OCRA/ARCHIVIO
Studies on the European Avant-Gardes




L'AIR DU TEMPS
di Sandro Ricaldone

Buoni ultimi, i francesi tentano da qualche tempo di attestarsi sul fronte delle nuove mode artistiche che, sotto la bandiera della rivendicazione della creatività individuale diffondono - principalmente, ma si potrebbe dire anche esclusivamente - una figurazione cui un residuo di decenza impone di mascherare la propria raffinatezza sotto un abito di stravolta brutalità.

Dopo l'affermazione della maniera della Transavanguardia italiana (questo best-seller lanciato con perfetta scelta di tempo dal più svestito fra i critici nazionali), dopo l'irruzione dell'espressionismo punk dei giovani berlinesi - gli unici con i quali ci sentiamo in qualche modo di simpatizzare e l'emergere negli U.S.A. di una situazione pluralistica che abbraccia gli ultimi fuochi del la new wave, gli affiliati della Transavanguardia internazionale, gli artisti cool della Metro Pictures e la frontiera di Fashion Moda (il dernier cri dell'importazio ne a-critica), l'avvento della "figuration libre" era stato annunciato lo scorso anno da "Finir en beautè", un accadimento curato dal convertito Bernard Lamarche-Vadel, cui bisogna comunque riconoscere il merito (non tanto - o non soltanto - di aver individuato artisti come Alberola, Blais, Blanchard, Boisrond, Combas, Maurige, Di Rosa, secondo espedienti critici ormai collaudati, quanto) di aver saputo evitare le secche di un eclettismo internazionalista di cui si sono rivelate esemplari mostre di maggiore impegno espositivo e più evidenti ambizioni, come "A new Spirit in Painting" e "Baroques '81".

Ora, a Nizza, con l"'Air du Temps" (propugnata ed allestita da Ben e Marc Sanchez) l'orizzonte, prima quasi esclusivamente parigino, si è allargato, non senza - crediamo - una motivazione per così dire geo-politica, ad alcuni artisti locali, del resto già noti (Lanneau, Gainon, Castellas) e ad altri operanti a Saint-Etienne e raggruppati attorno alla Galerie Napalm (Favier, Giard, Laget).

A caldo, l'impressione riportata non è stata precisamente d'entusiasmo. In parte, è vero, perché l'effetto di novità di questo stile "basso" è stato bruciato da quanto si è visto d'analogo in Europa negli anni più recenti (e i berlinesi, anch'essi - oggi - troppo innalzati, mostravano di saper raggiungere temperature più elevate).

A freddo, non abbiamo rintracciato ragioni che ci consentano di formulare valutazioni più favorevoli.

Non un'esposizione importante, quindi (checché ne pensi Ben o ne scriva Bernard Lamarche-Vadel sul più recente numero di "Artistes") sebbene non priva di elementi d'interesse, dalla quale si può rilevare come una poetica in cui l'accento viene posto su una rivendicazione della libertà (che si appoggia, per meglio sottolineare la propria rot-tura con le posizioni - lato sensu - modernistiche, ad un deliberato mauvais gout) rischi di soffocare nei limiti di un canone scolastico l'intensità delle doti creative di coloro che vi si affidano.

Una impostazione: siffatta (e le contraddizioni che inevitabilmente le corrispondono) rammenta, seppure non troppo da vicino, la problematica elaborata nel secondo dopoguerra dagli esponenti di Cobra (in cui possiamo riconoscere, con Xavier Girard, il "rifiuto dell'intellettualismo, della cultura depurata, dei formalismi di ogni tipo ed il volgersi ad un"'art autre", popolare, infantile e bruta") e, curiosamente, la stessa definizione di questa nuova (?) pittura come "figuration libre" rimanda a quella di "non figuration libre" impiegata nel '50 da Michel Ragon per caratterizzare l'operazione tentata da Jorn e compagni.

Il parallelo è certamente azzardato: non solo è mutato in fatti il quadro dei riferimenti culturali (al surrealismo ed all'"art brut" si sono sostituiti i comics, il rock, l'immagine video - utilizzati comunque in senso del tutto dissimile da quello proprio degli artisti pop, di Fluxus o di un Oyvind Fahlström) e la specificità "artistica" dell'approccio ha finito col ridurre dimensione e complessità dei problemi in gioco, ma - soprattutto - tanto fra gli artisti della cerchia parigina, che - combinando lo schematismo del disegno all'esasperazione del colore - più decisamente si sono mossi nel senso di una figurazione eclatante e "volgare", quanto fra i nizzardi ed i pittori di Saint-Etienne che, al contrario, si valgono di un tratto più tradizionale e ci propongono immagini più colte, non sembrano emergere ancora personalità capaci di esaltare, nelle loro opere, le opzioni teoriche e di gusto della tendenza, liberandone le potenzialità latenti.

françois boisrond fa della bande dessinèe (vivace, piacevole) che vorrebbe apparire negativa idiota volgare sentimentale provocante (parole chiave).

neanche di rosa si avvicina eccessivamente all'obiettivo.

ben si è fatto intervistare da andy warhol, lamarche-vadel posa a distaccato precursore.

catherine viollet dice: troppa misoginia, avrei dovuto essere selezionata. e yoko gunij?

catalogo smilzo. nello spazio di blanchard (che ha esposto recentemente da holly solomon) una improbabile avventura melanconica di mosche, disocoppati, ptltura, periferie, uccellini morti, gatti.

quelli di en avant comme avant cercano di sembrare duri.

denis non fa che disegnare.

gli artisti dell'atelier hanno esposto opere di pretesi giovani "nuovi", in effetti realizzate da loro stessi con stile contraffatto.

robert combas traveste il pop alla peter blake con turcherie naïves. Ha detto: quelli di Nizza non fanno della figuration libre, fanno dalla pittura antiquata (sì, ma jacqueline gainon è bravissima).

per luglio si aspettano i nouveaux realistes (?!?).