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Il Paese ed il Presepe: Luoghi dell’animaMomenti di
relazione tra Civiltà Cristiana e Cultura Locale (Pasquale Saviano)
& 1-Antropologia dell’Arte Presepiale & 2-Il Presepio nella Storia della Fede & 3-Presepio e Religiosità nel Comune di
Frattamaggiore ------------------------------------------------------------------------------------------------------------ Per una storia del Presepe (Franco
Pezzella) & 1-Aspetti del Presepe Italiano tra
Duecento e Ottocento & 2-Il primo Presepe Vivente |
IL PRESEPIO ED IL PAESE: LUOGHI DELL'ANIMA [Pasquale Saviano] Momenti di relazione tra Civiltà Cristiana e Cultura
Locale 1. Antropologia
dell’arte presepiale Presepe dei Borboni – Reggia
di Caserta Tra gli amici che si ritrovano a parlare del presepio è comune
l'esperienza della leggenda d'origine che lega il proprio
ricordo infantile con il periodo
natalizio. Si tratta della memoria di gesti comunitari antichi evocata dalla
costruzione del manufatto presepiale
insieme con le situazioni di vita e i sentimenti della festa più amata
dai bambini e dagli anziani. In questa memoria ci si sente particolarmente
coinvolti a causa delle notevoli trasformazioni economiche ed ambientali
ingeneratesi con la modernità, ed il
richiamo della tradizione risponde psicologicamente ad una esigenza di
riflessione sulla propria identità culturale e personale. Il presepio veniva
semplicemente realizzato per celebrare l'avvenimento religioso della Nascita
di Gesù, e la sua costruzione riusciva a motivare l'impegno e a stimolare la
creatività fino a procurare la profonda emozione della coscienza di
partecipare a momenti importantissimi per la propria e l'altrui vita. Quella emozione non è
un dato relegabile solo alla memoria;
essa è sempre esperibile, anche nell'oggi, perchè è una espressione
precipua dell'animo umano, e riappare quando questo si ritrova a riflettere
sui valori essenziali della vita e sui contenuti dei propri convincimenti. E' una emozione,
talvolta di carattere estetico e religioso, che diviene un moto operativo,
artistico ed educativo, quando i valori e i convincimenti cerca di
rappresentarli oggettivamente e costruttivamente attraverso un linguaggio ed
un opera simbolici e significativi. Tale è l'emozione che
la costruzione del presepio suscitava un tempo, offrendo materia alla
riflessione e alla rappresentazione dei valori e dei legami familiari e
comunitari; e che risuscita rioffrendosi con spunti costruttivi e
rappresentativi dei valori nei discorsi e nei legami dell'oggi. Il presepio
si ripropone come luogo di dialogo tra le generazioni, espressione simbolica
e rappresentazione di una riflessione, di una fede e di un discorso che è
sempre pedagogico anche nelle sue manifestazioni più evidentemente artistiche
o religiose. Molti così ricordano
il presepio della propria fanciullezza: una costruzione a cui partecipare con
la guida del padre; e dato che spesso
impegnava le diverse famiglie di un
luogo o di una comunità ecclesiale, come una costruzione cui
partecipare con la guida di una persona esperta. Personalmente ricordo anche
la guida della signora Concetta Costanzo, una madre spirituale che con il
concorso di tutti preparava il presepio palatino. Poi nell'adolescenza
imparai a costruire da solo un presepio con i materiali recuperati dalla
legnaia del quartiere, la carcara, con le scorze dei tronchi abbattuti in
campagna, con la carta dipinta di marrone, con la colla di farina, e con i pastori
di gesso acquistati dall'ambulante con il carrettino. Non va dimenticata
poi la motivazione principale della costruzione del presepio che rimanda ad
una riflessione di carattere teologico e devozionale. Indubbiamente, se la
fede cristiana è segno continuo della memoria del Dio fatto uomo e della sua
Presenza nella vita quotidiana dell'umanità, il presepio costruito per
ricordare ed attualizzare l'esperienza interiore del Natale di Gesù Cristo era ed è un elemento
amato e concreto della fede cristiana, una
