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Energia dai rifiuti plastici.

La plastica è alla base della nostra industria. Vi sono moltissime fabbriche le quali sfornano oggetti di tutti i tipi e molto spesso questi accessori sono a supporto di altri manufatti prodotti da altre industrie. Nei negozi gli articoli in plastica sono preponderanti rispetto a quelli fatti di altri materiali. Le produzioni sono economiche, basti pensare ai giocattoli la cui vendita è in crescita. Ma tutto questo, se da un lato ha indiscutibilmente migliorato la nostra vita, ha creato enormi problemi da un punto di vista, diciamo così, ecologico. Discariche chiuse, cittadini in rivolta, rifiuti abbandonati per le strade, timidi tentativi (spesso improvvisati) di mettere in piedi in fretta e furia servizi di raccolta differenziata: uno scenario quasi apocalittico, ma non così distante dalla realtà di alcune città italiane che si sono trovate ad affrontare il problema dello smaltimento dei rifiuti urbani. Il bubbone è esploso improvviso, ma si poteva prevenire: da parecchi anni, ormai, si discute di gestione dei rifiuti, ma il problema - come spesso succede del nostro paese - viene affrontato solo in condizioni di rigorosa emergenza, quando cioè non se ne può più fare a meno. Non può quindi stupire che i residui post-consumo siano trattati più come un fastidio che come una risorsa, rifiuti da eliminare nel modo più efficiente, possibilmente al costo minore. Eppure gli scarti possono trovare una seconda vita, lunga se vengono riciclati o più effimera se sono termodistrutti con recupero d'energia. Gli imballaggi giocano in questo senso un ruolo non marginale: basti pensare che su 23 milioni di tonnellate di RSU prodotte in Italia, circa un quinto è costituito da packaging. E dagli imballaggi alle materie plastiche il passo è breve: oltre il 40% delle plastiche consumate in Italia si trasforma in confezioni, film, bottiglie; in peso ciò significa due milioni di tonnellate di plastica che per la maggior parte, una volta utilizzata, finisce in discarica. A livello europeo il peso delle plastiche sul totale degli imballaggi non è meno importante: nel 1993, secondo uno studio dell'APME, i rifiuti plastici sono ammontati a poco più di 16 milioni di tonnellate (pari a circa l'8% dei RSU prodotti), dieci milioni dei quali smaltiti sotto forma d'imballaggi. Detto in altre parole, ogni anno seppelliamo sotto terra una quantità immensa di plastiche, carta ed altri materiali combustibili che potrebbero essere valorizzati sotto forma d'energia attraverso la termodistruzione; e tutto questo nonostante gli elevati costi della discarica ed i rischi d'inquinamento dell'ambiente. Materiali che, se anche non bruciati, possono trovare utilizzo nella produzione di nuovi manufatti o di sostanze chimiche elementari (feedstock recycling), oppure, nel caso dei residui umidi, nella produzione di concimi (compost).

La Direttiva 94/62/CE

Approvata dagli organi europei nel 1994, non senza compromessi e tentennamenti, la Direttiva UE sui rifiuti di imballaggio (94/62/CE) non è stata ancora recepita nel nostro ordinamento. La scadenza è fissata per 30 giugno di quest'anno; entro questa data il Parlamento dovrà mettere a punto una legge che - si spera - riordinerà la complessa normativa riguardante i rifiuti. La Direttiva 94/62/CE si applica a tutti gli imballaggi ed ai rifiuti di imballaggi circolanti nell'Unione Europea, e si prefigge due obiettivi: ridurre l'impatto del sistema packaging sull'ambiente ed armonizzare le normative dei paesi membri. Un importante aspetto fissato dalla direttiva è la corresponsabilità di tutti gli operatori della filiera imballaggio: produttori, distributori ed importatori, utilizzatori. Attraverso la costituzione di consorzi obbligatori o volontari, i soggetti dovranno farsi carico dello smaltimento dei rifiuti, con lo scopo di recuperare tra il 50% ed il 65% di tutti gli imballaggi, riciclandone almeno il 25%, con un minimo del 15% per ciascun materiale. Come si può notare, la normativa comunitaria riguarda molto da vicino i produttori di materie prime ed imballaggi, un settore che comprende circa 3.500 aziende e centomila addetti. Le modalità di recepimento della direttiva avranno quindi un'influenza molto forte sul settore e, di riflesso, sulla produzione della maggioranza dei beni oggi in circolazione. In particolare, il legislatore dovrà stabilire la forma di organizzazione dei sistemi di recupero e riutilizzo degli imballaggi, le sanzioni e gli eventuali incentivi.

