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Del Blasone

a cura di Dario R. Uva - Cav. della Cristianità e della Pace
tel. 0803389311 - e-mail: uvadario@libero.it

 

araldica studia gli stemmi e le armi gentilizie, civiche, ecc. e le regole che disciplinano tale materia. Un tempo l'araldo aveva il compito di comporre le insegne impreziosendo il blasone con colori, figure, pezze onorifiche alludenti alla storia della casata per tramandare imprese eroiche e onorificenze ottenute dai Re ai quali la famiglia era stata fedele, o per il quale s'era distinta in imprese eroiche.

Il blasone è stato il guiderdone più ambito, a partire dal XII secolo, in Italia, in Spagna, In Francia, in Germania ed in Inghilterra, ottenuto da un solo componente della schiatta e tramandato a tutta la discendenza, che di quell'onore doveva farne sprone per rimanerne sempre degna, operando al fine d'illustrare sempre più la propria famiglia.

I colori degli stemmi e le figure hanno tutti un significato recondito o palese, spesso incontriamo gli stessi colori e le stesse figure in diversi stemmi, ma hanno sempre delle piccole varianti che si combinano e si scombinano come in un caleidoscopio. Alle volte i discendenti di nobili famiglie hanno cambiato lo stemma originale con uno diverso, per questo quando si effettuano le ricerche araldiche si cerca di individuare il ramo di discendenza, se possibile, ed assegnare lo stemma esatto.

Gli stemmi cosiddetti parlanti sono i più chiari da decifrare, cioè: Pignatelli ha le pignatte nello scudo, Rota la ruota, Uva l'uva, Pedone il piede, dell'Aquila l'aquila.

Tra i colori usati per il campo dello scudo troviamo l'oro (o giallo) (fig.1), il più nobile dei metalli, viene identificato col Sole, perché questo è il più luminoso dei pianeti; nelle gemme è uguagliato al topazio, nelle cose terrene significa ricchezza e potenza; simboleggia la forza, la fede, il comando; nell'età significa giovinezza.
L'argento (o bianco) (fig.2), viene paragonato alla perla, significa equità, purezza di pensieri e innocenza, non dimentichiamo che il nostro Salvatore sul Tabor si mostrò vestito di bianco; l'argento tra i pianeti rappresenta la Luna.
Il rosso (fig.3), simile al fuoco, significa amore, perché anche l'amore è chiamato fuoco; significa audacia e vigore; tra i pianeti è attribuito a Marte, perché a questi sono attribuite le guerre e perché predomina all'ira; il rosso significa anche spargimento di sangue in battaglia.
Azzurro (fig.4) è il cielo e le idee nobili che s'elevano ad esso; è paragonato allo zaffiro ed è il colore di molte virtù: castità, santità, devozione; tra i pianeti viene attribuito a Giove; significa anche giustizia e gelosia.
Il verde (fig.5) è il colore della Terra, delle piante e degli alberi; è paragonato allo smeraldo; tra i pianeti è attribuito a Venere; fra le stagioni alla primavera, per questo significa allegria e speranza..
Il nero (fig.6) è il colore che s'avvicina di più alle tenebre; viene attribuito a Saturno, significa malinconia e dolore; dei metalli è pari al ferro; tra le gemme è paragonato al diamante; tra le virtù significa prudenza; spesso è usato per ricordare un personaggio illustre della famiglia.
Per quanto riguarda i colori, infine, il vaio (fig.7) e l'armellino (fig.8) sono la rappresentazione grafica di queste due pellicce. Il viola (fig.9), invece, venne usato solo per manti, cappelli, padiglioni.

Quando non è possibile dare agli stemmi i colori visibili, come su stampe in bianco e nero, pietra, legno, metallo, si usa tratteggiare le diverse zone di colore con tratteggi diversi, a seconda del colore, come si vede nell'esempio:

 

Molfetta è stata una delle città più ricche di famiglie nobili, e gli antichi blasoni sono ancora visibili su parecchi portoni della zona antica e su alcuni palazzi fuori le mura, oltre ai tanti blasoni, tutti scolpiti ad arte e conservati in buono stato, sui sacelli e sui sepolcri del nostro cimitero. Altri stemmi gentilizi si trovano distribuiti nelle cappelle di alcune chiese. Particolarmente ricche di stemmi sono la Cattedrale, la chiesa di San Domenico, San Bernardino ed altri nell'atrio della Basilica della Madonna dei Martiri. Gli stemmi della chiesa San Domenico, trovandosi sul pavimento, col tempo si sono consunti e sono quasi illeggibili.

