TRATTO DA "MITO E PENSIERO PRESSO I GRECI" DI VERNANT

Il mito esiodeo delle razze.

Il poema di Esiodo "Le opere e i giorni" si apre con due racconti mitici.Esiodo racconta la storia di Prometeo e Pandora; a questa fa subito seguire un altro racconto che "corona" il primo: il mito delle razze. I due racconti sono connessi. Entrambi parlano di un tempo antico in cui gli uomini vivevano al riparo dalle sofferenze, dalle malattie, dalla morte; ciascuno spiega a modo suo i mali che sono diventati inseparabili dalla condizione umana. Il mito di Prometeo contiene una morale molto chiara: Zeus, per vendicare il furto del fuoco, ha nascosto all’uomo la sua vita, cioè il cibo, e gli uomini sono condannati alla fatica; sono costretti ad accettare questo e non devono risparmiare il loro sforzo né il travaglio.Dal mito delle razze Esiodo ricava una lezione che egli rivolge specialmente a suo fratello Perses, un povero diavolo, ma che vale anche per i grandi della terra per coloro che hanno la funzione di annullare con l’arbitrato le liti, per i re.Esiodo riassume la lezione nella formula: "ascolta la giustizia, dike, non lasciare crescere la smisuratezza hybris".Tuttavia non si capisce bene se si riferisce all’interpretazione del mito, in che cosa esso possa comportare un insegnamento di questo genere. Infatti, la storia racconta la successione delle varie razze di uomini che, prima di noi, sono vissute e poi scomparse. Non si comprende a cosa possa servire quest’esortazione alla giustizia. Tutte le razze hanno lasciato la terra. Tra quelle che gli uomini onorano ce n’è una che si era distinta per una spaventosa smisuratezza. Inoltre le razze sembrano succedersi secondo un ordine di decadenza progressiva. Esse sono apparentate a metalli in posizione gerarchica dal più prezioso al meno prezioso: oro, argento, bronzo e ferro. Il mito oppone così ad un nuovo mondo divino, dove l’ordine è immutabile, un mondo umano in cui c’è disordine e il tracollo è dalla parte dell’ingiustizia, infelicità e morte. Ma quest’ultimo quadro non convince Perses, né i re della virtù della dike e dei pericoli dell’hybris. A questa prima difficoltà se ne aggiunge un’altra, la struttura del mito. Alle razze d’oro, argento, bronzo e ferro, Esiodo ne aggiunge una quinta quella degli eroi che non corrisponde più ad un metallo. Si distrugge così il parallelismo tra razze e metalli; inoltre non c’è il movimento di decadenza continuo, simboleggiato da una scala metallica di valore decrescente: la razza degli eroi è superiore a quella del bronzo, che l’ha preceduta.

Rohde notava che a Esidio interessava, nel caso degli eroi, non la loro esistenza terrestre, ma il destino postumo. Per ciascuno delle razze indica e la loro vita sulla terra e la vita dopo la morte. Il mito così soddisferebbe due esigenze: la crescente degradazione morale dell’umanità, e la conoscenza del destino dopo la morte. La presenza degli eroi accanto alle altre razze è giustificata da quest’ultimo.

Secondo Goldschmidt il destino delle razze metalliche, dopo la loro scomparsa, consiste, in una " promozione". Gli uomini d’oro e d’argento dopo morti diventano "daimones" demoni; quelli di bronzo formano il popolo dei morti nell’Haides. Solo gli eroi non si trasformano poiché questo potrebbe offrire loro soltanto quello che possiedono già. Gli eroi sono e rimangono eroi. Ma la loro presenza è indispensabile per completare il quadro degli esseri divini: il quale distingue i demoni gli eroi i morti. Esiodo quindi ha elaborato il suo racconto unificando due diverse tradizioni: un mito genealogico delle razze in rapporto con un simbolismo dei metalli e una divisione strutturale del mondo divino. Il mito delle età allora ci offrirebbe il più antico esempio di conciliazione tra punto di vista della genesi e della struttura.

