I colori degli stemmi e le figure hanno tutti
un significato recondito o palese, spesso incontriamo gli
stessi colori e le stesse figure in diversi stemmi, ma hanno
sempre delle piccole varianti che si combinano e si scombinano
come in un caleidoscopio. Alle volte i discendenti di nobili
famiglie hanno cambiato lo stemma originale con uno diverso,
per questo quando si effettuano le ricerche araldiche si cerca
di individuare il ramo di discendenza, se possibile, ed assegnare
lo stemma esatto.
Gli stemmi cosiddetti parlanti sono i più chiari
da decifrare, cioè: Pignatelli ha le pignatte nello scudo,
Rota la ruota, Uva l'uva, Pedone il piede, dell'Aquila l'aquila.
Tra i colori usati per il campo dello scudo
troviamo l'oro (o giallo) (fig.1), il più nobile dei metalli,
viene identificato col Sole, perché questo è il più
luminoso dei pianeti; nelle gemme è uguagliato al topazio,
nelle cose terrene significa ricchezza e potenza; simboleggia
la forza, la fede, il comando; nell'età significa giovinezza.
L'argento (o bianco) (fig.2), viene paragonato alla perla,
significa equità, purezza di pensieri e innocenza,
non dimentichiamo che il nostro Salvatore sul Tabor si mostrò
vestito di bianco; l'argento tra i pianeti rappresenta la
Luna.
Il rosso (fig.3), simile al fuoco, significa amore, perché
anche l'amore è chiamato fuoco; significa audacia e vigore;
tra i pianeti è attribuito a Marte, perché a questi
sono attribuite le guerre e perché predomina all'ira;
il rosso significa anche spargimento di sangue in battaglia.
Azzurro (fig.4) è il cielo e le idee nobili che s'elevano
ad esso; è paragonato allo zaffiro ed è il colore di molte
virtù: castità, santità, devozione; tra i pianeti
viene attribuito a Giove; significa anche giustizia e gelosia.
Il verde (fig.5) è il colore della Terra, delle piante e degli
alberi; è paragonato allo smeraldo; tra i pianeti è attribuito
a Venere; fra le stagioni alla primavera, per questo significa
allegria e speranza..
Il nero (fig.6) è il colore che s'avvicina di più alle tenebre;
viene attribuito a Saturno, significa malinconia e dolore;
dei metalli è pari al ferro; tra le gemme è paragonato al
diamante; tra le virtù significa prudenza; spesso è usato
per ricordare un personaggio illustre della famiglia.
Per quanto riguarda i colori, infine, il vaio (fig.7) e l'armellino
(fig.8) sono la rappresentazione grafica di queste due pellicce.
Il viola (fig.9), invece, venne usato solo per manti, cappelli,
padiglioni.
Quando non è possibile dare agli stemmi i colori
visibili, come su stampe in bianco e nero, pietra, legno,
metallo, si usa tratteggiare le diverse zone di colore con
tratteggi diversi, a seconda del colore, come si vede nell'esempio:
Molfetta è stata una delle città più
ricche di famiglie nobili, e gli antichi blasoni sono ancora
visibili su parecchi portoni della zona antica e su alcuni
palazzi fuori le mura, oltre ai tanti blasoni, tutti scolpiti
ad arte e conservati in buono stato, sui sacelli e sui sepolcri
del nostro cimitero. Altri stemmi gentilizi si trovano distribuiti
nelle cappelle di alcune chiese. Particolarmente ricche di
stemmi sono la Cattedrale, la chiesa di San Domenico, San
Bernardino ed altri nell'atrio della Basilica della Madonna
dei Martiri. Gli stemmi della chiesa San Domenico, trovandosi
sul pavimento, col tempo si sono consunti e sono quasi illeggibili.
Le figure più diffuse che incontriamo sugli
stemmi di Molfetta sono: il leone, il più nobile animale del
blasone, simboleggia la forza, il coraggio la magnanimità.
