Rime e ritmi

di
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Carducci Giosué

ALLA SIGNORINA MARIA A.

O Piccola Maria,

Di versi a te che importa?

Esce la poesia,

4 O piccola Maria,

Quando malinconia

Batte del cor la porta.

O piccola Maria,

8 Di versi a te che importa?

 

 

NEL CHIOSTRO DEL SANTO

Sí come fiocchi di fumo candido

tenui sfilando passan le nuvole

su l'aëree cupole, sovra

4 le fantastiche torri del Santo;

passan pe l' cielo turchino, limpido,

fresco di pioggia recente; sonito

di mondo lontano par l'eco

8 tra le arcate che abbraccian le tombe.

Tal su l'audacie de gli anni giovani

a me poeta passâro i cantici,

ed ora ne l'animo chiuso

12 solitaria ne mormora l'eco.

Sí come nubi, sí come cantici

fuggon l'etadi brevi de gli uomini:

dinanzi da gli occhi smarriti,

16 ombra informe, che vuol l'infinito?

 

 

JAUFRÉ RUDEL

Dal Libano trema e rosseggia

Su 'l mare la fresca mattina:

Da Cipri avanzando veleggia

4 La nave crociata latina.

A poppa di febbre anelante

Sta il prence di Blaia, Rudello,

E cerca co 'l guardo natante

8 Di Tripoli in alto il castello.

In vista a la spiaggia asïana

Risuona la nota canzone:

"Amore di terra lontana,

12 Per voi tutto il core mi duol."

Il volo d'un grigio alcïone

Prosegue la dolce querela,

E sovra la candida vela

16 S'affligge di nuvoli il sol.

La nave ammaina, posando

Nel placido porto. Discende

Soletto e pensoso Bertrando,

20 La via per al colle egli prende.

Velata di funebre benda

Lo scudo di Blaia ha con sé:

Affretta al castel: - Melisenda

24 Contessa di Tripoli ov'è?

Io vengo messaggio d'amore,

Io vengo messaggio di morte:

Messaggio vengo io del signore

28 Di Blaia, Giaufredo Rudel.

Notizie di voi gli fûr porte,

V'amò vi cantò non veduta:

Ei viene e si muor. Vi saluta,

32 Signora, il poeta fedel. -

La dama guardò lo scudiero

A lungo, pensosa in sembianti:

Poi surse, adombrò d'un vel nero

36 La faccia con gli occhi stellanti:

- Scudier, - disse rapida - andiamo.

Ov'è che Giaufredo si muore?

Il primo al fedele richiamo

40 E l'ultimo motto d'amore. -

Giacea sotto un bel padiglione

Giaufredo al conspetto del mare:

In nota gentil di canzone

44 Levava il supremo desir.

- Signor che volesti creare

Per me questo amore lontano,

Deh fa cha a la dolce sua mano

48 Commetta l'estremo respir! -

Intanto co 'l fido Bertrando

Veniva la donna invocata;

E l'ultima nota ascoltando

52 Pietosa risté su l'entrata:

Ma presto, con mano tremante

Il velo gittando, scoprì

La faccia; ed al misero amante

56 - Giaufredo, - ella disse - son qui. -

Voltossi, levossi co 'l petto

Su i folti tappeti il signore,

E fiso al bellissimo aspetto

60 Con lungo sospiro guardò.

- Son questi i begli occhi che amore

Pensando promisemi un giorno?

È questa la fronte ove intorno

64 Il vago mio sogno volò? -

Sí come a la notte di maggio

La luna da i nuvoli fuora

Diffonde il suo candido raggio

68 Su 'l mondo che vegeta e odora,

Tal quella serena bellezza

Apparve al rapito amatore,

Un'altra divina dolcezza

72 Stillando al morente nel cuore.

- Contessa, che è mai la vita?

È l'ombra d'un sogno fuggente.

La favola breve è finita,

76 Il vero immortale è l'amor.

Aprite le braccia al dolente.

Vi aspetto al novissimo bando.

Ed or, Melisenda, accomando

80 A un bacio lo spirto che muor. -

La donna su 'l pallido amante

Chinossi recandolo al seno,

Tre volte la bocca tremante

84 Co 'l bacio d'amore baciò,

E il sole da 'l cielo sereno

Calando ridente ne l'onda

L'effusa di lei chioma bionda

88 Su 'l morto poeta irraggiò.

 

 

IN UNA VILLA

O tra i placidi olivi, tra i cedri e le palme sedente

2 bella Arenzano al riso de la ligure piaggia;

operosa vecchiezza t'illustra, serena t'adorna

4 signoril grazia e il dolce di giovinezza lume;

facil corre in te l'ora tra liete aspettanze e ricordi

6 calmi, sí come l'aura tra la collina e il mare.

 

 

PIEMONTE

Su le dentate scintillanti vette

salta il camoscio, tuona la valanga

da' ghiacci immani rotolando per le

4 selve scroscianti:

ma da i silenzi de l'effuso azzurro

esce nel sole l'aquila, e distende

in tarde ruote digradanti il nero

8 volo solenne.

Salve, Piemonte! A te con melodia

mesta da lungi risonante, come

gli epici canti del tuo popol bravo,

12 scendono i fiumi.

Scendon pieni, rapidi, gagliardi,

come i tuoi cento battaglioni, e a valle

cercan le deste a ragionar di gloria

16 ville e cittadi:

la vecchia Aosta di cesaree mura

ammantellata, che nel varco alpino

èleva sopra i barbari manieri

20 l'arco di Augusto:

Ivrea la bella che le rosse torri

specchia sognando a la cerulea Dora

nel largo seno, fosca intorno è l'ombra

24 di re Arduino:

Biella tra 'l monte e il verdeggiar de' piani

lieta guardante l'ubere convalle,

ch'armi ed aratri e a l'opera fumanti

28 camini ostenta:

Cuneo possente e pazïente, e al vago

declivio il dolce Mondoví ridente,

e l'esultante di castella e vigne

32 suol d'Aleramo;

e da Superga nel festante coro

de le grandi Alpi la regal Torino

incoronata di vittoria, ed Asti

36 repubblicana.

Fiere di strage gotica e de l'ira

di Federico, dal sonante fiume

ella, o Piemonte, ti donava il carme

40 novo d'Alfieri.

Venne quel grande, come il grande augello

ond'ebbe nome; e a l'umile paese

sopra volando, fulvo, irrequïeto,

44 - Italia, Italia -

egli gridava a' dissueti orecchi,

a i pigri cuori, a gli animi giacenti:

- Italia, Italia - rispondeano l'urne

48 d'Arquà e Ravenna:

e sotto il volo scricchiolaron l'ossa

sé ricercanti lungo il cimitero

de la fatal penisola a vestirsi

52 d'ira e di ferro.

- Italia, Italia! - E il popolo de' morti

surse cantando a chiedere la guerra;

e un re a la morte nel pallor del viso

56 sacro e nel cuore

trasse la spada. Oh anno de' portenti,

oh primavera de la patria, oh giorni,

ultimi giorni del fiorente maggio,

60 oh trionfante

suon de la prima italica vittoria

che mi percosse il cuor fanciullo! Ond'io

vate d'Italia a la stagion piú bella,

64 in grige chiome

oggi ti canto, o re de' miei verd'anni,

re per tant'anni bestemmiato e pianto,

che via passasti con la spada in pugno

68 ed il cilicio

al cristian petto, italo Amleto. Sotto

il ferro e il fuoco del Piemonte, sotto

di Cuneo 'l nerbo e l'impeto d'Aosta

72 sparve il nemico.