Nelle "Opere e i giorni" non si può parlare di un’antinomia tra mito genetico e divisione strutturale. Per il pensiero mitico, ogni genealogia è spiegazione di una struttura e una struttura non si può presentare se non con un racconto genealogico. Il mito delle età non fa eccezione a questo. E l’ordine secondo cui le razze si succedono non è cronologico. Infatti, Esiodo non ha una nozione di tempo omogeneo dove le razze verrebbero a fissarsi in un posto definitivo. Ogni razza ha la sua temporalità, la sua età, che esprime la sua natura particolare e che definisce il suo statuto.

Se la razza d’oro è la prima, è perché per Esiodo incarna delle virtù che occupano il vertice di una scala di valori intemporali. La successione delle razze nel tempo riproduce un ordine gerarchico permanente dell’universo. Quanto alla concezione di una decadenza progressiva e continua non solo non si accorda con l’episodio degli eroi, ma neanche con la nozione di un tempo che in Esiodo è ciclico.

Le età si succedono per formare un ciclo completo che una volta compiuto o rinizia uguale o nell’ordine inverso. Esiodo si lamenta di appartenere alla razza del ferro. Il suo è il rammarico di non essere morto prima o nato dopo (dichiarazione spiegabile se si ammette l’età come ciclo rinnovabile).

La successione delle razze non sembra seguire un ordine continuo di decadenza. La terza razza non è peggiore della seconda. Il testo caratterizza gli uomini d’argento con una folle smisuratezza ed empietà, quelli di bronzo con le loro opere di smisuratezza. Di progresso nelle decadenze ce n’è poco che la razza d’argento è la sola le cui colpe suscitano l’ira divina. Quando stabilisce la differenza tra due razze dice: "sono opposte come la dike è opposta all’hybris". Questo contrasto è evidente tra la prima e la seconda, la terza e la quarta razza. Gli uomini d’argento sono inferiori a quelli d’oro (cioè un’hybris da cui i primi sono esenti); gli eroi sono più giusti degli uomini di bronzo (comunque dediti entrambi all’hybris). Invece tra seconda e terza razza non c’è confronto di valore. Ecco allora che il testo ci fornisce la seguente struttura: oro e argento da una parte, bronzo ed eroi dall'altra. Ciascun piano uno positivo, l’altro negativo, presenta due razze associate, ognuna delle quali ha la contropartita necessaria dell’altra. Per il primo piano il valore dominante è la dike; l’hybris viene come contropartita; nel secondo la situazione è inversa. Perciò si può dire che si oppongono a loro volta l’uno all’altro come dike e hybris. Ecco perché le diversità dei destini delle due parti. I primi sono oggetto di una promozione: dalla condizione di uomini mortali diventano daimones (epitconii quelli d’oro, ipoctonii quelli d’argento). Gli uomini tributano agli uni come agli altri, degli onori: regali per i primi, minori per i secondi, poiché sono inferiori ma pur sempre sullo stesso piano di realtà e con la stessa funzione nell’aspetto negativo. Il destino postumo è diverso per la razza del bronzo e per gli eroi. Non c’è promozione: morti in guerra diventavano defunti anonimi nell’ Haides. Solo alcuni eroi, per volontà di Zeus, giungono nell’isola dei Beati e sopravvivono nella memoria degli uomini. Gli eroi scomparsi, a differenza dei daimones, sono privi di potere sui vivi che non tributano loro alcun culto. Queste simmetrie mostrano che la razza è un’ elemento essenziale del racconto, senza il quale l’equilibrio dell’insieme sarebbe rotto. Quella che crea un problema è quella del ferro: un terzo piano della realtà che introduce una dimensione nuova; si presenta come razza unica. Comunque il testo mostra che non c’è una età del ferro ma due tipi di esistenza umana opposti: uno accoglie la dike, l’altro l’hybris. Esiodo vive infatti in un mondo dove gli uomini nascono giovani e muoiono vecchi, bene e male si equilibrano. Annuncia l’evento di un’altra vita che sarà tutto il contrario della prima: gli uomini nasceranno vecchi, non ci saranno leggi morali e naturali, ci sarà disordine e hybris e nessun bene compenserà l’uomo per le sue sofferenze. Vediamo allora come l’episodio dell’età del ferro, nei suoi due aspetti, può articolarsi sui temi precedenti per completare la struttura complessiva del mito:

