STATI UNITI
Dialogo interreligioso: fa discutere un documento firmato da alcuni vescovi americani e da un gruppo di rabbini

 

Introduzione
I giusti e l'alleanza
Giudaismo e rivelazione
La questione del battesimo


 Negli Stati Uniti il dialogo interreligioso tra ebrei e cattolici ha raggiunto, dopo quello pastorale ed esegetico, il livello più alto e difficile: quello teologico. Perché teologici sono sia il linguaggio che l'obiettivo del documento firmato in questi giorni da un gruppo di vescovi cattolici americani (legato alla Commissione episcopale per le relazioni ecumeniche e interreligiose) congiuntamente a un gruppo di rabbini (in rappresentanza delle sinagoghe riformate e conservative, ossia l'80% circa degli ebrei americani). Il documento si intitola Riflessioni sull'alleanza e la missione, ed è il consuntivo di un incontro di questa Consulta interreligiosa presieduta dal cardinale William Keeler di Baltimora e dai due rabbini, il riformato Michael Signer e il conservativo Joel Zaiman.

Non si tratta di un testo unico, ma di un documento composto di due parti, una cattolica e una ebraica, il cui scopo dichiarato è quello di «incoraggiare una seria riflessione sui temi dell'alleanza e della missione da parte di ebrei e cattolici negli Stati Uniti». Come a dire, sulla ragion d'essere delle due comunità di fede e sulle loro relazioni più profonde. Ma la vera (e spinosa) questione affrontata dal documento è quella delle conversioni: è teologicamente giusto cercare di convertire gli ebrei al cristianesimo? Come interpretare la recente riscoperta da parte cattolica della "permanenza di Israele" nel piano salvifico di Dio? Perché i cattolici hanno smesso di invitare gli ebrei a farsi battezzare? Domande delicate e serie, che toccano la natura stessa della Chiesa e che spesso ricevono risposte diverse da parte delle diverse scuole teologiche.



I giusti e l'alleanza    
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Da parte ebraica, la riflessione si concentra sulla complessa nozione biblica di "alleanza" e sulla sua interpretazione nel corso di duemila anni di giudaismo rabbinico, per il quale «le nazioni del mondo non hanno bisogno di abbracciare il giudaismo». I giusti, a qualunque nazione e religione appartengano, avranno parte al "mondo futuro", insegna il Talmud. E giusti sono tutti coloro che osservano i sette comandamenti di Noè, o noachidi (vedi box). Agli ebrei tocca il dovere di custodire l'alleanza tra Dio e la discendenza di Abramo, e di collaborare con il resto dell'umanità a migliorare il mondo, un mondo che purtroppo è ancora largamente irredento. La riflessione ebraica si conclude appunto con quest'idea di una possibile collaborazione sul piano storico tra tutti gli uomini e tutte le donne per il tiqqun ha'olam, il miglioramento del mondo: «Che si aspetti il messia - come credono gli ebrei - o che si attenda la sua seconda venuta - come credono i cristiani - nondimeno tutti condividiamo la convinzione di vivere in un mondo irredento, che aspetta e desidera di essere migliorato». Il pensiero corre agli sforzi per la difesa della pace e dei diritti umani, per i quali negli anni Sessanta Martin Luther King e il rabbino Abraham Heschel marciarono sulle strade americane spalla a spalla.

Ma se tradizionale è la posizione ebraica, non può dirsi lo stesso per la riflessione cattolica, che ha già suscitato un vivace dibattito - con code anche polemiche - negli ambienti religiosi statunitensi. Come si concilia l'idea della centralità di Cristo per la salvezza e quella della perenne validità teologica dell'antica alleanza ebraica? Per i vescovi americani autori del documento si tratta di reinterpretare il concetto di evangelizzazione, che non può essere ridotto all'idea di farsi battezzare. Se si reinterpreta l'evangelizzazione come ricerca del regno di Dio, si può intuire perché gli ebrei, essendo già parte del piano divino di salvezza, non abbiano bisogno di convertirsi al cristianesimo.



