LA COSTITUZIONE
«SACROSANCTUM CONCILIUM»:
A 40 ANNI DALLA
PROMULGAZIONE
† FRANCESCO Pio TAMBURRINO
Arcivescovo di
Foggia-Bovino
INTRODUZIONE
Guardando il sec. XX nel suo insieme, emerge
sempre più chiaro come l’evento positivo più importante e decisivo sia
stato il Concilio Vaticano II. Esso ha provocato un rinnovamento
teologico, spirituale e pastorale molto profondo nella Chiesa cattolica ed
ha avuto riflessi positivi anche sulle altre confessioni cristiane e sull’
umanità intera.
La Costituzione Sacrosanctum Concilium fu il primo documento conciliare ad
essere approvato. Nel discorso di chiusura della 20.a sessione, il Papa Paolo
VI si riferiva in questi termini al lavoro concluso: “Uno dei temi, il
primo esaminato ed il primo, in
un certo senso, nell’eccellenza intrinseca
e nell’ importanza per la vita della
Chiesa, quello sulla sacra liturgia, è stato felicemente concluso ed oggi
da noi solennemente promulgato. Esulta l’animo nostro per questo risultato.
Noi vi ravvisiamo l’ossequio alla scala dei valori e dei doveri: Dio al
primo posto; la preghiera prima nostra obbligazione; la liturgia prima
fonte della vita divina a noi comunicata, prima scuola della nostra vita
spirituale, primo dono che noi possiamo fare al popolo cristiano…” (1)
La riforma della liturgia doveva dare
l’avvio al rinnovamento profondo di tutta la Chiesa. «Esiste, infatti, un
legame strettissimo e organico tra il rinnovamento della liturgia e il
rinnovamento di tutta la vita della Chiesa. La Chiesa non solo agisce, ma
si esprime anche nella liturgia e dalla liturgia attinge le forze per la
vita» (2).
Senza ombra di dubbio, la Costituzione
conciliare sulla liturgia costituisce una pietra miliare sul cammino della
Chiesa, anche perché in essa veniva operata la prima sintesi tra riforma
liturgica e i “movimenti” che l’avevano assecondata e preparata. «Connessa
con il rinnovamento biblico, con il movimento ecumenico, con lo slancio
missionario, con la ricerca ecclesiologica, la riforma liturgica doveva
contribuire al rinnovamento globale di tutta la Chiesa» (3).
I. LA
NUOVA VISIONE TEOLOGICA
Il documento
conciliare sulla liturgia costituisce la prima proposta concreta del
rinnovamento teologico, preparato nei decenni precedenti, con riflessi
pastorali e pratici sulla vita della Chiesa.
1. Storia
della salvezza
Sotto l’impulso della esegesi biblica, la
categoria della ‘‘storia della salvezza” riprende il suo posto centrale
nella riflessione teologica. Il mondo liturgico fa la stessa riscoperta,
quando afferma che il piano eterno di Dio prevede una attuazione della
salvezza che è insieme storia e mistero. E’ storia in quanto la
salvezza diviene realtà nell’evento
Cristo; è mistero in quanto la medesima e unica realtà della salvezza
continua a rendersi presente ed accessibile nel “sacramento - pienezza di
Cristo” che è la Chiesa e, in modo specifico, nei segni sacramentali della
liturgia. In questa azione sacramentale, la storia della salvezza
raggiunge il suo momento ultimo di
attuazione attraverso la dimensione simbolica e anamnetica (memoriale)4.
Tutti gli eventi salvifici compiuti da Dio nella storia hanno trovato
perfezione e compimento nella pienezza dei tempi, quando Dio mandò il suo
Figlio, Verbo fatto carne, come strumento della nostra salvezza. L’opera
compiuta da Cristo viene consegnata alla Chiesa, “sacramento mirabile”, che
compie nel tempo - per opera dello Spirito Santo - ciò che Cristo le ha
trasmesso, ed essa diventa segno di salvezza. Un quadro di questa visione
storico-salvifica della liturgia è delineato in Sacrosanctum Concilium, 5:
«Dio, il quale “vuole che tutti gli uomini
siano salvi e giungano alla conoscenza della verità” (1 Tm 2,4), “dopo
avere a più riprese e in diversi modi parlato un tempo ai padri per mezzo
dei profeti” (Eh 1,1), quando venne la pienezza del tempo, mandò il suo
Figlio, Verbo fatto carne, unto di Spirito Santo (...). Per cui in Cristo
“avvenne la nostra perfetta riconciliazione con Dio e ci fu data la
pienezza del culto divino”».
