Ottiolu.net - La Storia della Baronia di Posada (1431-1869)

      La Storia della Baronia di Posada
 

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 Storia della Baronia di Posada > La Baronia nel Settecento > 5

 

In tutta l'Isola nobilta' e clero osteggiarono la nuova dominazione piemontese sin quando nel 1726 l'astuto cardinale di Seneghe, Agostino Pipia, ispiro' un concordato col Papa che fece affievolire le nostalgie spagnole, sebbene non le estinse; il rimpianto per il precedente regime, infatti, non fu mai in realta' completamente sopito.

La fraintesa questione della gestione della terra, che ignorava a pie' pari l'uso che per costume millenario si era sviluppato in Sardegna, non era cosi' semplice da liquidare, ne' per editto, ne' tantomeno a livello di concezione economica.
Non e' oggetto di queste pagine, ma sintetizzeremo che l'uso sardo coinvolgeva tutta la popolazione nella responsabile gestione dei terreni, che si alternavano per annate a vidazzone e paberile, cioe' un anno per la coltivazione e l'anno dopo per l'allevamento.
Un antichissimo antenato giuridico dell'"uso civico" aveva resistito per secoli inalterato nella sua semplice eppure articolata struttura, con minime insoddisfazioni, ed anche attualmente la sofisticata e dettagliatissima legislazione moderna non riesce ad eliminarne gli effetti.
Forse ci voleva qualche mente meno leggera per analizzare la questione e proporre soluzioni.
Va ricordato che ad introdurre nell'isola l'agricoltura "alla piemontese", fu Giovanni Berlinguer, antenato del piu' noto Enrico; per tali servigi ottenne il cavalierato da Vittorio Amedeo.
Erano, e' vero, tempi nei quali non si poneva una grande pazienza ne' un accurato scrupolo nell'analizzare i fenomeni sociali, soprattutto per zone, come l'Isola, di non primaria importanza; collateralmente, nella mentalita' prevalente si preparava la strada al successo di teorie criminologiche come quelle niceforiane o lombrosiane, basate su collegamenti etico-somatici, quelle per le quali, in sintesi, i delinquenti si potevano riconoscere dalla morfologia del cranio.
La pure troppo facile equazione, pastore=criminale, come sappiamo non e' piu' tramontata, ed anche oggi offende la categoria.
Cio' che riesce difficile escludere e' che potessero esservi, nell'elaborazione dei giudizi espressi da parte dei funzionari sabaudi, interessi vergognosamente personalistici e irrisori (non ultimo il disagio del viaggio) capaci di provocare ai sardi disagio e lutti per l'unta comodita' dei burocrati.
Come vedremo piu' avanti, Mazzini ne avrebbe parlato con cruda vivezza. 

 

Va detto che i Savoia effettivamente condussero regie politiche di indiscussa modernita' ed illuminata avanguardia, ma le riforme altrove applicate, fra le quali l'editto della perequazione (mediante il quale si acquisivano al Demanio dello Stato i beni illegalmente detenuti dagli ecclesiastici e dai nobili), furono del tutto ignorate in Sardegna.
E quelle che invece furono applicate, come quelle in materia di proprieta' terriera, furono fonte di guasti che i secoli successivi non riuscirono a sanare.

 

Carlo Emanuele III successe al padre Vittorio Amedeo (del quale in zona si ricorda la privatizzazione delle miniere, fra le quali le pur esigue miniere d'oro di Torpe') e doto' l'Isola di un servizio di collegamento con la terraferma, oltre a munire le coste di una squadriglia di fregate, di cui una o forse due di pattuglia al largo di Posada, per contrastare le non ancora eliminate scorrerie piratesche.

 

Il noto vicere' Marchese di Rivarolo, fra il 1735 ed il 1738, volendo contrastare l'incresciosa piaga del banditismo, impose tre anni di pressione poliziesca che, fra l'altro, proibi' ai Sardi di portare la tradizionale lunga barba, provocando risentimenti di pesantissima portata.

 

Il Rivarolo, inoltre, incoraggio' il massiccio ricorso al guidatico, un istituto giuridico spagnolo simile ad una moderna legge sul "pentitismo" che garantiva l'immunita' a chi avesse consegnato alle autorita' un bandito: le delazioni vi furono, ma ovviamente risultavano estremamente pericolose nelle comunita' dei villaggi, dove infatti tra sospetti ed effettivi "tradimenti" nacquero le prime faide.
"Divide et impera".

 

La considerazione dell'Isola sviluppata dai primi savoiardi era decisamente negativa. Anche se le analisi effettuate erano vergognosamente superficiali.

 

Le conseguenze di queste considerazioni furono, per logico effetto, estremamente perniciose. Leggiamo infatti dallo stesso Marchese di Rivarolo che i delinquenti della Gallura e del Bittese "per avversione alla coltura della terra si affezionano alla vita errabonda del pastore, dell'ozio con la complicita' della campagna originano furti, inimicizie, vendette".

 La Virtù e la Nobiltà vincono l’Ignoranza - Tiepolo. su Art On Line

Certamente, parve declamare il Rivarolo, la circostanza che la terra sia proprieta' comune e dunque vi sia incertezza della proprieta', causerebbe la delinquenza. Ergo, concludeva, stabilire forzosamente o normativamente la proprieta' della terra (come poi avvenne con l'Editto delle Chiudende), avrebbe eliminato la delinquenza.

 

 

 


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