2° Incontro Europeo ebraico-cattolico - Parigi 10-11 marzo 2003
     Le Monde del 13 marzo 2003 - Henry Tincq (trad. di Antonio Marcantonio)

 


La crisi irakena ha fatto sentire i suoi effetti anche su quest'evento. In attesa di fornire i testi degli interventi più significativi dei relatori, vi anticipiamo questa essenziale cronaca. [La redazione di LnR]

L'accusa alla Francia dei Rabbini americani 

   La "trappola" irachena si è ritorta in maniera inaspettata sulla seconda edizione degli Incontri ebraico-cattolici, organizzati a Parigi, lunedì 10 e martedì 11 marzo, dal Consiglio ebraico europeo (CJE). Una cinquantina di rabbini statunitensi invitati all'ultimo minuto si sono lasciati andare per due giorni a una difesa provocatoria della posizione americana e di quella israeliana ed hanno voluto fare la lezioncina ala Francia, colpevole ai loro occhi di aver preso le distanze da George Bush e di aver fatto riemergere i vecchi spettri antisemiti. Questa manifestazione di mutua amicizia, che avrebbe dovuto confermare i progressi del dialogo tra ebrei e cattolici, si è trasformata così in uno scontro, al punto d'indisporre un ministro, Nicolas Sarkozy, tre cardinali - tra cui l'arcivescovo di Parigi, Monsignor Lustiger - e le delegazioni di Polonia, Spagna, Ucraina, Vaticano, etc.

   Sin dall'inizio, lunedì sera all'"Hôtel de Ville", di fronte a circa duemila persone, il presidente del Consiglio dei rabbini dell'America del Nord, Marc Schneier, ha lasciato partire una prima salve contro il «tradimento» della Francia. «Noi esprimiamo la nostra inquietudine», ha spiegato l'oratore nel corso di un'arringa a favore delle schiere del «Bene», incarnato secondo lui da George Bush, e della guerra contro il «Male» iracheno. Egli ha anche citato le «distruzioni di sinagoghe e di scuole ebraiche in Francia» e ricordato il clima di «indifferenza morale» della Francia di Vichy. Poi, rivolgendosi al cardinale Lustiger, gli ha intimato di far sentire la voce della Chiesa, di «condannare la crescita dell'antisemitismo e del terrorismo». Imbarazzo tra gli ascoltatori, qualche fischio, ma anche alcuni applausi. Nicolas Sarkozy aveva appena abbandonato la sala.

   Il Ministro degli Interni aveva avuto il tempo di replicare a Michel Friedman, presidente tedesco del Congresso ebraico europeo, che aveva così accolto, senza peli sulla lingua, i suoi ospiti americani: «Noi non siamo a favore della guerra, ma il nostro nemico non è George Bush, ma Saddam Hussein. Il nostro nemico non è la democrazia americana, ma la dittatura irachena». Denunciando poi l'antisemitismo, egli aveva aggiunto che vi sarebbe sempre stato un Paese pronto ad accogliere gli ebrei: Israele. «Essere ebrei concretamente significa essere solidali con lo Stato d'Israele», aveva concluso Friedman tra gli applausi, prima che Sarkozy reagisse nel suo discorso affermando di non poter «accettare di sentir dire che gli ebrei possano aver paura di vivere in Francia».

   Martedì 11 marzo, questa volta all'Unesco, è stato un altro rabbino americano, Jeffrey Salkin, a sbilanciarsi - dopo un discorso critico sulla laicità europea - in un paragone tra Stalin e Saddam Hussein, affermando che l'unica differenza tra i due sia costituita dai gulag: «Le vittime di Saddam Hussein non hanno alcuna possibilità di sopravvivere!». Tutti si sono meravigliati di queste digressioni, che i dirigenti ebrei francesi hanno commentato con più indulgenza: «Gli americani non pensano che a questo!», mentre i cristiani sono stati più glaciali: «Sembrano dei rabbini sbarcati a Utah Beach per fare la predica!».

   Con i loro interventi, i responsabili cattolici - come Monsignor Lustiger, Paul Thibaud, presidente dell'Amicizia ebraico-cristiana (AJCF), Padre Bernard Dupuy - ed ebrei - come Simone Veil - nonché i rabbini Joseph Sitruk, Gilles Bernhaim e l'americano Israel Singer, numero due del Congresso ebraico mondiale, hanno permesso di ricentrare il dibattito e di proporre altre ambizioni: formare al dialogo le giovani generazioni ebraiche e cristiane; dare un esempio di moderazione alle società dove prosperano conflitti e violenza. per Monsignor Lustiger, la «riconciliazione» è uno dei segni di speranza offerti all'umanità: «Essa assume un rilievo particolare nel momento in cui l'imminenza di un conflitto pesa sulle nazioni».

   L'obiettivo di questi responsabili religiosi era stato facilitato da Nicolas Sarkozy, autore di un discorso sbalorditivo da parte di un ministro della Repubblica. Dopo i complimenti per la riconciliazione ebraico-cristiana, egli ha aggiunto: «La nostra laicità francese ha avuto un grande torto nel sottovalutare l'influenza della religione nella nostra storia. Il fatto religioso è più antico e più importante del fatto sociale (...). Dicendo ciò, non ho intenzione di attentare agli ideali repubblicani né di rompere il consenso intorno alla legge del 1905, ma bisogna liberare la laicità dai miasmi settari del passato».

[Tratto da Le Monde del 13 marzo 2003]



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