Convocazione e Programma

 

Gruppi di studio

 

Introduzione di S.E. Mons. MarioMilano

Arcivescovo-vescovo di Aversa

 

Relazione di S.E. Francesco Pio Tamburino

Arcivescovo di Foggia-Bovino

DIOCESI DI AVERSA                     CONVEGNO PASTORALE 2003          Sacrosanctum Concilium

 

 

 

Convocazione

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Gruppi

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Introduzione

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Partecipare alla Liturgia

Introduzione al Convegno 2003

 

Fratelli e sorelle carissimi, la nostra assemblea trova il suo fonda­mento nelle parole stesse di Gesù che ha dello: “dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18, 20).

Questa presenza salvifica del Signore si realizza in ogni nostra assem­blea liturgica, che il Concilio Vaticano II ha voluto fosse sempre più partecipata attivamente e fruttuosamente da tutto il popolo santo di Dio, essendo ogni celebrazione azione di Cristo Sacerdote e di tutti noi che siamo la sua Chiesa (cfr. SC 7). Partecipare alla Liturgia, per o­gni battezzato, è partecipazione piena all’opera della nostra redenzione che in ogni celebrazione si compie attraverso i santi segni della nostra fede. Comprendere e vivere tutto questo, ci aiuterà ad essere, in ogni nostra realtà ecclesiale e ambito pastorale, veri adoratori del “Padre in spirito e verità” (Gv 4, 23).                                                   + Mario Milano

                                                                                                         Arcivescovo Vescovo di Aversa

 

 

Relazione

T

LA COSTITUZIONE

«SACROSANCTUM CONCILIUM»:

A 40 ANNI DALLA PROMULGAZIONE

 

FRANCESCO Pio TAMBURRINO

Arcivescovo di Foggia-Bovino

 

 

INTRODUZIONE

Guardando il sec. XX nel suo insieme, emerge sempre più chiaro come l’evento positivo più importante e decisivo sia stato il Concilio Vaticano II. Esso ha provocato un rinno­vamento teologico, spirituale e pastorale molto profondo nel­la Chiesa cattolica ed ha avuto riflessi positivi anche sulle altre confessioni cristiane e sull’ umanità intera.

La Costituzione Sacrosanctum Concilium fu il primo documento conciliare ad essere approvato. Nel discorso di chiusura della 20.a sessione, il Papa Paolo VI si riferiva in questi termini al lavoro concluso: “Uno dei temi, il primo esaminato ed il primo, in un certo senso, nell’eccellenza in­trinseca e nell’ importanza per la vita della Chiesa, quello sulla sacra liturgia, è stato felicemente concluso ed oggi da noi solennemente promulgato. Esulta l’animo nostro per questo risultato. Noi vi ravvisiamo l’ossequio alla scala dei valori e dei doveri: Dio al primo posto; la preghiera prima nostra obbligazione; la liturgia prima fonte della vita divina a noi comunicata, prima scuola della nostra vita spirituale, primo dono che noi possiamo fare al popolo cristiano…” (1)

La riforma della liturgia doveva dare l’avvio al rinnova­mento profondo di tutta la Chiesa. «Esiste, infatti, un lega­me strettissimo e organico tra il rinnovamento della liturgia e il rinnovamento di tutta la vita della Chiesa. La Chiesa non solo agisce, ma si esprime anche nella liturgia e dalla litur­gia attinge le forze per la vita» (2).

Senza ombra di dubbio, la Costituzione conciliare sulla liturgia costituisce una pietra miliare sul cammino della Chiesa, anche perché in essa veniva operata la prima sintesi tra riforma liturgica e i “movimenti” che l’avevano assecon­data e preparata. «Connessa con il rinnovamento biblico, con il movimento ecumenico, con lo slancio missionario, con la ricerca ecclesiologica, la riforma liturgica doveva contribu­ire al rinnovamento globale di tutta la Chiesa» (3).

 

I. LA NUOVA VISIONE TEOLOGICA

 

Il   documento conciliare sulla liturgia costituisce la pri­ma proposta concreta del rinnovamento teologico, prepara­to nei decenni precedenti, con riflessi pastorali e pratici sul­la vita della Chiesa.