A questo universo di mescolanza, Esiodo oppone la prospettiva di una vita umana in cui l’hybris trionferà. Il ciclo delle età sarà chiuso e il tempo si svolgerà in senso inverso. Nell’età dell’oro tutto è dike; alla fine del ciclo nella vecchiaia dell’età del ferro tutto è hybris. Da un regno all’altro la serie dell’età non segna una decadenza progressiva. Invece ci sono fasi che si alternano secondo rapporti di opposizione e di complementarità. Il tempo è senza successione cronologica ma secondo relazioni dialettiche di un sistema di antinomie.

 

 

Gli uomini della razza d’oro appaiono senza ambiguità come dei Reali (dei basilees), che ignorano qualsiasi attività esterna alla sovranità. Non conoscono la guerra e vivono tranquilli (che li oppone agli uomini di bronzo e eroi dediti al combattimento). Non sanno cosa sia la fatica poiché la terra produce beni innumerevoli (opposti agli uomini di ferro che lavorano la terra). L’oro è un simbolo regale. Nella versione platonica del mito esso distingue e qualifica gli uominus fatti per comandare (archein). Questa razza si situa nel tempo di Kronos quando regnava nel cielo. Un dio in relazione alla funzione regale: a Olimpia un collegio di sacerdoti (i Reali, basilai) gli offriva un sacrificio sulla cima del monte Kronos. Infine alla razza d’oro, in seguito alla sua scomparsa e alla trasformazione in demoni epictonii, spetta un privilegio regale. Assumono infatti le due funzioni: in quanto guardiani degli uomini vigilano la giustizia e favoriscono la fecondità del suolo. Queste parole si applicano anche in Esiodo. Gli uomini d’oro vivevano come dei. Si parla della loro felice esistenza e della città che sotto il re pio e giusto fiorisce. Invece là dove il basileus dimentica la fedeltà a Zeus si dirige verso l’hybris e la città non conosce che distruzione. Questo perché trentamila Immortali invisibili in nome di Zeus, sorvegliano i sovrani. Qualsiasi offesa fatta alla dike dai re è punita. La figura del Buon Sovrano così si proietta in tre piani: in un passato mitico dà l’immagine dell’umanità primitiva nell’età dell’oro; nella società incarna un re giusto e pio; nel mondo soprannaturale rappresenta una categoria di demoni che sorvegliano l’esercizio regolare della funzione regale.

 

L’argento non possiede un valore simbolico proprio. Si definisce per relazione all’oro: metallo prezioso, come l’oro, ma inferiore. Sta sul suo stesso piano e costituisce la sua contropartita. Alla sovranità pia si oppone quelle empia, alla figura del re rispettoso della dike, quella del re dedita all’ hybris. Questa folle smisuratezza porta alla rovina gli uomini, e non esce dal piano della sovranità. Non ha niente a che fare con l’hybris guerriera. Questi rimangono estranei alle guerre. La smisuratezza si esercita solo in campo religioso. Rifiutano di fare sacrifici agli dei olimpici; assumono verso i Reali della dike la forma dell’empietà. Analogamente, Esiodo, nella sua rappresentazione del re ingiusto, sottolinea se questi pronuncia sentenze storte, se opprime l’uomo, lo fa perché non teme gli dei. Per tale empietà la razza d’argento è sterminata dalla collera di Zeus; in quanto contropartita della razza d’oro, beneficia dopo il suo castigo, di onori analoghi. La razza d’argento presenta anche somiglianze con i Titani: identico carattere, funzione e destino. I Titani sono divintà hybris. Hanno la vocazione del potere, sono dei candidati alla sovranità. Naturalmente la sovranità del disordine e della hybris che è contro Zeus la sovranità dell’ordine. Vinti devono abbandonare la luce del giorno e precipitati lontano dalla terra scompaiono.