Languido il tuon de l'ultimo cannone

dietro la fuga austriaca moría:

il re a cavallo discendeva contra

76 il sol cadente:

a gli accorrenti cavalieri in mezzo,

di fumo e polve e di vittoria allegri,

trasse, ed, un foglio dispiegato, disse

80 resa Peschiera.

Oh qual da i petti, memori de gli avi,

alte ondeggiando le sabaude insegne,

surse fremente un solo grido: Viva

84 il re d'Italia!

Arse di gloria, rossa nel tramonto,

l'ampia distesa del lombardo piano;

palpitò il lago di Virgilio, come

88 velo di sposa

che s'apre al bacio del promesso amore:

pallido, dritto su l'arcione, immoto,

gli occhi fissava il re: vedeva l'ombra

92 del Trocadero.

E lo aspettava la brumal Novara

e a' tristi errori mèta ultima Oporto.

Oh sola e cheta in mezzo de' castagni

96 villa del Douro,

che in faccia il grande Atlantico sonante

a i lati ha il fiume fresco di camelie,

e albergò ne la indifferente calma

100 tanto dolore!

Sfaceasi; e nel crepuscolo de i sensi

tra le due vite al re davanti corse

una miranda visïon: di Nizza

104 il marinaro

biondo che dal Gianicolo spronava

contro l'oltraggio gallico: d'intorno

splendeagli, fiamma di piropo al sole,

108 l'italo sangue.

Su gli occhi spenti scese al re una stilla,

lenta errò l'ombra d'un sorriso. Allora

venne da l'alto un vol di spirti, e cinse

112 del re la morte.

Innanzi a tutti, o nobile Piemonte,

quei che a Sfacteria dorme e in Alessandria

diè a l'aure primo il tricolor, Santorre

116 di Santarosa.

E tutti insieme a Dio scortaron l'alma

di Carl'Alberto. - Eccoti il re, Signore,

che ne disperse, il re che ne percosse.

120 Ora, o Signore,

anch'egli è morto, come noi morimmo,

Dio, per l'Italia. Rendine la patria.

A i morti, a i vivi, pe 'l fumante sangue

124 da tutt'i campi,

per il dolore che le regge agguaglia

a le capanne, per la gloria, Dio,

che fu ne gli anni, pe 'l martirio, Dio,

128 che è ne l'ora,

a quella polve eroica fremente,

a quella luce angelica esultante,

rendi la patria, Dio; rendi l'Italia

132 a gl'italiani.

 

 

AD ANNIE

Batto a la chiusa imposta con un ramicello di fiori

2 glauchi ed azzurri, come i tuoi occhi, o Annie.

Vedi: il sole co 'l riso d'un tremulo raggio ha baciato

4 la nube, e ha detto - Nuvola bianca, t'apri.

Senti: il vento de l'alpe con fresco susurro saluta

6 la vela, e dice - Candida vela, vai.

Mira: l'augel discende da l'umido cielo su 'l pésco

8 in fiore, e trilla - Vermiglia pianta, odora.

Scende da' miei pensieri l'eterna dea poesia

10 su 'l cuore, e grida - O vecchio cuore, batti.

E docile il cuore ne' tuoi grandi occhi di fata

12 s'affisa, e chiama - Dolce fanciulla, canta.

 

 

A C. C.

MANDANDOGLI POEMI DI BYRON

Carlo, su 'l risonante adrïaco lido

A te viensene Aroldo il bel cantore;

Non quale ei drappeggiò con riso infido

4 Nel mantello di pari il suo dolore,

Ma quel raggiante di fatal valore

Surse d'un popol combattente al grido

Quando pensò raddur d'Alceo co 'l cuore

8 L'aquila d'Alessandro al greco nido.

Quanti su quella bianca anglica fronte

Sogni passâr di gloria! Da l'Egeo

11 Sorridevan le sparse isole belle.

Ahi la Parca volò! Di monte in monte

Pianse la lira de l'antico Orfeo

14 E tramontaro in buio mar le stelle.

 

 

BICOCCA DI SAN GIACOMO

Ecco il ridotto. Ancor non ha l'aratro

raso dal suolo l'opera di guerra.

Ecco le linee del tonante vallo

4 e le trincee.

Contra il nemico brulicante al piano

e lampeggiante da le valli in faccia

qui puntò Colli rapido mirando

8 le batterie.

Ecco le offese del nemico bronzo

ne la chiesetta, già sonante in coro

d'umili donne al vespero d'aprile

12 le litanie.

Dimani, Italia, passeran da l'Alpi

prodi seimili in faccia al re levando

l'armi e i ridenti in giovine baldanza

16 vólti riarsi.

Voi non vedrete, voi non sentirete,

prodi sepolti in queste verdi zolle,

quando tra questi clivi ruinava

20 la monarchia,

che Filiberto dirizzò, che sciolse

come polledra a l'aure annitrïente

via per l'Europa al corso il cuor di Carlo

24 Emmanuele.

Nobil teatro a l'inclita ruina

questo d'intorno. Sopra monti e valli

e su' vaganti in lucidi meandri

28 fiumi e torrenti

passa l'istoria, operatrice eterna,

tela tessendo di sventure e glorie;

uman pensiero a' novi casi audace

32 romperla creda.

E tuttavia silenzïosa fati

novi aggroppando ne la trama antica

tesse e ritesse l'ardua tessitrice

36 fra l'alpi e il mare.

Rapida va de' secoli la spola.

Addio, tra i sparsi Liguri romano

termine Ceva e nuova d'Aleramo

40 forza feudale!

Oh, pria ch'Alasia al giovine lombardo

gli occhi volgesse innamoratamente

ceruli e a lui sciogliesse de la chioma

44 l'oro fluente,

povera vita e ricco amor chiedendo

a la spelonca d'Àrdena, lasciate

lungi le selve di Germania e il padre

48 imperatore,

là da quel varco, onde sfidando vibra

l'esile torre il Castellino, urlando

arabe torme dilagâr fin dove

52 Genova splende.

Sotto il falcato vol de le fischianti

al sol di maggio scimitarre azzurre

croci di Cristo ed aquile di Roma

56 cadean: le donne

tendono in vano a l'are di Maria

Vergin le mani, pallide, discinte,

via trascinate pe' capelli a' molti

60 letti de l'Islam.

Ma s'apre a i venti su per le castella

vigili lungo le selvose Langhe

la fida a Cristo e Cesare balzana

64 di Monferrato.

Nata d'amore e di valor cresciuta,

gente di pugne e di canzoni amica,

di lance e scudi infranti alta sonando

68 la sirventese,

deh come sparve luminosa, il cielo

consparso intorno di vermiglie stelle,

imperïal meteora d'Italia

72 in Orïente!

Dietro le vien co 'l Po, con la sua bianca

croce, con gli anni, pur di villa in villa,

dritta, secura, riguardando innanzi,

76 un'altra gente.

Tra ciglia e ciglia sotto le visiere

balena il raggio del latin consiglio.

Quaranta duci; e l'aquila de l'Alpe

80 vola d'avanti.

Oh piú che 'l Po gli aspetta, oh piú che il serto

di Berengario! A lor servon gli eventi

e le disfatte: gli emuli d'un giorno

84 pugnan per loro.

Chi è che cade e pare ascendere ombra

là da le Langhe nuvolose? O grigia

in mezzo a le due Bormide Cosseria,

88 croce di ferro!

Su le ruine del castello avito,

ultimo arnese or di riparo a i vinti

del re, tre giorni, senza vitto, senza

92 artiglieria,

contro al valor repubblicano in cerchio

battente a fiotti di rovente bronzo,

supremo fior de l'alber d'Aleramo,

96 stiè Del Carretto.

Su le ruine del castello avito,

giovine, bello, pallido, senz'ira,

ei maneggiava sopra i salïenti

100 la baionetta.