 

1.    Storia della salvezza

Sotto l’impulso della esegesi biblica, la categoria della ‘‘storia della salvezza” riprende il suo posto centrale nella riflessione teologica. Il mondo liturgico fa la stessa riscoperta, quando afferma che il piano eterno di Dio prevede una at­tuazione della salvezza che è insieme storia e mistero. E’ storia in quanto la salvezza diviene realtà nell’evento Cri­sto; è mistero in quanto la medesima e unica realtà della salvezza continua a rendersi presente ed accessibile nel “sa­cramento - pienezza di Cristo” che è la Chiesa e, in modo specifico, nei segni sacramentali della liturgia. In questa azio­ne sacramentale, la storia della salvezza raggiunge il suo momento ultimo di attuazione attraverso la dimensione sim­bolica e anamnetica (memoriale)4. Tutti gli eventi salvifici compiuti da Dio nella storia hanno trovato perfezione e com­pimento nella pienezza dei tempi, quando Dio mandò il suo Figlio, Verbo fatto carne, come strumento della nostra sal­vezza. L’opera compiuta da Cristo viene consegnata alla Chiesa, “sacramento mirabile”, che compie nel tempo - per opera dello Spirito Santo - ciò che Cristo le ha trasmesso, ed essa diventa segno di salvezza. Un quadro di questa visione storico-salvifica della liturgia è delineato in Sacrosanctum Concilium, 5:

 

«Dio, il quale “vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità” (1 Tm 2,4), “dopo avere a più riprese e in diversi modi parlato un tempo ai padri per mezzo dei profeti” (Eh 1,1), quan­do venne la pienezza del tempo, mandò il suo Figlio, Verbo fatto carne, unto di Spirito Santo (...). Per cui in Cristo “avvenne la nostra perfetta riconciliazione con Dio e ci fu data la pienezza del culto divino”».

 

2. Attualizzazione del mistero pasquale

Il    mistero pasquale viene posto come fondamento e chia­ve interpretativa di tutto il culto cristiano. Secondo la Costitu­zione liturgica, la liturgia attualizza tale mistero, soprattutto nel sacramento del battesimo per il quale si compie nei fedeli la morte-risurrezione di Cristo, e nell’Eucaristia che ripresen­ta la vittoria e il trionfo di Cristo sulla morte, perché i creden­ti, partecipandovi in gioioso rendimento di grazie, possano annunciare la morte del Signore fino a quando egli verrà (cfr SC 6). Il convito eucaristico, in modo del tutto particolare, costituisce il memoriale del mistero pasquale (cfr SC 7).

Dal mistero pasquale traggono efficacia e significato tutti i sacramenti e i sacra-mentali, per mezzo dei quali la grazia in esso contenuta fluisce in tutti gli avve-nimenti della vita, santificandoli (cfr SC 61).

Ma anche il corso dell’anno liturgico celebra tale miste­ro, sia nella ricorrenza annuale della Pasqua (cfr SC 102), sia ogni otto giorni nel “dies dominicus” o giorno del Signo­re (cfr SC 106) e anche nella memoria della beata Vergine Maria e dei Santi, che sono come il frutto del mistero pa­squale (5).

In maniera solenne ciò viene proclamato dal diacono nel giorno dell‘Epifania, quando annuncia il giorno di Pasqua:

«Nei ritmi e nelle vicende del tempo ricordiamo e viviamo i misteri della salvezza. Centro di tutto l’anno liturgico è il triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto, che culmine­rà nella domenica di Pasqua. In ogni domenica, Pasqua del­la settimana, la santa Chiesa rende presente questo grande evento nel quale Cristo ha vinto il peccato e la morte. Dalla Pasqua scaturiscono tutti i giorni santi: le Ceneri, inizio del­la Quaresima, l’Ascensione del Signore, la Pentecoste, la prima domenica di Avvento. Anche nelle feste della Santa Madre di Dio, degli Apostoli, dei Santi e nella commemora­zione dei fedeli defunti, la Chiesa pellegrina sulla terra proclama la Pasqua del suo Signore» (6).

   Per attuare il suo mistero pasquale, Cristo è sempre pre­sente nella sua Chiesa, soprattutto nelle azioni liturgiche (cfr SC 7). La liturgia è, perciò, il “luogo” privilegiato dell’in­contro dei cristiani con Dio e con Colui che egli ha inviato, Gesù Cristo (cfr Gv 17,3).