Così il parellilismo delle razze d’oro e argento non si afferma soltanto con la presenza in ciascuno dei tre campi, in cui si proietta la figura del re giusto, del suo doppio, ma è confermato anche dalla corrispondenza tra razze d’oro e d’argento da una parte, Zeus e Titani dall’altra.

 

La razza di bronzo ci introduce in una sfera d’azione diversa. "Nata dai frassini terribile e vigorosa, questa razza non è per niente simile a quella d’argento; non pensa che ai lavori di Ares e alla hybris" sono le parole di Esiodo. Praticamente è la loro smisuratezza che li distingue: infatti si tratta di hybris solo militare. La manifestazione di un piano di forza brutale, di vigore fisico e di terrore. Gli uomini di bronzo non fanno altro che la guerra. Non mangiano pane, il che lascia supporre che ignorino i lavori agricoli. La loro morte è conforme al carattere della loro vita. Cadono in guerra, uccisi gli uni dagli altri domati dalla forza fisica. Non hanno diritto ad alcun onore. Il significato simbolico del bronzo è molto preciso. E’ legato alla potenza che nascondono in se le armi difensive del guerriero. Lo splendore del metallo getta nello spavento il nemico; il suono del bronzo battuto dal bronzo respinge i sortilegi dell’avversario. Alle armi diffensive di questo metallo si aggiunge il giavellotto di legno frassino (materiale duro e insieme flessibile).E la stessa parola designa ora il giavellotto ora l’albero da cui esso proviene: melie. Si capisce che la razza di bronzo sia detta da Esiodo "nata dai frassini". Le Meliai, ninfe di questi alberi sono associate agli esseri soppranaturali che incarnano la figura del guerriero. Accanto agli uomini di bronzo nati dai frassini, va aggiunto il gigante Talos, guardiano di Creta, dotato di invulnerabilità condizionale, anche lui è nato da un frassino. I giganti sono in relazione con le ninfe Meliai.

I Frassini o le ninfe da cui sono nati gli uomini di bronzo appaiono anche in altri racconti sugli uomini primordiali. Ad Argos nasce il primo uomo da una Meliade. A Febe una madre primordiale partorisce sette Meliadi. Questi racconti di auctotonia si integrano, nella maggior parte dei casi, ad un complesso mitico che concerne la funzione militare e appare come la trasposizione di scene rituali mimate dai guerrieri. Sappiamo che gli Arcadi affermavano di discendere da una tribù di Giganti. L’origine mitica dei Tebani è la stessa. Gli Sparti da cui discendono, sono anche loro dei Gegeneis (giganti). La storia degli Sparti detti anche "Seminati" va esaminata più da vicino perché spiega alcuni modi di vita degli uomini di bronzo.

Cadmos, giunto nel luogo dove deve fondare Tebe, manda dei compagni ad attingere acqua alla sorgente di Ares, custodita da un serpente. Quest’ultimo uccide molti uomini della truppa; l’eroe ammazza il mostro. Egli semina i denti del serpente in una pianura. In questo campo nascono uomini adulti già armati. Subito sferrano battaglia tra di loro uccidendosi. Muoiono come gli uomini di bronzo per le loro stesse braccia. Lo stesso schema si trova nel mito di Iason òdi Colchide. Il re Eeta impone all'eroe di recarsi in un campo con il nome di pianura di Ares, di aggiogare due tori mostruosi; di attaccarli ad un aratro e di far loro tracciare un solco di quattro arpenti; di seminarvi i denti del drago da cui subito nascerà una coorte di Giganti armati. Grazie ad un filtro offertogli da Medeia che la reso momentaneamente invulnerabile, Iason trionfa in questa prova di aratura, il cui aspetto è militare: infatti ha luogo in un campo sacro ad Ares; vi si seminano i denti del drago; Iason è in veste di guerriero e doma i tori con la sua lancia. Alla fine dell’aratura i Gegeneis balzano su dalla terra. Grazie allo stratagemma di Iason, che scaglia in mezzo a loro una enorme pietra, si precipitano gli uni contro gli altri e si massacrano reciprocamente. Questa aratura ci consente di capire una dichiarazione di Esiodo: "gli uomini di bronzo non mangiavano pane" e poi "le loro armi erano di bronzo, di bronzo le loro case, col bronzo aravano". Sembra essere una contraddizione, perché arare se non si mangia il pane? La difficoltà scomparirebbe sé l’aratura fosse considerata come rito militare. Tale interpretazione può trovare conferma in un’ultima analogia tra gli uomini di bronzo e i Seminati, i figli del Solco. Gli Sparti nati dalla terra appartengono alla razza dei frassini; portano tatuato sul corpo il segno della lancia.