2. Attualizzazione del mistero pasquale
Il mistero
pasquale viene posto come fondamento e chiave interpretativa di tutto il
culto cristiano. Secondo la Costituzione liturgica, la liturgia attualizza
tale mistero, soprattutto nel sacramento del battesimo per il quale si
compie nei fedeli la morte-risurrezione di Cristo, e nell’Eucaristia che
ripresenta la vittoria e il trionfo di Cristo sulla morte, perché i credenti,
partecipandovi in gioioso rendimento di grazie, possano annunciare la morte
del Signore fino a quando egli verrà (cfr SC 6). Il convito eucaristico, in
modo del tutto particolare, costituisce il memoriale del mistero pasquale
(cfr SC 7).
Dal mistero
pasquale traggono efficacia e significato tutti i sacramenti e i
sacra-mentali, per mezzo dei quali la grazia in esso contenuta fluisce in
tutti gli avve-nimenti della vita, santificandoli (cfr SC 61).
Ma anche il corso dell’anno liturgico
celebra tale mistero, sia nella ricorrenza annuale della Pasqua (cfr SC
102), sia ogni otto giorni nel “dies dominicus” o giorno del Signore (cfr
SC 106) e anche nella memoria della beata Vergine Maria e dei Santi, che
sono come il frutto del mistero pasquale (5).
In maniera solenne ciò viene proclamato
dal diacono nel giorno dell‘Epifania, quando annuncia il giorno di Pasqua:
«Nei ritmi e nelle vicende del tempo ricordiamo e viviamo i misteri
della salvezza. Centro di tutto l’anno liturgico è il triduo del Signore
crocifisso, sepolto e risorto, che culminerà nella domenica di Pasqua. In
ogni domenica, Pasqua della settimana, la santa Chiesa rende presente
questo grande evento nel quale Cristo ha vinto il peccato e la morte. Dalla
Pasqua scaturiscono tutti i giorni santi: le Ceneri, inizio della
Quaresima, l’Ascensione del Signore, la Pentecoste, la prima domenica di
Avvento. Anche nelle feste della Santa Madre di Dio, degli Apostoli, dei
Santi e nella commemorazione dei fedeli defunti, la Chiesa pellegrina
sulla terra proclama la Pasqua del suo Signore» (6).
Per attuare il suo mistero pasquale,
Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, soprattutto nelle azioni
liturgiche (cfr SC 7). La liturgia è, perciò, il “luogo” privilegiato
dell’incontro dei cristiani con Dio e con Colui che egli ha inviato, Gesù Cristo (cfr Gv 17,3).
Cristo è presente nella Chiesa riunita
in preghiera nel suo nome; nella persona del ministro ordinato che celebra;
è presente nella sua Parola proclamata nell’assemblea. Il Signore è
presente e agisce per la potenza dello Spirito Santo nei sacramenti e, in
modo eminente e singolare (sublimiori
modo), nel Sacrificio della Messa sotto le specie eucaristiche, anche
quando sono conservate nel tabernacolo al di fuori della celebrazione per
la comunione soprattutto dei malati e l’adorazione dei fedeli (7).
3. L’autentica
natura della Chiesa
La Costituzione sulla liturgia ha presentato,
ancor prima che venisse promulgata la Costituzione Lumen gentium, una visione rinnovata e sacramentale della
Chiesa, perché «la liturgia (...) contribuisce in sommo grado a che i
fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di
Cristo e la natura genuina della vera Chiesa (...). In tal modo la liturgia
non solo giorno per giorno edifica coloro che sono dentro la Chiesa, in
tempio santo del Signore, in casa di Dio nello Spirito, sino al
raggiungimento della piena età di Cristo, ma insieme ne irrobustisce
meravigliosamente le energie, per cui possono predicare Cristo, e in tal
modo rivelare la Chiesa a coloro che ne sono fuori, come bandiera alta sui
popoli, affinché sotto di essa tutti i dispersi figli di Dio si raccolgano fino
a fare un solo ovile ed un solo pastore» (SC 2).