Scesero al morto cavaliere intorno

da l'erme torri nel ceruleo vespro

l'ombre de gli avi; ma non il compianto

104 de' travadori

ruppe i silenzi de la valle, un giorno

tutta sonante di liuti e gighe

dietro i canori peregrin dal colle

108 di Tenda al mare.

Altri messaggi ed altri messaggeri

manda or la Francia. Ride su l'eterne

nevi de l'Alpi l'iride levata

112 de i tre colori.

Di balza in balza, angel di guerra, vola

la marsigliese. Svegliansi al galoppo

de' cavalieri d'Augereau gli ossami

116 liguri e celti.

E Bonaparte dice a' suoi, da Monte

Zemolo uscendo al Tanaro sonante

- Soldati, Annibal superò quest'Alpi,

120 noi le girammo -.

Di greppo in greppo su 'l cavallo bianco

saetta il còrso. Spiovongli le chiome

in doppia lista nere per l'adusto

124 pallido viso,

e neri gli occhi scintillando immoti

fóran dal fondo del pensier le cose.

Accenna. E come fulmine Massena

128 urta ed inonda,

ove Corsaglia al Tanaro si sposa

dal mezzo fiede Serurier, sinistro

batte Augereau. Gloria a' tuoi forti, o ponte

132 di San Michele!

Avanza sotto il tricolor vessillo

l'egualitade, avanzano i plebei

duci che il sacro feudale impero

136 abbatteranno.

Ma qui si pugna per l'onor, si muore

qui per la patria. E ben risorge e vince

chi per la patria cade ne la santa

140 luce de l'armi.

Reca, Albertina, pur di guardia in guardia

il parvoletto Carignano. In lui

tócca la madre Rivoluzïone

144 per l'avvenire

l'ultimo capo dal vittorïoso

ramo di Carlo Emmanuele. Il serto

gitta oltre Po Vittorio, e dittatore

148 leva la spada.

E a te dimani, Umberto re, in conspetto

l'Alpi d'Italia schierano gli armati

figli a la guerra. Il popolo fidente

152 te guarda e loro.

Noi non vogliamo, o Re, predar le belle

rive straniere e spingere vagante

l'aquila nostra a gli ampi voli avvezza:

156 ma, se la guerra

l'Alpe minacci e su' due mari tuoni,

alto, o fratelli, i cuori! alto le insegne

e le memorie! avanti, avanti, o Italia

160 nuova ed antica.

 

 

LA GUERRA

Cantano i miti - Fuse Prometeo

nel primigenio fango animandolo

la forza d'insano leone:

4 l'uomo levandosi ruggí guerra.

Dal rosso Adamo crebbe a l'esilio

il lavorante primo: soverchio

gli parve nel mondo un fratello:

8 truce rise su 'l percosso Abele.

Quindi gorgoglia sangue ne i secoli

la faticosa storia de gli uomini,

dal Pàrthenon grande a la tua

12 casa candida, Vashingtòno.

Su l'orso a terra steso rizzandosi

il troglodita brandí ne l'aere

la clava, da i muscoli al cuore

16 fervere sentendo la battaglia.

I feri figli giocando al vespero

nel sol rossastro luccicar videro

tra i massi cruenti la selce,

20 e l'acuirono per la strage.

Poi de le cose di fuor le imagini

calde riflesse nel mental fosforo

per mezzo l'april vaporante

24 ebri rapïangli, barcollando,

da i palafitti laghi, da i fumidi

antri scavati. Ahi, verzicarono

le biade, pria magre su 'l colle,

28 nel lavacro de le vene umane.

Dal superato colle i superstiti

guardâro: i fiumi vasti, l'oceano

moltisono, le caliganti

32 alpi percossero di stupore

i petti aneli verso il dominio,

le menti accese del vago incognito.

Il pin fu gettato su l'onde,

36 da i cerchi di pietre in vetta al monte

tornâro i foschi dèi de le patrie,

da i chiusi ostelli le donne risero:

e quindi la guerra perenne,

40 cavalla indomita, corse il mondo.

Pria che 'l falcato ferro de l'arabo

profeta il culto suada a i popoli

de l'unico Allah solitario,

44 e intorno al sepolcro scoverchiato

del crocifisso ribelle a Ieova

arda il duello grave ne' secoli

tra l'Asia e l'Europa, onde fulse

48 a gli ozi barbari luce e vita;

oh ben pria manda l'aurea Persepoli

gli adoratori del fuoco a gl'idoli

contro, onde sonò Maratone

52 inclita storïa ne le genti,

e Zeus su 'l trono de gli Achemenidi,

nume pelasgo d'Omero e Fidia,

ascese co 'l bello Alessandro,

56 ed Aristotele meditava.

Dal Flavio Autari che il longobardico

destriero e l'asta spinge nel Ionio

sereno ridentegli dopo

60 lungo errare armato, al venturiere

che uscito a vista del Grande Oceano

cavalca l'onde nuove terribili

armato di spada e di scudo

64 pe 'l regio imperïo de la Spagna,

una fatale sublime insania

per i deserti, verso gli oceani,

trae gli uomini l'un contro l'altro

68 co' numi, co 'l mistico avvenire,

con la scïenza. Su le Piramidi

il Bonaparte quaranta secoli

ben chiama. Colà dove mummie

72 dormono inutili Faraoni,

al musulmano solenne, al tacito

fellah curvato, tra sfere e circoli,

ei parla i diritti de l'uomo:

76 ondeggiano in alto i tre colori.

Oh, tra le mura che il fratricidio

cementò eterne, pace è vocabolo

mal certo. Dal sangue la Pace

80 solleva candida l'ali. Quando?

 

 

NICOLA PISANO

I.

Al sorriso d'april che da la tarda

Vetrata rompe e illumina la messa

Par che di greca leggiadria riarda

4 Il marmo funeral de la contessa.

Su la divota gente al suol dimessa

La voce va de l'organo gagliarda,

E sorge e tuona e mormora compressa,

8 E il sol dardeggia. E Nicolò riguarda.

Per la dischiusa porta la marina

Vedesi lungi tremolare, invia

11 Odori il vento, l'infiorato china

Mandorlo i rami. E tra la litania

Che invoca e prega, in umiltà divina

14 Da la gloria di Fedra esce Maria.

 

II.

È la chiamata de le afflitte genti

Sotto le spade barbare ne' pianti,

L'aspettata da i popoli redenti

4 Ne i segni a la vittoria sventolanti.

È il fior d'Iesse che vinceva i lenti

Verni semiti, e i petali roranti

Di lacrimosa pietra apre a i portenti

8 Trasfigurato ne gli elleni incanti.

Oh di che mira passïon percossa

Stiè l'alma a lo scultor, quando montare

11 Dal greco avello de le tedesche ossa,

Benigna visïon che tutto ammalia

Il ciel d'intorno, ei vide su l'altare

14 La nova e santa Venere d'Italia!

 

III.

E da le spalle d'Ampelo a l'altare

Traversando fu visto Dïonisio

Maestoso ne l'atto con un riso

4 Di gioia spirital pontificare.

E da le forme di beltà preclare

Il verginal Ippolito diviso

Ecco i pulpiti sale, e dritto e fiso

8 Di sereno vigor simbolo appare.

Poi, quando il coro delle donne a l'ore

Del vespro in alto i canti e gli occhi ergea

11 De gl'incensi tra il morbido vapore,

Col vampeggiar de la mistica idea

Ne i seni a le feconde itale nuore

14 L'eroica bellezza discendea.

 

IV.

