dal "manifesto" del 12 Maggio 2000
Le nostre prigioni
In un dossier dell'associazione Antigone le violenze quotidiane degli agenti di custodia sui detenuti
MAURA GUALCO - ROMA

        C'è solo l'imbarazzo della scelta: Secondigliano, Nuoro, Orvieto, oppure Parma, Pianosa e Reggio Calabria. In Italia le violenze avvenute nel carcere sassarese di san Sebastiano non rappresentano una vicenda isolata né tantomeno "un'eccezione". Altre inchieste sono state aperte dalla magistratura in tutta la penisola. Dal '91 al '97, infatti, sono stati firmati dai giudici 237 rinvii a giudizio a carico di agenti di custodia per lesioni, percosse, minacce e ingiurie, 129 per violazione della legge sugli stupefacenti, 66 per abuso di ufficio, 24 per omicidio volontario e colposo e 13 per atti di libidine. Nessuno vuole "criminalizzare". Questi però sono i dati.
Per le violenze avvenute nel carcere di Secondigliano in questi giorni sono alla sbarra 20 agenti penitenziari accusati dai giudici di Napoli di abuso di autorità, lesioni personali e minacce a testimoni avvenute nel corso delle indagini. Secondo il pm sottoponevano i detenuti a un lungo elenco di violenze, dalle più classiche come il pestaggio, ad altre più "raffinate", come per esempio "costringerli in tempi diversi a rimanere rinchiusi in un montacarichi in piedi con la faccia al muro". Motivo? Avevano prestato un giubbotto ad un altro detenuto, oppure non avevano salutato un agente. Le violenze si sarebbero poi intensificate durante le indagini, visto che gli imputati non sono stati trasferiti in un altro carcere. Anzi uno degli imputati, il capo delle guardie, Aniello Giardinetto, si fa nominare coordinatore interno del suo sindacato, il Sappe. Spalla a spalla con i suoi accusatori.
Nel carcere di Nuoro il 23 gennaio scorso Luigi Acquaviva, un detenuto che pochi giorni prima aveva partecipato ad una protesta, viene trovato morto. Suicidio, viene detto all'inizio. Ma in seguito tre agenti vengono indagati per lesioni e un altro per omissione di soccorso. E un decesso post-rivolta è capitato anche nel carcere di Parma. Durante tutto lo scorso anno i detenuti dell'istituto emiliano hanno più volte denunciato le violenze, ma le continue archiviazioni da parte della procura li ha spinti a inscenare una protesta prendendo in ostaggio una agente per alcune ore.Fra i detenuti che avevano partecipato alla rivolta c'era anche Antonio Fabiani, 45 anni, romano, inchiodato su una sedia a rotelle. La mattina del 15 gennaio scorso, Fabiani era riuscito a mandare alla moglie un fax con su scritto "Qualsiasi cosa avvenga fatemi fare l'autopsia". Quattro giorni dopo la donna, che si era recata nel carcere, non riesce a incontrare il marito. "Non vuole vederla", le dicono gli agenti. Disperata perché era stato proprio il marito a sollecitare il colloquio, la donna va via. Due giorni dopo, Fabiani viene trovato morto, ufficialmente si è impiccato con una corda fatta di calzini, ma la procura ha aperto un'inchiesta.
Nel carcere di Orvieto S.H., uno slavo condannato a due mesi per furto, denuncia di esser stato pestato da alcuni agenti ma lui stesso viene denunciato per resistenza e oltraggio. Il pretore, valutato il referto medico, inoltra la documentazione al pm che accusa di maltrattamento due agenti. E due mesi fa è iniziato il processo.
Botte, calci, pugni e altre vessazioni come l'obbligo di togliersi frequentemente le scarpe o marciare sotto le secchiate di acqua gelata, sono stati invece l'incubo di molti detenuti del carcere di Pianosa, chiuso grazie all'intervento di Alessandro Margara, ex direttore del Dap. Per anni le bocche sono rimaste cucite dal terrore finché un giorno Rosario Indelicato, quattro anni di carcere duro e un'assoluzione finale, si è fatto coraggio e ha deciso di denunciare i secondini. Nel febbraio del '99 , Paola Belsito, pretore di Livorno ha condannato due agenti di custodia a sei mesi di reclusione.
L'elenco delle violenze contenute nel dossier di Antigone è lungo e potrebbe continuare. Ma nessuno vuole generalizzare.

dal "manifesto" del 18 Ottobre 2000
Carceri, il 2000 un anno infernale
MASSIMO GIANNETTI - ROMA
 

