OCRA/ARCHIVIO
Studies on the European Avant-Gardes




Profili: RENATO BARILLI
di Carlo Romano

Qualsiasi questione venga a toccare, Renato Barilli sembra partecipare un qualcosa che, se non lo sapessimo licenziato docente dell'Università per antonomasia più grassa d'Italia, scambieremmo tranquillamente per la tesi di un laureando preoccupato di non uscire troppo dai confini) che intuisce nei suoi esaminatori. Quando faceva planare la sua ancor fresca intelligenza sulle quotazioni del romanzo e Feltrinelli lo pubblicava in una collana messa su per dar voce proprio ai giovani più talentosi - nella fattispecie quelli della baldanzosa neo-avanguardia italiana - suggeriva intenzioni disaminatorie diligentemente concentrate sugli aspetti meno angosciosi del problema. Quando poi ai Beckett ed ai Robbe-Grillet cominciò a sostituire nuovi eroi - quelli di cui ancor oggi continua a fare bandiera, Herbert Marcuse e Marshall McLuhan - le sue mire ebbero modo di palesarsi meglio.

Il libro che pubblicò da Bompiani nel '74, "Tra presenza ed assenza", portò alla luce il suo desiderio di riconvertire le intelligenze cui si aggrappava, per un malcelato bisogno di avere a padri valentuomini colti di ceppo liberale. Di McLuhan, Barilli accetta incondìzionatamente lo stato di studioso più idoneo ad ogni confronto ideale con le tecnologie elettroniche, per aver questi dedicato la sua opera profetica - e avendone quindi parlato prima e più di altri - alle loro intrinseche possibilità creative. Marcuse è invece l'adulato veggente, tutto filosofia tedesca e giovanilismo da sessuagenario, che, se disserta sulla trasfigurazione dell'umano attuata mediante il lavoro lo fa solo per augurarsi il trionfo dell'estetica sulla sociologia e che, dunque, cooptando quella trasfigurazione in questo trionfo lacererebbe le logore pastoie ottocentesche inaugurate da Marx.

Privato l'uno degli aspetti più decisamente sovversivi del suo pensiero, accolta la monomania dell'altro come un invito a nozze, dall'uno e dall'altro fa rilucere un'escatologia che ha per contenuto l'uso artistico dei prodotti tecnotronici-telematici : il fine più desiderabile per l'umanità, a quanto ci è dato di capire, che ci prefigura impegnati a districarci artisticamente fra i video-biliardini per i secoli a venire. Si sposi, in poche parole, il romanticismo al computer e si avrà l'esplosiva miscela che consentirà di accendere la sensibilità di ciascuno.

Quanto, nel decidere di questo avvenire, sia implicata. l'abituale conflittualità non è dato sapere. Ma - poiché a deciderlo saranno quadri e poesie - la vita di Lorenzo il Magnifico, la cronaca del circolo, di Bloomsbury, la storia di Leo Castelli od altra epopea sull'allevamento d'artista + una sfavillante cena programmata dall'IBM in casa di Marta Marzotto - la quale non dovrà neppure essere convinta che la riparazione dei torti è materia di vecchie canzoni di Pietro Gori - potranno compiere in una sola serata ciò che non sono riusciti a portare a termine secoli di riti sabbatici ed uomini di penitenza. Tempo addietro un tentativo consimile venne adombrato nell'invito a fare uso di pochi milligrammi di acido lisergico. Ma, non prestandosi tale sostanza - almeno a quei tempi - ad una capillare diffusione planetaria, si videro i suoi profeti allearsi con gli elementi più ribaldi e sfrontati del corpo sociale e rassegnarsi infine a fare dell'"allargamento della coscienza" niente più di un contrassegno per talune esperienze fortemente datate, concernenti episodi della letteratura, della musica rock e di qualcos'altro rammentabile come "psichedelico". Poiché tuttavia la politica sembra avere maggiore dimestichezza con l'arte e l'elettronica (ma per riguardo alla verità ricordiamo che, se non lui stesso, almeno la moglie del premier canadese Trudeau ebbe ad esprimere simpatia per i fermenti connessi all'LSD), per esse congiunte si prospetta un grande avvenire, confortato, fra l'altro, dall'antica indicazione metodologica che risale all'epoca in cui divenne più evidente cosa i bolscevichi intendessero fare e fu coniato lo slogan suggestivo ed efficace "i Soviet più l'elettrificazione".

Bene. Per Renato Barilli ci troveremmo, con queste idee, al centro di un modello ch'egli chiama di "presenza", altrimenti definibile, con espressione demodé, come il modello dell'impegno e del coraggio civili - trattando l'altro, quello dell'"assenza", di una dismisura che, nei suoi termini lessicali fondati sul libertinaggio, appare poco o niente recepibile dal senso comune. Alla seconda edizione del suo libro (Bompiani 1981) Barilli ha voluto premettere alcune precisazioni sugli anni trascorsi, nell'intento di iscrivere i suoi sforzi fra i registri dell'epoca di cui oggi i più farneticano ed alla quale il nuovo sottotitolo ("due ipotesi per l'età post-moderna") si richiama senza pudore. In questa nuova introduzione il nostro autore gioca a difendere le vecchie scelte e ad esprimere il suo compiacimento per il potenziale divinatorio delle vecchie pagine e, soprattutto, a dar ragione del suo volgersi univoco alle arti visive. dopo anni di contaminazioni letterarie.

Smettiamo di cianciare. La grande utilità del libro non sta in questo, ma, piuttosto, nel rivelare quanto negli ultimi anni un certo tipo d'intellettuale abbia frequentato le edicole per rifornirsi di quelle riviste di divulgazione scientifica attorno alle quali è nel frattempo cresciuto l'interesse e in che modo da esse abbia tratto la potenza allegorica di cui fa uso per recare il proprio contributo all'avanzamento di tutto ciò che è posteriore.