Da la foce de l'Arno e de le spente

Città d'Etruria da le sedi or liete

Di primavera, al vento d'orïente,

4 Navi di Pisa, sciogliete, sciogliete.

Come stuolo di cigni in onde chete

Avanti Febo suo signor movente,

Bianche l'azzurro Egeo soavemente,

8 Navi di Pisa, correte, correte.

Vien dal verde paese di Cibele

D'etesie mormoranti aure un conforto

11 Che fuga dietro sé tempo crudele;

E spirito novel di porto in porto

Aleggia e canta da le vostre vele

14 - O terra, o ciel, o mar, Pan è risorto -.

 

 

CADORE

I.

Sei grande. Eterno co 'l sole l'iride

de' tuoi colori consola gli uomini,

sorride natura a l'idea

4 giovin perpetüa ne le tue

forme. Al baleno di quei fantasimi

roseo passante su 'l torvo secolo

posava il tumulto del ferro,

8 ne l'alto guardavano le genti;

e quei che Roma corse e l'Italia,

struggitor freddo, fiammingo cesare,

sé stesso oblïava, i pennelli

12 chino a raccogliere dal tuo piede.

Di': sotto il peso de' marmi austriaci,

in quel de' Frari grigio silenzio,

antico tu dormi? o diffusa

16 anima erri tra i paterni monti,

qui dove il cielo te, fronte olimpia

cui d'alma vita ghirlandò un secolo,

il ciel tra le candide nubi

20 limpido cerulo bacia e ride?

Sei grande. E pure là da quel povero

marmo piú forte mi chiama e i cantici

antichi mi chiede quel baldo

24 viso di giovine disfidante.

Che è che sfidi, divino giovane?

la pugna, il fato, l'irrompente impeto

dei mille contr'uno disfidi,

28 anima eroica, Pietro Calvi.

Deh, fin che Piave pe' verdi baratri

ne la perenne fuga de' secoli

divalli a percuotere l'Adria

32 co' ruderi de le nere selve,

che pini al vecchio San Marco diedero

turriti in guerra giú tra l'Echinadi,

e il sole calante le aguglie

36 tinga a le pallide dolomiti

sí che di rosa nel cheto vespero

le Marmarole care al Vecellio

rifulgan, palagio di sogni,

40 eliso di spiriti e di fate,

sempre, deh, sempre suoni terribile

ne i desideri da le memorie,

o Calvi, il tuo nome; e balzando

44 pallidi i giovini cerchin l'arme.

 

II.

Non te, Cadore, io canto su l'arcade avena che segua

de l'aure e l'acque il murmure:

te con l'eroico verso che segua il tuon de' fucili

48 giú per le valli io celebro.

Oh due di maggio, quando, saltato su 'l limite de la

strada al confine austriaco,

il capitano Calvi - fischiavan le palle d'intorno -

52 biondo, diritto, immobile,

leva in punta a la spada, pur fiso al nemico mirando,

il foglio e 'l patto d'Udine,

e un fazzoletto rosso, segnale di guerra e sterminio,

56 con la sinistra sventola!

Pelmo a l'atto e Antelao da' bianchi nuvoli il capo

grigio ne l'aere sciolgono,

come vecchi giganti che l'elmo chiomato scotendo

60 a la battaglia guardano.

Come scudi d'eroi che splendon nel canto de' vati

a lo stupor de i secoli,

raggianti nel candore, di contro al sol che pe 'l cielo

64 sale, i ghiacciai scintillano.

Sol de le antiche glorie, con quanto ardore tu abbracci

l'alpi ed i fiumi e gli uomini!

tu fra le zolle sotto le nere boscaglie d'abeti

68 visiti i morti e susciti.

- Nati su l'ossa nostre, ferite, figliuoli, ferite

sopra l'eterno barbaro:

da' nevai che di sangue tingemmo crosciate, macigni,

72 valanghe, stritolatelo -.

Tale da monte a monte rimbomba la voce de' morti

che a Rusecco pugnarono;

e via di villa in villa con fremito ogn'ora crescente

76 i venti la diffondono.

Afferran l'armi e a festa i giovani tizïaneschi

scendon cantando Italia:

stanno le donne a' neri veroni di legno fioriti

80 di geranio e garofani.

Pieve che allegra siede tra' colli arridenti e del Piave

ode basso lo strepito.

Auronzo bella al piano stendentesi lunga tra l'acque

84 sotto la fósca Ajàrnola,

e Lorenzago aprica tra i campi declivi che d'alto

la valle in mezzo domina,

e di borgate sparso nascose tra i pini e gli abeti

88 tutto il verde Comelico,

ed altre ville ed altre fra pascoli e selve ridenti

i figli e i padri mandano:

fucili impugnan, lance brandiscono e roncole: i corni

92 de i pastori rintronano.

Di tra gli altari viene l'antica bandiera che a Valle

vide altra fuga austriaca,

e accoglie i prodi: al nuovo sol rugge e a' pericoli novi

96 il vecchio leon veneto.

Udite. Un suon lontano discende, approssima, sale,

corre, cresce, propagasi;

un suon che piange e chiama, che grida, che prega, che infuria,

100 insistente, terribile.

Che è? chiede il nemico venendo a l'abboccamento,

e pur con gli occhi interroga.

- Le campane del popol d'Italïa sono: a la morte

104 vostra o a la nostra suonano -.

Ahi, Pietro Calvi, al piano te poi fra sett'anni la morte

da le fosse di Mantova

rapirà. Tu venisti cercandola, come a la sposa

108 celatamente un esule.

Quale già d'Austria l'armi, tal d'Austria la forca or ei guarda

sereno ed impassibile,

grato a l'ostil giudicio che milite il mandi a la sacra

112 legïon de gli spiriti.

Non mai piú nobil alma, non mai sprigionando lanciasti

a l'avvenir d'Italia,

Belfiore, oscura fossa d'austriache forche, fulgente,

116 Belfiore, ara di màrtiri.

Oh a chi d'Italia nato mai caggia dal core il tuo nome

frutti il talamo adultero

tal che il ributti a calci da i lari aviti nel fango

120 vecchio querulo ignobile!

e a chi la patria nega, nel cuor, nel cervello, nel sangue

sozza una forma brulichi

di suicidio, e da la bocca laida bestemmiatrice

124 un rospo verde palpiti!

 

III.

A te ritorna, sí come l'aquila

nel reluttante dragon sbramatasi

poggiando su l'ali pacate

128 a l'aereo nido torna e al sole,

a te ritorna, Cadore, il cantico

sacro a la patria. Lento nel pallido

candor de la giovine luna

132 stendesi il murmure de gli albeti

da te, carezza lunga su 'l magico

sonno de l'acque. Di biondi parvoli

fioriscono a te le contrade,

136 e da le pendenti rupi il fieno

falcian cantando le fiere vergini

attorte in nere bende la fulvida

chioma; sfavillan di lampi

140 ceruli rapidi gli occhi: mentre

il carrettiere per le precipiti

vie tre cavalli regge ad un carico

di pino da lungi odorante,

144 e al cídolo ferve Perarolo,

e tra le nebbie fumanti a' vertici

tuona la caccia: cade il camoscio

a' colpi sicuri, e il nemico,

148 quando la patria chiama, cade.

Io vo' rapirti, Cadore, l'anima

di Pietro Calvi; per la penisola

io voglio su l'ali del canto

152 aralda mandarla. - Ahi mal ridesta,

ahi non son l'Alpi guancial propizio

a sonni e sogni perfidi, adulteri!

lèvati, finí la gazzarra:

156 lèvati, il marzïo gallo canta! -

Quando su l'Alpi risalga Mario

e guardi al doppio mare Duilio

placato, verremo, o Cadore,

160 l'anima a chiederti del Vecellio.

Nel Campidoglio di spoglie fulgido,

nel Campidoglio di leggi splendido,

ei pinga il trionfo d'Italia,

164 assunta novella tra le genti.