Nella liturgia la Chiesa manifesta la sua natura autentica ed esprime ciò che è: una, santa,
cattolica e apostolica (8). Nel culto il popolo cristiano vive più
profondamente il mistero di Cristo e della Chiesa e, nello stesso tempo,
più chiaramente lo manifesta al mondo. Cristo e la Chiesa sono intimamente
congiunti, in quanto la liturgia è azione di Cristo capo e della Chiesa
suo corpo, nella linea dell’incarnazione:«Per una non debole analogia (la
Chiesa) è paragonata al mistero del Verbo incarnato»(LG 8): come la natura
umana di Figlio di Dio è al servizio del Verbo, così l’organismo sociale
della Chiesa lo è al servizio dello Spirito che lo vivifica. In tal modo la
Chiesa, per mezzo della Parola e del sacramento, rende presente ed efficace
la persona e l’opera salvifica di Gesù nel mondo. Essa è costituita da
Cristo “mirabile sacramentum” (Sacram.
Gelas., n. 432), “sacramento universale di salvezza” (LG, 48),
mediatrice della grazia di Cristo per mezzo della Parola e dei Sacramenti,
in ordine alla salvezza degli uomini.
Da questa dottrina e visione
ecclesiologica scaturiscono alcune conseguenze vitali:
a)
Tutti
coloro che prendono parte al culto della
Chiesa sono chiamati a parteciparvi in maniera attiva, consapevole,
piena (SC 14). Le azioni liturgiche, infatti, non sono mai private, ma
appartengono all’intero corpo della Chiesa, lo manifestano e lo implicano9.
Il segno visibile della Chiesa io soggetto universale è costituito
dall’assemblea particolare (10)
b)
Ha la massima importanza
la vita liturgica diocesana, quando la Chiesa particolare è radunata
intorno al Vescovo «nell’intima persuasione che la maggior manifestazione
della Chiesa si ha appunto quando l’intero popolo santo di Dio si raccoglie
in partecipazione piena e attiva nelle medesime celebrazioni liturgiche,
principalmente nella medesima Eucaristia, nell’unità dell’ orazione e
nell’ unità dello stesso altare, cui presiede il Vescovo, circondato dal
suo presbiterio e dai suoi ministri» (SC 41).
c) L’Eucaristia «costituisce il centro di tutta la vita cristiana
per la Chiesa universale, per quella locale e per i singoli fedeli»(11).
«La celebrazione eucaristica è l’atto culminante del culto cristiano,
perché è l’azione simbolico-cultuale che sintetizza tutta l’opera
salvifica, e questa concentrata in Cristo Gesù: la Pasqua. In tale
rappresentazione parola e azione si incontrano a vicenda e si supportano a
vicenda (...). Nell’Eucaristia sono le parole dell’istituzione (anàmnesi) che in virtù dello
Spirito (epìclesi), mediante gli
elementi del pane e del vino attualizzano la grazia: ciò avviene in un contesto
dossologico (benedizione e rendimento di grazie)»(12). «La Chiesa vive
dell’Eucaristia» (13); essa ha la “forza generatrice” della comunione
ecclesiale. Un inno eucaristico francese canta:
«Ecco la Tavola dove la Chiesa comincia,
il Signore oggi spartisce il pane dell’
Alleanza
e mette nelle nostre mani
il segno della Pasqua.
La Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium (47-57), ha avuto il merito di
ristabilire con chiarezza questo principio teologico, e lo ha reso
operativo stabilendo una serie di riforme della Messa, per renderla più
limpida nell’ordinamento rituale e arricchendola di più abbondante parola
di Dio, della preghiera dei fedeli, della comunione sotto le due specie,
della concelebrazione e procurando «che i fedeli non assistano da estranei
o muti spettatori a questo mistero di fede, ma che, comprendendolo bene
per mezzo dei riti e delle preghiere, partecipino all’azione sacra consapevolmente,
piamente e attivamente» (SC 48).
