OCRA/ARCHIVIO
Studies on the European Avant-Gardes




POLITESSE
di Carlo Romano

"Flash Art" è una rivista di non antica fama, sviluppata soprattutto lungo la scorsa decade, che ad una certa immobilità di formule della stampa affine contrappose, ma senza terremoti, uno stile di informazione più agile e, apparentemente, più disponibile, con notizie brevi e essenziali, su cui si esercitava non di rado una propensione alla polemica che facilmente veniva ricondotta ai gusti del direttore di sempre, Giancarlo Politi, il quale non nascondeva certi intenti esibizionistici - guardati per la più con simpatia - fino a proporsi come "uomo da mille dollari", disponibile per convegni, consulenze e simili, in un annuncio autopromozionale che fece epoca nell'ambiente.
A questa conformazione originaria, Politi è venuto meno negli ultimi anni, e piuttosto repentinamente, sostituendo un taglio saggistico che ha coinciso col far occupare ai fenomeni di più definita impronta pittorica la maggior parte dello spazio, creando anche disorientamento.
Sul n. 111 del gennaio 1983, Politi risponde a due lettere che in modo diverso chiedono giustificazione delle scelte della rivista attraverso un più diretto pronunciamento, che non rimandi semplicemente alla trasparenza delle stesse.
La prima chiede se "Flash Art" non sia "divenuta portavoce della Transavanguardia di Bonito Oliva".
L'esordio di Politi, nella risposta, è confacente all'autostima più e più volte esibita e con un "cerca" che dovrebbe insinuare una nota di modestia, affida alla rivista niente,meno che il compito "di documentare in modo rigoroso ed oggettivo l'attualità culturale".
Riguardo al termine "transavanguardia", Politi si mostra molto elastico nel collegarlo a Bonito Oliva. Ed effettivamente, come già altri termini, coniati magari in spregio (da gotico a impressionista) ed acquisiti ormai alla storia dell'arte, "transavanguardia" sembra utilizzabile in scioltezza per talune odierne esperienze, e perché ciò avvenga basta lasciare a Bonito Oliva la sola paternità appunto del termine, disattendendone la teoria e valutandone in più agevoli sentieri che non quelli dei pochi pittori su cui ha basato le sue personali fortune, le implicazioni, anche storiche.
L'argomento più convincente per Politi è peròilo grande credito concesso proprio agli artisti promossi dal critico napoletano nei musei e nelle gallerie di tutto il mondo. Apprezzamenti ai quali, dice Politi, "Flash Art" non può che allinearsi, rivelando che dunque un semplice principio statistico, applicato per di più ad un campione limitato (musei e gallerie) é alla base delle sue scelte culturali.
E qui si arriva alla seconda domanda ed alla relativa risposta. Si chiede perché "Flash Art" non si apra ad altri settori artistici.
La risposta è semplice: "Flash Art" si occupa solo di "arti visive". Che cosa esse siano, Politi non fa niente per rivelarlo; apprendiamo però che é l'architettura né il cinema sarebbero tali.
Sfogliando le annate della rivista è facile scoprire che l'interesse precipuo è sempre stato il mercato dei quadri unitamente ai luoghi deputati alla vendita ed alla valorizzazione. Cosa in sé meritevole e soggetta a perfezionamenti ed estensioni sul piano informativo, dato che non tutti i settori mercantili vengono consultati, né tutti gli spazi espositivi. Senz'altro si può fare di meglio e non per questo neghiamo a Politi la buona volontà. Certamente andrebbero adottati criteri più enciclopedici. Se qualcosa può aver lasciato i lettori nello sconcerto non è dunque imputabile alla rivista - che volentieri assolviamo - quanto, piuttosto, alle vicissitudini del mercato ed alla lentezza di qualcuno, forse addirittura misoneista, nell'adeguarvisi. Ma questo vale strettamente per chi è rimasto legato a "Flash Art" in quanto estimatore della vecchia impostazione, precludendosi altre fonti in cui viceversa avrebbe potuto constatare una maggiore continuità.
"Flash Art", come altre pubblicazioni del genere, si presenta in modo ambiguo, quale "rivista d'arte" (vantando anche una sorta di supremazia) quando è ben lontana dall'occuparsi dell'arte nel suo complesso.
Nella seconda risposta Politi vuol stabiloire una scala di priorità ove al primo posto sarebbero quelle "arti visive" che costituiscono l'argomento della rivista. E abbiamo visto trattarsi prevalentemente del mercato dei quadri, in senso generale potremmo qui dire di "pittura".
Politi dovrebbe sapere - e comunque può chiedere conferma al suo amico Achille il quale sul Rinascimento ha scritto qualcosa - che alla configurazione di "arte" la pittura è approdata più tardi di altre espressioni e solo dopo che tutto ciò che riguardava i cosiddetti "secoli bui" fu disgraziatamente considerato "regressivo" ed un sinistro usuraio toscano venne posto fra gli iniziatori della nuova civiltà ed eletto come "padre" della pittura stessa.
Ma le idee di Politi devono essere visceralmente impostate su questa tradizione umanistica e borghese che è iniziata con l'aborrire la spiritualità delle grandi cattedrali, vedendo ovunque la menzogna fuorché in sé, postulando la libertà di poterle accettare tutte (le menzogne) per additare nella sola filosofia un superiore armamentario. Il che rende ancora più oscura la posizione di Politi in quanto, se questo è quello che crede, nell'arte concettuale avrebbe dovuto trovare il suo naturale interlocutore, nel filo di una storia che in questi termini, dopo Leonardo e salvo sporadici casi, doveva apparirgli caduca. E in quella trovare la quiete del connubio arte-filosofia, magari con quest'ultima a vigilare le intemperanze narcisistiche dell'altra, così da far contento Popper che - glielo assicuriamo, se non lo sapesse - molto bene lo ispira.
A Politi non dovrebbe restare, infine, che dolersi di un Wagner musicista, d'un Goethe letterato ed inorgoglirsi di un Hugo pittore, talvolta, con i fondi del caffé, "materico" avant la lettre.