ASGER JORN
di Enrico Baj
Il vichingo arrivò a Milano il 28 marzo 1954 a mezzogiorno. Proveniva
da uno chalet, "Il Bucaneve", di Villars Chésières ove si trovava per riposo e per
curarsi i polmoni. Di là mi aveva scritto una prima volta cinque mesi avanti, il 31
ottobre, data per me capitale. Ci scambiammo subito dei documenti e delle lunghe lettere.
Ho tutto un pacco di corrispondenza scritta a mano o un romanzo a due: infatti ho anche copia
delle mie lettere dopo che la Asger Jorn Foundation me le ha fatte avere dalla Danimarca.
Io ero entusiasta delle attività e dello sperimentalismo di CoBrA, il
famoso gruppo di artisti nordici attivo fra il '48 e il '50.
Contrariamente a quanto se ne
potrebbe dedurre a prima vista quel nome, Cobra, non proveniva da una comune volontà di
Appel, Alechinsky, Corneille, Constant, eccetera di mescolarsi a reminiscenze serpentine; né
stava a significare la velenosità mortale dei loro attacchi contro i locali passatisti; e
nemmeno alludeva, quel nome, alla volontà di identificarsi a quel colubride protoroglifo
del genere naia e della sottofamiglia degli elapini, la cui peculiare caratteristica consiste
nella capacità di dilatare il collo a guisa di disco, quasi incappucciandosi. Velenosissimi.
Eppure veneratissimi, portati in casa, addirittura in famiglia da Indù e Birmani, che li
tengono al riparo dentro a ceste di paglia. Questi, come ogni altra specie di ofide, non fanno
né paura né ribrezzo, e non inducono - alla vista, allo striscio, al sibilo -
brividi, pelle di cappone o altre manifestazioni enteriche negli astanti, siano essi degli
Indù o degli Africani. Al contrario l'uomo bianco e l'europeo in specie, è subito
reso affranto da un minimo "orbetto", che tra l'altro manco ci vede e persino, talvolta, é
impaurito da una leggiadra lucertola o da una magnifica salamandra. La salamandra non solo
é animale antichissimo, che potrebbe, se vocalmente ammaestrato, raccontarci storie
d'Iguanodonti e Brontosauri giurassici in lotta duecento milioni d'anni fa per il territorio,
mentre un ranforinco li osserva dall'alto; ma almeno, se non fosse così perseguitato dalla
stupidaggine popolare che lo vuole pericoloso, ci verrebbe incontro di frequente adornandoci la
vista coi suoi splendidi colori, oltre che con le sue mosse, direi addirittura con le sue moine.
CoBrA non veniva quindi dal nome del noto colubride, serpente stupido ed ignaro
dei movimenti dell'avanguardia nordica; ma più semplicemente era l'acrostico risultante
dall'unione delle iniziali di tre capitali: Copenhagen, Bruxelles, Amsterdam, ove era
contemporaneamente sorto.
Agli artisti di Cobra io e Dangelo mandavamo i nostri cataloghi "nucleari": quando il vichingo
li vide pensò che la nostra attività corrispondesse alla loro, ne fosse una
prosecuzione, e me lo scrisse. E venne a Milano, armi e bagagli, con zaino, tenda da campo e un
violino. Il violino lo dimenticò in treno, per cui, accortosene, nel pomeriggio si dovette
tornare all'Ufficio Oggetti Smarriti, ove fortunatamente fu ritrovato, il che lo dispose
favorevolmente verso di me e l'Italia.
Jorn amava la musica e davanti alla numerosa famiglia,
per Santa Lucia e in altre speciali occasioni, suonava e suonava. Io non sono specialmente un
melomane: non arrivo però agli estremi dei surrealisti che si otturavano ostentatamente le
orecchie al suono di una qualunque melodia. Le sviolinate di questo nordico, che ad Albisola aveva
raggiunto il Mediterraneo - e quale Mediterraneo, vicino al porto di Savona, specialista in
carbone e petroli - seguendo l'ancestrale cammino degli avi, mi piacevano.