Il. LA
RIFORMA DELLA LITURGIA
Sostanzialmente, la Costituzione sulla
liturgia è proiettata verso il rinnovamento pastorale delle comunità
cristiane. Perciò, la volontà fondamentale del Concilio è stata quella di
rendere la liturgia in tutto genuina ed autentica, in modo da acquisire
efficacia, chiarezza, forza comunicativa e linearità.
Il principio fondamentale della riforma è
espresso esplicitamente nell’articolo 21 della Sacrosanctum Concilium:
«Per
assicurare maggiormente al popolo cristiano l’abbondante tesoro di grazie che la
sacra liturgia racchiude, la Santa Madre Chiesa desidera fare un’accurata
riforma generale della liturgia (...). In tale riforma, l’ordinamento dei
testi e dei riti dev’ essere condotto in modo che le sante realtà, da essi
significate, siano espresse più
chiaramente (clarius exprimant), il popolo cristiano, per quanto è
possibile, possa capirne facilmente
il senso e possa parteciparvi con
una celebrazione piena, attiva e comunitaria».
Questo principio comportava due
conseguenze pratiche nel cammino della riforma: anzitutto la revisione
accurata di tutti i libri liturgici (cfr n. 25) e poi di tutti gli aspetti che avrebbero favorito l’accesso
del popolo di Dio alle ricchezze della liturgia.
La riforma dei libri liturgici viene
descritta, nella sua sostanza, nei capitoli secondo, terzo, quarto, quinto
e sesto della Costituzione e avrebbe toccato il mistero eucaristico (c.
II), i singoli sacramenti e i sacramentali (c. III), l’ufficio divino (c.
IV), l’anno liturgico (c. V), la musica sacra (c. VI) e l’arte sacra (c.
VII). Nei singoli riti si è tenuto presente di mettere in luce gli elementi
strutturali, costitutivi e immutabili, rendendoli più chiari e liberandoli
dalle incrostazioni e dai limiti derivanti dalle epoche culturali, perché
potessero esprimere più chiaramente attraverso segni intelligibili, i riti
e le preci che hanno una funzione verso il popolo.
Per
riferirci ad esempi concreti, basti pensare alla riforma del Messale
Romano, giunto ormai alla sua III edizione tipica latina, con il riordino
dell’ordinario, l’accresciuta ricchezza biblica delle letture, il posto
importante attribuito all’omelia, il ripristino della preghiera dei fedeli,
la riformulazione dei riti di presentazione delle offerte, l’introduzione
di nuove preci eucaristiche, la possibilità della comunione sotto le due
specie e la concelebrazione. Mentre l’antico rito della Messa, in uso fino
al 1962, era disposto secondo le esigenze del sacerdote celebrante, il
nuovo tiene conto di tutta l’assemblea gerarchicamente ordinata, in cui
sono previsti i ruoli di tutte le parti che la compongono, compresi i
laici.
Lo stesso culto eucaristico fuori della
Messa viene riordinato evidenziandone il rapporto con la celebrazione, la
cura dei malati e l’adorazione (14).
Il rito
del Battesimo viene riveduto sia
nella forma per gli adulti, per la quale è restaurato il catecumenato e la
celebrazione di tappe preparatorie, sia la forma per i bambini, nella
quale si tiene effettivamente conto della loro condizione e sono messi
maggiormente in rilievo il posto e i doveri che hanno i genitori e i
padrini.
Il rito
della Confermazione mette in più
chiara luce l’intima connessione con tutta l’iniziazione cristiana e
prevede la rinnovazione degli impegni battesimali.
Il rito
della Penitenza cessa di essere
celebrato in modo quasi privato e intimistico, per riassumere una forte
con-notazione ecclesiale, che le è connaturale, sia nella forma
individuale, sia nella forma comunitaria. E’ prevista la proclamazione di
qualche pericope biblica, sulla quale si innesta e fiorisce la
confessione, l’assoluzione e l’impegno di vita.
