OCRA/ARCHIVIO
Studies on the European Avant-Gardes




PIERRE RESTANY E IL REALISMO PREFABBRICATO
di Sandro Ricaldone

Nel trattare del Nouveau Realisme non si può facilmente prescindere dalla tentazione di far ricorso alle frasi di circostanza, ai luoghi comuni (lo sguardo metafisico sulla tecnologia, i quaranta gradi al di sopra di Dada, il parallelo con la Pop Art statunitense) che nei testi più diffusi sulle vicende dell'arte contemporanea costituiscono, ad un tempo, l'epinicio e l'epitaffio del gruppo. D'altronde, un esempio influente di un simile atteggiamento ci viene dallo stesso Restany (l' "indiscusso mentore" della tendenza, ideatore di un metodo di "sponsorizzazione" dei fenomeni artistici tuttora in auge) che, nei diversi volumi (o cataloghi) pubblicati in occasione di non infrequenti revivals, non si perita di ristampare - aggiornandone di volta in volta la data di redazione - sempre il medesimo testo. A parte questo, comunque, se gli accadimenti artistici successivi non hanno sostanzialmente mutato la valutazione d'insieme del tentativo novorealista, la dilatazione prospettica ch'essi hanno prodotto e lo stesso intervallo di tempo trascorso ci consentono di formulare talune ipotesi, forse non del tutto superflue.

Una prima questione attiene alla effettiva unità del raggruppamento dei Nouveaux Realistes ed alla peculiarità della posizione rivestita da Yves Klein nel loro ambito. E' nota, a questo riguardo, la distinzione posta in origine da Restany fra l' "estremismo cosmico" di Klein, la volontà di perseguire l'integrazione fra tecnica industriale ed aspirazione artistica, alla ricerca di una sorta di "metamorfosi del quotidiano", caratteristica di Tinguely, ed il recupero poetico dei linguaggi visivi organizzati, posto in essere da Hains. Più discutibile appare, invece, l'attribuzione degli altri partecipanti al movimento ai differenti poli dianzi enunciati, e - in particolare - la connessione stabilita fra la figura di Klein ed i membri della cosiddetta "Ecole de Nice" (Arman, Martial Raysse, Cesar). In realtà, la discriminazione riconosciuta fra "le tre diverse famiglie" dei Nouveau Realisme sembra reggere oltre le stesse intenzioni del critico, giacché non appare in alcun modo superata non soltanto nel corso della breve storia del gruppo, bensì neppure in prospettiva più distesa, in parte per la reciproca irriducibilità delle posizioni poco sopra accennate (si potrebbe congetturare che, sotto alcuni profili, migliori compagni siano stati per Klein i tedeschi del Gruppo Zero con cui si trovò ad operare a Gelsenkirchen), ma in parte anche per l'inadeguatezza dell'impianto teorico elaborato dallo stesso Restany, che nei manifesti novorealisti via via pubblicati mostra evidentemente di oscillare fra l'opzione kleiniana per una poetica fondata sull'esigenza di esprimere una sensibilità pura e l'esercizio d'un moto di appropriazione della realtà esteriore, che rappresenterebbe il rovesciamento "in positivo" dello spirito Dada esemplificato dal "ready made" duchampiano. Non è arduo peraltro (è, anzi, sin troppo agevole) cogliere l'improprietà "filologica" di quest'ultima asserzione in cui - forzando una tesi già avanzata da Michel Tapié a sostegno della sua teorizzazione dell'"art autre" ("Dada... necessaire table rase, zero historique... Aprés cela, la creation ne pourrait etre qu'autre") Restany finisca con l'assumere il ready made in un'accezione meramente letterale, lo priva dei tratti essenziali dell'ironia, dello straniamento, della messa in gioco delle convenzioni artistiche (in una parola lo snatura) per tentare la carta della riqualificazione estetica dell'oggetto d'uso quotidiano. In realtà questa posizione sembra rifarsi, più che alle tematiche duchampiane, all'universo "merz" di Kurt Schwitters, e - a questo proposito - è curioso notare che Restany (sulla scia di una osservazione affacciata da Irving Sandler) pone in realtà l'estetica "merz" unitamente ad una sintassi compositiva di matrice post-cubista filtrata attraverso l'esperienza dell'espressionismo astratto, fra gli antecedenti immediati del "New Dada" americano, proprio per meglio sottolineare la distanza tra questo movimento ed il Nouveau Realisme. L'osservazione del critico francese rimane tuttavia valida laddove mira a sottolineare come in Rauschenberg, in Chamberlain, in Stankiewicz (più che in Johns, che opera già direttamente sull'immagine) risultino predominanti, analogamente a quanto accadeva in Schwitters - o, se pure con tutt'altra intenzione, in Cornell - preoccupazioni di ordine squisisitamente formale.

