gino,

I fusi delle Parche. Ogni giornale,

Gener vario di lingue e di colonne,

Da tutti i lidi lo promette al mondo

Concordemente. Universale amore,

Ferrate vie, moltiplici commerci,

Vapor, tipi e choléra i più divisi

Popoli e climi stringeranno insieme:

Nè maraviglia fia se pino o quercia

Suderà latte e mele, o s'anco al suono

D'un walser danzerà. Tanto la possa

Infin qui de' lambicchi e delle storte,

E le macchine al cielo emulatrici

Crebbero, e tanto cresceranno al tempo

Che seguirà; poichè di meglio in meglio

Senza fin vola e volerà mai sempre

Di Sem, di Cam e di Giapeto il seme.

      Ghiande non ciberà certo la terra

Però, se fame non la sforza: il duro

Ferro non deporrà. Ben molte volte

Argento ed or disprezzerà, contenta

A polizze di cambio. E già dal caro

Sangue de' suoi non asterrà la mano

La generosa stirpe: anzi coverte

Fien di stragi l'Europa e l'altra riva

Dell'atlantico mar, fresca nutrice

Di pura civiltà, sempre che spinga

Contrarie in campo le fraterne schiere

Di pepe o di cannella o d'altro aroma

Fatal cagione, o di melate canne,

O cagion qual si sia ch' ad auro torni.

Valor vero e virtù, modestia e fede

E di giustizia amor, sempre in qualunque

Pubblico stato, alieni in tutto e lungi

Da' comuni negozi, ovvero in tutto

Sfortunati saranno, afflitti e vinti:

Perchè diè lor natura, in ogni tempo

Starsene in fondo. Ardir protervo e frode,

Con mediocrità, regneran sempre,

A galleggiar sortiti. Imperio e forze,

Quanto più vogli o cumulate o sparse,

Abuserà chiunque avralle, e sotto

Qualunque nome. Questa legge in pria

Scrisser natura e il fato in adamante;

E co' fulmini suoi Volta nè Davy

Lei non cancellerà, non Anglia tutta

Con le macchine sue, nè con un Gange

Di politici scritti il secol novo.

Sempre il buono in tristezza, il vile in festa

Sempre e il ribaldo: incontro all'alme eccelse

In arme tutti congiurati i mondi

Fieno in perpetuo: al vero onor seguaci

Calunnia, odio e livor: cibo de' forti

Il debole, cultor de' ricchi e servo

Il digiuno mendico, in ogni forma

Di comun reggimento, o presso o lungi

Sien l'eclittica o i poli, eternamente

Sarà, se al gener nostro il proprio albergo

E la face del dì non vengon meno.

      Queste lievi reliquie e questi segni

Delle passate età, forza è che impressi

Porti quella che sorge età dell'oro:

Perchè mille discordi e repugnanti

L'umana compagnia principii e parti

Ha per natura; e por quegli odii in pace

Non valser gl'intelletti e le possanze

Degli uomini giammai, dal dì che nacque

L'inclita schiatta, e non varrà, quantunque

Saggio sia nè possente, al secol nostro

Patto alcuno o giornal. Ma nelle cose

Più gravi, intera, e non veduta innanzi,

Fia la mortal felicità. Più molli

Di giorno in giorno diverran le vesti

O di lana o di seta. I rozzi panni

Lasciando a prova agricoltori e fabbri,

Chiuderanno in coton la scabra pelle,

E di castoro copriran le schiene.

Meglio fatti al bisogno, o più leggiadri

Certamente a veder, tappeti e coltri,

Seggiole, canapè, sgabelli e mense,

Letti, ed ogni altro arnese, adorneranno

Di lor menstrua beltà gli appartamenti;

E nove forme di paiuoli, e nove

Pentole ammirerà l'arsa cucina.

Da Parigi a Calais, di quivi a Londra,

Da Londra a Liverpool, rapido tanto

Sarà, quant'altri immaginar non osa,

Il cammino, anzi il volo: e sotto l'ampie

Vie del Tamigi fia dischiuso il varco,

Opra ardita, immortal, ch'esser dischiuso

Dovea, già son molt'anni. Illuminate

Meglio ch'or son, benchè sicure al pari,

Nottetempo saran le vie men trite

Delle città sovrane, e talor forse

Di suddita città le vie maggiori.

Tali dolcezze e sì beata sorte

Alla prole vegnente il ciel destina.

      Fortunati color che mentre io scrivo

Miagolanti in su le braccia accoglie

La levatrice! a cui veder s'aspetta

Quei sospirati dì, quando per lunghi

Studi fia noto, e imprenderà col latte

Dalla cara nutrice ogni fanciullo,

Quanto peso di sal, quanto di carni,

E quante moggia di farina inghiotta

Il patrio borgo in ciascun mese; e quanti

In ciascun anno partoriti e morti

Scriva il vecchio prior: quando, per opra

Di possente vapore, a milioni

Impresse in un secondo, il piano e il poggio,

E credo anco del mar gl' immensi tratti,

Come d'aeree gru stuol che repente

Alle late campagne il giorno involi,

Copriran le gazzette, anima e vita

Dell'universo, e di savere a questa

Ed alle età venture unica fonte!