Il sacramento
della estrema Unzione torna ad essere l’Unzione
degli infermi, in quanto non è dato solo a coloro che sono in fin di
vita, bensì ai fedeli che, per malattia o per vecchiaia, incominciano ad
essere in pericolo di morte (cfr SC 73).
Il rito
del Matrimonio, essendo più
suscettibile di influssi culturali differenti tra i popoli, riceve uno
spazio particolare di apertura a tali apporti, e, nello stesso tempo, viene
arricchito con la celebrazione ordinaria della Messa con varietà di letture
e di formule alternative più adeguate alle varie circostanze. Nei territori
dove c’è estrema scarsità di clero e grandi distanze dai centri
parrocchiali, la Santa Sede autorizza che il matrimonio possa essere
celebrato davanti a testimoni qualificati laici.
Opportuni ritocchi danno maggiore
linearità ai riti di Ordinazione, delineandone
più chiaramente gli elementi costitutivi e la dimensione ecclesiale. Per
l’ordinazione episcopale, ad esempio, tutti i vescovi presenti compiono il
gesto apostolico della imposizione delle mani sull’ ordinando.
Anche le altre parti del Rituale vengono
sottoposte a revisione, con nuovi accenti e prospettive, che derivano dal
progresso teologico e da una visione più accuratamente biblica, come il
rituale delle Benedizioni, in cui
torna ad essere sottolineato l’elemento laudativo verso Dio e in modo più
evidente la benedizione scaturisce non da gesti e parole quasi magici, ma
dalla misericordia e dall’amore di Dio che si prende cura delle sue
creature.
Il rito delle Esequie esprime più apertamente l’indole pasquale della morte
cristiana; mentre il rito della Professione
religiosa prevede che l’impegno di vita consacrata non sia concepito
come un vincolo privato, ma come una delle vocazioni alla santità della
Chiesa e, normalmente, si inserisce, in modo teologicamente significativo,
nella celebrazione eucaristica (cfr SC 80), quasi a manifestare l’intimo
legame tra l’offerta della propria vita e il sacrificio di Cristo, origine
e fonte di ogni santità.
La Liturgia
delle Ore riceve ritocchi significativi: favorisce la partecipazione
di tutto il popolo di Dio, restituisce alle “ore” la “verità” nel tempo di
celebrazione, stabilisce che le Lodi e i Vespri siano considerati come “il
duplice cardine dell’ufficio quotidiano” (SC 89), l’Ufficio delle letture,
fuori del coro, può essere celebrato in qualsiasi ora del giorno e Compieta
suggella la conclusione della giornata. Il salterio è distribuito
sull’arco di quattro settimane e si arricchisce il lezionario biblico e
patristico con nuovi testi.
Il restauro
dell’ anno liturgico mette in
evidenza l’unitarietà delle celebrazioni, che ruotano attorno al mistero
pasquale annuale con forte accentuazione cristologica entro ]o schema
storico-salvifico. Ne beneficia il tempo della Quaresima con il suo duplice
carattere battesimale e penitenziale (cfr SC 109); la domenica viene
rivalorizzata come Pasqua settimanale, giorno dell’assemblea cristiana e
dell’Eucaristia, festa primordiale di gioia e di riposo, fondamento e
nucleo di tutto l’anno liturgico (cfr SC 106).
Vengono rivedute e riordinate anche le celebrazioni dei Santi, che si
inseriscono nel culto cristiano come frutti del mistero pasquale di Cristo,
senza prevalere sulle feste che commemorano i misteri della salvezza (cfr
SC 111).
Il principio generale della riforma è che
“l’animo dei fedeli sia indirizzato prima di tutto verso le feste del Signore,
nelle quali, durante il corso dell’anno, si celebrano i misteri della
salvezza. Perciò il proprio del tempo abbia il suo giusto posto sopra le
feste dei Santi, in modo che sia conveientemente celebrato l’intero ciclo
dei misteri della salvezza” (SC 108).
L’attenzione del Concilio si volge anche
agli aspetti esteci della liturgia, nella linea della plurisecolare
tradizione ella Chiesa, secondo cui la musica sacra e l’arte per la lituria
hanno un compito ministeriale (cfr SC 112) nel servizio divino e non sono
un semplice abbellimento che si vrappone, ma linguaggio autentico della
preghiera. «La Chiesa, è detto nella Costituzione conciliare - approva e
immette nel culto divino tutte le forme della vera arte, purché dotata
delle qualità necessarie» (SC 112).
