OCRA/ARCHIVIO
Studies on the European Avant-Gardes




TRANS-CULTURA, ECLETTISMO, INVOLUZIONE
di Sandro Ricaldone

Nel testo con cui introduceva la mostra "Arte e storia dell'arte in Francia 1980", organizzata a Genova appunto nel corso di quell'anno, e passata - a torto, data la sua ambizione di configurarsi come indice della trasformazione (in atto) della scena artistica internazionale - quasi del tutto inosservata, Marcelin Pleynet ha posto questioni che, per la loro centralità, meritano di venir riprese e discusse.

In breve, Pleynet, contestando la subordinazione dell'arte alla filosofia (alla morale, alla "psicologia") conseguita alla formulazione della critica kantiana del giudizio estetico, nella quale verrebbe riconosciuta (od imposta?) all'arte la duplice funzione di "rappresentare sia l'ordine del sistema ... sia la manifestazione marginale, quasi a-culturale, dei falliti del sistema", revoca in dubbio la rappresentazione degli accadimenti artistici come storia, ovvero come evoluzione e cronologia. L'indagine freudiana e, in particolare, la scoperta dell'inconscio - che segnerebbero non già l'ingresso bensì il superamento dell'epoca della psicologia - impongono invece, a suo avviso, una ricognizione delle molteplici forme dell'arte moderna, fondata sulla "posizione che esse occupano sotto il profilo sintomatico, come manifestazione di un refoulement che le fissa, più o meno, all'oggetto che debbono trascendere. (...) In questo senso, sebbene vada riaffermata la loro diversità, l'insieme dei movimenti d'arte moderna sembra darsi come la posta complessa di una resistenza al sistema, piuttosto che come la storia di quella evoluzione formale ed ideologica che certuni fingono di scoprirvi".

Alle ricostruzioni "evoluzionistiche" dell'arte (ossia, ad esempio, alle considerazioni puristiche di Greenberg od alla consolidata tesi che fa discendere l'universalità dei movimenti contemporanei dall'unica matrice delle ricerche postimpressioniste) si sostituisce una concezione dell'attualità libera - tanto sul piano della riflessione che su quello della pratica - di porre in questione i propri legami con il passato, di troncare o di riprendere analisi nuove e tradizionali, un'attitudine che non è quindi improprio qualificare come fenomeno di transito, o denominare "trans-cultura". Questa negazione (non diremmo della storicità quanto piuttosto) della possibilità di ricomporre la vicenda dell'arte in un attendibile sistema di sviluppo ci potrebbe trovare consenzienti - benché in definitiva non si tratti che di sostituire una metodologia di classificazione "tematica" (e di conseguenza, unilaterale) ad una descrittibilità diacronica - perché rimaniamo convinti che lo svolgimento delle esperienze artistiche non sia razionalizzabile in schemi monistici di derivazione ma costituisca piuttosto un accumulo di fenomeni nel cui ambito lacune e tensioni non escludono il formarsi di legami, o l'insorgere di episodi (certo non del tutto privi di connessioni, ma, talvolta) eccentrici. Tuttavia la posizione che, in concreto, questo abbozzo teorico intende convalidare (ci riferiamo qui alle opere presenti alla rassegna cui s'è fatto cenno, fra le quali spie cavano gli squallidi esiti di "rimasticatura" cui sono approdati artisti come Louis Cane e Vincent Bioulès, che pure, in precedenza, avevano offerto prove più convincenti del loro valore) non va oltre un eclettismo che, in fatto di contaminazioni stilistiche e di recupero del dejà vu, gli autori pop avevano saputo proporre con maggior coraggio e freschezza e che mette comunque a nudo il nucleo sostanziale delle tesi avanzate da Pleynet.

D'altronde, là dove entra in gioco il problema della storia (intesa come storia dell'arte) - e, certamente, non è questa la prima occasione - il rischio di cadere nell'insidia del pastiche e del cattivo gusto è molto forte: valga, a questo proposito, l'esempio (più che dei Preraffaelliti o dei Nazareni) del novecentismo italiano (e degli omologhi movimenti, in specie francesi) nel quale - ed è il caso non soltanto dei "minori" ma, in certa misura, di artisti come Carrà, Sironi, Severini e, sotto un profilo diverso, forse anche più appariscente, dello stesso De Chirico - la continuità con la tradizione viene ricercata al livello dello stile (quando non, addirittura, dell'artificio retorico), congelando gli sbocchi del tentativo in uno spazio di aulica esteriorità.