OCRA/ARCHIVIO
Studies on the European Avant-Gardes


 

 

 

SONIA ARMANIACO

“Stop Making Sense”

 

Mi interessano le “aperture”, gli spazi aperti fra strati di segni. Mi interessa dare un senso di movimento, di costruzione, non sopporto di veder camminare su tapis-roulants, preferisco tracciare dei percorsi. Di studio e di lavoro.

Gli spazi vuoti dei miei quadri sono un po’ il temporaneo azzeramento della linea (grafica dell’encefalogramma. Una specie di punto zero della comunicazione. La comparsa a intermittenza di uno stato comatoso tra picchi e vette di informazione.

Aperture e chiusure di circuiti senza operare selezioni, mi piace immaginare un relé non programmato. Una produzione di drifts (impulsi) irregolari e inattesi.

Credo sia un modo di descrivere la vita quotidiana della nostra civiltà urbana, la propagazione degli eventi, il naturale loro appiattimento e la velocità delle nostre percezioni.

Dicevo prima che mi interessa dare un senso di costruzione e mi pare che a questo concetto ne vadano associati altri: evoluzione e mutamento.

In uno degli ultimi lavori, ho affrontato il tenta della Torre di Babele: al culmine avrebbe dovuto esser collocata un’anten­na, mezzo di accesso ad un tem­po del sogno, dreamtime appunto.

Per quanto riguarda poi le rela­zioni che esistono tra il mio lavoro e la situazione artistica della mia città . . . non mi sono mai posta di fronte ad un’idea pensandola in relazione all’atmo­sfera esistente. L’unica volta che ho ideato un lavoro pensando al luogo di immediata collocazio­ne è stato per la mostra “Giova­ni Pittori in Liguria”.

Non so suggerire una precisa li­nea strategica, non mi riesce di pensare in questi termini. Sono però sicura, per quanto mi riguarda, che la strategia sia den­tro il lavoro, che faccia già parte dell’idea di investire in un’attività del genere, nel sen­so che pone i suoi punti fondamentali nella ricerca, nello studio, nella costruzione. E’ un in­vestimento a lunga scadenza e di ampio respiro.

Sicuramente una buona strategia sarebbe quella di discutere di linguaggio e non di war games.

Restringendo poi il campo a questa città credo che la situazio­ne si stia muovendo, scuotendo, e dico questo in base ad un mio stato d’animo ed a ciò che percepisco a livello di sensazioni e non rispetto a dei reali dati po­sitivi od a vantaggiosi cambiamenti.

Pochi giorni fa un collega, e lo definisco così perché è di professione che si parla, mi suggeriva che l’ingenuità è una dimensione artistica. Io ho inte­so questa affermazione come proposta di un modo nuovo e senza fantasmi di relazione con le co­se. E ho pensato che l’ingenuità potrebbe essere anche uno splen­dido arte-fatto.