Sul Treno... A volte stai per anni con in
testa la certezza di un significato senza, per altro, preoccuparti affatto della sua
forma. Finché, un bel giorno, non ti viene in mente di metterlo per iscritto e non ti
trovi di fronte alla constatata ignoranza sul come trasmettere questo contenuto,
utilizzando correttamente il convenzionale codice di scrittura. Come si scrive Bonsai? Hai
pensato di scrivere un libro e di intitolarlo: "La foresta di Bonsai". Lampo di
genio, tutto in mente: la trama, il personaggio cardine, l'ambiente, l'epilogo, ma il
titolo, proprio il biglietto da visita di questo capolavoro in nuce, il titolo ce
l'avresti, ma non sai scriverlo e allora non puoi continuare. No! Perché nessuno
leggerebbe un libro col titolo sgrammaticato. Non che sia così grave ignorare come si
scriva bonsai, bonshai, bhonshaj, bonsaj, ma non sarebbe certo il miglior modo di iniziare
uno sforzo creativo. Comunque, questa foresta di bonsai o come si scrive, dovrebbe narrare
le disavventure di un genio incompreso, il signor Q, condannato dal suo strabiliante
quoziente intellettivo a trascorrere una grama esistenza in un casolare abbandonato della
val padana perché assolutamente refrattario ad ogni forma di ordinaria e comune
convivenza, il tapino finirebbe poi i suoi giorni in una casa di cura per malati di mente,
unico modo per sopravvivere alla modernità opprimente e massimizzante. Il bonsai
rappresenta la metafora dell'uomo moderno costretto e nanizzato dal mostruoso peso delle
tecnologie di comunicazione di massa che lo riduce ad una misera manciata di bit di cui
sono composti i suoi dati personali. Potrei sempre iniziare a scrivere e poi verificare,
tanto il titolo è l'ultima cosa. Ma è un fatto di principio, un tale presupposto mi
porterebbe certo fuori strada, il vizio di forma è vizio di sostanza là dove la forma è
anche veicolo della stessa sostanza. Un libro è fatto di parole, dunque in tal caso, le
Parole sono Il Libro. Hai mai visto un libro senza parole? Una pubblicazione senza titolo?
Se fai una foto fai una foto, se fai un libro di foto e vuoi che sia tale devi quantomeno
scrivercelo. Allora no, allora non posso impegnare neppure un altro minuto del mio inutile
tempo passato, a scrivere di questo tale Signor Q, reietto e profugo nella sua stessa
società. Il signor Q non me lo perdonerebbe mai, non potrebbe neppure solo per buon viso
accettare di essere stato partorito da un errore grammaticale, potrebbe morirne o nella
migliore delle ipotesi cadere in profonda depressione. Sì, direte voi: "cambia titolo", ma sarebbe un falso,
non avrei mai il coraggio di spacciare un contenuto narrativo con un nome falso solo per
coprire, occultare, la mia abissale e botanica ignoranza. Allora lasciamolo là il signor
Q, seduto in quell'angolino con i gomiti sulle ginocchia, lambito da luce soffusa, tra il
ricordo ed il rimpianto, proprio al limite del cervelletto, in quell'area grigiogialla di
cellule e scintille da cui potrei un giorno, chissà, ritiralo fuori. Onestà
intellettuale, questo il primissimo dovere dello scrittore, onestà principalmente verso
se stessi e conseguentemente verso tutto il resto. Il bello per chi scrive è di avere
come riferimento un mondo assolutamente fantastico ed ideale, il mondo del lettore. Questo
è un privilegio. Il mondo degli uomini è così noioso, tutti hanno diritti, doveri,
aspettative, interessi e ragioni ugualmente rispettabili e guai a chi scenda da qualche
fico a mettere in discussione i punti fermi del vivere uguale cui siamo costretti da
leggi, regolamenti, costituzioni e dal così detto buon senso. Il lettore invece no, il
lettore non ha alcun diritto, dovere ecc. ecc.; il lettore lo puoi pigliare pure a pesci
in faccia, il lettore lo puoi calunniare, gli puoi smadonnare in testa, gli puoi apparire in sogno e sputargli in un occhio,
il lettore è l'avatar del tuo pitale, un ens verso cui ed in cui versare ogni propria
immonda e liquida scoria concettuale. Sì perché una volta letto il titolo e qualche
breve nota di copertina, troppo spesso fuorviante e fanfarona, l'acquirente conclude il
contratto con lo scrittore: leggere, leggere il suo libro, qualunque cosa esso contenga.
Nessuna clausola è più vessatoria di questa. L'acquirente si candida così, col
contratto di lettura, a farsi massacrare le meningi da qualche chilometro di belle
paroline sapientemente assemblate a formare il concetto; che bello! Pensate che fortuna:
avere un mondo tutto per sé, assolutamente ideale, ma pericolosamente reificabile, sempre
in bilico tra la potenza e l'atto, fatto di monadi letterarie alla ricerca delle parole da
far pronunciare alla propria inerte testolina. Il libro dunque vive letto, ed assume ogni
volta diversa forma a seconda della particolare forma mentis del lettore. Che fortuna
poter creare ogni volta un mondo casuale i cui abitanti sono tutti tuoi schiavi ed ilioti,
servi della gleba, mai liberti e condannati a nutrirsi dei tuoi pensieri scritti, della
tua fogna fast, partorita magari proprio mentre lanciavi l'ultimo sonoro stronzo della
cagata del dopo matrimonio di tuo cugino. A questo punto chiunque, che abbia un minimo di
amor proprio o che non sia uno straniero in cerca di un esercizio per il proprio italiano, smetterà di leggere, dunque allora io posso
tranquillamente continuare a scrivere visto che dei masochisti non ho alcun rispetto e dei
neofiti dell'italiano me ne sbatto. Dicevo della assoluta soggezione del lettore al
concetto scritto ed al suo autore. Scrivere un libro è un po come scrivere "frocio chi legge" sul muro di un
cavalcavia autostradale; i poveri cristi che vi transiteranno sotto colle proprie belle,
veloci e colorate macchinine non potranno che prenderla in quel posto ad una velocità
proporzionata alla potenza del proprio motore, più corri e più prenderla nel culo è un
lampo. Certo nessuno intitola un libro "frocio chi legge", nessuno che non sia
un pazzo, un idealista un provocatore, uno che non vuole arricchirsi affatto col commercio
delle parole, nessuno eccetto me, che scrivo "frocio chi legge", proprio mentre,
su di un treno puzzolente, un ignaro passeggero sedutomi di fianco compie la straordinaria
e devastante scoperta di aver fino ad ora sbirciato una lunga e corposa ingiuria e che
questa per giunta gli si attaglia alla perfezione. Scrivere è il modo più pulito per
insultare qualcuno a caso.