I Sonetti

di
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Foscolo Ugo

I "Sonetti"

"Alla sera"

Forse perché della fatal quiete

tu sei l'immago a me sì cara vieni

o Sera! E quando ti corteggian liete

le nubi estive e i zeffiri sereni, 4

e quando dal nevoso aere inquiete

tenebre e lunghe all'universo meni

sempre scendi invocata, e le secrete

vie del mio cor soavemente tieni. 8

Vagar mi fai co' miei pensieri su l'orme

che vanno al nulla eterno; e intanto fugge

questo reo tempo, e van con lui le torme 11

delle cure onde meco egli si strugge;

e mentre io guardo la tua pace, dorme

quello spirito guerrier ch'entro mi rugge. 14

 

 

 

"Non son chi fui, perì di noi gran parte"

Non son chi fui; perì di noi gran parte:

questo che avanza è sol languore e pianto.

E secco è il mirto, e son le foglie sparte

del lauro, speme al giovenil mio canto. 4

Perché dal dì ch'empia licenza e Marte

vestivan me del lor sanguineo manto,

cieca è la mente e guasto il core, ed arte

la fame d'oro, arte è in me fatta, e vanto. 8

Che se pur sorge di morir consiglio,

a mia fiera ragion chiudon le porte

furor di gloria, e carità di figlio. 11

Tal di me schiavo, e d'altri, e della sorte,

conosco il meglio ed al peggior mi appiglio,

e so invocare e non darmi la morte. 14

 

 

 

"Te nudrice alle Muse"

PER LA SENTENZA CAPITALE PROPOSTA NEL GRAN

CONSIGLIO CISALPINO CONTRO LA LINGUA LATINA

 

Te nudrice alle muse, ospite e Dea

le barbariche genti che ti han doma

nomavan tutte; e questo a noi pur fea

lieve la varia, antiqua, infame soma. 4

Ché se i tuoi vizi, e gli anni, e sorte rea

ti han morto il senno ed il valor di Roma,

in te viveva il gran dir che avvolgea

regali allori alla servil tua chioma. 8

Or ardi, Italia, al tuo Genio ancor queste

reliquie estreme di cotanto impero;

anzi il Toscano tuo parlar celeste 11

ognor più stempra nel sermon straniero,

onde, più che di tua divisa veste,

sia il vincitor di tua barbarie altero. 14

 

 

 

"Perché taccia"

Perché taccia il rumor di mia catena

di lagrime, di speme, e di amor vivo,

e di silenzio; ché pietà mi affrena

se di lei parlo, o di lei penso e scrivo. 4

Tu sol mi ascolti, o solitario rivo,

ove ogni notte amor seco mi mena,

qui affido il pianto e i miei danni descrivo,

qui tutta verso del dolor la piena. 8

E narro come i grandi occhi ridenti

arsero d'immortal raggio il mio core,

come la rosea bocca, e i rilucenti 11

odorati capelli, ed il candore

delle divine membra, e i cari accenti

m'insegnarono alfin pianger d'amore. 14

 

 

 

"Così gl'interi giorni"

Così gl'interi giorni in lungo incerto

sonno gemo! ma poi quando la bruna

notte gli astri nel ciel chiama e la luna,

e il freddo aer di mute ombre è coverto; 4

dove selvoso è il piano più deserto

allor lento io vagabondo, ad una ad una

palpo le piaghe onde la rea fotuna,

e amore, e il mondo hanno il mio core aperto. 8

Stanco mi appoggio or al troncon d'un pino,

ed or prostrato ove strpitan l'onde,

con le speranze mie parlo e deliro. 11

Ma per te le mortali ire e il destino

spesso obbliando, a te, donna, io sospiro:

luce degli occhi miei chi mi t'asconde? 14

 

 

 

"Meritamente"

Meritamente, però ch'io potei

abbandonarti, or grido alle frementi

onde che batton l'alpi, e i pianti miei

sperdono sordi del Tirreno i venti. 4

Sperai, poiché mi han tratto uomini e Dei

in lungo esilio fra spergiure genti

dal bel paese ove meni sì rei,

me sospirando, i tuoi giorni fiorenti, 8

sperai che il tempo, e i duri casi, e queste

rupi ch'io varco anelando, e le eterne

ov'io qual fiera dormo atre foreste, 11

sarien ristoro al mio cor sanguinente;

ahi vota speme! Amor fra l'ombre e inferne

seguirammi immortale, onnipotente. 14

 