Per contro le modalità espressive novorealistiche paiono estrinsecarsi in un gesto drammatico, talora istantaneo (compressione, accumulazione caotica, distruzione, lacerazione) assimilabile - in certa misura - al tratto improvviso del pittore tachiste sulla tela; esse inducono pertanto l'attenzione a concentrarsi, piuttosto che sulle soluzioni visive, sull'"azione artistica" e sulle procedure mediante le quali l'opera viene a realizzarsi. Si tratta, con ogni evidenza, di un raggiungimento che, sebbene riveli - al di là di un'esteriore contrapposizione tematica - una sotterranea continuità con la vicenda informale europea, viene a risultare assai prossimo alle problematiche sollevate dalle tendenze artistiche "di punta" del decennio appena trascorso. Tuttavia, riconosciuto al Nouveau Realisme questo carattere di effettiva apertura, dobbiamo sotto altri aspetti denunciarne le insufficienze ed i limiti (confermati, fra l'altro, da quanto si dirà più oltre circa l'opera attuale di taluni membri del gruppo). Nel visitare la Galerie des Ponchettes ove erano riunite, la scorsa estate - per il compiacimento dei turisti in vena di escursioni culturali - le opere del periodo "storico" del Nouveau Realisme si provava, come giustamente ha notato Fiorella Minervino, la sensazione di un progressivo esaurimento della carica estetica che un tempo le aveva investite, quasi che fossero sul punto d'essere restituite alla intrinseca banalità degli oggetti da cui sono costituite.

Poche note ancora circa l'attuale produzione degli artisti che, nei primi anni, '60, avevano preso parte alle manifestazioni del gruppo:

- CESAR pare dissociato schizofrenicamente (ma non è una conferma delle ipotesi che abbiamo prospettato?) fra una sorta di "coazione a comprimere" e la nostalgia di una scultura praticata in conformità agli sconfortanti moduli in voga negli anni Cinquanta.

- ARMAN, maestro di "go" lascia ormai libero corso alle sue personali propensioni per il barocco ed il kitsch (sembra un folle che creda di essere Arman).

- Si difendono, senza troppo discostarsi dagli atteggiamenti che hanno segnato le loro rispettive affermazioni sul piano artistico, TINGUELY, CHRISTO, NIKI DE SAINT-PHALLE (tuttora la più vivace) e, con una certa tetraggine, SPOERRI.

- gli AFFICHISTES resistono abbastanza bene come, tali, anche se non sempre felici risultano le loro incursioni in altri ambiti (vedi le recenti opere, realizzate con il mezzo fotografico da Hains). Piuttosto interessante, invece, la "guerilla des ecritures" di Villeglé, di chiaro sapore lettrista.

- DESCAMPS, ingiustamente posto in ombra durante l'epoca d'oro del N.R. (le sue opere di allora non sfigurano rispetto alle vetrinette "prisunic"di Martial Raysse) lo è, invece, a buon diritto oggi.

Il caso più eclatante, ad ogni modo, è rappresentato appunto da Raysse (mostra al Pompidou, comparsa alla Biennale, retrospettiva al Musée Picasso di Antibes) che dalle magiche boîtes sospese fra pop e surrealismo dei suoi esordi, dal ciclo della "hygiène de la vision" (un originale lavoro d'affinamento sull'immagine) attraverso la pur sempre simpatica parentesi di ad una figurazione da sillabario, appena lievemente stranita, e non esita tuttavia ad apporre al movimento novorealista di cui è stato uno degli esponenti di maggior fascino, e - in fondo - all'intera contemporaneità la glossa impietosa : "Si au cours des années le sens de mon travail a changé, ce n'est ni par hasard, ni par caprice, ni par opportunitè, mais bien guidé par la simple volonté de mieux faire. Aussi il est bien que l'on puisse auiourd'hui se rendre compte que si, aprés avoir participé au Nouveau Realisme j'ai pu, aprés années d'études et de reflexions, porter un jugement sévere sur une grande partie de l'art que l'on appelle encore moderne, c'est que je connaissais correctement ce dont je parlais".