Non possiamo dire che la fiducia dei
Padri conciliari nell’arte sacra, intimamente legàta con «l’infinita
bellezza divina» (SC 122), abbia prodotto, generalmente, frutti significativi
sia nel campo della musica sacra, sia per l’architettura e le arti
figurative. Non basta l’ispirazione dell’artista a far superare
l’individualismo e a garantire opere capaci di esprimere la fede della
Chiesa e promuovere, con il linguaggio proprio dell’arte, la penetrazione
dei santi misteri celebrati. Giustamente il Concilio ha previsto che i
Vescovi e gli incaricati diocesani «si prendano cura degli artisti, allo
scopo di formarli allo spirito dell’arte sacra e della sacra liturgia» (SC
127) e che sia impartito uno specifico insegnamento nel corso filosofico e
teologico ai candidati al sacerdozio (cfr SC 129).
La Commissione episcopale per la liturgia
della Conferenza Episcopale Italiana, insieme con l’Ufficio Liturgico
Nazionale, ha fatto passi significativi nella direzione dell’architettura,
del restauro e l’adattamento degli edifici di culto, e anche per la
compilazione di un repertorio nazionale di canti e la formazione
liturgico-musicale di coloro che operano nel settore.
III. PRINCIPI
PASTORALI E OPERATI VI DELLA RIFORMA LITURGICA
La riforma liturgica conciliare ha
interessato l’ordinamento rituale della liturgia, i testi biblici di cui è
intessuta, le orazioni che la compongono; ma tutto questo è scaturito da
gravi motivazioni pastorali. Il criterio fondamentale della riforma è
delineato nell’art. 21 della Sacrosanctum
Concilium: ”…tanto i testi che i riti devono avere una disposizione
tale, che la realtà sacra, di cui sono segni, sia più chiaramente espressa,
e in forma che il popolo cristiano la percepisca, per quanto possibile, con
facilità e vi possa partecipare con una celebrazione piena, attiva e
comunitaria»,
1. Intelligibilità
Il Concilio
prende netta posizione nei confronti di una rassegnata accettazione che i
fedeli restassero estranei ad un culto che si era fatto sempre più opaco.
Il documento conciliare non si limita a lamentare che i fedeli siano
«spettatori muti ed estranei» (SC 48); esso mostra la via per condurli alla
«intelligenza del mistero della fede»: per
ritus et preces: per mezzo dei riti e delle preghiere.
I segni sacri della liturgia devono
essere eloquenti, in modo da esprimere le realtà sacre che hanno il compito
di manifestare ed esprimere: «ut
signa ad instructionem pertinent: in quanto segni, hanno anche la
funzione di istruire»; con le parole e con gli elementi rituali nutrono la
fede che essi presuppongono, la irrobustiscono e la esprimono» (SC 59).
La volontà di rendere più trasparente
l’apparato rituale risponde ad una esigenza di verità della liturgia stessa
che, altrimenti, sarebbe frustrata nel suo specifico compito di significare
ai fedeli le realtà sacre che in essa e per essa si compiono.
Due
elementi sono essenziali all’intelligenza della liturgia: i riti e la
lingua. «I riti - stabilisce la Costituzione conciliare - rifulgano per
nobile semplicità, siano chiari nella loro brevità ed evitino inutili
ripetizioni; siano tali da essere comprensibili dai fedeli, né abbiano
bisogno, generalmente, di molte spiegazioni» (SC 34).
Si comprende anche il largo posto che
viene fatto alle lingue vive, derogando ad una tradizione millenaria che legava
la liturgia latina ad un idioma, «siccome nella Messa, nell’amministrazione
dei sacramenti e in altre parti della liturgia non di rado l’uso della
lingua volgare si potrebbe rivelare di grande utilità per il popolo» (SC
36). Il motivo è l’utilità per il popolo cristiano, per la ragione profonda
che il segno più eloquente e perciò più importante, è la parola.
