OCRA/ARCHIVIO
Studies on the European Avant-Gardes




IL RUOLO OSCURO. CHARLES CROS.
di Gabriele-Aldo Bertozzi

Cros aveva depositato il plico che illustrava l'invenzione del fonografo all'Académie des Sciences; esso resterà a lungo in un cassetto, permettendo ad Edison di prendere il brevetto prima di lui. E' l'esempio più noto della sua sfortuna. E' anche emblematico del suo cattivo destino perché non é l'unico. Per la fotografia a colori e per altre ricerche è avvenuto qualcosa di analogo. Anche la sua poesia non si sottrae a tale sorte. Sarà forse superfluo dire che l'unica differenza consiste nei tempi più lunghi che si sono succeduti per rendersi conto di questa "scoperta". Si può dire che il plico di Cros contenente la descrizione di una nuova poesia, di una nuova arte, viene aperto circa cento anni dopo. Nell'attesa, tanti piccoli Edison hanno tentato di prenderne il brevetto.

Ciò é quanto cercheremo di dimostrare in questo capitolo. Innanzitutto precisiamo cosa si intenda per "ruolo oscuro", titolo che dà anche il nane all'intero saggio. Non ci prodigheremo in autocitazioni per ricordare tutte le volte in cui abbiamo avuto occasione di sottolineare che, per valida che sia la produzione poetica di Cros (ad es. "Le Coffret de Santal") non è lì che dobbiamo concentrare la nostra attenzione; se così facessimo troveremo sì un poeta degno di rispetto, ma non certo superiore ad alcuni suoi contemporanei. Caso mai, la sua prima opera e ancor più "Le Collier de Griffes" e ancora i monologhi e le prose servono per rintracciare i segni di un progetto che appare più gelosamente nascosto dei suoi procedimenti scientifici, proprio perché a questo teneva di più. E' vano pertanto cercare, come si fa, di scoprire in Cros un poeta di prima grandezza. La sua vera importanza consiste invece nell'essere sempre stato un "esploratore" di poesia. Ha creato, sì; ha inventato, pure, ma il suo maggior talento consisteva nell'"esplorare", nel cercare nuove espressioni del fare poesia. Se fosse reso canonico questo suo ruolo fino a oggi oscuro, allora sarebbe senz'altro riconosciuto, in questo, come una "prima grandezza".

Un'altra osservazione a proposito del titolo del nostro lavoro. Si noterà che in copertina (e nel frontespizio) non figura, come parrebbe logico, il nome di Cros! Non si tratta di una civetteria da "letterato": indicare l'autore che lasciò che si perdessero tante occasioni di fama e di fortuna, che nel 1882 rifiutò i mezzi per le sue ricerche che gli offrirono alcuni membri della Société de physique, ci sarebbe sembrato sminuire la consistenza dei suoi meriti. Per ora si nota che il nostro secolo si è mosso nella direzione da lui indicata. Tutta la poesia cosiddetta d'avanguardia ne é la prova. E più le avanguardie si rinnovano più ci si avvicina a Cros. Se si volesse essere cauti, si potrebbe dire che il futuro potrà rivelare delle sorprese, che resta ancora da dimostrare la validità degli intenti di Cros. A parte che tali "prove" nel campo della creatività non possono mai essere decisive, c'è da dire che se il tempo riconoscerà sue quelle intuizioni, allora gli uomini diranno - come affermava lo stesso Cros - che egli aveva del genio. In ogni caso però, per la completa rivalutazione del poeta, occorrerà che ancor prima del nome si riconosca la validità del ruolo.