      Quale un fanciullo, con assidua cura

Di fogliolini e di fuscelli, in forma

O di tempio o di torre o di palazzo,

Un edificio innalza; e come prima

Fornito il mira, ad atterrarlo è volto,

Perchè gli stessi a lui fuscelli e fogli

Per novo lavorio son di mestieri;

Così natura ogni opra sua, quantunque

D'alto artificio a contemplar, non prima

Vede perfetta, ch'a disfarla imprende,

Le parti sciolte dispensando altrove.

E indarno a preservar se stesso ed altro

Dal gioco reo, la cui ragion gli è chiusa

Eternamente, il mortal seme accorre

Mille virtudi oprando in mille guise

Con dotta man: che, d'ogni sforzo in onta,

La natura crudel, fanciullo invitto,

Il suo capriccio adempie, e senza posa

Distruggendo e formando si trastulla.

Indi varia, infinita una famiglia

Di mali immedicabili e di pene

Preme il fragil mortale, a perir fatto

Irreparabilmente: indi una forza

Ostil, distruggitrice, e dentro il fere

E di fuor da ogni lato, assidua, intenta

Dal dì che nasce; e l'affatica e stanca,

Essa indefatigata; insin ch'ei giace

Alfin dall'empia madre oppresso e spento.

Queste, o spirto gentil, miserie estreme

Dello stato mortal; vecchiezza e morte,

Ch'han principio d'allor che il labbro infante

Preme il tenero sen che vita instilla;

Emendar, mi cred'io, non può la lieta

Nonadecima età più che potesse

La decima o la nona, e non potranno

Più di questa giammai l'età future.

Però, se nominar lice talvolta

Con proprio nome il ver, non altro in somma

Fuor che infelice, in qualsivoglia tempo,

E non pur ne' civili ordini e modi,

Ma della vita in tutte l'altre parti,

Per essenza insanabile, e per legge

Universal, che terra e cielo abbraccia,

Ogni nato sarà. Ma novo e quasi

Divin consiglio ritrovàr gli eccelsi

Spirti del secol mio: che, non potendo

Felice in terra far persona alcuna,

L'uomo obbliando, a ricercar si diero

Una comun felicitade; e quella

Trovata agevolmente, essi di molti

Tristi e miseri tutti, un popol fanno

Lieto e felice: e tal portento, ancora

Da pamphlets, da riviste e da gazzette

Non dichiarato, il civil gregge ammira.

       Oh menti, oh senno, oh sovrumano acume

Dell'età ch'or si volge! E che sicuro

Filosofar, che sapienza, o Gino,

In più sublimi ancora e più riposti

Subbietti insegna ai secoli futuri

Il mio secolo e tuo! Con che costanza

Quel che ieri schernì, prosteso adora

Oggi, e domani abbatterà, per girne

Raccozzando i rottami, e per riporlo

Tra il fumo degl'incensi il dì vegnente!

Quanto estimar si dee, che fede inspira

Del secol che si volge, anzi dell'anno,

Il concorde sentir! con quanta cura

Convienci a quel dell'anno, al qual difforme

Fia quel dell'altro appresso, il sentir nostro

Comparando, fuggir che mai d'un punto

Non sien diversi! E di che tratto innanzi,

Se al moderno si opponga il tempo antico,

Filosofando il saper nostro è scorso!

      Un già de' tuoi, lodato Gino; un franco

Di poetar maestro, anzi di tutte

Scienze ed arti e facoltadi umane,

E menti che fur mai, sono e saranno,

Dottore, emendator, lascia, mi disse,

I propri affetti tuoi. Di lor non cura

Questa virile età, volta ai severi

Economici studi, e intenta il ciglio

Nelle pubbliche cose. Il proprio petto

Esplorar che ti val? Materia al canto

Non cercar dentro te. Canta i bisogni

Del secol nostro, e la matura speme.

Memorande sentenze! ond'io solenni

Le risa alzai quando sonava il nome

Della speranza al mio profano orecchio

Quasi comica voce, o come un suono

Di lingua che dal latte si scompagni.

Or torno addietro, ed al passato un corso

Contrario imprendo, per non dubbi esempi

Chiaro oggimai ch'al secol proprio vuolsi,

Non contraddir, non repugnar, se lode

Cerchi e fama appo lui, ma fedelmente

Adulando ubbidir: così per breve

Ed agiato cammin vassi alle stelle.

Ond'io, degli astri desioso, al canto

Del secolo i bisogni omai non penso

Materia far; che a quelli, ognor crescendo,

Provveggono i mercati e le officine

Già largamente; ma la speme io certo

Dirò, la speme, onde visibil pegno

Già concedon gli Dei; già, della nova

Felicità principio, ostenta il labbro

De' giovani, e la guancia, enorme il pelo.

      O salve, o segno salutare, o prima

Luce della famosa età che sorge.

Mira dinanzi a te come s'allegra

La terra e il ciel, come sfavilla il guardo

Delle donzelle, e per conviti e feste

Qual de' barbati eroi fama già vola.

Cresci, cresci alla patria, o maschia certo

Moderna prole. All'ombra de' tuoi velli

Italia crescerà, crescerà tutta

Dalle foci del Tago all' Ellesponto

Europa, e il mondo poserà sicuro.

E tu comincia a salutar col riso

Gl'ispidi genitori, o prole infante,

Eletta agli aurei dì: nè ti spauri

L'innocuo nereggiar de' cari aspetti.

Ridi, o tenera prole: a te serbato

È di cotanto favellare il frutto;

Veder gioia regnar, cittadi e ville,

Vecchiezza e gioventù del par contente,

E le barbe ondeggiar lunghe due spanne.