Tra lancia, attributo militare, e scettro, simbolo regale c’è differenza di valore di piano. La lancia è sottoposta allo scettro. Quando questa gerarchia non è più rispettata la lancia esprime l’hybris, lo scettro la dike. Per il guerriero, hybris vuol dire conoscere nient’altro che la lancia. La razza di bronzo proietta nel passato la figura del guerriero dedito all’hybris in quanto non vuole conoscere nulla di ciò che superi la sua natura. Ma la violenza fisica non può varcare l’aldilà: nell’Haides gli uomini di bronzo si dissipano. Questa hybris militare la ritroviamo incarnata nei Giganti, nei miti di Sovranità che raccontano la lotta degli dei per il potere. Dopo la sconfitta dei Titani, la vittoria sui Giganti, sancisce la supremazia degli Olimpici. I Titani immortali erano stati mandati nelle profondità della terra. I Giganti vengono fatti perire e non godono del previlegio dell’immortalità. Convivono la sorte comune delle creature mortali. La gerarchia Zeus, Titani, Giganti corrisponde alla successione delle prime tre razze.

 

La razza degli eroi. Si definisce per relazione a quella di bronzo come la sua contropartita. Gli eroi sono guerrieri che muoiono in guerra. La dike degli eroi invece di separarli dagli uomini di bronzo li unisce opponendoli. La sua dike si situa sullo stesso piano militare della hybris degli uomini di bronzo. Al guerriero dedito alla hybris si oppone il guerriero dedito alla dike. Gli eroi per favore di Zeus, sono trasportati nell’isola dei Beati dove conducono una vita simile agli dei. Nei miti di sovranità una categoria di esseri soprannaturali corrisponde alla razza degli eroi e viene a situarsi nella gerarchia degli agenti divini al posto riservato al guerriero servitore dell’ordine. Gli Olimpici presupponevano una vittoria sui Giganti. Ma la sovranità non può fare a meno della forza. Zeus ha bisogno di Kratos e Bia. Per ottenere la vittoria sui Titani gli Olimpici hanno dovuto ricorrere alla forza e chiamare in aiuto gli Hekatoncheires terribili guerrieri avidi di guerra. Sono l’incarnazione di Kratos e Bia. Tra Titani e Olimpici la lotta durava da dieci anni, la vittoria esita incerta tra i due campi; ma Terra ha rivelato a Zeus che vincerà se chiamerà gli Hekatoncheires. Zeus chiede il loro aiuto ricompensandoli con nettare e ambrosia nutrimento dell’immortalità. Il volere generoso di Zeus non è esente da intenzione politica: la funzione guerriera si integra alla sovranità. Il regno dell’ordine non è più minacciato da niente.

 

Il quadro della vita umana nell’età del ferro non è tale da stupirci. Già due volte Esiodo l’ha tracciato nell’introduzione e conclusione del mito di Prometeo. Le malattie, la vecchiaia e la morte, l’ignoranza del domani e l’angoscia del futuro; la presenza di Pandora, la donna, la necessità del lavoro sono elementi per Esiodo solidali, componenti di un unico quadro. I temi di Prometeo e Pandora costituiscono la storia della miseria umana nell’età del ferro.