sua manifestazione schietta e semplice, capace di evidenziare con immediatezza il messaggio
evangelico dell' Incarnazione del Figlio di Dio, nella naturalezza
dell'antico mondo agro-pastorale, comprensibile anche ai più piccoli. Oggi, grazie alla
testimonianza e alla operatività offerta dalle molte persone che in molti
luoghi e paesi hanno istituito
apposite Associazioni per valorizzare i significati artistici e culturali del
presepio, la leggenda d'origine
cui si è accennato all'inizio può essere rivissuta ed esperita con
sistematicità ed offrirsi in tutte le sue valenze morali ed educative in
maniera efficace e concreta. Molti
costruttori di presepi sono i fanciulli di un tempo che sono divenuti padri
nella moderna transizione sociale e culturale, e sono portatori dell'esigenza
di un recupero conoscitivo dei valori schietti della tradizione e delle
dimensioni comunitarie ed ambientali che li generavano e li sostenevano. Di
fatti in molti presepi da essi costruiti è coscientemente presente
l'ambientazione antica del paese, ricostruita e ripresentata per
contribuire a sottrarla all'oblio e al degrado. Sicuramente nelle espressioni più sentite e razionalizzate dei loro manufatti è avvertita una immagine della città,
una analisi critica dell'esistente ed un nuovo virtualmente
presente. La loro azione associativa, le loro iniziative e le loro opere
hanno raggiunto livelli di ottima operatività e di stimolante formalizzazione
del discorso artistico, tali da imporre una riflessione anche in ambiti più
vasti della vita cittadina strettamente intesa: una riflessione che colga le
ulteriori potenzialità e capacità di
promuovere e di partecipare ad un più ampio discorso di recupero e di
valorizzazione dei beni storici culturali ed ambientali da legare concretamente
ai processi della conoscenza della storia del paese e dell'educazione delle
giovani generazioni. 2. Il presepio nella storia della fede Natività, XIV sec., Subiaco
I tratti più antichi
della storia del presepio sono rinvenibili già nei primi secoli del
cristianesimo , in quei tipi di
testimonianze letterarie, archeologiche, toponomastiche ed artistiche
che saranno sempre evidenziabili pure nei momenti storici successivi. Una testimonianza letteraria è quella di San Girolamo, il
quale nel 404 scrisse alla discepola Eustochio che l'altra discepola Paola,
visitando la Terra Santa ed entrando in Betlemme, sostò allo Speculum
Salvatoris ove notò lo stabulum, una mangiatoia scavata nella
roccia, ove Gesù era nato (Girolamo,Ep.108,10; PL 22,384). Si trattava
evidentemente del luogo riferito anche dall'evangelista Luca (Lc 2,7). Alcune testimonianze
archeologiche, sempre dei primi secoli del cristianesimo, rimandano al
prototipo del presepio, ad una scena della Natività presentata e ricostruita
con la presenza del bue e dell'asino, secondo il significato attribuito alla
relazione divina riportata con le parole del profeta Isaia : "Dice il
Signore: Cielo e terra, fate attenzione a quel che sto per dirvi! Ho cresciuto
dei figli, ma essi si sono ribellati contro di me. Ogni bue riconosce il suo
padrone e ogni asino chi gli dà da mangiare: Israele, mio popolo non
comprende, non mi conosce come suo Signore." (Is 1,2-3). Si tratta della scena presepiale classica che è riferita anche
nel testo dello pseudo-Vangelo di
Matteo (cap.14): il Bambino Gesù è presentato tra il bue e l'asinello, e così
è ritratto in affreschi catacombali rilevati il secolo scorso , ma poi andati
didistrutti (Cfr.G.B.De Rossi in
Bull.d'Arch.Crist. 1877). Sant'Ambrogio pure lasciò una testimonianza circa
l'antica iconografia prersepiale che ritraeva il Bambino "in medio
duarum animalium" (Ambrogio, In Lucam, PL 15,2649).. I
primi affreschi ad catacumbas
tra l'altro esponevano anche alcuni dettagli interessanti della scena
della Natività entrati a far parte dell'immaginario collettivo: il Bambino
era posto in una cesta di vimini sotto una tettoia, dietro di lui erano il
bue e l'asino adoranti, mentre ad un lato era la Madonna e dall'altro un pastore.