 

 

CARLO GOLDONI

I.

A te, porgente su l'argenteo Sile

Le braccia a l'avo da l'opima cuna,

Ne la festante ilarità senile

4 Parve la vita accorrere con una

Marïonetta in mano. Al sol d'aprile

Te fuggente la logica importuna

Presago accolse il comico navile

8 Veleggiando la tacita laguna.

E Florindi e Lindori e Pantaloni

Fûr la famiglia tua: d'entro i suoi scialli

11 Rosaura ti dicea - Bon dí, putelo -.

Fumavan su la tolda i maccheroni,

Su l'albero le scimmie e i pappagalli

14 Garrían. Su l'Adria ridea grande il cielo.

 

II.

Fortuna e vita girano il lor vario

Stil. Quando Marte del suo ferreo stampo

Italia offusca e al tuon de' bronzi e al lampo

4 Fa di battaglia le città scenario,

Tu, da le mani del ladron sicario

Tragedo uscendo con sereno scampo,

Conduci a mendicar di campo in campo

8 L'eroica cecità di Belisario.

Oh errante con la moglie entro gli oscuri

Guadi e i passi dubbiosi ed i tremanti

11 Perigli de la notte, ecco il mattino!

Dal mondo de la luna ecco Arlecchino

Al brigadier di Spagna, e in note e canti

14 Maria Teresa a gli Ussari e a' Panduri.

 

III.

Ecco, e tra i palchi onde l'oligarchia

Sputa in platea, Venezia, ecco da questo

Povero allegro venturier modesto

4 A te la scena popolar si cria.

La commedia de l'arte si dormia

Ebra vecchiarda; ed ei con un suo gesto

Le spiccò su dal fianco disonesto

8 La giovinetta verità giulía.

Poi tra i Baffi accosciati ne' bordelli

Ed i Farsetti lividi di leggío

11 Da le gondole trasse e da' campielli

La sanità plebea... Tutto vanío

Come uno stormo di migranti augelli

14 Senza gloria né pan. Venezia, addio!

 

IV.

Deh come grige pesano le brume

Su Lutezia che il verno discolora,

Mentre ancor de l'ottobre al dolce lume

4 Ride San Marco ed il Canal s'indora!

Ed ei pur di su 'l memore volume

Al suo passato risorride ancora,

E la vita e la scena ed il costume

8 Di cordïal giocondità rinfiora.

Ahi, la tragedia, orribil visïone,

Al gran comico autor chiude l'etate!

11 Cadde: e Venezia non vide finire

Piagnucolando comme donna Cate,

E di palagio, come Pantalone

14 Dal reo Lelio cacciato, il doge uscire.

 

 

A SCANDIANO

De la pronta stagion ne i dí piú tardi

Che le rose sfioriro e i laüreti,

Quando cavalleria cinge i codardi

4 E al valor civiltà mette divieti,

A te, Scandian, faro gentil che ardi

Ne l'immensa al pensiero epica Teti,

O rocca de' Fogliani e de' Boiardi,

8 Terra di sapïenti e di poeti,

Io vengo: a tergo mi lasciai la grama

Che il mondo dice poesia, lasciai

11 I deliri a cui par che dietro agogni

L'età malata. Io sento che mi chiama

De' secoli la voce, e risognai

14 La verità dei grandi antichi sogni.

 

 

ALLA FIGLIA DI FRANCESCO CRISPI

X GENNAIO MDCCCXCV

Ma non sotto la stridula

Procella d'onte che non fûr piú mai,

Ma non, sicana vergine,

4 Tu la splendida fronte abbasserai.

Pria che su rosea traccia

Amor ti chiami, innalza, o bella figlia,

Innalza al padre in faccia

8 Gli occhi sereni e le stellanti ciglia.

Ei nel dolce monile

De le tue braccia al bianco capo intorno

Scordi il momento vile

12 E de la patria il tenebroso giorno.

Ne l'amoroso e pio folgoreggiare

De gli occhi il lui levati

L'ampio riso rivegga ei del suo mare

16 Ne' dí pieni di fati;

Quando, novello Procida,

E piú vero e migliore, innanzi e indietro

Arava ei l'onda sicula:

20 Silenzio intorno, a lui su 'l capo il tetro

De le borbonie scuri

Balenar ne i crepuscoli fiammanti;

In cuore i dí futuri,

24 Garibaldi e l'Italia: avanti, avanti!

O isola del sole,

O isola d'eroi madre, Sicilia,

Fausta accogli la prole

28 Di lui che la tirannica vigilia

T'accorciò. Seco venga a' lidi tuoi

Fe' d'opre alte e leggiadre,

O isola del sole, o tu d'eroi

32 Sicilia antica madre.

 

 

ALLA CITTÀ DI FERRARA

NEL XXV APRILE DEL MDCCCXCV

I.

Ferrara, su le strade che Ercole primo lanciava

ad incontrar le Muse pellegrine arrivanti,

e allinearon elle gli emuli viali d'ottave

4 storïando la tomba di Merlino profeta,

come, o Ferrara, bello ne la splendida ora d'aprile

ama il memore sole tua solitaria pace!

Non passo i luminosi misteri vïola né voce

8 d'uomo: da i suburbani pioppi il tripudio corre

de gli uccelli su l'aura del pian lungi florido. Come

ne le scendenti spire de la conchiglia un'eco

d'antichi pianti, un suono di lungo sospiro profondo

12 dal grande oceano ond'ella strappata fu, permane;

cosí per le tue piazze dilette dal sole, o Ferrara,

il nuovo peregrino tende le orecchie e ode

da' marmorei palagi su 'l Po discendere lenta

16 processïone e canto d'un fantastico epos.

Chi è, chi è che viene? Con piangere dolce di flauti,

tra nuvola di cigni volanti da l'Eridano,

ecco il Tasso. Lampeggia, palazzo spirtal de' dïamanti,

20 e tu, fatta ad accôrre sol poeti e duchesse,

o porta de' Sacrati, sorridi nel florido arco!

d'Italia grande, antica, l'ultimo vate viene.

Ei fugge i colli dove monacale tedio il consunse,

24 ei chiede i luoghi dove gioventú gli sorrise.

Castello d'Este, in vano d'arpie vaticane fedato,

abbassa i ponti, leva l'aquila bianca. Ei torna.

Non Alfonso caduco gli mova a l'incontro, non mova

28 Leonora, matura vergine senz'amore;

ma Parisina ardente dal sangue natal di Francesca,

che del vago Tristano legge gli amori e l'armi;

ma, posando la destra su 'l fido levrier, Leonello

32 verde vestito; parla di Cesare al Guarino.

 

II.

O dileguanti via su la marina

tra grigie arene e fise acque di stagni,

cui scarsa omai la quercia ombreggia e rado

36 il cignal fruga,

terre pensose in torvo aëre greve,

su cui perenne aleggia il mito e cova

leggende e canta a i secoli querele,

40 ditemi dove

rovescio, il crin spiovendogli, dal sole

mal carreggiato (e candide tendea

al mareggiante Eridano le braccia)

44 cadde Fetonte

ardendo, come per sereno cielo

stella volante che di lume un solco

traesi dietro: chiamano, ed in alto

48 miran le genti.

Ov'è che prone su 'l fratel piangendo

l'Eliadi suore lacrimâr l'elettro,

e crebber pioppe, sibilando a' venti

52 sciolte le chiome?

Ov'è che a lutto del fanciullo amato

lai lungi il re de' Liguri levando

tra le populee meste fronde e l'ombra

56 de le sorelle

vecchiezza indusse di canute piume,

e abbandonata la dogliosa terra

seguí le belle sorridenti in cielo

60 stelle co 'l canto?