Esaminando l'opera di Cros secondo questa prospettiva, si vedrà che molti giudizi finora espressi vanno modificati o completati. Noi pure, nei precedenti capitoli, abbiamo parlato del poeta e dello scienziato, delle poesie e dei monologhi, di elementi simbolisti e del recupero surrealista, e di altri aspetti ancora. Non crediamo che sia una contraddizione con quanto affermiamo ora. Si trattava prima di studiare quelle componenti della sua opera che, nella continuità, nella tradizione, recano elementi nuovi, originali. E' il primo gradino della conoscenza che non può essere saltato se si vuol conoscere anche meglio la sua situazione nel ventesimo secolo. Ciò ci permette pure di affermare che la "rivoluzione" di Cros è stata più intuita che dimostrata. Lo si colloca fra i più accesi rivoluzionari; le sue opere complete vengono pubblicate insieme a quelle di Corbière ("Pléiade") o, in un'altra collana, con quelle di Rimbaud, Lautréamont, Corbière (1). Ma le argomentazioni della scelta (le solite quando ci sono, anche se si tende ad evitare il confronto diretto) ci sembrano arbitrarie, dato che non si parla del suo ruolo oscuro. Nonostante alcuni slanci da "revolté", nonostante alcuni suoi "raccourcis violents", Cros non reggerebbe il confronto con i "gesti" provocatori di Rimbaud, Corbière, Lautréamont. E la ragione, come vedremo, è che egli visse d'attesa, credendo fino alla morte di poter trovare la formula di una poesia completamente nuova, mentre per quei suoi contemporanei l'accento va posto più sull'istanza devastatrice, distruttrice (Rimbaud, sappiamo, credette solo per breve tempo di poter modificare completamente la creazione poetica).

Parlavamo dei giudizi su Cros che vanno modificati o completati. Per prima cosa occorre demolire la credenza, ripetuta anche da Breton, che egli si sia perso in innumerevoli sfere di interessi, distinguere cioè lo scienziato dal poeta, e in quest'ambito procedere ancora con ulteriori suddivisioni come invenzione del fonografo, ricerche sulla fotografia a colori, filologia, poesia, monologhi e così via. Cros aveva un solo interesse e uno soltanto: la poesia. E in quella direzione ha convogliato per tutta la vita ogni suo sforzo. Ha inventato una macchina parlate per dare suono alla poesia e non per dare uno strumento pratico di registrazione. Nel nostro secolo saranno soprattutto i poeti del gruppo della Poesia Sonora a seguire le sue indicazioni impiegando il fonografo e poi tutti i più sofisticati mezzi elettronici che da esso derivano. D'altronde la differenza fra Cros ed Edison é che il primo si rese conto che poteva costruire una macchina parlante, mentre il secondo vi giunse quasi per caso; l'uno era un inventore al servizio della poesia, l'altro al servizio dell'industria. Parlare poi dell'immagine legata alla parola o delle esperienze della Poesia Visiva e collegarle alla fotografia a colori ci sembra ancor più facile. In quanto al filologo o meglio allo studioso di scritture antiche si potrebbe molto agevolmente far riferimento alla corrente del Lettrismo. E se si dicesse che i lettristi hanno creato scritture nuove (ipergrafia, superscrittura) anche qui potremmo ricordare Cros che in "Le Caillou mort d'amour" produce proprio un eccellente esempio di "ipergrafia" (2). Potremo ancora confrontare altre ricerche del poeta con altre istanze del Novecento tipiche delle avanguardie, ma preferiamo subito dire che Cros si pone al di sopra di queste perché in lui vi é un reale slancio verso la poesia totale, mentre le nostre correnti pur soffrendo di tale ambizione non hanno fatto e non fanno altro che scomporre le zone della creatività.