La razza di ferro ha una esistenza ambigua. Zeus ha voluto che per essa bene e male fossero indissolubili. Perciò l’uomo è attaccato a questa vita di infelicità così come circonda Pandora di amore. Di tutte le sofferenze che gli uomini sostengono Esiodo indica Pandora come origine. Se lei non avesse sollevato il coperchio della giara, in cui erano chiusi i mali, gli uomini avrebbero vissuto senza sofferenze e fatiche.

Pandora (terra e donna) rappresenta la funzione di fecondità quale essa si manifesta nell’età del ferro e nella produzione del cibo e nella riproduzione della vita. Non si tratta più di un’abbondanza spontanea: ormai è l’uomo ad unire la sua vita alla donna, così com’è l’agricoltore a far germogliare dalla terra i cereali. Ogni ricchezza deve essere pagata con uno sforzo. Per la razza di ferro la terra e la donna sono nello stesso tempo princìpi di fecondità e potenze di distruzione; loro esauriscono l’energia dell’uomo. L’agricoltore di Esiodo, in questo mondo ambiguo, deve scegliere tra due lotte che corrispondono alle due eris. La prima, la buona lotta che lo spinge al lavoro a faticare per accrescere i suoi averi. Ha accettato la dura legge su cui si fonda l’età del ferro: non c’è felicità senza fatica. Rispettare la dike per l’agricoltore significa sottomettersi ad un ordine, consacrare la sua vita al lavoro: diventa così caro agli Immortali, il bene per lui domina sul male.

L’altra lotta è quella che lo incita a cercare ricchezze senza fatica. Si conduce verso l’hybris. Definita negativamente dall’assenza dei sentimenti morali e religiosi.

Questo quadro di rivolta è contro l’ordine: un mondo rovesciato, sottosopra. Ciò costituisce un contrasto totale con l’immagine dell’agricoltore sottoposto alla dike.

A una vita di mescolanza in cui i beni compensano i mali si oppone un universo negativo in cui non c’è più nient’altro che disordine e male.

Ecco qua l’analisi particolareggiata del mito. Una costruzione a tre livelli ciascuna dei quali si divide in due aspetti opposti. Quest’architettura che regola il ciclo delle età è la stessa che presiede l’ordinamento della società umana e del mondo divino. Il "passato" si struttura secondo il modello di una gerarchia intemporale di funzione e di valori. Ciascuna coppia di età è definita così da una qualità temporale particolare, associata ad un tipo di attività che le corrisponde. Oro e argento età giovanissima; bronzo ed eroi una vita adulta che ignora giovane e vecchio; ferro un’esistenza che si degrada in un tempo consunto.

Esaminiamo da vicino gli aspetti delle età e il significato. Gli uomini d’oro e d’argento sono dei "giovani". Ma questo valore si rovescia da positivo a negativo. Quelli d’oro vivono senza fatica, malattia, vecchiaia un tempo ancora vicinissimo a quello degli dei.

L’uomo d’argento rappresenta l’aspetto opposto del "giovane": non più l’assenza di senilità, ma pura puerilità. Per cento anni vive allo stato di pais, sempre vicino a sua madre. Lasciata l’infanzia, commette mille pazzie e muore subito. Quasi tutta la sua vita è limitata ad un’infanzia. Non partecipa alla vita adulta.

Esiodo non dà alcuna indicazione sulla vita degli uomini di bronzo e degli eroi. Solo che non hanno il tempo di invecchiare perché muoiono in combattimento. Niente sulla loro infanzia. Forse perché gli uomini di bronzo non hanno questa età. Nel poema sono subito uomini adulti che si preoccupano solo dei lavori di Ares.

E’ evidente l’analogia con i miti di autoctonia in cui Gegeneis che si presentano come adulti pronti al combattimento.

Tutta la vita degli uomini d’argento si svolge prima del passaggio alla vita adulta (hèbè); quella degli uomini di bronzo comincia da questo passaggio. Nessuno conosce la vecchiaia.

