OCRA/ARCHIVIO |
IVANO SOSSELLA
Per un giovane artista (anagraficamente e artisticamente) vivere ancora nell'al di qua del sistema espositivo, senza incroci con gallerie e mostre, a curriculum bianco, è vivere un equilibrio certo breve (ho detto giovane artista) tra il lavoro in studio e il passaggio allo scoperto. E' ancora un interrogarsi sul senso del fare artistico, sia in relazione alle proprie ricerche, che a tale "al di là" più strutturato e mediato. E se non v'è dubbio che il fare artistico, in quanto fare, trovi ragione e giustificazione (?) nel proprio farsi (fare sé), l'al di là domanda un riscatto più esplicitamente culturale. Attento, dunque, anche alle valenze economiche, politiche eccetera che ha l'esporre uno o più lavori.
Robert Smithson era convinto che la
responsabilità dell'artista fosse assoluta: dal lavoro al comedoveperché
dell'opera e dell'esposizione. E ancora oltre.
Credo sia inutile tentare strade
alternative.
Credo sia ridicolo accettare che tra
studio, galleria, mercato, critica esistano dei passaggi dimensionali non
integralmente competenti
all'artista.
Credo che la responsabilità di chi
fa arte salti addirittura il suo lavoro in quanto mondo autonomo.
Credo in questa valenza, immutata, della compromissione dell' artista, questo entrare in campo direttamente e totalmente nel culturale.
Perché è col culturale (dunque col politico ecc.) che hanno sempre avuto a che fare sciamani, papi, artisti e quanti hanno vissuto fra il magico e il sacro. E l'arte è nata sacra e non ha alternative d'esistenza.
E con dio (fuori da ogni chiesa) non
colloquia chi taglia la strada
alla propria dimensione culturale.
Il magico stesso è un processo culturale e non istintuale: assolutamente
volitivo.
Dunque l'equilibrio del giovane
artista ha breve vita e finisce in una culata se lo si desidera più di tanto.
Perché probabilmente (e tanto più in
una città come Genova) la libertà non è in esilio. La libertà è in prigione.
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