   Cristo è presente nella Chiesa riunita in preghiera nel suo nome; nella persona del ministro ordinato che celebra; è presente nella sua Parola proclamata nell’assemblea. Il Si­gnore è presente e agisce per la potenza dello Spirito Santo nei sacramenti e, in modo eminente e singolare (sublimiori modo), nel Sacrificio della Messa sotto le specie eucaristiche, anche quando sono conservate nel tabernacolo al di fuori della celebrazione per la comunione soprattutto dei malati e l’adorazione dei fedeli (7).

 

3.   L’autentica natura della Chiesa

La Costituzione sulla liturgia ha presentato, ancor pri­ma che venisse promulgata la Costituzione Lumen gentium, una visione rinnovata e sacramentale della Chiesa, perché «la liturgia (...) contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la natura genuina della vera Chiesa (...). In tal modo la liturgia non solo giorno per giorno edifica coloro che sono dentro la Chiesa, in tempio santo del Signore, in casa di Dio nello Spirito, sino al raggiungimento della piena età di Cristo, ma insieme ne irrobustisce meravigliosamente le energie, per cui possono predicare Cristo, e in tal modo rivelare la Chiesa a coloro che ne sono fuori, come bandiera alta sui popoli, affinché sotto di essa tutti i dispersi figli di Dio si raccolgano fino a fare un solo ovile ed un solo pasto­re» (SC 2).

Nella liturgia la Chiesa manifesta la sua natura autentica  ed esprime ciò che è: una, santa, cattolica e apostolica (8). Nel culto il popolo cristiano vive più profondamente il mi­stero di Cristo e della Chiesa e, nello stesso tempo, più chia­ramente lo manifesta al mondo. Cristo e la Chiesa sono intimamente congiunti, in quan­to la liturgia è azione di Cristo capo e della Chiesa suo corpo, nella linea dell’incarnazione:«Per una non debole analogia (la Chiesa) è paragonata al mistero del Verbo in­carnato»(LG 8): come la natura umana di Figlio di Dio è al servizio del Verbo, così l’organismo sociale della Chiesa lo è al servizio dello Spirito che lo vivifica. In tal modo la Chiesa, per mezzo della Parola e del sacramento, rende presente ed efficace la persona e l’opera salvifica di Gesù nel mondo. Essa è costituita da Cristo “mirabile sacramentum” (Sacram. Gelas., n. 432), “sacramento uni­versale di salvezza” (LG, 48), mediatrice della grazia di Cristo per mezzo della Parola e dei Sacramenti, in ordine alla salvezza degli uomini.

Da questa dottrina e visione ecclesiologica scaturiscono alcune conseguenze vitali:

a)       Tutti coloro che prendono parte al culto della

Chiesa sono chiamati a parteciparvi in maniera attiva, consapevole, piena (SC 14). Le azioni liturgiche, infatti, non sono mai private, ma appartengono all’intero corpo della Chiesa, lo manifestano e lo implicano9. Il segno visibile della Chiesa ­io soggetto universale è costituito dall’assemblea particolare (10)

b) Ha la massima importanza la vita liturgica diocesana, quando la Chiesa particolare è radunata intorno al Vescovo «nell’intima persuasione che la maggior manifestazione della Chiesa si ha appunto quando l’intero popolo santo di Dio si raccoglie in partecipazione piena e attiva nelle medesime celebrazioni liturgiche, principalmente nella medesima Eu­caristia, nell’unità dell’ orazione e nell’ unità dello stesso al­tare, cui presiede il Vescovo, circondato dal suo presbiterio e dai suoi ministri» (SC 41).

          c)  L’Eucaristia «costituisce il centro di tutta la vita cri­stiana per la Chiesa universale, per quella locale e per i sin­goli fedeli»(11). «La celebrazione eucaristica è l’atto culmi­nante del culto cristiano, perché è l’azione simbolico-cultuale che sintetizza tutta l’opera salvifica, e questa concentrata in Cristo Gesù: la Pasqua. In tale rappresentazione parola e azione si incontrano a vicenda e si supportano a vicenda (...). Nell’Eucaristia sono le parole dell’istituzione (anàmnesi) che in virtù dello Spirito (epìclesi), mediante gli elementi del pane e del vino attualizzano la grazia: ciò avviene in un con­testo dossologico (benedizione e rendimento di grazie)»(12). «La Chiesa vive dell’Eucaristia» (13); essa ha la “forza generatrice” della comunione ecclesiale. Un inno eucaristico francese canta:

«Ecco la Tavola dove la Chiesa comincia,

il Signore oggi spartisce il pane dell’ Alleanza

e mette nelle nostre mani

il segno della Pasqua.