Le figure più diffuse che incontriamo sugli stemmi di Molfetta sono: il leone, il più nobile animale del blasone, simboleggia la forza, il coraggio la magnanimità. L'aquila, nobilissima fra gli uccelli, era il simbolo dell'impero, simboleggia il comando, la potenza, la vittoria. Il cervo ricorda le cacce signorili ed è il simbolo di chi ama la musica. Tra i pesci il delfino è il più nobile, simboleggia le imprese marittime, il silenzio, la speranza nell'Eterno.

Tra i fiori è il giglio che ha il primo posto, è simbolo di potenza e di sovranità. La rosa: rossa, d'oro o d'argento, è emblema di bellezza, amore incontaminato, sovranità dei costumi, nobiltà e merito riconosciuto.

Tra gli astri incontriamo spesso la Luna, il cui crescente auspica maggiori fortuna alla famiglia. La stella, che fu sicura guida verso il Redentore, è il simbolo di chi aspira ad azioni sublimi ed augura un prospero avvenire ai discendenti.

Gli oggetti di uso comune sono tanti: coppe, spade, bisanti, destrocheri armati, monti, ecc. Al primo posto però è la Croce, in varie fogge: patente, di Malta, di Gerusalemme, sannitica, celtica, del Calvario, latina, di Lorena, ecc., ecc., ma il significato è lo stesso: da quando il Figlio di Dio elesse la croce a strumento per la nostra redenzione, la croce da apparecchio di tortura e morte assurse a simbolo di vittoria e di salute interiore.

Le armi gentilizie, infine, furono corredate di corone, ed ogni corona ha un disegno diverso a seconda del titolo di nobiltà o dell'importanza della città nel caso di armi civiche. Gli ecclesiastici, invece, sostituirono la corona a loro spettante con il cappello ecclesiastico, anche questo con simboli distintivi per grado. E i cavalieri vi aggiunsero i lambrecchini o svolazzi con l'elmo, ed anche quest'ultimo è diverso per ogni grado di nobiltà.

Ma i nostri cognomi da dove sono venuti? di solito da ambienti frequentati dai nostri avi. Ad esempio ad alcune corporazioni medioevali sono appartenuti i Molinari, Spadaro, Pellizzari, Armorari (Lavoratori di molino, costruttori di spade, conciatori, armaioli). Non mancano cognomi provenienti da ambienti religiosi: Abate, della Chiesa, del Monaco, del Vescovo. Le particelle da, di, de che precedono alcuni cognomi indicano toponimi e patronimici.

Alcuni cognomi hanno subito delle trasformazioni nel corso dei secoli: Bianchi, Bianchini, Bianchetti; Rossi, de' Rossi, del Rosso; Carli, Carlucci, Carletti. A queste trasformazione c'è da aggiungere anche i tanti e troppi errori anagrafici che si sono avuti nelle varie trascrizioni degli amanuensi che oggi, grazie ai mezzi meccanografici, sono rari.

I nobili si distinguevano in titolati (duchi, marchesi, conti, baroni, ecc.) e non titolati; a Molfetta venivano detti "nobili di prima piazza" i titolati e della "seconda piazza" i nobili senza titolo. Ai nn. 8 e 12 di Via Piazza sono visibili due arcate sulla facciata principale dell'edificio, inglobate in una successiva trasformazione, ivi era il "Sedile dei Nobili titolati"; più avanti, di fronte all'arco di Via Forno, c'è una piazzetta, lì era il "Sedile dei nobili Popolani". Nell'anno 1513, per decreto della Regina feudataria Giovanna II d'Aragona, il governo di Molfetta doveva essere esercitato da 18 consiglieri nobili titolati e 18 nobili del popolo e, da questi consiglieri, dovevano essere eletti 2 sindaci. Sotto lo stemma della città, sempre in Via Piazza tra i nn. 8 e 12, agli ultimi tre righi si legge: "…Sindacorum sub auspicus / Senatores D. Iosephi Marci Antonii De Luca / et Populi Iacobi Radivano".

 

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