autore: vittorio jovine

Spappolarsi.

 

In ufficio… Mangiare pesante è lusso, la caloria è status symbol! La piazza ribolle di stomaci in passerella e la domenica è piena di clacson che inseguono una bandiera. Stupenda questa landa di calciomalati satolli di putrido qualunquismo, alle prese con il salto mortale dell’azienda vita. Sì! L’azienda vita, e noi qui assunti, operai di un corpo preda dell’ultrabisogno. Ingolfati da un continuo rimpinzante ingrasso di ovvietà e gorgonzola. Disposti a bere qualunque baggianata pur di sentirci parte di una grande famiglia, pur di rincucciarci giulivi nella vulva ermetica di madre indifferenza. Partoriti da un media che ci libera dal male relegandolo in sé, accollandoselo intonso. Nulla di questa vita reale appare più veracemente tale. Si può assistere ebeti a gare clandestine di formula metropolitana, tranquillamente ammassati ai bordi di un’improvvisata pista di periferia a scommettere. Sì, a scommettere su chi dei coglioni rombanti ci porterà via la vita uscendo di strada ai 180 orari. E solo mentre roteiamo nel nero umido e granulare dell’ultima notte, sopra alla folla che fugge tra grida e ossa rotte, solo mentre sorvoliamo il mondo piccolo di un prato spartitraffico, scaraventati e sciolti da un urto che non  avremmo mai pensato possibile, solo allora, in quell’attimo eterno del passaggio tra la vita ed il telegiornale, capiamo quanto sarebbe stato importante agli esami di Stato rispondere correttamente a quella domanda di fisica: “Che cos’è il diodo?”. Che cos’è il diodo tutt’un tratto ci è chiaro, e stiamo volando, mani e piedi centrifugati dal primo principio della dinamica, stiamo volando e ci è chiaro cosa cazzo fosse in realtà quel diodo a cui si riferiva il presidente di commissione. Non certo il padre del cristodo, come rispondemmo blasfemi e ribelli, meritandocela tutta la bocciatura con ammenda che ne seguì, e neppure la prima nota del pentagramma celeste, Dio do appunto, come aggiungemmo nel disperato tentativo di stemperare il viola delle inorridite facce dei commissari. Elemento base dei semiconduttori, a funzione zero-uno, che consente un passaggio differenziato di corrente a seconda della polarizzazione; ecco che ci balena in testa la risposta. Un fottutissimo interruttore. Averlo ora un diodo, mentre strapazziamo la gravità con il nostro insulso esservi dentro e il fresco soffio delle 02.00 s’insinua tra petto e camicia, passando dal cavallo fin dritto al calcagno per fuoriuscire vorticando in un ritmico flap dal calzone in tinta bazar. Averlo un dannato diodo, per fermare il tempo, per toccare lo spazio di quest’attimo e carpirne il segreto che lo rende tale, unico e ultimo di una sequenza d’infiniti uguali. E invece no! Niente potrebbe arrestare il nostro primo ed ultimo esperimento di volo libero e notturno. Come per le formiche operaie lanciate col dito medio caricato a scatto dal pollice di un ragazzino al parco. Niente se non un miracolo; ma nessuno lassù si scomoderà mai per gente come noi. Allora bubbole, bubbole e non se ne parli più della nostra porca vita rotante. Domani già li vediamo tutti, i parenti, gli amici, la gente del nostro spazio quotidiano, della nostra università, del nostro assurdo circolo delle scommesse; i creditori, più in lacrime degli altri, i debitori, felici nell’intimo, ma doverosamente mesti nell’aspetto, e chissà, forse anche noi stessi, già divenuti spirito, appollaiati su qualche traliccio metallico a contare per sfizio le presenze umane al nostro estremo congedo. Che strano l’Uomo coi suoi bisogni mistici d’indorarsi la pillola ad ogni costo. Ma siamo ancora in questo mondo, sì con almeno nove decine e mezza di probabilità su cento di crepare, ma per il momento ci siamo ancora, e allora tutta la nostra volontà s’attacca al vorticoso vivere che ci distingue dal vorticoso correre di quelli di sotto, di quelle testoline scalmanate e incoscienti che si dimenano sul prato col loro carico di pensieri e bestemmie. Ma, cazzo! Il funerale è l’ultima delle disgrazie, il peggio sarà la TV, la stampa, il chiacchiericcio increscioso dei talk show, la faccia untuosa dei presentatori, e magari finire immortalati in qualche pubblicità alternativa di biancheria variamente colorata… No, no. No, cazzo, questa proprio non ci voleva, t’immagini l’articolo della gazzetta di provincia? E immagina il redattore, che ti piomba a casa per scoprire dove lanciavi le tue mutande sporche e che tipo d’arredo caratterizzava la tua stanza da letto, se collezionavi francobolli e se magari c’era anche una donna nella tua vita, ancor meglio se incinta. No, Cristo! Non posso morire, non posso morire, non devo…”Morire a trent’anni”. “Sangue e terrore nella notte, alla periferia nord della città durante una gara clandestina di auto truccate. Un giovane alla guida di un’automobile impazzita ha investito un gruppo di persone che assistevano all’evento. Quindici persone sono rimaste ferite, alcune in modo grave, ma è andata peggio a G.D.G., un giovane trentenne del sud, in città da qualche anno per lavoro.  Il giovane immigrato assisteva a bordo strada alle gare, incurante del pericolo. Per lui non c’è stato nulla da fare ed i medici del pronto soccorso non hanno potuto far altro che constatarne il decesso. “Hei, dì! Hai visto la gazzetta? Che titolo di merda! Come se la morte fosse qualcosa che ha a che vedere con l’età, come se l’ottantenne del necrologio a piè pagina se la fosse meritata, la morte” – “Fa vedere” - Legge…- “Sì, impazzita, adesso vuoi vedere che la colpa è dell’automobile che ha perduto il senno.” – “Sennò come fanno a farlo uscire di galera più veloce della luce a quell’imbecille che si crede Prost. – continua a leggere - “…del sud…se era di Voghera non moriva?”... “Constatarne!…”- “Ma dov’è che le fanno ste corse qua?” – “Come, non lo sai? Vicino alla centrale del Gas, verso l’autostrada, dove hanno costruito quei casermoni dello iacp”. – “Ah sì, me ne parlava Guido, giusto l’altro giorno. Pare ci girino parecchi denari per le scommesse”. - Squilla il telefono. – “Sì” - risponde – “ssssì… l’ufficio contabile… il dottor De Giorgi?… Sì, ma lei… ah! Eee…pronto! Pronto! Mah!”  Che c’è?” – “Strano, un tale mi ha chiesto informazioni su Guido”. – “E che c’è di strano, sarà qualcuno dall’amministrazione che deve….” – “Ma quale amministrazione, questo s’è presentato come uno della Gazzetta”. – “La Gazzetta? E che t’ha chiesto?” – “Niente, mi fa: Guido De Giorgi lavorava lì?” – “E basta?” – “Sì, e basta”. – “Strano”. – “Appunto, strano”.

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