 

La Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium (47-57), ha avuto il merito di ristabilire con chiarezza questo principio teologico, e lo ha reso operativo stabilendo una serie di riforme della Messa, per renderla più limpida nel­l’ordinamento rituale e arricchendola di più abbondante pa­rola di Dio, della preghiera dei fedeli, della comunione sotto le due specie, della concelebrazione e procurando «che i fe­deli non assistano da estranei o muti spettatori a questo mi­stero di fede, ma che, comprendendolo bene per mezzo dei riti e delle preghiere, partecipino all’azione sacra consape­volmente, piamente e attivamente» (SC 48).

 

Il. LA RIFORMA DELLA LITURGIA

 

Sostanzialmente, la Costituzione sulla liturgia è proiet­tata verso il rinnovamento pastorale delle comunità cristia­ne. Perciò, la volontà fondamentale del Concilio è stata quella di rendere la liturgia in tutto genuina ed autentica, in modo da acquisire efficacia, chiarezza, forza comunicativa e linearità.

Il principio fondamentale della riforma è espresso espli­citamente nell’articolo 21 della Sacrosanctum Concilium:

«Per assicurare maggiormente al popolo cristiano l’ab­bondante tesoro di grazie che la sacra liturgia racchiude, la Santa Madre Chiesa desidera fare un’accurata riforma gene­rale della liturgia (...). In tale riforma, l’ordinamento dei te­sti e dei riti dev’ essere condotto in modo che le sante realtà, da essi significate, siano espresse più chiaramente (clarius exprimant), il popolo cristiano, per quanto è possibile, pos­sa capirne facilmente il senso e possa parteciparvi con una celebrazione piena, attiva e comunitaria».

Questo principio comportava due conseguenze pratiche nel cammino della riforma: anzitutto la revisione accurata di tutti i libri liturgici (cfr n. 25) e poi di tutti gli aspetti che avrebbero favorito l’accesso del popolo di Dio alle ricchez­ze della liturgia.

La riforma dei libri liturgici viene descritta, nella sua sostanza, nei capitoli secondo, terzo, quarto, quinto e sesto della Costituzione e avrebbe toccato il mistero eucaristico (c. II), i singoli sacramenti e i sacramentali (c. III), l’ufficio divino (c. IV), l’anno liturgico (c. V), la musica sacra (c. VI) e l’arte sacra (c. VII). Nei singoli riti si è tenuto presente di mettere in luce gli elementi strutturali, costitutivi e immuta­bili, rendendoli più chiari e liberandoli dalle incrostazioni e dai limiti derivanti dalle epoche culturali, perché potessero esprimere più chiaramente attraverso segni intelligibili, i riti e le preci che hanno una funzione verso il popolo.

Per riferirci ad esempi concreti, basti pensare alla rifor­ma del Messale Romano, giunto ormai alla sua III edizione tipica latina, con il riordino dell’ordinario, l’accresciuta ric­chezza biblica delle letture, il posto importante attribuito all’omelia, il ripristino della preghiera dei fedeli, la riformulazione dei riti di presentazione delle offerte, l’intro­duzione di nuove preci eucaristiche, la possibilità della co­munione sotto le due specie e la concelebrazione. Mentre l’antico rito della Messa, in uso fino al 1962, era disposto secondo le esigenze del sacerdote celebrante, il nuovo tiene conto di tutta l’assemblea gerarchicamente ordinata, in cui sono previsti i ruoli di tutte le parti che la compongono, com­presi i laici.

Lo stesso culto eucaristico fuori della Messa viene rior­dinato evidenziandone il rapporto con la celebrazione, la cura dei malati e l’adorazione (14).

Il   rito del Battesimo viene riveduto sia nella forma per gli adulti, per la quale è restaurato il catecumenato e la cele­brazione di tappe preparatorie, sia la forma per i bambini, nella quale si tiene effettivamente conto della loro condizio­ne e sono messi maggiormente in rilievo il posto e i doveri che hanno i genitori e i padrini.