2. Una liturgia comunitaria
«Le azioni liturgiche non sono azioni
private, ma celebrazioni della Chiesa, che è “sacramento di unità”, cioè
popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei Vescovi. Perciò tali
azioni appartengono all’intero Corpo della Chiesa, lo manifestano e lo
implicano» (SC 26).
Questo principio ha tre conseguenze
pratiche:
a)
la celebrazione
comunitaria è da preferirsi, per quanto è possibile, alla celebrazione
individuale e quasi privata: ciò vale soprattutto per la celebrazione della
Messa, l’amministrazione dei sacramenti e la Liturgia delle Ore (cfr SC
27; 100);
b)
la natura sacerdotale
del culto e il suo carattere ecclesiale esigono che il popolo sia portato
alla «partecipazione piena, consapevole e attiva» (SC 14), e la Chiesa
appaia come una comunità ministerialmente strutturata, in cui ognuno svolge
il suo compito secondo il proprio ruolo (cfr SC 41-42), senza deleghe o
concentrazione dei vari ministeri;
c)
nel culto, partecipato e vissuto, la comunità cristiana si riconosce e
si edifica, i legami di carità fraterna si annodano più intensamente, il
desiderio di servizio si fa più concreto.
3. La formazione
Il rinnovamento
liturgico non può entrare nella vita delle comunità se non si forma uno
spirito, una mentalità, un’anima. E’ necessaria una iniziazione e una
educazione alla liturgia. Questo processo formativo deve interessare tutte
le categorie del popolo di Dio, a cominciare dai seminaristi e dai membri
del clero, e deve estendersi ai religiosi e religiose, agli operatori
pastorali, ai catechisti e ai docenti di religione, ai laici che esercitano
dei ministeri ecclesiali e a tutti i fedeli.
La catechesi fondata sulla liturgia, nota
fin dall’antichità cristiana, deve poggiare sulla conoscenza delle
Scritture e sulla iniziazione ai segni della celebrazione. La Costituzione
conciliare raccomanda di introdurre alla liturgia «per mezzo dei riti e
delle preghiere» (SC 48), mediante la formazione biblica e la comprensione
dei Salmi (cfr SC 90). Questa catechesi dovrà essere continua (cfr SC 35,3) e deve interessare tutta la
compagine ecclesiale.
Un particolare incoraggiamento va rivolto
alle strutture diocesane e parrocchiali destinate alla promozione della
vita liturgica. Penso all’Ufficio Liturgico Diocesano, come all’organismo
propulsore delle iniziative di formazione e della qualità delle
celebrazioni; ma anche ai gruppi liturgici parrocchiali che preparano, con
il presbitero, le celebrazioni domenicali e accolgono quanti esercitano
qualche ministero liturgico (lettori, cantori, organisti, ministri
straordinari della Comunione, accoliti). Avendo cura speciale ditali persone,
è possibile non solo ottenere celebrazioni capaci di favorire una profonda
esperienza del mistero celebrato, ma anche promuovere, nei membri del
gruppo, un vero cammino spirituale e vocazionale.
CONCLUSIONE
A quarant’anni dalla promulgazione della
Costituzione Sacrosanctum Concilium, siamo
in grado di valutare quanto è vero che il rinnovamento liturgico è stato un
segno di amore che Dio ha avuto per la Chiesa del nostro tempo e «un
passaggio dello Spirito Santo sulla Chiesa» (SC 43), il frutto più visibile
dell’opera conciliare (15).
All’impulso conciliare ha fatto seguito
la riforma liturgica concreta, che è stata sicuramente uno sforzo storico
col il quale è stato sottoposto a completa revisione tutto il patrimonio
dei riti e dei testi ereditati dal passato, sono stati pubblicati tutti i
libri liturgici, le celebrazioni sono state riportate alla loro genuina
struttura, i principi teologici e pastorali sono davanti a noi come luce
sul cammino della Chiesa.
Ma il cammino è tutt’altro che concluso.
I compiti di ogni comunità diocesana e parrocchiale sono sempre quelli
tracciati dalla Nota pastorale della Conferenza Episcopale Italiana sul Rinnovamento liturgico in Italia (1983).