Perpetuo quindi un gemito vagava

su la tristezza di Padusa immota

ne le fósche acque. I Liguri selvaggi

64 spingean le cimbe

lungo ululando in negre vesti, o sopra

i calvi dossi a l'isole emergenti

in solchi per il desolato lago

68 sedean cantando

lugubremente dove Argenta siede

oggi. Né ancora Dïomede avea

di delfic'oro e argivo onor vestita

72 d'Adria reina

Spina pelasga. Ahi nome vano or suona!

Sparí, del vespro visïone, in faccia

a la sorgente con in man la croce

76 ferrea Ferrara.

Salve, Ferrara! Dove stan le belle

torri d'Ateste e case d'Arïosti

eran paludi, e i Língoni coloni

80 davan le reti

al mare incerto e combattean la preda,

quando campati innanzi la ruina

del latrante Unno i Veneti e dal Fòro

84 giulio i Romani,

sí come i Liguri avi da le belve

ne le disperse stazïon lacustri,

qui confuggiro e ripararon l'alto

88 seme di Roma.

Salve, Ferrara, co 'l tuo fato in pugno

ultima nata, creatura nova

de l'Apennin, del Po, del faticoso

92 dolore umano!

Poi che di sangue vínilo rinfusa

pugne cercando e libertà, trovasti

risse e tiranni, a l'orïente - O bianca

96 aquila, vieni! -

chiamasti. E venne. Ah ponte di Cassano,

ah rive d'Adda, quanto grido corse

l'aure lombarde, allor che su 'l furore

100 d'Ezzelin domo

ringuainando placido la spada

Azzo Novello salutò con mano

la sventolante rossa croce per le

104 itale insegne!

D'allora un lume d'epopea corona

l'aquila d'Este; e quando ne le sale

le marchesane udian Isotta e i fieri

108 giovani Orlando,

un mesto suon di rapsodia veniva

giú d'Aquileia dal disfatto piano,

venía co 'l Po, cantatagli da' flutti

112 d'Ocno e di Manto,

l'itala antica melodia di Maro;

e le vïole de' trovieri a un tratto

tacean; la dama sospirava, in alto

116 guardava il sire.

E a te, Ferrara, come già d'alpestre

sostanza i fiumi ti recâr tributo,

onde tu stesti nel gran piano e saldo

120 crebbe San Giorgio,

a te da i monti a te da le colline

d'Italia verdi profluí l'ingegno

e la bollente d'igneo vigore

124 materia umana.

A te gli Strozzi vennero da l'Arno

tósco parlando e ti cantâr latina;

e gli Arïosti da Bologna, accorta

128 gente di guerra

e di faccenda, che a stupor del mondo

diêr la sirena del volubil tono;

venne da Reggio la diletta a Febo

132 gente Boiarda;

e da gli Euganei vennero pensosi

Savonaroli, e da Verona bella,

la diva Grecia rivelando, umíle

136 venne il Guarino.

Onde stagione fu di gloria, e corse

con il tuo fiume, o fetontea Ferrara,

ampio, seren, perpetuo, sonsnte,

140 l'italo canto.

 

III.

Ahi ahi l'ora nefanda! Dal Tebro fiutando la preda

la lupa vaticana s'abbatte su l'Eridano.

De la bocca agognante con l'atra mefite ella fuga

144 turbato l'usignolo tra gli allori cantando.

D'Armida e di Rinaldo cantava: cantava Clorinda

con l'elmo e l'auree trecce, ed Erminia soave.

Salgono su per l'aere dal canto le imagini: bionde

148 malïarde sorprese dal lusingato amore:

vergini sospirose, che timide i ceruli sguardi

giran, chinando il viso pallido di desio.

Tutte fuggîr le belle davanti a la lupa, che tetra

152 digrigna i bianchi denti, mette ululati e avanza.

Tutti su' grandi scudi velaro i guerrieri le croci,

e dileguâr fantasmi per le insorte tenèbre.

La lupa, con un guizzo del rabido artiglio la bianca

156 aquila ghermí al petto, la strazïò ne l'ale.

Maledetta sie tu, maledetta sempre, dovunque

gentilezza fiorisce, nobiltade apre il volo,

sii maledetta, o vecchia vaticana lupa cruenta,

160 maledetta da Dante, maledetta pe 'l Tasso.

Tu lo spegnesti, tu; malata l'Italia traesti

co 'l suo poeta a l'ombra perfida de' cenobii.

Pallido, grigio, curvo, barcollante, al braccio il sostiene

164 un alto prete rosso di porpora e salute.

O Garibaldi, vieni! L'espïazïone d'Italia

con la virtú d'Italia su questo colle adduci.

Corra nobile sangue d'Arganti e Tancredi novelli

168 risorti da Camillo per la Solima nostra.

Che Sant'Onofrio? È questa la vetta superba di Giano,

fortezza de' Quiriti, cuna santa d'Italia:

onde io, Ferrara, madre de l'itale muse seconda,

172 questo vindice canto su 'l nostro Po t'invio.

 

 

MEZZOGIORNO ALPINO

Nel gran cerchio de l'alpi, su 'l granito

Squallido e scialbo, su' ghiacciai candenti,

Regna sereno intenso ed infinito

4 Nol suo grande silenzio il mezzodí.

Pini ed abeti senza aura di venti

Si drizzano nel sol che gli penetra,

Sola garrisce in picciol suon di cetra

8 L'acqua che tenue tra i sassi fluí.

 

 

L'OSTESSA DI GABY

E verde e fosca l'alpe e limpido e fresco è il mattino,

e traverso gli abeti tremola d'oro il sole.

Cantan gli uccelli a prova, stormiscono le cascatelle,

4 precipita la scesa nel vallone di Niel.

Ecco le bianche case. La giovine ostessa a la soglia

ride, saluta e mesce lo scintillante vino.

Per le fórre de l'alpe trasvolan figure ch'io vidi

8 certo nel sogno d'una canzon d'arme e d'amori.

 

 

ESEQUIE DELLA GUIDA E. R.

Spezzato il pugno che vibrò l'audace

Picca tra ghiaccio e ghiaccio, il domatore

3 De la montagna ne la bara giace.

Giú da la Saxe in funeral tenore

Scende e canta il corteo: dicono i preti

6 - La requie eterna dona a lui, Signore -,

- E la luce perpetua l'allieti -

Rispondono le donne: ondeggia al vento

9 Il vessil de la morte in fra gli abeti.

Or sí or no su rotte aure il lamento

Vien dal martorio, or sí or no si vede

12 Scender tra' boschi il coro grave e lento.

Esce in aperto, e al cimiter procede.

Posta la bara fra le croci, pria

15 Favella il prete: - Iddio t'abbia marcede,

Emilio, re della montagna: e pia

Avei l'alma, e ogni dí le tue preghiere

18 Ascendevano al grembo di Maria -.

Le donne sotto le gramaglie nere

Co 'l viso in terra piangono a una volta

21 Sopra i figli caduti e da cadere.

A un tratto la caligine ravvolta

Intorno al Montebianco ecco si squaglia

24 E purga nel sereno aere disciolta:

Via tra lo sdrucio de la nuvolaglia

Erto, aguzzo, feroce si protende

27 E, mentre il ciel di sua minaccia taglia,

Il Dente del gigante al sol risplende.

 

 

LA MOGLIE DEL GIGANTE

IL NETTUNO

Bianchi verni, estati ardenti,

Quante mai pesâr su me!

Trapassar maree di genti

4 Vidi e nuvole di re.

Bella mia, dal fondo algoso

Del mar nostro vieni su!

In te vuole il suo riposo

8 La mia bronzea gioventú.

 

LA SIRENA

Dal confin che il sol rallegra

Qual mai voce risonò?