Desideriamo ora arricchire con argomentazioni ritenute valide questa nostra interpretazione. Innanzitutto diciamo che abbiamo colto l'indicazione nella parola di importanti poeti del nostro secolo e dalle loro più accese affermazioni o polemiche. Guillaume Apollinaire per esempio scriveva nel 1914:

"Avant peu, les poètes pourront, au moyen des disques, lancer à travers le monde de véritables poèmes symphoniques. Graces en soyent rendues à l'inventeur du phonographe, Charles Cros, qui aura ainsi fourni au monde un moyen d'expression plus puissant, plus direct que la voix d'un homme imitée per l'écriture et la typographie." (3)

E ne "L'Esprit Nouveau et les Poètes" ricordato da tanti come il suo "testamento", ripeteva:

"L' esprit nouveau est celui da temps même ou nous vivons. Un temps fertile en surprises. Les poètes veulent dater la prophetie, cette ardente cavale que l'on n'a jamais maitrisée. Ils veulent enfin, un jour, machiner la poèsie comme on a machiné le monde. Ils veulent etre les premiers à fournir un lyrisme tout neuf à ceux nouveaux moyens d'expression qui ajoutent à l'art le mouvement et qui sont le phonographe et le cinéma. Ils n'en sont encore qu'à la période des incunables. Mais attendez, les prodiges parleront d'eux-mêmes et l'esprit nouveau, qui gonfle de vie l'univers, se manifestera formidablement dans les lettres, dans les arts et dans toutes les choses que l'on connaisse". (4)

Uno dei denominatori comuni di tutte le più avanzate e le più assillanti ricerche dell'arte del Novecento è stato quello di riuscire a offrire, soprattutto in poesia e in pittura, l'idea della simultaneità, a tal punto che questo termine potrebbe essere assunto quasi come sinonimo del nostro secolo artistico-letterario. Intorno al 1913 scoppiò a Parigi una grossa disputa sulla paternità del "simultaneismo" nella quale furono coinvolti molti poeti tra i quali Barzun, Apollinaire, Delaunay, Cendrars, Beauduin, Romains. Ci sembra notevole poter affermare che, al di sopra dei contendenti, Apollinaire ribadiva la paternità di Cros. Così scriveva ad André Billy il 5 luglio:

"(...) il est vrai que depuis un an, j'ai souvent parlé du disque poétique, ajoutant que c'etait la forme per laquelle je voulais publier mes poèmes. Barzun a eu raison de lancer son manifeste touchant, la simultaneité poétique dont la paternité lui appartient, car je n'avais songé a confier aux disques que des poèmes personnels. Il a ainsi élargi l'idée dont a fait l'élèment principal de la plus importante réforme litteraire de tous les temps. Loué soit-il! Mais n'oublions pas que le véritable auteur de cette réforme, c'est Charles Cros, inventeur da phonographe et père du délicat poète Guy-Charles Cros".

In quanto a Cros, in prima persona, il testo che "funziona" come suo testamento è - lo dice il titolo stesso - "Inscription". Noi nel ricordare, nel capitolo precedente, la terza e l'ultima strofe avevamo parlato di più "doti" dell'autore. Questa distinzione potrebbe ancora restare (ma ormai é inutile!) vediamo però che tutte le sue capacità vengono convogliate in un unico interesse: la poesia. Egli non parla mai della sua attività di scienziato, secondo l'accezione comune, ma di uno che ha scoperto mezzi straordinari per realizzare poesia.

E' evidente per la fotografia:

"J'ai voulu que les tons, la grâce,
Tout ce que reflète une glace,
L'ivresse d'un bal d'opéra,
Les soirs de rubis, l'ombre verte
Se fixent sur la plaque inerte.
Je l'ai voulu, cela sera". (5)

Non lascia dubbi per il fonografo:

"Comme les traits dans les camées
J'ai voulu que les voix aimées
Soient un bien, q'on garde à jamaìs.
Et puissent répéter le rêve
Musical de l'heure trop brève;
Le temps veut fuir, je le soumets". (6)