Giudaismo e rivelazione     
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«La Chiesa cattolica - si legge nel testo - è venuta riconoscendo che la sua missione nel preparare la venuta del regno di Dio è tale da essere condivisa con il popolo ebraico, anche se gli ebrei non concepiscono questo compito cristologicamente, come lo concepisce la Chiesa». Di più: «Dal punto di vista della Chiesa cattolica, il giudaismo è una religione nata dalla divina rivelazione... una risposta di fede del popolo ebraico all'irrevocabile alleanza con Dio, e dunque salvifica per gli ebrei». E ancora: «La Chiesa comprende che la missione del popolo ebraico ad gentes continua... e mentre la Chiesa cattolica guarda l'atto salvifico di Cristo come centrale per il processo dell'umana salvezza per tutti, al contempo riconosce che gli ebrei stanno già in un'alleanza salvifica con Dio».

Questa è la ragione teologica per cui oggi non esiste nella Chiesa cattolica alcun organismo dedicato al proselitismo verso gli ebrei. Certo, vi sono poi le ragioni storiche: troppo a lungo gli ebrei sono stati forzati a farsi battezzare o ad assistere a prediche cristiane anti-giudaiche, pena l'espulsione o vessazioni finanziarie. Ma le ragioni storiche passano in secondo piano rispetto alla convinzione religiosa che gli ebrei non debbano convertirsi perché «stanno già in un'alleanza salvifica» che è, come disse il Papa a Magonza nel 1980, irrevocabile. Questa è l'intuizione che fermò il filosofo Franz Rosenzweig nel 1913 sulla soglie della conversione al cristianesimo, in un tempo in cui il battesimo era ancora, per molti intellettuali ebrei, il biglietto da visita per farsi accettare dalla società moderna. Certo, la riflessione dei vescovi cattolici americani non cita Rosenzweig ma il pioniere del dialogo ebraico-cristiano Tommaso Federici, insieme con il Papa, il cardinale Kasper e il cardinale Ratzinger.



La questione del battesimo   
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Se l'opinione di Gamaliele negli Atti degli Apostoli, per cui «ciò che viene da Dio» è destinato a restare, si applica alla Chiesa, «allora essa deve logicamente valere anche per il giudaismo post-biblico. Il giudaismo rabbinico che si è sviluppato dopo la distruzione del Tempio - afferma il documento - deve a sua volta essere da Dio».

Ora, se questo tiene per il popolo ebraico nel suo insieme, che dire dei singoli che decidono di entrare a far parte della Chiesa? Come giudicare un caso come quello di Edith Stein? Ogni individuo che cerchi il battesimo sarà sempre ben accolto nella Chiesa, anche se ebreo. Ma questo non equivale a dire che la Chiesa cerchi tali conversioni. Anzi, lo spirito teologico del documento sembra scoraggiarle. Sono piuttosto i principi di libertà religiosa e di libertà di coscienza che implicano la legittimità della conversione di un ebreo, che è una scelta esistenziale sempre possibile.

Come si può immaginare, molti cattolici hanno arricciato il naso e qualcuno, il biblista padre John Paul Echert ad esempio, si è spinto a dire che il documento in alcune sue parti è contrario alla divina rivelazione. Altri hanno fatto notare la sua incongruenza col documento Dominus Jesus, altri ancora lo hanno definito semi-eretico. Per non infiammare gli animi il cardinal Keeler, responsabile a nome dei vescovi americani dei rapporti con gli ebrei, ha dichiarato che il testo della Consulta da lui presieduta non rappresenta "una posizione ufficiale" della Chiesa cattolica statunitense. Ma ciò era affermato già nella prefazione: è un invito a riflettere, a dialogare, a discutere.  

Massimo Giuliani

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[Fonte: Avvenire, novembre 2002]


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