Un'altra scena classica (Madonna,Bambino e San Giuseppe) era effigiata su una
stoffa antichissima rinvenuta nel 1907 nel Sancta Sanctorum di Roma.
Al quarto secolo risalgono ancora
alcuni sarcofagi marmorei che portano in rilievo la scena della Natività,;
tra i più antichi di questi sarcofagi sono quello di Mantova e quello di
Sant'Ambrogio di Milano. Va ricordato che una
delle sette Basiliche di Roma, Santa Maria Maggiore, fin dal VI secolo fu
denominata Sancta Maria ad Praesepem, o ad Praesepe, che in
effetti era un oratorio che riproduceva
la grotta di Betlemme. Lo stesso luogo veniva denominato anche Oratorium
Sanctae Mariae ed in esso veniva venerata anche una reliquia della culla
del Bambino. La tradizione
popolare cattolica è solita fare riferimento alla notte di Natale del 1223,
per indicare la data d'origine della diffusione della pratica del presepe. In
effetti in quella notte San Francesco d'Assisi, nel monastero reatino di
Greccio, volle rappresentare in modo vivo e sentito il mistero del Natale,
recuperando uno spirito di religiosità antica che già si esprimeva da parte
delle plebi contadine del medioevo a contatto con la pietà e la cultura dei
monasteri benedettini. E di lì a poco, come per molte delle attività iniziate
dal Padre Serafico, si ebbe quasi subito l'acquisizione popolare
dell'ìiniziativa e la sua celebrazione nelle opere pittoriche o scultoree
degli artisti più famosi. L'arte dal
'300 in poi annovera nella
raffigurazione del presepio e della Natività autori ed opere insuperabili e
famose: gli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni di Padova e
nella Basilica inferiore di San Francesco in Assisi, gli affreschi benedettini del Magister
Conxolus al Sacro Speco di Subiaco, l'Adorazione dei Magi del Botticelli agli
Uffizi di Firenze, la Pala Strozzi di Gentile da Fabriano ancora agli Uffizi.
Autori e luoghi d'Italia interessati alla Natività, alle sue rappresentazioni
o all'arte presepiale, si citano ancora a
profusione per il Medioevo, per il Rinascimento ed oltre : Duccio di
Buoninsegna, Simone Martini, Giovanni Pisano, Lorenzo Maitani, Lorenzetti,
Monaco, Beato Angelico, Donatello, Raffaello, Correggio, Tiepolo... Iacopo
della Quercia per il rilievo del portale di San Petronio a Bologna, le
terracotte di Luca Della Robbia, l'altorilievo di Antonio Rossellino nella
Cappella Piccolomini nella Chiesa di Monteoliveto di Napoli, Benozzo Gozzoli
nella Cappella dei Medici di Firenze. Altre rappresentazioni notevoli si
rilevano nella Cattedrale di Gubbio, in Santa Chiara ad Assisi, nel Duomo di
Volterra, nella Cattedrale di Teramo e in San Giovanni a Carbonara di Napoli. Il riferimento a
quest'ultimo luogo riveste particolare importanza nella determinazione di una
Storia del presepe per le inedite connotazioni ivi verificatesi , alla fine del XV
secolo, nell'universo simbolico ed artistico della costruzione del presepe.