L'aquila, nobilissima fra gli uccelli, era il simbolo dell'impero,
simboleggia il comando, la potenza, la vittoria. Il cervo
ricorda le cacce signorili ed è il simbolo di chi ama la musica.
Tra i pesci il delfino è il più nobile, simboleggia le imprese
marittime, il silenzio, la speranza nell'Eterno.
Tra i fiori è il giglio che ha il primo posto,
è simbolo di potenza e di sovranità. La rosa: rossa,
d'oro o d'argento, è emblema di bellezza, amore incontaminato,
sovranità dei costumi, nobiltà e merito riconosciuto.
Tra gli astri incontriamo spesso la Luna, il
cui crescente auspica maggiori fortuna alla famiglia. La stella,
che fu sicura guida verso il Redentore, è il simbolo di chi
aspira ad azioni sublimi ed augura un prospero avvenire ai
discendenti.
Gli oggetti di uso comune sono tanti: coppe,
spade, bisanti, destrocheri armati, monti, ecc. Al primo posto
però è la Croce, in varie fogge: patente, di Malta,
di Gerusalemme, sannitica, celtica, del Calvario, latina,
di Lorena, ecc., ecc., ma il significato è lo stesso: da quando
il Figlio di Dio elesse la croce a strumento per la nostra
redenzione, la croce da apparecchio di tortura e morte assurse
a simbolo di vittoria e di salute interiore.
Le armi gentilizie, infine, furono corredate
di corone, ed ogni corona ha un disegno diverso a seconda
del titolo di nobiltà o dell'importanza della città
nel caso di armi civiche. Gli ecclesiastici, invece, sostituirono
la corona a loro spettante con il cappello ecclesiastico,
anche questo con simboli distintivi per grado. E i cavalieri
vi aggiunsero i lambrecchini o svolazzi con l'elmo, ed anche
quest'ultimo è diverso per ogni grado di nobiltà.
Ma i nostri cognomi da dove sono venuti? di
solito da ambienti frequentati dai nostri avi. Ad esempio
ad alcune corporazioni medioevali sono appartenuti i Molinari,
Spadaro, Pellizzari, Armorari (Lavoratori di molino, costruttori
di spade, conciatori, armaioli). Non mancano cognomi provenienti
da ambienti religiosi: Abate, della Chiesa, del Monaco, del
Vescovo. Le particelle da, di, de che precedono alcuni cognomi
indicano toponimi e patronimici.
Alcuni cognomi hanno subito delle trasformazioni
nel corso dei secoli: Bianchi, Bianchini, Bianchetti; Rossi,
de' Rossi, del Rosso; Carli, Carlucci, Carletti. A queste
trasformazione c'è da aggiungere anche i tanti e troppi errori
anagrafici che si sono avuti nelle varie trascrizioni degli
amanuensi che oggi, grazie ai mezzi meccanografici, sono rari.
I nobili si distinguevano in titolati (duchi,
marchesi, conti, baroni, ecc.) e non titolati; a Molfetta
venivano detti "nobili di prima piazza" i titolati e della
"seconda piazza" i nobili senza titolo. Ai nn. 8 e 12 di Via
Piazza sono visibili due arcate sulla facciata principale
dell'edificio, inglobate in una successiva trasformazione,
ivi era il "Sedile dei Nobili titolati"; più avanti, di fronte
all'arco di Via Forno, c'è una piazzetta, lì era il "Sedile
dei nobili Popolani". Nell'anno 1513, per decreto della Regina
feudataria Giovanna II d'Aragona, il governo di Molfetta doveva
essere esercitato da 18 consiglieri nobili titolati e 18 nobili
del popolo e, da questi consiglieri, dovevano essere eletti
2 sindaci. Sotto lo stemma della città, sempre in Via
Piazza tra i nn. 8 e 12, agli ultimi tre righi si legge: "…Sindacorum
sub auspicus / Senatores D. Iosephi Marci Antonii De Luca
/ et Populi Iacobi Radivano".
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