Il   rito della Confermazione mette in più chiara luce l’in­tima connessione con tutta l’iniziazione cristiana e prevede la rinnovazione degli impegni battesimali.

Il   rito della Penitenza cessa di essere celebrato in modo quasi privato e intimistico, per riassumere una forte con-notazione ecclesiale, che le è connaturale, sia nella forma individuale, sia nella forma comunitaria. E’ prevista la pro­clamazione di qualche pericope biblica, sulla quale si in­nesta e fiorisce la confessione, l’assoluzione e l’impegno di vita.

Il    sacramento della estrema Unzione torna ad essere l’Unzione degli infermi, in quanto non è dato solo a coloro che sono in fin di vita, bensì ai fedeli che, per malattia o per vecchiaia, incominciano ad essere in pericolo di morte (cfr SC 73).

Il    rito del Matrimonio, essendo più suscettibile di in­flussi culturali differenti tra i popoli, riceve uno spazio par­ticolare di apertura a tali apporti, e, nello stesso tempo, vie­ne arricchito con la celebrazione ordinaria della Messa con varietà di letture e di formule alternative più adeguate alle varie circostanze. Nei territori dove c’è estrema scarsità di clero e grandi distanze dai centri parrocchiali, la Santa Sede autorizza che il matrimonio possa essere celebrato davanti a testimoni qualificati laici.

Opportuni ritocchi danno maggiore linearità ai riti di Ordinazione, delineandone più chiaramente gli elementi costitutivi e la dimensione ecclesiale. Per l’ordinazione episcopale, ad esempio, tutti i vescovi presenti compiono il gesto apostolico della imposizione delle mani sull’ ordi­nando.

Anche le altre parti del Rituale vengono sottoposte a revisione, con nuovi accenti e prospettive, che derivano dal progresso teologico e da una visione più accuratamente biblica, come il rituale delle Benedizioni, in cui torna ad es­sere sottolineato l’elemento laudativo verso Dio e in modo più evidente la benedizione scaturisce non da gesti e parole quasi magici, ma dalla misericordia e dall’amore di Dio che si prende cura delle sue creature.

Il rito delle Esequie esprime più apertamente l’indole pasquale della morte cristiana; mentre il rito della Profes­sione religiosa prevede che l’impegno di vita consacrata non sia concepito come un vincolo privato, ma come una delle vocazioni alla santità della Chiesa e, normalmente, si inseri­sce, in modo teologicamente significativo, nella celebrazio­ne eucaristica (cfr SC 80), quasi a manifestare l’intimo lega­me tra l’offerta della propria vita e il sacrificio di Cristo, origine e fonte di ogni santità.

La Liturgia delle Ore riceve ritocchi significativi: fa­vorisce la partecipazione di tutto il popolo di Dio, restitui­sce alle “ore” la “verità” nel tempo di celebrazione, stabili­sce che le Lodi e i Vespri siano considerati come “il dupli­ce cardine dell’ufficio quotidiano” (SC 89), l’Ufficio delle letture, fuori del coro, può essere celebrato in qualsiasi ora del giorno e Compieta suggella la conclusione della gior­nata. Il salterio è distribuito sull’arco di quattro settimane e si arricchisce il lezionario biblico e patristico con nuovi testi.

Il    restauro dell’ anno liturgico mette in evidenza l’unitarietà delle celebrazioni, che ruotano attorno al miste­ro pasquale annuale con forte accentuazione cristologica entro ]o schema storico-salvifico. Ne beneficia il tempo del­la Quaresima con il suo duplice carattere battesimale e penitenziale (cfr SC 109); la domenica viene rivalorizzata come Pasqua settimanale, giorno dell’assemblea cristiana e dell’Eucaristia, festa primordiale di gioia e di riposo, fonda­mento e nucleo di tutto l’anno liturgico (cfr SC 106).

Vengono rivedute e riordinate anche le celebrazioni dei Santi, che si inseriscono nel culto cristiano come frutti del mistero pasquale di Cristo, senza prevalere sulle feste che commemorano i misteri della salvezza (cfr SC 111).

Il principio generale della riforma è che “l’animo dei fedeli sia indirizzato prima di tutto verso le feste del Signo­re, nelle quali, durante il corso dell’anno, si celebrano i mi­steri della salvezza. Perciò il proprio del tempo abbia il suo giusto posto sopra le feste dei Santi, in modo che sia conve­ientemente celebrato l’intero ciclo dei misteri della salvezz­a” (SC 108).