Lo sviluppo dell'arte del presepe in Campania ed in Toscana partì proprio
dalle tecniche della scultura in legno e terracotta che si utilizzarono per
costruire il presepe del 1484 nella
Chiesa di San Giovanni a Carbonara di Napoli . L'arte presepiale si arricchì di riferimenti svariati e di una
letteratura specifica, collegata agli avvenimenti e ai personaggi storici, ed
espressione delle epoche e delle evoluzioni del gusto. In particolare il presepe
napoletano ebbe modo di porsi come singolare espressione del gusto
barocco e di animare episodi leggendari e pittoreschi. L'eccezionale sviluppo
di questo presepe si commisurò con una diffusione ampiamente popolare e con
una sua vasta acquisizione da parte dell'aristocrazia italiana ed europea..
Ad esso si collegò la nascita di un artigianato specializzato nel XVIII
secolo che rappresenta ancora uno dei tratti caratteristici della cultura
napoletana e ne determina una giusta fama nel mondo. L'antico quartiere di San
Gregorio armeno, che all'arte del
presepe napoletano ha offerto una sede privilegiata, è meta oggi di un
turismo culturale internazionale che celebra affascinato la bellezza e la
semplicità del Natale. Quell'artigianato settecentesco si arricchì di un
diffuso lavoro di bottega che trattò con maestria materiali svariati adatti
alle scenografie e ai personaggi presepiali: legno, sughero, cartapesta,
tela, vetro, minuscola gioeielleria, stoffe, gessi e terracotta. Per la
costruzione dei pastori si utilizzarono tra l'altro il legno per le
mani e i piedi, il vetro per gli occhi, il filo di ferro per imbastire i
corpi rivestiti di stoffe e di abiti
in miniatura. Il presepe napoletano assunse così caratteri e funzioni
teatrali, di rappresentazione cosciente della vita comunitaria e dell'utopia organizzativa della società,
e contribuì a caratterizzare la scultura
napoletana religiosa del '700 che la critica d'arte celebra in opere
notevolissime di autori bravi e famosi. Per avere una ulteriore riprova dell'importanza storica e
culturale del presepe napoletano, e della sua riproposizione in migliaia e migliaia di modelli artigianali,
basti ricordare che all'origine del suo quasi mitico sviluppo si incontrano personaggi
come il re Carlo III di Borbone, appassionatissimo egli stesso dell'arte
presepiale, ed il domenicano padre
Rocco, autore di celebrati presepi ed ispiratore dell'utilizzo devozionale
delle vie della città con l'illuminazione delle edicole votive napoletane.
Una visita alla Reggia di Caserta
consentirà la conoscenza diretta del presepe borbonico, cui è dedicata
una apposita sala, ed uno sguardo su Napoli dall'alto della Certosa di San
Martino darà all'osservatore la sensazione della digradante struttura urbana
, del dedalo dei vicoli e delle attività, che dai tempi di padre Rocco la
gente ha sempre assimilato ad un presepe. Oggi come nel '700 i migliori presepi napoletani fanno parte
di collezioni private e si dislocano in luoghi ed iniziative importanti. Cito
a mo' di conclusione la chiesa di San Cosma e Damiano al centro della Roma
archeologica, la basilica di San Marco a Venezia, la chiesa di Capodimonte a
Napoli; le raccolte museali dell'Abbazia di Montevergine, di Villa d'Este a
Tivoli, di Berlino e di Monaco. Le tematiche artigianali ed artistiche contemporanee connesse
alla costruzione e alla rappresentazione del presepe trovano oggi modalità variegate di
espressione, che vanno dalla rappresentazione tradizionale alla ricerca
produttiva e alla manifestazione d'avanguardia. Il presepe costruito con i
figli, come quello elaborato nella creatività tecnica personale, e come
quello 'vivente' realizzato teatralmente o ecclesialmente come memoria
vissuta, sono sempre comunque delle iniziative dense di valori e di
significati umani, personali, sociali, religiosi. Per la verifica di questi