 

 

"Solcata ho fronte"

Solcata ho la fronte, occhi incavati intenti,

crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto,

labbro tumido acceso, e tersi denti,

capo chino, bel collo, e largo petto; 4

giuste membra; vestir semplice eletto;

ratti i passi, i pensier, gli atti, gli accenti;

sobrio, umano, leal, prodigo, schietto;

avverso al mondo, avversi a me gli eventi: 8

talor di lingua, e spesso di man prode;

mesto i più giorni e solo, ognor pensoso,

pronto, iracondo, inquieto, tenace: 11

di vizi ricco e di virtù, do lode

alla ragion, ma corro ove al cor piace:

morte sol mi darà fama e riposo. 14

 

 

 

"E tu ne' carmi avrai perenne vita"

E tu ne' carmi avrai perenne vita

sponda che Arno saluta in suo cammino

partendo la città che dal latino

nome accogliea finor l'ombra fuggita. 4

Già dal tuo ponte all'onda impaurita

il papale furore e il ghibellino

mescean gran sangue, ove oggi al pellegrino

del fero vato la magion si addita. 8

Per me cara, felice, inclita riva

ove sovente i pie' leggiadri mosse

colei che vera al portamento Diva 11

in me vologeva sue luci beate,

mentr'io sentia dai crin d'oro commosse

spirar ambrosia l'aure innamorate. 14

 

 

 

"A Zacinto"

Da notare come le parole-rima delle quartine, tra l'altro di

suggestiva congruenza semantica, si ripercuotano variamente

in rime interne e assonanze nei primi undici versi.

 

Né più mai toccherò le sacre sponde

ove il mio corpo fanciulletto giacque,

Zacinto mia, che te specchi nell'onde

del greco mar da cui vergine nacque 4

Venere, e fea quelle isole feconde

col suo primo sorriso, onde non tacque

le tue limpide nubi e le tue fronde

l'inclito verso di colui che l'acque 8

cantò fatali, ed il diverso esiglio

per cui bello di fama e di sventura

baciò la sua petrosa Itaca Ulisse. 11

Tu non altro che il canto avrai del figlio,

o materna mia terra; a noi prescrisse

il fato illacrimata sepoltura. 14

 

 

 

"In morte del fratello Giovanni"

Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo

di gente in gente, me vedrai seduto

su la tua pietra, o fratel mio, gemendo

il fior de' tuoi gentil anni caduto. 4

La Madre or sol suo dì tardo traendo

parla di me col tuo cenere muto,

ma io deluse a voi le palme tendo

e sol da lunge i miei tetti saluto. 8

Sento gli avversi numi, e le secrete

cure che al viver tuo furon tempesta,

e prego anch'io nel tuo porto quiete. 11

Questo di tanta speme oggi mi resta!

Straniere genti, almen le ossa rendete

allora al petto della madre mesta. 14

 

 

 

"Alla musa"

Pur tu copia versavi alma di canto

su le mie labbra un tempo, Aonia Diva,

quando de' miei fiorenti anni fuggiva

la stagion prima, e dietro erale intanto 4

questa, che meco per la via del pianto

scende di Lete ver la muta riva:

non udito or t'invoco; ohimè! soltanto

una favilla del tuo spirto è viva. 8

E tu fuggisti in compagnia dell'ore,

o Dea! tu pur mi lasci alle pensose

membranze, e del futuro al timor cieco. 11

Però mi accorgo, e mel ridice amore,

che mal ponno sfogar rade, operose

rime il dolor che deve albergar meco. 14

 

 

 

"Che stai?"

Che stai? già il secol l'orma ultima lascia;

dove del tempo son le leggi rotte

precipita, portando entro la notte

quattro tuoi lustri, e obblio freddo li fascia. 4

Che se vita è l'error, l'ira, e l'ambascia,

troppo hai del viver tuo l'ore prodotte;

or meglio vivi, e con fatiche dotte

a chi diratti antico esempi lascia. 8

Figlio infelice, e disperato amante,

e senza patria, a tutti aspro e a te stesso,

giovine d'anni e rugoso in sembiante, 11

che stai? breve è la vita, e lunga è l'arte;

a chi altamente oprar non è concesso

fama tentino almen libere carte. 14