Quando non aveva ancora una dimora, s'era accampato con la tenda vicino alla
casa di Aligi Sassu, che a quei tempi stava da quelle parti. Poi tutti gli diedero una mano, da
Lucio Fontana, a Agenore Fabbri, a Tullio Mazzotti, che lo invitò a lavorare la ceramica nei
suoi forni. Nell'estate di quello stesso '54, ad Albisola, Jorn, che a far terrecotte s'era
già impratichito al Nord, organizzò degli incontri internazionali attorno al tema
della ceramica. Si lavorava tutti da Tullio e vennero anche Appel, Corneille, Matta, i poeti
Edouard Jaguer, che conobbi in quella occasione, Roland Giguère e Théodor Koenig.
Gli italiani oltre a me erano Dangelo, Fontana e Scanavino.
Più tardi esponemmo tutti
insieme le nostre ceramiche alla decima Triennale di Milano, in seno alla quale si teneva un
congresso "Industrial Design nella Società", con la partecipazione di Enzo Paci, Luciano
Anceschi e Max Bill. Si iscrissero a parlare sia Fontana che Jorn. Lucio Fontana attaccò
il significato e la ragione stessa dei congresso in nome dello Spazialismo. L'uomo spaziale,
sostenne, ha prospettive e intuizioni rmai esorbitanti dalle limitatezze del funzionalismo e
dell'estetica razionalista. Andò poi alla lavagna e disegnò con un gessetto bianco
la terra, la luna, i punti di fuga, il sole e l'uomo. Uno show riuscitissimo, che diede modo, e
tempo, a Jorn di prendere appunti (battendoli a macchina, ché lo scandinavo
frequentissimamente girava con zaino, violino e portatile Olivetti) per un suo successivo
intervento contro Max Bill.
Bill aveva preso la parola dopo Fontana. La sua esposizione era
lunga e metodica: non demordeva, non finiva più, per di più con precisione tutta
svizzera. Jorn nell'attesa di essere chiamato a parlare aveva avuto modo di scriversi una valanga
di appunti.
L'occasione era storica, visto che proprio Jorn, io, Appel, Corneille, Alechinsky, il
tedesco K.O. Goetz e lo svedese Österlin avevamo fondato alla fine del '53 il Movimento
Internazionale per un Bauhaus Immaginista contro il Bauhaus Immaginario. Bauhaus immaginario,
ma esistente, era per noi la scuola che nel 1950 Max Bili aveva aperto ad Ulm, col proposito di
ricreare l'antico, glorioso Bauhaus degli anni venti. Noi si era per l'immaginazione: al potere?
no, grazie. Anche se "l'immaginazione al potere" del '68 fu la filiazione ultima di quelle nostre
posizioni, filtrate poi attraverso il lettrismo ed il successivo situazionismo, cui Jorn diede
notevole impulso. Penso che né io né Jorn, nemmeno nel profondo, si ambisse mai
a posizioni di potere. L'unico potere al quale tendevamo era il potere di immaginazione, che
é certo agli antipodi del potere derivante dalla occupazione di un posto, di un grado
burocratico-politico e/o politico-mafioso. Si era dunque per l'immagine contro la funzione, per
l'espressione contro l'utile, il concreto, il razionale, eravamo decisamente contro l'elvetizzazione
dell'arte. In altri termini eravamo per l'espressionismo astratto e immaginista allo stesso tempo
e detestavamo il dominio dell'angolo retto, della linea dritta (sì, in fondo molto meglio
storta), della geometrizzazione forzosa.