Bisogna colmare il vuoto nella comprensione dello spirito e dei fini della
riforma liturgica e familiarizzarsi con il linguaggio liturgico. Il servizio
dev’essere prestato con competenza e interiore adesione da parte di coloro
che svolgono ministeri nella liturgia, La partecipazione dell’assemblea è
costantemente da favorire, animare, incoraggiare e sostenere. La Parola
deve acquisire tutto il suo spessore celebrativo e simbolico sia nella sua
proclamazione, che nella spiegazione omiletica e nella attualizzazione. I
riti devono conservare la loro autenticità e risultare evocativi di ciò che
Dio ha fatto per la salvezza del suo popolo. In una parola, siamo tutti
chiamati a non sciupare il grande dono della riforma liturgica che Dio ha
posto nelle nostre mani. Ancora una volta, sarà la liturgia che, mentre
rinnova il culto e la vita delle nostre comunità, farà sentire che il
Risorto non ci ha abbandonati in balia delle vicende umane, chiusi
nell’orizzonte delle realtà terrene. Egli, il nostro Salvatore e il
Vivente, in ogni celebrazione ripete alla Chiesa e all’umanità: «Resurrexi et adhuc tecum sum: sono
risorto e sono sempre con te» (cfr SaI 139,18).
«Sono io la vostra remissione, io la
Pasqua della salvezza, io l’Agnello immolato per voi, io il vostro
riscatto, io la vostra vita, io la vostra luce, io la vostra salvezza, io
la vostra risurrezione, io il vostro re. Io vi conduco alla sommità dei
cieli. Io vi mostrerò l’eterno Padre. Io vi risusciterò con la mia destra»
(16).
NOTE
(1) Enchiridion Vaticanurn, I,
Bologna 1981, [127] -[129].
(2)
GIOVANNI PAOLO LI, Lett. Dominicae
Cenae (24 febbraio 1980), 13: AAS 72 (1980) 146.
(3) “GIOVANNI PAOLO Il, Lett. Apost. Vicesimusquintus
annus,
(4) “Cfr S. MARSILI, La teologia della liturgia nel Vaticano
Il, in AA. Vv., Anamnesis, I,
La liturgia momento
della storia della
salvezza, Torino 1974,91-92.
(5) Cfr SC 104; P. VISENTIN, La celebrazione del mistero pasquale
nella memoria della Vergine e dei
Santi,
in ID., Culmen etfons, I.
Padova 1987,339-357.
(6) Messale
Romano, II ed. italiana, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano
1983, 1047.
(7) Cfr SC 7; GIOVANNI PAOLO II, Lett. Apost. Vicesimus
quintus annus, 7.
(8) Cfr GIOVANNI PAOLO
Il, Lett. Apost. Vicesimus quintus annus, 9.
(9)
Cfr SC 26; Principi e norme
per la Liturgia delle Ore, 20.
(10) Cfr A.PISTOIA, Liturgia: azione della Chiesa, in AA.Vv.,La preghiera della Chiesa, Bologna 1974,57-76.
(11) “ Principi e norme per l’uso del Messale Romano, 1. Ch SC 41.
(12)
S. ROSSO, Un popolo di
sacerdoti. Saggio di liturgia fondamentale, Roma 1999,367-368.
(13) GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Ecclesia de Eucharistia 1.
(14) Cfr PIO XII, Lettera enciclica
Mediator Dei, in AAS 39 (1947) 568-572; PAOLO VI, Lettera enciclica
MysteriumJìdei, in AAS 57
(1965) 769-772; S. CONGREGAZIONE DEI R1T I, Istruzione Eucharisticunz
mysteriuni, im. 4 9-50, in AAS 59 (1967)
566-567; RITUALE ROMANUM, De sacra
communione et de
cultu mysterii
eucharistici extra Missam. Editio Typica, Typis
Polyglottis Vaticanis 1973,5.
(15) Cfr GIOVANNI PAOLO Il, Lett. Apost. Vicesimus
quintus anntis, 12.
(16) MELITONE, Sulla Pasqua, 103: 1 più
antichi testi pasquali della Chiesa, a cura di R. CANTALAMESSA,
Roma 1972, 50-51.
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