ultimi sensi è possibile rilevare e segnalare iniziative territorialmente
vicine come le mostre presepiali di San Martino Valle Caudina ed il Presepe
Vivente realizzato in Sant'Antonio di Teano che ha avuto accoglienze ed
estensioni nell'area francescana umbra e a Spoleto. Un riferimento
interessante e nuovo è la motivazione
operativa ed associativa, come quella che anima l'attività di coloro che in
Frattamaggiore formalizzano la comune
passione per il presepe, la quale assume caratteri coinvolgenti ed ambiti in
cui la partecipazione degli artisti e le singole opere si presentano come le
dinamiche e momenti di un discorso che fa solo un gran bene alla vita sociale
e culturale locale, ed opera per stimolare la riflessione interiore e la
sensibilità e lo stupore difronte al Natale e di fronte al mistero della Vita
nascente. 3. Presepio e Religiosità nel
Comune di Frattamaggiore S.Alfonso,
XIX sec.,Larino
Al punto
precedente ho anticipato alcune tematiche, lo sviluppo delle quali consente
di rilevare una certa connessione tra la storia del presepe, intesa come
espressione particolare della civiltà cristiana, e la storia locale del nostro paese che è portatrice di segni
particolari di questa civiltà. Il '700
napoletano, dal punto di vista della storia religiosa, è fortemente
caratterizzato dalla esperienza di
Sant'Alfonso Maria de' Liguori (1696-1787), fondatore dela Congregazione dei
Padri Redentoristi e Vescovo di Sant'Agata de' Goti. Egli proveniente dallo
studio del Diritto e dalla pratica forense, scelse in età adulta di seguire
la vocazione religiosa, divenendo moralista insigne e figura eccelsa della
Ascetica e della Teologia Morale cattolica. Per i meriti della sua santità e
della sua sapienza nel 1871, a meno di un secolo della sua morte, gli fu
riconosciuto dal Collegio episcopale e dal papa Pio IX il titolo di Dottore
della Chiesa. Sant'Alfonso è una figura amatissima dalla devozione popolare
che lo commemora con una iconografia che lo ritrae orante dinanzi al
crocifisso nelle vesti del vecchio vescovo che porta sulle spalle il peso
della sofferenza e sul volto la
serenità della fede e della speranza.. Egli nella sua opera e nel suo
discorso seppe coniugare l'altezza intellettuale con la semplicità popolare
ed il dialogo aristocratico con la burbera correzione dei carrettieri. Famosissime sono le espressioni musicali e canore della sua
devozione per il Natale di Gesù: in tutto il mondo sono conosciuti il motivo
e le parole di "Tu scendi dalle stelle", una delle sue Canzoncine
spirituali. In questo senso un tratto fortemente vissuto della tradizione
popolare nell'area napoletana risulta essere
proprio quello della devozione natalizia mutuata dalla religiosità di
Sant'Alfonso. In Frattamaggiore questo tratto ha ricevuto una particolare
sottolineatura dalla esperienza religiosa dei Prelati di casa Lupoli, vissuta
a stretto contatto con l’esperienza alfonsiana. Casa Lupoli ha dato i natali
a Vincenzo Lupoli (1737-1800) dal 1791 vescovo di Telese e Cerreto Questi
ebbe gli stessi interessi morali e teologici del Santo e come lui proveniva
dagli studi del Diritto. Padre Sossio Lupoli (1744-1831) fu Redentorista
della prima ora ed amico intimo di Sant’Alfonso; egli diresse il Collegio di
Veroli e fu Consultore Generale della
Congregazione del Redentore. A lui si deve molta parte dell’opera che
avvicinò alla spiritualità alfonsiana anche il nipote Raffaele Lupoli
(1767-1827), il quale una volta entrato a far parte della Congregazione dei
Padri Redentoristi, per volontà del Papa dispensato dalle Regole dell'Ordine
come il Santo, divenne Vescovo di Larino nel 1818. Tra la fine del '700 e
l’inizio dell’800 la spiritualità alfonsiana ebbe così un importante e
diretto riverbero sulla scena storica e religiosa frattese. Non è difficile immaginare i risvolti popolari di quella scena quando, con quei presupposti, essa si illuminava delle auree