L'attacco di Jorn a Bill fu frontale, irruente,
pieno di logica e di riferimenti metodologici. Solo un nordico avrebbe potuto così bene
e con tale precisione preparare e attuare la dovuta strategia oratoria. Secondo Jorn ormai
geometria, logica e filosofia classiche erano state ribaltate, mentre nella scienza il vecchio
sistema causale era stato sostituito con quello probabilistico. Conseguentemente, venendo rimessi
in questione tutto il sapere e tutta la realtà, lo sperimentalismo diveniva ipso facto
una nozione comune ad arte e scienza: "Se il dubbio scientifico si esprime con l'analisi, quello
artistico si esprime con l'azione, cioè con la sperimentazione". Delle tre caratteristiche
di un oggetto - tecnica, funzionale, estetica - il terzo fattore, quello estetico, deve essere
considerato il primo. E l'estetica di un oggetto non é armonia formale, ma la sua
comunicazione, il suo effetto immediato sui nostri sensi senza tenere conto della sua
utilità o del suo valore strutturale: "Deve svegliare la nostra curiosità,
la nostra intelligenza, sorprenderci". Come possiamo, si chiedeva alla fine Jorn, difendere la
libertà e la sperimentazione nelle nuove condizìoni storiche, per evitare un
automatismo tale e la trasformazione della nostra intelligenza in riflesso standardizzato? Quello
di Jorn non era un intervento contro il relatore che l'aveva preceduto: era un manifesto!
Arrivato in Italia Jorn ebbe un primo collezionista nell'avvocato Paride Accetti.
Cominciò che Jorn venne con me ad un party dell'Accetti, che allora abitava in via Durini
sopra l'appartamento di Wally Toscanini. S'era portato dietro un piccolo quadretto dal titolo:
"Donna incinta e cane ubriaco" e glielo regalò. Il quadro poi mi piaceva tanto che anni
dopo l'Accetti me lo regalò. Dopo l'Accetti cominciarono ad interessarsi di Jorn Carlo
Cardazzo, che regolarmente gli comprava dei quadri, e Paolo Marinotti, che di Jorn credo era il
più grande collezionista. Contemporaneamente Jorn cominciava a vendere anche all'estero:
in Germania, in Inghilterra e in Danimarca; mentre in Francia la Galleria Rive Gauche l'avrebbe
poi rappresentato a lungo.
Jorn mi consigliava spesso di andare a Parigi, dove lui, agli inizi del '55
s'era comprato, attraverso difficoltà incredibili, una modestissima casa in Rue du Tage,
vicino alla Place d'Italie. A Parigi Jorn era a casa da sempre, avendovi già lavorato alla
fine degli anni trenta nello studio di Fernand Leger. Quando, nel novembre del 1954 gli mandai i
primi numeri di Potlach, bollettino d'informazione del gruppo francese della Internazionale
Lettrista ne fu interessato e ne parlammo a lungo. E finalmente nel 1955 gli mandai il primo
numero della nostra nuova rivista il Gesto. Ne fu entusiasta e mi scrisse subito "Mio caro,
ecco una sorpresa piacevole. Il Gesto è una pubblicazione viva... Rimpiango
soltanto la mancanza di Appel. A mio avviso è la pubblicazione più viva in Europa
dai tempi di Cobra. Ciò mi dà un piacere enorme e dico a me stesso: ecco che si
ricomincia. E' formidabile. Complimenti!".
Uso frequentemente il verbo "mandare" perché in effetti io e Jorn ci
vedevamo pochissimo, ma ci scrivevamo moltissimo. Il nostro fu letteralmente un "amore letterario",
per lettera. Le ultime missive sono datate del 1961. Poi lo vidi ancora qualche volta a Milano nel
1963 all'epoca della mostra Visione-Colore e nel '66 a Parigi. Moriva alcuni anni dopo
nella sua Aarhus nel 1973. I polmoni erano il suo tallone d'Achille, come pure di Christian
Dotremont, il poeta belga assieme al quale aveva fondato Cobra. Agli inizi degli anni '50 tra
stenti e fatiche contrasse la tisi: Pontus Hulten mi riferì che durante un soggiorno a
Stoccolma, Jorn dormiva sotto i ponti: non aveva un centesimo. Vent'anni dopo, raggiunta da poco
una reputazione internazionale, doveva essere l'innominabile male a soffocargli ogni possibilità
di respiro. Non fu fortunato. Aveva 59 anni.