Invece negli uomini di ferro la vecchiaia dà colore: qui la vita si consuma in un continuo invecchiamento. Tutti i mali che esauriscono l’essere umano lo trasformano da bambino a giovane, a vecchiaia, a cadavere. Un tempo ambiguo in cui giovane e vecchio si mescolano a vicenda così come bene e male, vita e morte, dike e hybris. A questo tempo che fa invecchiare ciò che è giovane si oppone la prospettiva di un tempo vecchio: verrà un giorno in cui sarà scomparso tutto ciò che è giovane, vivo. Al tempo della mescolanza succederà un tempo di vecchiaia e morte.

Così tutte queste caratteristiche si ordinano secondo uno schema tripartito che ricorda il sistema di tripartizione funzionale. Il primo livello della costruzione mitica di Esidio definisce il piano della sovranità, dove il re svolge la sua attività giuridico-religiosa; il secondo la funzione militare in cui domina la forza del guerriero; il terzo, il piano della fecondità, dei cibi necessari alla vita sotto la responsabilità dell’agricoltore.

Il racconto di Esiodo illustra un sistema di multicorrispondenza ma contiene anche un elemento nuovo; infatti il tema si organizza secondo una prospettiva dicotomica.

La logica che orienta l’architettura, del resto, è la tensione tra dike e hybris: non solo ordina la costruzione, ma conferisce a ciascuno dei tre livelli un aspetto di polarità.

E qui stà l’originalità di Esiodo.

Ora ci domandiamo perchè la dike occupa un posto centrale per Esiodo.

Vediamo che la figura del guerriero non ha più che valore un mitico.

La storia di Prometeo, quella delle razze, il poema nel suo insieme mirano ad edificare Perses piccolo agricoltore. Perses deve rinunciare all’hybris e mettersi al lavoro. Ma questa lezione concerne anche i basileis in quanto anche loro devono risolvere le liti e arbitrare i processi. Essi però devono rispettare la dike pronunciando rette sentenze. C’è una grande distanza tra le due figure, ma il poeta crede che il modo con cui agiscono i re, si ripercuote sull’universo del contadino. Dunque tra la prima e la terza funzione c’è una connivenza mitica e reale. L’interesse di Esiodo è incentrato sui problemi che riguardano entrambi. Si rivolge a Perses per predicargli il lavoro e ai re che vivono in città.

Il fatto è che il mondo di Esiodo è un mondo misto in cui si oppongono i piccoli e i grandi villani, i nobili, gli agricoltori e i re. Qui non c’è altro aiuto che dike. Se lei scompare tutto sprofonda nel caos. Se lei è rispettata ci sarà più bene che male.

Ma allora qual è il posto dell’attività guerriera?

Per Esiodo non costituisce più un autentico livello funzionale. Sul piano del mito giustifica solo la presenza dell’hybris; da una risposta al problema del male.

In che cosa consiste la differenza tra giustizia e fecondità che regnano nell’età dell’oro e nell’età del ferro?

Nella prima, giustizia e abbondanza non hanno contropartita. La giustizia s’impone da se; così la fecondità porta senza lavoro l’abbondanza. L’età dell’oro ignora l’Eris.

Al contrario è la lotta o meglio due lotte, buona e cattiva, che caraterizzano l’età del ferro.

Percio la dike deve esercitarsi tramite un’eris. La dike reale consiste nell’appianare le liti nate dall’eris; la dike dell’agricoltore nel fare dell’eris virtù, porta feconda abbondanza.

Ci chiediamo da dove provenga quest’eris.

L’eris è associata all’hybris, la lotta rappresenta lo spirito stesso dell’attività guerriera; esprime la natura profonda del combattente.

Nel racconto delle razze Esiodo reinterpreta il mito delle razze metalliche in uno schema trifunzionale; trasforma la struttura tripartita valorizzando l’attività guerriera vista come fonte del male e conflitto dell’universo.

Daniela Denurra