Nelle carceri italiane sono stati dodici mesi d'inferno, durante i quali, tra "uso sistematico della violenza", decine di suicidi e centinaia di tentati suicidi, è accaduto perfino che i dirigenti del San Sebastiano di Sassari, arrestati dopo il mega-pestaggio dei detenuti nell'aprile scorso, ottenessero una bella "promozione" per meriti acquisiti sul campo. Succede anche questo, "un premio agli inquisiti", nella "zona oscura" del sistema carcerario: "E' un fatto gravissimo, che corrisponde a qualcosa di simile a una dichiarazione di impunità", accusa il senatore dei verdi Luigi Manconi, che ieri, presentando l'ennesimo dossier sui mali del carcere, ha sferrato un durissimo attacco ai vertici del Dipartimento di amministrazione penitenziaria, tacciati di "indifferenza" nei confronti delle pessime condizioni di vita dei detenuti.
Il quadro è impressionante, tale da indurre l'esponente verde a scrivere una lettera al presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura in seno al Consiglio d'Europa, Silvia Casale, sollecitandole "un'ispezione urgente nelle carceri italiane, per far emergere, finalmente, tutto il dolore e la violenza che vi covano".
Sembra un bollettino di guerra: dal primo gennaio ad oggi 40 detenuti si sono suicidati, 396 hanno tentato di uccidersi e altri 3.251 hanno messo in atto azioni di autolesionismo. Lo dicono i referti ufficiali delle stesse amministrazioni penitenziarie, ma date le difficoltà che si incontrano nel conoscere la verità su ciò che accade nelle celle, è lecito pensare che i numeri sopra citati siano addirittura inferiori alla realtà. Per quanto riguarda il carcere romano di Regina Coeli, Manconi chiede, attraverso una denuncia penale, un'indagine della magistratura su sei gravissimi episodi accaduti dal giugno '99, a partire quindi dalla morte di Marco Ciuffreda, fino al pestaggio di Franco Calabrese, alla morte di Adriano Tacchia, Sandro Chiovini e Gianfranco Cottarelli.
Ma l'atto d'accusa del senatore è a tutto campo. Insieme a Manconi erano presenti il presidente dell'associazione Antigone, Stefano Anastasia, il presidente della comunità di Capodarco, don Vinicio Albanesi, Giuseppina Ciuffreda, la mamma di Marco, e l'avvocato Grazia Volo, la cui denuncia contro i responsabili del carcere è stata archiviata dalla procura.
Nel mirino, oltre a Regina Coeli, ci sono in particolare il supercarcere di Marino del Tronto e i penitenziari di Bergamo, Biella e Secondigliano dove, accusa ancora Manconi, "viene attuato un esercizio sistematico della violenza da parte delle squadre di agenti di polizia specializzate in queste mansioni". In questi penitenziari sono in corso indagini della magistratura che vedono indagati una settantina di agenti per una lunga serie di "episodi di sadismo carcerario", ovvero "pestaggi, omissioni di soccorso, morti ispiegabili e suicidi con dinamica vaga". Manconi precisa di "non voler generalizzare", ma sottolinea "l'uso retiterato della violenza di quella piccola parte di agenti, con nomi e cognomi, che appunto compaiono nelle indagini giudiziarie". Ce n'è anche per i medici dei penitenziari: in ogni indagine compare puntualmente almeno un camice bianco con accuse pesantissime. Nei loro confronti è stata richiamata l'attenzione dell'ordine professionale dei medici.


Dal "manifesto" del 16 dicembre 2000

Sassari, i mandanti del pestaggio
Dalla direttrice (che ordinò) al capo delle guardie (che molto volentieri eseguì). I magistrati chiudono l'inchiesta sulle botte del 3 aprile a 47 detenuti nel carcere di San Sebastiano
UMBERTO COCCO - SASSARI

Non 30, ma 46 detenuti hanno subìto pestaggi e vessazioni fra le 14 e le 17 del 3 aprile scorso nel carcere di San Sebastiano. Novantasei persone sono responsabili di quei misfatti, alcuni direttori di altre carceri per avere omesso di segnalare le condizioni nelle quali vennero loro consegnati i detenuti trasferiti dopo il pestaggio. Al provveditore regionale Della Vecchia, alla direttrice del San Sebastiano Maria Cristina Di Marzio, al capo delle guardie Tomassi, la parte di avere organizzato e diretto il pestaggio.
E' quel che scrive la procura della repubblica del tribunale di Sassari che ha concluso ieri l'inchiesta sul pestaggio di quelli che si pensava fossero una trentina di detenuti avvenuto nel carcere della città e per il quale il 3 maggio scorso vennero arrestati con i tre dirigenti un'ottantina di agenti penitenziari.
Gli atti dell'inchiesta condotta dal sostituto procuratore Gianni Caria, depositati ieri mattina, parlano di lesioni personali gravi, abuso di ufficio, violenza privata e omessa denuncia. Dal provvedimento del gip è possibile apprendere che i detenuti feriti o contusi erano una ventina con prognosi per lesioni anche fino a 60 giorni.
A Della Vecchia viene contestato il contenuto di una circolare con cui dava disposizione al personale che doveva eseguire il trasferimento dei detenuti da San Sebastiano ad altre carceri dell'Isola, di indossare tute, anfibi e altri indumenti che - secondo l' accusa - lascerebbe intendere la premeditazione del pestaggio.
Il personaggio chiave dell'inchiesta è, comunque, Ettore Tomassi, che avrebbe eseguito l'operazione. Avrebbe adoperato sevizie e agito con crudeltà (un detenuto sarebbe stato caricato sul cellulare ferito e ricoperto di escrementi, con addosso solo un sacco per l'immondizia). Poi ha esercitato pressioni, minacciando i detenuti, anche nei giorni successivi al pestaggio per evitare che parlassero. Testimonianze ritenute credibili e fondate, perché rese da persone che non avevano avuto modo di parlare tra loro, eppure convergenti, inchiodano questa compagnia, nel frattempo reintegrata nell'amministrazione penitenziaria, talvolta con promozioni.
Immediata la reazione dell'associazione Antigone: "Uno scandalo come quello di Sassari non può avere risposte solo sul piano della sanzione penale" ha detto Stefano Anastasia, che torna a proporre l'istituzione di un difensore civico delle persone private della libertà personale.