L’attenzione del Concilio si volge anche agli aspetti este­ci della liturgia, nella linea della plurisecolare tradizione ella Chiesa, secondo cui la musica sacra e l’arte per la litur­ia hanno un compito ministeriale (cfr SC 112) nel servizio divino e non sono un semplice abbellimento che si vrappone, ma linguaggio autentico della preghiera. «La Chiesa, è detto nella Costituzione conciliare - approva e immette nel culto divino tutte le forme della vera arte, purc­hé dotata delle qualità necessarie» (SC 112).

Non possiamo dire che la fiducia dei Padri conciliari nell’arte sacra, intimamente legàta con «l’infinita bellezza divina» (SC 122), abbia prodotto, generalmente, frutti si­gnificativi sia nel campo della musica sacra, sia per l’ar­chitettura e le arti figurative. Non basta l’ispirazione dell’artista a far superare l’individualismo e a garantire opere capaci di esprimere la fede della Chiesa e promuovere, con il linguaggio proprio dell’arte, la penetrazione dei santi misteri celebrati. Giustamente il Concilio ha previsto che i Vescovi e gli incaricati diocesani «si prendano cura degli artisti, allo scopo di formarli allo spirito dell’arte sacra e della sacra liturgia» (SC 127) e che sia impartito uno spec­ifico insegnamento nel corso filosofico e teologico ai can­didati al sacerdozio (cfr SC 129).

La Commissione episcopale per la liturgia della Confe­renza Episcopale Italiana, insieme con l’Ufficio Liturgico Nazionale, ha fatto passi significativi nella direzione del­l’architettura, del restauro e l’adattamento degli edifici di culto, e anche per la compilazione di un repertorio naziona­le di canti e la formazione liturgico-musicale di coloro che operano nel settore.

 

III.       PRINCIPI PASTORALI E OPERATI VI DELLA RIFORMA LITURGICA

 

La riforma liturgica conciliare ha interessato l’ordina­mento rituale della liturgia, i testi biblici di cui è intessuta, le orazioni che la compongono; ma tutto questo è scaturito da gravi motivazioni pastorali. Il criterio fondamentale della riforma è delineato nell’art. 21 della Sacrosanctum Concilium: ”…tanto i testi che i riti devono avere una dispo­sizione tale, che la realtà sacra, di cui sono segni, sia più chiaramente espressa, e in forma che il popolo cristiano la percepisca, per quanto possibile, con facilità e vi possa par­tecipare con una celebrazione piena, attiva e comunitaria»,

 

1.    Intelligibilità

Il    Concilio prende netta posizione nei confronti di una rassegnata accettazione che i fedeli restassero estranei ad un culto che si era fatto sempre più opaco. Il documento conci­liare non si limita a lamentare che i fedeli siano «spettatori muti ed estranei» (SC 48); esso mostra la via per condurli alla «intelligenza del mistero della fede»: per ritus et preces: per mezzo dei riti e delle preghiere.

I segni sacri della liturgia devono essere eloquenti, in modo da esprimere le realtà sacre che hanno il compito di manifestare ed esprimere: «ut signa ad instructionem pertinent: in quanto segni, hanno anche la funzione di istru­ire»; con le parole e con gli elementi rituali nutrono la fede che essi presuppongono, la irrobustiscono e la esprimono» (SC 59).

La volontà di rendere più trasparente l’apparato rituale risponde ad una esigenza di verità della liturgia stessa che, altrimenti, sarebbe frustrata nel suo specifico compito di si­gnificare ai fedeli le realtà sacre che in essa e per essa si compiono.

Due elementi sono essenziali all’intelligenza della litur­gia: i riti e la lingua. «I riti - stabilisce la Costituzione conci­liare - rifulgano per nobile semplicità, siano chiari nella loro brevità ed evitino inutili ripetizioni; siano tali da essere comprensibili dai fedeli, né abbiano bisogno, generalmente, di molte spiegazioni» (SC 34).