La proposta Confindustria

La rilevanza economica del provvedimento ha spinto la Confindustria ad elaborare un documento che contiene alcuni spunti per il legislatore, linee guida che si ritiene debbano ispirare la legge di recepimento della normativa comunitaria. Confindustria auspica una norma di recepimento snella, chiara e praticabile, dalla quale si possa agevolmente desumere gli aspetti essenziali di funzionamento del sistema di gestione dei rifiuti, per quanto concerne i tempi, gli obiettivi, le responsabilità dei diversi soggetti e le forme di finanziamento. Un primo punto è quindi la definizione della corresponsabilità degli operatori pubblici e privati e l'eventuale sanzionabilità anche dei secondi in caso d'indempienza. Per quanto riguarda gli obiettivi di recupero e riciclaggio, si chiede vengano confermati quelli espressi dalla direttiva, in particolar modo per quanto concerne la quota di riciclaggio dei singoli materiali (minimo 15%). Un aspetto delicato riguarda la costituzione dei sistemi di restituzione, raccolta e recupero degli imballaggi e dei rifiuti da imballaggio; la direttiva lascia infatti ai singoli stati la scelta delle forme organizzative più adatte, imponendo solo che la partecipazione sia aperta a tutti gli operatori economici interessati ed alle competenti autorità pubbliche. Confindustria ritiene che si debba adottare un modello privatistico di tipo volontario, ritenuto più efficiente e flessibile. Per evitare di penalizzare, seppur indirettamente, chi aderisce al sistema (dati i maggiori costi), la legge dovrà prevedere meccanismi di controllo ed obblighi specifici a carico dei "free riders". Il sistema, inoltre, dovrà essere capace di reperire al proprio interno le risorse necessarie, mentre dovrebbero essere previste delle sanzioni in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi, a carico dei soggetti privati e pubblici indipendentemente dall'appartenenza o meno al sistema di gestione. Un altro punto chiave riguarda l'equivalenza tra le modalità di recupero: si chiede cioè che la scelta tra le diverse opzioni (riciclo meccanico, chimico, termodistruzione ecc) sia lasciata agli operatori dei settori interessati. Confindustria suggerisce che speciali norme siano previste per i piccoli imballaggi (con superficie piana stampabile fino a 35 cm2 o volume fino a 100 m3), per gli imballaggi primari destinati all'industria farmaceutica e per quelli di lusso. Per i primi si domanda l'esenzione dall'obbligo di marcatura e dal sistema di identificazione, per le difficoltà tecniche dovute alla ridotta superficie stampabile; sempre a causa delle dimensioni, i piccoli imballaggi dovrebbero essere esclusi anche dalla raccolta differenziata e, di conseguenza, dall'obbligo di riciclo. L'esclusione degli imballi farmaceutici dal campo di applicazione della direttiva è motivata dalla loro valenza sanitaria (l'astuccio fa parte integrante del medicinale) e dal rischio di illeciti e contraffazioni in fase di riciclo. Per le confezioni di lusso si chiede, in ragione della loro funzione essenzialmente estetica e della limitata produzione, l'esclusione dall'obbligo della marcatura, della raccolta e del recupero. Per quanto concerne l'organizzazione del sistema nazionale di gestione dei rifiuti da imballaggio, Confindustria identifica i soggetti principali, ognuno con i suoi compiti e le sue responsabilità. L'amministrazione centrale dovrebbe limitarsi ad esercitare funzioni di controllo del funzionamento del sistema nel suo complesso. Alla Conferenza Regionale e alle Regioni, insieme con l'organismo auto-organizzato degli operatori economici, è invece demandata la definizione del Piano nazionale di recupero rifiuti. Un ruolo operativo spetta invece ai comuni che, secondo la proposta Confindustria, avrebbero la responsabilità, in solidale con gli operatori economici, del raggiungimento degli obiettivi globali di recupero e riciclo. Sarà compito dei Comuni la gestione della raccolta dei rifiuti, esclusi quelli prodotti direttamente dalle imprese industriali. In particolare, gli Enti locali dovranno regolare, con norme appropriate, il conferimento dei rifiuti da parte dei cittadini ed organizzare le operazioni di raccolta. Un capitolo del documento è dedicato alla definizione dei compiti dell'organismo composto dagli operatori economici della filiera imballaggio: produttori ed importatori di materie prime ed imballaggi, importatori d'imballaggi pieni, utilizzatori e distributori, organizzati in consorzi volontari di riciclo. Tra i compiti del consorzio, secondo la proposta Confindustria, troviamo la definizione del Piano nazionale di recupero, l'acquisizione dei programmi di riciclo messi a punto dalle singole filiere (ed il coordinamento delle politiche con i Comuni), il raggiungimento degli obiettivi minimi non coperti dalle filiere. L'organismo degli operatori economici realizzerà, inoltre, un proprio sistema informativo per il controllo e la verifica degli obiettivi e delle eventuali inadempienze, oltre ad organizzare un sistema di riconoscimento di appartenenza; affiancherà le filiere nella promozione e nel coordinamento delle iniziative di comunicazione, nello sviluppo di tecnologie per la riduzione degli imballaggi e nella messa a punto di programmi per la valorizzazione energetica dei rifiuti di imballaggi provenienti da RSU. Infine, stabilirà la misura e le modalità della contribuzione per il finanziamento delle attività di propria competenza. Il riciclo viene invece affidato alle singole filiere, suddivise per materiale (plastiche, carta, vetro, legno, alluminio, metalli ferrosi): esse potranno stabilire accordi con i gestori dei servizi di raccolta, con i Comuni e con le imprese private, al fine di concordare l'organizzazione del servizio di raccolta differenziata. Il raggiungimento degli obiettivi di riciclo sarà finanziato da ogni singola filiera, in piena autonomia, eventualmente attraverso un sistema di contribuzione.

