OCRA/ARCHIVIO
Studies on the European Avant-Gardes




GALLIZIO SITUAZIONISTA
di Carlo Romano

Benché l'argomento sia lontano dall'essere esaurito, non staremo a dare ulteriori notizie di come dal suo deperimento il Surrealismo abbia lasciato a chi cominciava a definirsi contro di esso quel che di buono aveva agitato. Chiunque, allorché gli storici evocano l'Internazionale Situazionista, può verificarne la premura nel vagheggiarne gli ascendenti nella Parigi fra le due guerre. Di contro, nel momento in cui la questione é quella surrealista, raramente gli stessi storici si spingono ad implicarvi i suoi sviluppi più conseguenti, salvo rammentare qualcosa a proposito del "maggio '68". Il risultato é paradossale: da una parte si denuncia una crisi che i pochi epigoni non riuscirebbero a correggere, sancendone così la mortalità; dall'altra ci si rallegra, con vent'anni di vuoto in mezzo, della vitalità.

Al momento di esaminare le singole personalità, poi, tali trascorsi sembrano meritare solo accademici cenni cosicché pare instaurarsi un tiro al rimbalzo fra storici dell'arte e storici del pensiero in seguito al quale se i primi hanno ad essere sbrigativi sulle idee dei Situazionisti, dai secondi ottengono tutt'al più notizia su un gruppo di chìosatori stravaganti di Henri Léfebvre malati dello stesso estremismo inconcludente che, quando a praticarlo era Céline, scriveva "merda là dove i simbolisti avrebbero scritto azzurro" (Nizan).

Non dubitiamo, qualora un critico tenesse rigidamente fede al tema dell'epigonismo, di veder immaginato Gilles Ivain quale Vaché di Dehord e Socialisme ou Barbarie promosso a P.C.F. dei Situazionisti. Con meno sicurezza, certamente, avrebbe ad avventurarsi nella collocazione, per arrivare infine a lui, di Pinot Gallizio. E' comprensibile che in quanto pittore lo si ricordi sulla modulazione di lemmi specifici (Caverna dell'antimateria, Gibigianna ecc.), scandaloso é semmai esaurirvelo. Ci riesce difficile pensare cosa sarebbe stato Gallizio senza l'I.S. - per quanto in dissolvenza si arrivi a percepire un qualche personaggio da "mondo piccolo" (che di fatto la critica d'arte tende ad accreditare) - e insieme non ci spaventa lo spettro dell' espulsione e l'inappellabilità della sua motivazione, anche se di queste non ci consola la stima in cui verrà tenuto dopo, nonostante tutto, perché nonostante tutto l'appello per Nunzio Van Guglielmi - al quale é meglio non guardare come al vagito che prefigura il generoso e non inutile assalto di dieci anni dopo ma all'energica spallata d'idee nate almeno un secolo prima - delinea una direzione contraria alla logica che portò Gallizio fuori dall'I.S..

E' difficile tuttavia valutare cosa Gallizio abbia consegnato al gruppo oltre l'ospitalità e il coinvolgimento: tanto ci basta. Fra i suoi meriti non secondari potremmo enumerare quello dell'aspetto. In un'epoca in cui, sui rotocalchi, la bohème la facevano i Dado Ruspoli (con quella debauche così vicina agli ideali omosessuali che il cinema dell'epoca non resistette al caricaturare), egli, e con lui l'I.S., mostrò l'ardire - "virile spontaneo sorriso" a detta di Farfa - della provincia e dell'età. Nondimeno é a partire da documenti quali il Manifesto della Pittura Industriale

(1959), svolgendolo sulle tracce di uno sviluppo da lì a poco irreversibile, che la fatica a reggere il passo si configura come indolenza a tenerlo. A queste tracce é possibile dare dei nomi (tecnica, progresso, superamento) che nell'indirizzo globale dell'I.S. si addensano in polemiche precise. Quella con Arguments e 1"argumentisme" si pone ancor oggi con scarti fraseologici pressoché impercepibili. La rivista nasceva sulla scorta dell'italiana Ragionamenti (e i situazionisti non tardavano a prendersela con Roberto Guiducci) diventando presto l'espressione degli apostati del '56 i quali, rinnegando dopo i fatti d'Ungheria i partiti d'origine, puntavano al rinnovamento della socialdemocrazia forti del "partito del intelligenza", ovvero dei sociologi. Insieme ai vari Morin e Lefort (con Socialisme ou Barbarie finita anch'essa "argumentiste") - rimasti essenzialmente sociologi pur se di volta in volta travestiti "all'ultimo grido" (Morin hippie, fra l'altro) - si muoveva, fungendo anche, per qualche tempo, da direttore, Kostas Axelos. Costui si rese onorevole traducendo "Storia e coscienza di classe": meno lo fu ciò che intendeva farne. Il suo cruccio, diffuso al lora non meno di oggi, muoveva dal connettersi Marx con Heidegger. La qual cosa di per sé non ci scompone: non più di altre connessioni, vogliamo dire, sebbene qui. le ragioni siano più sottili e, in definitiva subdole. Tragica é la pretesa della sua necessità. Vi discende il consiglio di riassumere una critica che si rivolge all'insieme dell'esistente alla sola interrogazione del pensiero. Infatti i piu vi smarriscono le ragioni della propria lotta. Giusto Lukaks nella prefazione dcl '67 a "Storia e coscienza di classe" osservava come ad Heidegger appaia del tutto ovvio sublimare la critica della cultura nella "critica puramente filosofica" formando dell'alienazione per sua essenza sociale una eterna "condition humaine". L'I.S., più sbrigativa, usava un dileggio confacente tanto agli Axelos (la filosofia interrogativa) quanto ai Morin (i test sociologici): "questionatori"!

