L'imprevista ribellione di Mariano si presentava come alquanto
spinosa per la Casa iberica, che non desiderava perdere la corona di
Sardegna e purtuttavia non avrebbe potuto gestire l'isola in aperto conflitto
con l'ultimo, autorevole, Giudicato. Non avrebbe voluto sconfiggerlo,
eppure occorreva riprendere in mano la situazione.
Vista la parata, quindi, il re Pietro IV (detto "il
cerimonioso" ma anche "il crudele") si organizzo' in tutta fretta e sbarco' precipitosamente al salvataggio con una
spedizione che gli riconquisto' di nuovo Alghero, dove la popolazione
stava semi-spontaneamente aprendo le porte a Mariano, e vi fece
insediare una comunita' di fidati catalani (che sarebbe poi
rimasta li' per sempre); esibita espressivamente la sua potenza, dopo poco le ostilita'
cessarono grazie agli Accordi di Alghero del 1354.
Gli accordi contenevano importanti concessioni. Nel febbraio 1355,
dopo il riordino
della classe nobiliare, il re istitui' un parlamento
che, come in Catalogna, era composto da nobili,
ecclesiastici, rappresentanti delle citta' e, fatto senza
precedenti, uno "stamento" di Sardi, in
rappresentanza delle popolazioni rappacificate.
E' questo forse il primo di una serie di atti che
rivelano la necessita' di passare attraverso un sia pur
moderato riconoscimento della specialita' dell'Isola per
poterla governare da stranieri.
Come Dio volle, si giunse alla Pace
di Sanluri del luglio 1355 (che ratificava gli Accordi
di Alghero) con la quale il castello ed il
contado di Posada, insieme agli altri possedimenti di
Gallura, sarebbero stati affidati alla gestione della
Casa di Arborea per i cinquanta anni a venire.
Le clausole contenute nell'Accordo di
Alghero, pero', non furono rispettate, ed i catalani
rimasero nel dominio della zona, malgrado un sempre piu'
sensibile malcontento popolare, provocato dalla misura
delle tasse (aumentate in proporzione dello spopolamento, come
si diceva, perche' quelli rimasti dovevano far fronte
alle stesse esigenze fiscali precedenti) ma non solo.
La vita quotidiana era segnata infatti da frequenti
spiacevoli episodi come le invasioni, le
predazioni, le razzie operate da altre genti che
profittavano con cinismo dell'animo non belligerante di
questi villaggi di contadini.
Spesso gli invasori provenivano da altre aree
mediterranee, e sbarcavano su queste coste magari
nottetempo, quando la veduta panoramica offerta dal
Castello della Fava non poteva essere d'apprezzabile
aiuto alle sentinelle (la torre di avvistamento di San
Giovanni e' di molto successiva); del resto la lontananza
di queste genti da una mentalita' guerresca non aiutava
nella difesa.
Nacque cosi' un proverbio,
tuttora in uso perche' mai ne e' declinato il
significato
nell'inconscio di queste popolazioni, e che
recita:
"furat chie benit dae su mare"
(ruba chi
viene dal mare).
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Ed anche gli Aragonesi, che nulla facevano per contrastare il
fenomeno, parevano aver essi stessi "rubato" il Castello,
che sarebbe spettato gli Arborensi.
SEGUE