Energia dai rifiuti

Una volta raccolti, gli imballaggi devono essere smaltiti. Nel caso particolare della plastica , se si escludono i contenitori per liquidi, il riciclo di tipo meccanico appare molto difficile. Questo processo, infatti, richiede un elevato grado di purezza del materiale, che presuppone una fase di selezione molto accurata (e costosa). Anche utilizzando miscele di polimeri diversi, è comunque necessaria una fase di selezione per garantire un livello minimo di omogeneità, requisito indispensabile per il riutilizzo. Diverso è invece il caso dei contenitori per liquidi (per la maggior parte di PE, PET e PVC), oggi riciclati dal consorzio obbligatorio Replastic: l'omogeneità del materiale e la relativa facilità di separazione consentono la produzione, per esempio, di maglioni, casse da imballaggio, arredi urbani e campane di raccolta della plastica. Un'alternativa interessante, anche se ancora molto costosa, è rappresentata dal riciclo chimico, che non richiede un'alta purezza dei materiali da trattare. Sono disponili diverse tecnologie (termolisi, idrogenazione, solvolisi, pirolisi), che danno luogo a monomeri base o frazioni di greggio sintetico anche di buona qualità. Il riciclo chimico è però ancora in fase di sperimentazione e non sembra poter assicurare, nel breve periodo, lo smaltimento degli elevati volumi in gioco. Bruciare i rifiuti non è una novità. Rispetto al passato, però, sono oggi disponibili tecnologie d'incenerimento che consentono di produrre energia e di abbattere la produzione di fumi e sostanze inquinanti. E' la termodistruzione con recupero di energia, o termovalorizzazione, un processo di smaltimento molto diffuso in Giappone, nei paesi nordici, ma anche in Francia e Germania. Il vantaggio dell'incenerimento è che non richiede, se non in parte (eliminazione della frazione umida), la separazione dei diversi tipi di rifiuto. Una volta separati i materiali che possono essere riutilizzati in modo conveniente, si può avviare la frazione restante all'inceneritore, ricavandone preziosa energia (tanto più preziosa per un paese come il nostro che importa buona parte dell'energia consumata). Si calcola che trattando in questo modo il 30-40% dei RSU prodotti in Italia, si potrebbe produrre energia bastante a soddisfare il 2% della domanda nazionale.