Un altro terreno di polemica va rintracciato nelle parole dedicate a movimenti coevi, benché non costituiti in comunità operativa come 1'I.S.. A proposito di "beats" americani e di "angry young men" inglesi - non va tralasciato che derivando da Cobra e Lettrismo, 1'I.S. non dimenticava chi furono i primi a ingravidare lo spettro di una nuova condizione giovanile - sul numero 1 della rivista del gruppo si ha modo di leggere qualcosa che ha il pregio di rilevare come ognuna di queste nuove germinazioni resti al di qua del terreno raggiunto dalla semina surrealista. Quelle in particolare, si diceva, dovevano il loro fragore soltanto ad un vecchio clima sovversivo che era stato loro accuratamente nascosto.

Nel Manifesto di Gallizio ci raggiungono in fretta degli argomenti sui quali la luce dell'espulsione é irrilevante, dimostrandosi nel loro inquadramento già fuori dell'uso che l'I.S. intendeva farne, così da essere prossimi all'interpretazione argumentista-heideggeriano: alludiamo a tecnica e gioco. Ricordare il fine della "realizzazione dell'arte" vale ormai a presentare Gallizio quale sodale di nipotini, persino anagrafici, tipo Jean-Jacques Lebel, del Surrealismo.

Va notato che alcuni testi di Jorn, a cominciare da quello addirittura intitolato "La Fine dell'Economia e la Realizzazione dell'Arte" (1960) - per non dire dell'opuscolo pubblicato ancora a cura dell'I.S. nello stesso anno - si muovevano su frequenze accettabili dal gruppo poiché una precisa analisi della merce rendeva ancora compatibili, fintanto che restavano delle innocue giustapposizioni, residui di romanticismo. Non era questo il caso di Gallizio. Di Jorn, Debord poteva continuare a dire che si trattava di "una di quelle persone che il successo non cambia ma che continuamente cambiano il successo in altre imprese". A Gallizio veniva rimproverato esattamente il contrario. A chi rivendicarlo, quindi? Cominciamo col dire che i situazionisti hanno prestato puntualmente fede all'annuncio del loro dissolvimento; così da intravedere nella lunga sequenza delle esclusioni questo processo in atto. Per giunta, non va calcata troppo la mano sull'I.S. fino ad estrarne la convinzione che essa sia stata qualcosa di più di un'espressione d'un movimento più va sto. In parecchi hanno accolto l'ampiezza delle sue affermazioni, alcuni ne hanno fatto contrabbando, molti ne hanno fatto a meno. Quello che esprimeva era alla portata di tutti e lo è ancora. In un certo quel modo fa parte di tutti anche se non tutti vi partecipano. Non si è trattato d'un salvagente cui aggrapparsi nella burrasca e la burrasca c'è ancora. Onorare Gallizio vuoi dire onorare qualcosa in questa burrasca. Nessuno, facendolo suo e in qualsiasi modo, può pretendere di placarla.

Ci sono delle pagine di William James su Walt Whitman dove il poeta viene definito "il massimo esempio contemporaneo dell'incapacità a sentire il male". A quel tempo si fondavano associazioni per il suo culto e si stilavano inni alla sua prosodia peculiare. Vorremmo che con Gallizio non si dovesse penare nello stesso modo o, perlomeno, se ciò dovesse accadere e il paragone con il fondatore della religione cristiana giungesse implacabile, non fosse "sempre a tutto vantaggio di quest'ultimo" per fermarci alle parole dell'illustre filosofo.

 

N. B. - Il testo che precede costituisce la traccia di un più articolato intervento svolto al Convegno di studi su P.G. tenutosi a Torino ed Alba il 9-l0/ll/l984. Vi manca, in particolare, l'intera parte dedicata all'attività di Gallizio come ricercatore etno-archeologico, che prendeva spunto da alcune curiosità toponomastiche nonché dal fatto che la vicenda di Gallizio e del Laboratorio Sperimentale si dipana fra due antiche "Albe" del mondo ligure: Alba Pompeia, l'attuale Alba (Gallizio stesso) e Alba Docilia, l'odierna Albissola (Jorn).