E se sussistessero ancora dubbi, si pensi ai ritratti crudeli, impietosi, anche se divertentissimi, che ha lasciato dello scienziato innanzitutto, ma anche dell'inventore, dello studioso. Non si tratta certo di autoironia o autocritica! Se Cros avesse voluto essere davvero lo scienziato, l'inventore, lo studioso che si dice e non il poeta che queste tre figure riunisce, di certo non avrebbe sentito l'esigenza di scrivere "La Science de l'amour". In questa sua prosa narra di uno scienziato che allestisce un laboratorio per studiare appunto la scienza dell'amore. In quel luogo disseminato di incredibili apparecchi nascosti riceve la sua fidanzata per studiarne le reazioni. Si serve perfino di un contatore di baci. Fallacia della scienza e, perché no, trionfo della poesia: Virginie dopo avergli lasciato una lettera che inizia "Vous seriez un miserable, monsieur, si vous n'etiez si bête" lo lascia per l'amico Jules dalle "audaces bohèmiennes".

Qualcosa di analogo avviene per l'inventore, nel monologo "L'homme qui a trouvé". Osservando, aveva capito che tutto ciò che é "a righe" va più veloce: i fili del telegrafo, le zebre, i binari, la bocca dei cannoni, i lampi che rigano il cielo e così via. Pieno di entusiasmo torna a casa per annunciare la sua scoperta: "Ma femme n'etait pas sortie. Il y avait aussi son cousin. Ils semblaient avoir chaud. Je crie en entrant: "J'ai tout decouvert! Je comprends tout maintenant!" Ma femme s'est évanouie; son cousin a attrapé son sabre et voulait se sauver (il ne comprends pas la science!). J'ai versé une carafe d'eau sur la tête de ma femme, et, quand elle a été mieux, je lui ai expliqué ma decouverte: tout ce que est rayé va vite. Croyez vaus alors qu'alors elle s'est mise à rire, mais à rire! J'ai cru qu'elle allait encore s'evanouir. Et son cousin aussi riait! C'était ner-veux: ils ne comprennent pas les sciences".

Lo studioso, che crede di poter criticare tutto e raggiungere i migliori risultati in base alle sue nozioni, viene preso di mira nel giustamente celebre monologo (un vero capolavoro) che s'intitola "Le Bilboquet". Un giovane, per strada, gioca abilmente col bilboquet circondato da un gruppo di ammiratori. Arriva il "critico" il quale, nonostante l'evidenza, vuol "dimostrare" che tale abilità è senza senso perché quel giovane non adotta i più sofisticati mezzi (un bilboquet costruito con tutte le regole, una severa disciplina nell'allenamento) per riuscire nel gioco.

Come si é visto, Cros intendeva lasciare di sé un'immagine di poeta e non di scienziato, inventore, studioso. Se si opinasse ancora che egli oltre al fonografo, alla fotografia, allo studio delle lingue antiche avesse innumerevoli altri interessi, potremmo rispondere che, certo, la sua visione poetica, ma quella soltanto (comprendeva tutto), non conosceva limiti :

"Mon âme est comme un ciel sans bornes:
Elle a des immensités mornes
Et d'innombrables soleils clairs;
Aussi, maigre et mal, mia vie
De tant de diamants ravie
Se mire au ruisseau de mes vers". (7)

Non ci troviamo dunque di fronte ad una personalità dallo spirito "rinascimentale", come si dice. Comprendiamo che il critico possa essere facilmente ingannato, l'apparente facilità della poesia di Cros, come abbiamo avuto occasione di dire, é sempre in agguato, soprattutto non siamo abituati neanche ad immaginare intenti così grandiosi, quasi sovrumani. Le sue scoperte sono talmente stupefacenti che ci colpiscono più per sé stesse che per il fine (la poesia) cui sono dirette. Si pensi che oggi gli scienziati statunitensi hanno allestito un programma colossale per inviare messaggi ai mondi lontani come era nelle intenzioni di Cros (8) Era difficile credere che un poeta volesse estendere la sua poesia fino a quel punto:

"Je dirai donc en ces paroles
Mes visions qu'on croyait folles,
Ma réponse aux mondes lointains
Qui nous adressaient leurs messages,
Eclairs incompris de nos sages
Et qui, lassés, se sont éteints". (9)

Un'altra osservazione è indispensabile. Le sue prose "scientifiche" (procedimenti, soluzioni, studi, principi, note) appariranno ora a chi le legga secondo questa ottica, come veri e propri "poèmes en prose". Ed a chi fosse ancora restio a questa "rilettura" non si può che rispondere con la frase con cui, più di un secolo fa', Cros terminava il suo studio sui mezzi di comunicazione tra i pianeti:

"Je serais hereux, si je ne me hurte pas de toutes parts, comme cela m'est arrivé souvent, au non savoir négateur de tout ce qui n'est pas le calque fidèle du passé". (10)

Distrutto dall'incomprensione, dalla miseria, dall'alcool, dal lavoro frenetico, dai dispiaceri familiari (la malattia della moglie) e soprattutto dalla propria indipendenza, il poeta moriva nel 1888 all'età di quarantasei anni.

Misteri ancora da svelare avvolgono gli ultimi giorni della sua esistenza. Alla base di questi una domanda: era giunto ad una poesia totale come avrebbe voluto? A questo proposito bisogna ricordare alcuni fatti che ci colpiscono profondamente. Si legga questa premessa che il poeta fece alla celebre cantante Thérésa:

"J'écrirai pour vous le plus beau poème de la langue française, je le jure. Car j'ai découvert le secret de donner aux mots une qualité que personne n'a soupconnée jusqu'ici, ni Hugo, ni Musset, personne. Donnez-moi seulement quelques jours." (11)

Forse stava per realizzare il progetto che qualche anno prima gli aveva fatto scrivere: "Et dans les siècles hapaisés / Les faunes diront que mes lèvres / Malgré les luttes et les fièvres / Savaient les suprèmes baisers".

Non meno sconvolgente é quest'altro racconto di Riotor, uno degli ultimi testimoni:

"Un matin je me promenais prés da jardin du Luxembourg. J'aperçus un homme défait, tremblant qui me dit bonjour d'une voix éteinte. C'était Charles Cros. Nous causâmes un instant de sciences. En me serrant la main, il murmura:

"Vous savez que je l'ai trouvée... - Quoi donc? - La photographie à couleurs..." Je ne le revis plus. Quelques jour aprés, les journaux annoncèrent sa mort." (12)

 

Note:

(1) RIMBAUD - CH. CROS - T. CORBIERE - LAUTREAMONT, "Oeuvres poétiques completes", Paris, Laffont ("Bouquins"),l9~9.

(2) Oe. C., p. 1172 ("ce conte est precedé d'un titre en caractères inconnus à toute typographie").

(3) "Nos amis los futuristes", in "Soirées de Paris", 21 (15 febbraio 1914).

(4) Citiamo dall'edizione di Paris, Haumont, 1946, pp. 28-29.

(5) "Inscription" in 0e. C., p. 167.

(6) Ibidem, pp. 167-168.

(7) Ibidem, p. 166.

(8) "Etude sur los moyens de communication avec les planètes", in Oe. C., pp. 510-524.

(9) "Inscription", op. cit., p. 166.

(10) Op. cit., p. 524.

(11) JEANES, "D'aprés nature. Souvenirs et portraits", Besançon-Granvelle-Genève, Perret-Gentil, 1946, p. 220.

(12) "Les Arte et les Lettres", Paris, Lemerre, 1901, pp. 444-445.

 

"Il ruolo oscuro" - da noi pubblicato per gentile concessione dell'Autore e dell'Editore, che ringraziamo e cui restano riservati i diritti di legge - costituisce il quarto ed ultimo capitolo dell'omonimo volume di Gabriele-Aldo Bertozzi, in corso di stampa per la collana "Nuovi saggi" delle Edizioni dell'Ateneo, Roma.