Di quast'acque immense l'egra

12 Solitudin lascerò.

O tu azzurro il crine e il dosso

Bel cavallo, a me, a me!

Vo' vedere il sole rosso

16 E la faccia del mio re.

 

IL NETTUNO

Il mio petto si confonde

Di lassezza e di desir.

Bella mia, per le glauche onde

20 Non ti sento anche salir?

Bella mia, quando in ciel dorme

La caligine lunar

Ne la veglia de le forme

24 Ci vogliamo disposar.

 

LA SIRENA

Ahi, mio re! l'informe eterno

Demogorgone non vuol,

E la tenebra d'inferno

28 Mi sorprende in faccia al sol.

Ahi, mio re! la tua carezza

Chiedo in van, son tratta giú;

E fu in van la mia bellezza

32 Com'è in van la tua virtú.

 

 

PER IL MONUMENTO DI DANTE A TRENTO

XIII SETT. MCCCXXI

Súbito scosso de le membra sue

Lo spirito volò: sovr'esso il mare,

3 Oltre la terra, al sacro monte fue.

A traverso il baglior crepuscolare

Vide, o gli parve riveder, la porta

6 Di san Pietro nel monte vaneggiare.

- Aprite - disse. - Coscïenza porta

Il mio volere, e tra i superbi io vegno,

9 Ben che la stanza mia qui sarà corta.

E passerò nel benedetto regno

A riveder le note forme sante,

12 Ché Dio e il canto mio me ne fa degno -.

Voce da l'alto gli rispose - Dante,

Ció che vedesti fu e non è: vanío

15 Con la tua visïon, mondo raggiante

Ne gl'inni umani de la vostra Clio:

Dal profondo universo unico regna

18 E solitario sopra i fati Dio.

Italia Dio in tua balía consegna

Sí che tu vegli spirito su lei

21 Mentre perfezïon di tempi vegna.

Va', batti, caccia tutti falsi dèi,

Fin ch'egli seco ti richiami in alto

24 A ciò che novo paradiso crei -.

Cosí di tempi e genti in vario assalto

Dante si spazia da ben cinquecento

27 Anni de l'Alpi sul tremendo spalto.

Ed or s'è fermo, e par ch'aspetti, a Trento.

 

 

LA MIETITURA DEL TURCO

Atene, 14 giugno - I turchi incominciarono

a mietere in Tessaglia e continuano a

saccheggiare. (Disp. telegr.)

Il Turco miete. Eran le teste armene

Che ier cadean sotto il ricurvo acciar:

Ei le offeriva boccheggianti e oscene

4 A i pianti de l'Europa a imbalsamar.

Il Turco miete. In sangue la Tessaglia

Ch'ei non arava or or gli biondeggiò:

- Aia - diss'ei - m'è il campo di battaglia,

8 E frustando i giaurri io trebbierò -.

Il Turco miete. E al morbido tiranno

Manda il fior de l'elleniche beltà.

I monarchi di Cristo assisteranno

12 Bianchi eunuchi a l'arèm del Padiscià.

 

 

LA CHIESA DI POLENTA

Agile e solo vien di colle in colle

quasi accennando l'ardüo cipresso.

Forse Francesca temprò qui li ardenti

4 occhi al sorriso?

Sta l'erta rupe, e non minaccia: in alto

guarda, e ripensa, il barcaiol, torcendo

l'ala de' remi in fretta dal notturno

8 Adrïa: sopra

fuma il comignol del villan, che giallo

mesce frumento nel fervente rame

là dove torva l'aquila del vecchio

12 Guido covava.

Ombra d'un fiore è la beltà, su cui

bianca farfalla poesia volteggia:

eco di tromba che si perde a valle

16 è la potenza.

Fuga di tempi e barbari silenzi

vince e dal flutto de le cose emerge

sola, di luce a' secoli affluenti

20 faro, l'idea.

Ecco la chiesa. E surse ella che ignoti

servi morian tra le romana plebe

quei che fûr poscia i Polentani e Dante

24 fecegli eterni.

Forse qui Dante inginocchiossi? L'alta

fronte che Dio miró da presso chiusa

entro le palme, ei lacrimava il suo

28 bel San Giovanni;

e folgorante il sol rompea da' vasti

boschi su 'l mar. Del profugo a la mente

ospiti batton lucidi fantasmi

32 dal paradiso:

mentre, dal giro de' brevi archi l'ala

candida schiusa verso l'orïente,

giubila il salmo In exitu cantando

36 Israel de Aegypto.

Itala gente da le molte vite,

dove che albeggi la tua notte e un'ombra

vagoli spersa de' vecchi anni, vedi

40 ivi il poeta.

Ma su' dischiusi tumuli per quelle

chiese prostesi in grigio sago i padri,

sparsi di turpe cenere le chiome

44 nere fluenti

al bizantino crocefisso, atroce

ne gli occhi bianchi livida magrezza,

chieser mercé de l'alta stirpe e de la

48 gloria di Roma.

Da i capitelli orride forme intruse

a le memorie di scapelli argivi,

sogni efferati e spasimi del bieco

52 settentrïone,

imbestïati degeneramenti

de l'orïente, al guizzo de la fioca

lampada, in turpe abbracciamento attorti,

56 zolfo ed inferno

goffi sputavan su la prosternata

gregge: di dietro al battistero un fulvo

picciol cornuto diavolo guardava

60 e subsannava.

Fuori stridea per monti e piani il verno

de la barbarie. Rapido saetta

nero vascello, con i venti e un dio

64 ch'ulula a poppa,

fuoco saetta ed il furor d'Odino

su le arridenti di due mari a specchio

moli e cittadi a Enosigeo le braccia

68 bianche porgenti.

Ahi, ahi! Procella d'ispide polledre

àvare ed unne e cavalier tremendi

sfilano: dietro spigolando allegra

72 ride la morte.

Gesù, Gesù! Spalancano la terra

bocca i sepolcri: a' venti a' nembi al sole

piangono rese anch'esse de' beati

76 màrtiri l'ossa.

E quel che avanza il Vínilo barbuto,

ridiscendendo da i castelli immuni,

sparte - reliquie, cenere, deserto -

80 con l'alabarda.

Schiavi percossi e dispogliati, a voi

oggi la chiesa, patria, casa, tomba,

unica avanza: qui dimenticate,

84 qui non vedete.

E qui percossi e dispogliati anch'essi

i percussori e spogliatori un giorno

vengano. Come ne la spumeggiante

88 vendemmia il tino

ferve, e de' colli italici la bianca

uva e la nera calpestata e franta

sé disfacendo il forte e redolente

92 vino matura;

qui, nel conspetto a Dio vendicatore

e perdonante, vincitori e vinti,

quei che al Signor pacificò, pregando,

96 Teodolinda,

quei che Gregorio invidïava a' servi

ceppi tonando nel tuo verbo, o Roma,

memore forza e amor novo spiranti

100 fanno il Comune.

Salve, affacciata al tuo balcon di poggi

tra Bertinoro alto ridente e il dolce

pian cui sovrasta fino al mar Cesena

104 donna di prodi,

salve, chiesetta del mio canto! A questa

madre vegliarda, o tu rinnovellata

itala gente da le molte vite

108 rendi la voce

de la preghiera: la campana squilli

ammonitrice: il campanil risorto

canti di clivo in clivo a la campagna

112 Ave Maria.

Ave Maria! Quando su l'aure corre

l'umil saluto, i piccioli mortali

scovrono il capo, curvano la fronte

116 Dante ed Aroldo.

Una di flauti lenta melodia

passa invisibil fra la terra e il cielo:

spiriti forse che furon, che sono

120 e che saranno?