Si comprende anche il largo posto che viene fatto alle lingue vive, derogando ad una tradizione millenaria che le­gava la liturgia latina ad un idioma, «siccome nella Messa, nell’amministrazione dei sacramenti e in altre parti della li­turgia non di rado l’uso della lingua volgare si potrebbe ri­velare di grande utilità per il popolo» (SC 36). Il motivo è l’utilità per il popolo cristiano, per la ragione profonda che il segno più eloquente e perciò più importante, è la parola.

 

2.    Una liturgia comunitaria

«Le azioni liturgiche non sono azioni private, ma cele­brazioni della Chiesa, che è “sacramento di unità”, cioè po­polo santo radunato e ordinato sotto la guida dei Vescovi. Perciò tali azioni appartengono all’intero Corpo della Chie­sa, lo manifestano e lo implicano» (SC 26).

Questo principio ha tre conseguenze pratiche:

a) la celebrazione comunitaria è da preferirsi, per quan­to è possibile, alla celebrazione individuale e quasi privata: ciò vale soprattutto per la celebrazione della Messa, l’am­ministrazione dei sacramenti e la Liturgia delle Ore (cfr SC 27; 100);

b) la natura sacerdotale del culto e il suo carattere eccle­siale esigono che il popolo sia portato alla «partecipazione piena, consapevole e attiva» (SC 14), e la Chiesa appaia come una comunità ministerialmente strutturata, in cui ognuno svolge il suo compito secondo il proprio ruolo (cfr SC 41-42), senza deleghe o concentrazione dei vari ministeri;

      c) nel culto, partecipato e vissuto, la comunità cristiana si riconosce e si edifica, i legami di carità fraterna si annodano più intensamente, il desiderio di servizio si fa più concreto.

 

3.   La formazione

    Il rinnovamento liturgico non può entrare nella vita delle comunità se non si forma uno spirito, una mentalità, un’ani­ma. E’ necessaria una iniziazione e una educazione alla litur­gia. Questo processo formativo deve interessare tutte le cate­gorie del popolo di Dio, a cominciare dai seminaristi e dai membri del clero, e deve estendersi ai religiosi e religiose, agli operatori pastorali, ai catechisti e ai docenti di religione, ai laici che esercitano dei ministeri ecclesiali e a tutti i fedeli.

La catechesi fondata sulla liturgia, nota fin dall’antichi­tà cristiana, deve poggiare sulla conoscenza delle Scritture e sulla iniziazione ai segni della celebrazione. La Costituzio­ne conciliare raccomanda di introdurre alla liturgia «per mezzo dei riti e delle preghiere» (SC 48), mediante la for­mazione biblica e la comprensione dei Salmi (cfr SC 90). Questa catechesi dovrà essere continua (cfr SC 35,3) e deve interessare tutta la compagine ecclesiale.

Un particolare incoraggiamento va rivolto alle strutture diocesane e parrocchiali destinate alla promozione della vita liturgica. Penso all’Ufficio Liturgico Diocesano, come al­l’organismo propulsore delle iniziative di formazione e del­la qualità delle celebrazioni; ma anche ai gruppi liturgici parrocchiali che preparano, con il presbitero, le celebrazioni domenicali e accolgono quanti esercitano qualche ministero liturgico (lettori, cantori, organisti, ministri straordinari del­la Comunione, accoliti). Avendo cura speciale ditali perso­ne, è possibile non solo ottenere celebrazioni capaci di favo­rire una profonda esperienza del mistero celebrato, ma an­che promuovere, nei membri del gruppo, un vero cammino spirituale e vocazionale.

 

CONCLUSIONE

A quarant’anni dalla promulgazione della Costituzione Sacrosanctum Concilium, siamo in grado di valutare quanto è vero che il rinnovamento liturgico è stato un segno di amo­re che Dio ha avuto per la Chiesa del nostro tempo e «un passaggio dello Spirito Santo sulla Chiesa» (SC 43), il frutto più visibile dell’opera conciliare (15).

All’impulso conciliare ha fatto seguito la riforma litur­gica concreta, che è stata sicuramente uno sforzo storico col il quale è stato sottoposto a completa revisione tutto il patri­monio dei riti e dei testi ereditati dal passato, sono stati pub­blicati tutti i libri liturgici, le celebrazioni sono state riporta­te alla loro genuina struttura, i principi teologici e pastorali sono davanti a noi come luce sul cammino della Chiesa.

