Per preparare il
Regno di Sardegna a divenire uno stato moderno, i Savoia
operarono molte profonde trasformazioni del modo di vivere delle
amministrazioni e dei sudditi. Alcune erano operazioni necessarie
per dare omogeneita' al Regno, altre erano innovazioni che
guardavano alla prospettiva di una migliore organizzazione per consentire una futura espansione.
Dopo il tristemente
celebre "editto delle chiudende", che
comunque cercava, se non altro nelle intenzioni, di ordinare il
territorio sotto l'aspetto della proprieta' privata, era il caso
di rivedere il sistema delle facolta' giurisdizionali.
Un Regio Decreto del 21 maggio 1831 sanciva gia'
cio' che sarebbe stato poi prescritto da un Editto del 31 maggio
1836 e cioe', definitivamente, la fine dell'esercizio
della "baronale
giurisdizione" e dei
diritti connessi nel territorio del regno.
In seguito, una Carta Reale del 30
giugno 1837 istitui' una regia delegazione incaricata
di valutare le rendite dei feudi.
Nel frattempo donna
Marianna Nin Zatrillas, duchessa di Sotomayor (e di
Posada e Montalbo), successe al padre don Ignazio appena in tempo
per fregiarsi dell'ultima signoria.
Con atto di snobismo ed animo
comprensibilmente irritato, donna Marianna ricuso' la stima che i
periti dell'apposita commissione avevano elaborato, e si lancio'
in una serie di vertenze e di cavillosi ricorsi fino al 1842,
quando rifiuto' definitivamente la somma messale a disposizione
dal governo sabaudo.
In realta', pero', nel ritardare il piu'
possibile la definizione della vertenza con lo stato, c'era in
gioco il diritto di continuare ad esigere le rendite del feudo;
che infatti la duchessa e poi i suoi eredi (donna
Gabriella de Alcazar vedova de Yrujo e donna
Maria de la Concepcion Nero', duchessa de la Roca e
marchesa di Penafuente) percepirono sino al giorno della fine
della Baronia.
Paradossalmente,
pero', la fine del sistema feudale e l'incorporazione della
Sardegna al Regno, con la parificazione delle regioni, non
avrebbe portato gran comodo ai sardi, perche' il fisco del nuovo
stato ebbe poi bisogno di compensare le sue operazioni di
espansione con pesantissimi effetti sulla popolazione.
I
"tifosi" della parte feudale successivamente videro
nella resistenza della baronessa una sorta di saggia previsione
del fatto che non si sarebbe trattato di un vantaggio, almeno
nell'immediato, per i sudditi.
Le operazioni di
riscatto dei feudi pare abbiano avuto termine nell'aprile 1846,
ma qualcosa restava ancora in sospeso.
Anche il riscatto del feudo di Posada e Montalbo, questo
accertarono e riconobbero le cause giudiziarie, avrebbe comunque
dovuto avvenire per convenzione fra lo stato e i feudatari.
Il notaio
Manca, amministratore del feudo, riprese allora in mano
il contratto con il quale Nicolo' Carroz aveva in origine
comprato la baronia nel 1431, e sulla base di questo formulo' una
proposta di compravendita, contenente quindi i riferimenti
dell'epoca alla proprieta', oltre che dei beni, anche dei
vassalli: "uomini e donne, cristiani, giudei e saraceni
... coloro che vi abitano e vi abiteranno ...".
Le nuove baronesse accettarono il 15 ottobre 1858.
Il 26
gennaio 1859 la Direzione del Demanio
offriva alle eredi una rendita annua di 576.000 lire italiane.
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