Un oblio lene de la faticosa

vita, un pensoso sospirar quïete,

una soave volontà di pianto

124 l'anima invade.

Taccion le fiere e gli uomini e le cose,

roseo 'l tramonto ne l'azzurro sfuma,

mormoran gli alti vertici ondeggianti

128 Ave Maria.

 

 

SABATO SANTO

PER IL NATALIZIO DI M. G.

Che giovinezza nova, che lucidi giorni di gioia

per la cerula effusa chiarità de l'aprile

cantano le campane con onde e volate di suoni

4 da la città su' poggi lontanamente verdi!

Da i superati inferni, redimito il crin di vittoria,

candido, radïante, Cristo risorge al cielo:

svolgesi da l'inverno il novello anno, e al suo fiore

8 già in presagio la messe già la vendemmia ride.

Ospite nova al mondo, son oggi vent'anni, Maria,

tu t'affacciasti; e i primi tuoi vagiti coverse

doppio il suon de le sciolte campane sonanti a la gloria:

12 ora e tu ne la gloria de l'età bella stai,

stai com'uno di questi arboscelli schietti d'aprile

che a l'aura dolce danno il bianco roseo fiore.

Volgasi intorno al capo tuo giovin, deh, l'augure suono

16 de le campane anch'oggi di primavera e pasqua!

cacci il verno ed il freddo, cacci l'odio tristo e l'accidia,

18 cacci tutte le forme de la discorde vita!

 

 

IN RIVA AL LYS

A S. F.

A piè del monte la cui neve è rosa

In su 'l mattino candido e vermiglio,

Lucida, fresca, lieve, armonïosa

4 Traversa un'acqua ed ha nome dal giglio.

Io qui seggo, Ferrari, e la famosa

Riva d'Arno ripenso e il tuo consiglio;

E di por via la piccioletta prosa

8 E altamente cantar partito piglio.

Ma il Lys m'avvisa - Al nulla si confonde

Questo mio canto, e non se ne rammarca;

11 Pur di tanto maggior vena s'effonde -.

Ond'io, la fronte di superbia scarca,

Torno al mio cuore; e a' monti a l'aure a l'onde

14 Ridico la canzon del tuo Petrarca.

 

 

ELEGIA DEL MONTE SPLUGA

No, forme non eran d'aer colorato né piante

garrule e mosse al vento: ninfe eran tutte e dee.

E quale iva salendo volubile e cerula come

4 velata emerse Teti da l'Egeo grande a Giove:

e qual balzava da la palpitante scorza de' pini

rosea, l'agil donando florida chioma a l'aure:

e qual da la cintura d'in cima a' ghiacci dïasprati

8 sciogliea, nastri d'argento, le cascatelle allegre.

Sola in vett'a un gran masso di quarzo brillante al meriggio

in disparte sedevi, Loreley pellegrina:

solcavi l'aurea chioma con l'aureo pettine, lunga

12 la chioma iva per l'alpe, vi ridea dentro il sole.

In un tempio a larghe ombre di larici acuti le Fate

stavan, occhi fiammanti ne la gemma de' visi:

serti di quercia al crine su le nere clamidi nero,

16 scettri avean d'oro in mano: riguardavano me.

- Orco umano, che sali da' piani fumanti di tedio,

noi la ti demmo: aveva gli occhi color del mare.

Or tu ne vieni solo. Che festi di nostra sorella?

20 l'hai divorata? - E fise riguardavan pur me.

- No, temibili Fate, no, soavi ninfe, lo giuro:

ella è volata fuori de la veduta mia.

Ma la sua forma vive, ma palpita l'alma sua vita

24 ne le mie vene, in cima de la mia mente siede.

Con la imagine sua dinanzi da gli occhi tuttora

che mi arde, con la voce che dentro il cor mi ammalia,

suono di primavera su 'l tepido aprile dormente,

28 erro soletto il mondo, tutto di lei l'impronto.

Ecco, voi Fate e ninfe, paretemi, e siete, lei sola:

anzi in mia visïone v'ho creato io di lei.

Ma ella dove esiste? - Lamenti scoppiarono, e via

32 sparver le ninfe in aria, via sotterra le Fate.

E vidi su gli abeti danzar li scoiattoli, e udii

sprigionate co' musi le marmotte fischiare.

E mi trovai soletta là dove perdevasi un piano

36 brullo tra calve rupi: quasi un anfiteatro

ove elementi un giorno lottarono e secoli. Or tace

tutto: da' pigri stagni pigro si svolve un fiume:

erran cavalli magri su le magre acque: aconito,

40 perfido azzurro fiore, veste la grigia riva.

 

 

SANT'ABBONDIO

Nitido il cielo come in adamante

D'un lume del di là trasfuso fosse,

Scintillan le nevate alpi in sembiante

4 D'anime umane da l'amor percosse.

Sale da i casolari il fumo ondante

Bianco e turchino fra le piante mosse

Da lieve aura: il Madesimo cascante

8 Passa tra gli smeraldi. In vesti rosse

Traggono le alpigiane, Abbondio santo,

A la tua festa: ed è mite e giocondo

11 Di lor, del fiume e de gli abeti il canto.

Laggiú che ride de la valle in fondo?

Pace, mio cuor; pace, mio cuore. Oh tanto

14 Breve la vita ed è sí bello il mondo!

 

 

ALLE VALCHIRIE

PER I FUNERALI DI ELISABETTA IMPERATRICE REGINA

Bionde Valchirie, a voi diletta sferzar de' cavalli,

sovra i nembi natando, l'erte criniere al cielo.

Via dal lutto uniforme, dal piangere lento de i cherchi

4 rapite or voi, volanti, di Wittelsbach la donna.

Ahi quanto fato grava su l'alta tua casa crollante,

su la tua bianca testa quanto dolore, Absburgo!

Pace, o veglianti ne la caligin di Mantova e Arad

8 ombre, ed o scarmigliati fantasimi di donne!

Via, Valchirie, con voi la bionda qual voi di cavalli

agitatrice a riva piú cortese! là dove

sotto Corcira bella l'azzurro Jonio sospira

12 con suo ritmo pensoso verso gli aranci in fiore.

Sorge la bianca luna da' monti d'Epiro ed allunga

sino a Leuca la face tremolante su 'l mare.

Ivi l'aspetta Achille. Tergete, Valchirie, tergete

16 dal nobil petto l'orma del pugnale villano;

e tergete da l'alma, voi pie sanatrici divine,

il sogno spaventoso, lugubre, de l'impero,

Sveglisi ne' freschi anni la pura vindelica rosa

20 a un dolce accordo novo di tinnïenti cetre.

Qual piú soave mai, la musa di Heine risuona:

che da l'erma risponde Leucade, sospirando?

Tien la spirtale riva un'altra serena quïete

24 come d'elisio sotto la graziosa luna.

 

 

PRESSO UNA CERTOSA

Da quel verde, mestamente pertinace tra le foglie

Gialle e rosse de l'acacia, senza vento una si toglie:

E con fremito leggero

4 Par che passi un'anima.

Velo argenteo par la nebbia su 'l ruscello che gorgoglia,

Tra la nebbia ne 'l ruscello cade a perdersi la foglia.

Che sospira il cimitero,

8 Da' cipressi, fievole?

Improvviso rompe il sole sopra l'umido mattino,

Navigando tra le bianche nubi l'aere azzurrino:

Si rallegra il bosco austero

12 Già de 'l verno prèsago.

A me, prima che l'inverno stringa pur l'anima mia

Il tuo riso, o sacra luce, o divina poesia!

Il tuo canto, o padre Omero,

16 Pria che l'ombra avvolgami!

 

 

CONGEDO

Fior tricolore,

2 Tramontano le stelle in mezzo al mare

E si spengono i canti entro il mio core.