Ma il cammino è tutt’altro che concluso. I compiti di ogni comunità diocesana e parrocchiale sono sempre quelli tracciati dalla Nota pastorale della Conferenza Episcopale Italiana sul Rinnovamento liturgico in Italia (1983). Biso­gna colmare il vuoto nella comprensione dello spirito e dei fini della riforma liturgica e familiarizzarsi con il linguaggio liturgico. Il servizio dev’essere prestato con competenza e interiore adesione da parte di coloro che svolgono ministeri nella liturgia, La partecipazione dell’assemblea è costante­mente da favorire, animare, incoraggiare e sostenere. La Parola deve acquisire tutto il suo spessore celebrativo e sim­bolico sia nella sua proclamazione, che nella spiegazione omiletica e nella attualizzazione. I riti devono conservare la loro autenticità e risultare evocativi di ciò che Dio ha fatto per la salvezza del suo popolo. In una parola, siamo tutti chiamati a non sciupare il grande dono della riforma liturgi­ca che Dio ha posto nelle nostre mani. Ancora una volta, sarà la liturgia che, mentre rinnova il culto e la vita delle nostre comunità, farà sentire che il Risorto non ci ha abban­donati in balia delle vicende umane, chiusi nell’orizzonte delle realtà terrene. Egli, il nostro Salvatore e il Vivente, in ogni celebrazione ripete alla Chiesa e all’umanità: «Resurrexi et adhuc tecum sum: sono risorto e sono sempre con te» (cfr SaI 139,18).

 «Sono io la vostra remissione, io la Pasqua della salvez­za, io l’Agnello immolato per voi, io il vostro riscatto, io la vostra vita, io la vostra luce, io la vostra salvezza, io la vo­stra risurrezione, io il vostro re. Io vi conduco alla sommità dei cieli. Io vi mostrerò l’eterno Padre. Io vi risusciterò con la mia destra» (16).

 

 

 

NOTE

(1) Enchiridion Vaticanurn, I, Bologna 1981, [127] -[129].

(2)  GIOVANNI PAOLO LI, Lett. Dominicae Cenae (24 febbraio 1980), 13: AAS 72 (1980) 146.

(3) “GIOVANNI PAOLO Il, Lett. Apost. Vicesimusquintus annus,

(4) “Cfr S. MARSILI, La teologia della liturgia nel Vaticano Il, in AA. Vv., Anamnesis, I, La liturgia momento

       della storia della salvezza, Torino 1974,91-92.

(5) Cfr SC 104; P. VISENTIN, La celebrazione del mistero pasquale nella memoria della Vergine e dei Santi,

      in ID., Culmen etfons, I. Padova 1987,339-357.

(6) Messale Romano, II ed. italiana, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1983, 1047.

(7) Cfr SC 7; GIOVANNI PAOLO II, Lett. Apost. Vicesimus quintus annus, 7.

 (8) Cfr GIOVANNI PAOLO Il, Lett. Apost. Vicesimus quintus annus, 9.

(9)  Cfr SC 26; Principi e norme per la Liturgia delle Ore, 20.

(10) Cfr A.PISTOIA, Liturgia: azione della Chiesa, in AA.Vv.,La pre­ghiera della Chiesa, Bologna 1974,57-76.

(11) “ Principi e norme per l’uso del Messale Romano, 1. Ch SC 41.

(12)  S. ROSSO, Un popolo di sacerdoti. Saggio di liturgia fondamenta­le, Roma 1999,367-368.

(13) GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Ecclesia de Eucharistia 1.

(14) Cfr PIO XII, Lettera enciclica Mediator Dei, in AAS 39 (1947) 568-572;  PAOLO VI, Lettera enciclica  

        MysteriumJìdei, in AAS 57 (1965) 769-772; S. CONGREGAZIONE DEI R1T I, Istruzione Eucharisticunz

        mysteriuni, im. 4 9-50, in AAS 59 (1967) 566-567; RITUALE ROMANUM, De sacra communione et de

        cultu mysterii eucharistici extra Missam. Editio Typica, Typis Polyglottis Vaticanis 1973,5.

(15) Cfr GIOVANNI PAOLO Il, Lett. Apost. Vicesimus quintus anntis, 12.

(16) MELITONE, Sulla Pasqua, 103: 1 più antichi testi pasquali della Chiesa, a cura di R. CANTALAMESSA,

        Roma 1972, 50-51.

 

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