del Natale. L'intero paese era attraversato da un forte afflato religioso;
gli angoli reconditi delle vie cittadine erano tutti segnati ed illuminati
dall'iconografia popolare delle edicole votive, tantissime delle quali
sviluppanti temi mariani e natalizi. Frattamaggiore è forse il paese del
napoletano più ricco di quegli antichi angoli devozionali il cui decoro ed il
cui mantenimento coinvolgeva la gente
dei quartieri in una gara di religiosità che si esprimeva con la devozione alle immagini sacre
dipinte nelle nicchie murarie ma anche con la installazione di tabernacoli,
sicuri eufemismi presepiali, animati da personaggi della storia sacra
effigiati in legno, gesso e cartapesta. Ogni frattese può ancora oggi
verificare nei siti più antichi del paese una certa presenza di quelle
manifestazioni. Nella esperienza religiosa popolare frattese, tra '700 e '800,
così ricca di motivi ufficiali e così dedita alla rappresentazione materiale
dei contenuti della fede, non mancarono ulteriori riferimenti celebrativi e
giustificatori. All'inizio
del '800 la realtà locale si
caratterizzò con una serie di avvenimenti e con una iniziativa che
assunse un carattere istituzionale e si dispose ad essere un riferimento
singolare nell'orizzonte religioso paesano. Gli avvenimenti riguardarano l'elevazione all'episcopato e
l'attività dei due fratelli di casa Lupoli, Michele Arcangelo e Raffaele,
nipoti di quel Vincenzo già Vescovo di Cerreto e Telese. L'iniziativa
riguardò la fondazione del Conservatorio di Santa Maria del Buon Consiglio,
un educandato detto poi Ritiro per le donzelle povere, il quale ebbe
come sede il casamento sito al Viale 'Spada dei Monacelli' donato da
Francesco Capasso nel 1784.Fu possibile allora istituire quell'educandato per
interessamento dei due fratelli Prelati di casa Lupoli, Michele Arcangelo
(1765-1834) arcivescovo di Consa e Salerno e Raffaele vescovo di Larino, i
quali costruirono l'annessa chiesa del Buon Consiglio e affidarono la guida
religiosa ad un ordine di suore operanti
con la Regola di Sant'Alfonso. Va ricordato che anche Raffaele Lupoli prima
di essere eletto vescovo di Larino era stato un grande redentorista formatosi
alla scuola di Sant'Alfonso e dello zio Sossio Lupoli, e come quest’ultimo fu Consultore Generale del suo
Ordine fino alla nomina episcopale . Con l'istituzione del Ritiro Frattamaggiore divenne
formalmente un luogo privilegiato della religiosità alfonsiana, ed in quella
religiosità sicuramente trovarono luogo le espressioni della devozione del Natale, il presepe e,
come molti nonni ricordavano, i cori
intonati delle Canzoncine spirituali al suono della spinetta o
del pianoforte. Altri avvenimenti di carattere religioso e storicamente
importanti per la comunità paesana si verificarono in quello scorcio di tempo
e contribuirono ancor più a caratterizzarlo come un momento fondamentale ed
unico per l'identità culturale frattese. In esso si gettarono i semi di un
universo tematico nuovo per la vita religiosa e civile della nostra cittadina
che oggi , alle soglie del terzo millennio e nell'epoca della moderna
comunicazione , prende sicuramente consistenza e assume significati
importanti, Nel 1807 un'altra iniziativa dell’ arcivescovo Michele
Arcangelo Lupoli arricchì il quadro
della religiosità paesana: la Traslazione dei Corpi di San Sosio e di San
Severino dal soppresso Monastero Benedettino napoletano alla Chiesa di San Sosio di
Frattamaggiore. Onorato dai Francesi , che regnavano a Napoli, e per le sue
grandi credenziali religiose e culturali l'arcivescovo riuscì a sottrarre le
sacre reliquie alla spoliazione del
monastero e a riportare nella comunità frattese la memoria fisica dell'antico
patrono martire di Miseno. In quell'avvenimento si pongono le giustificazioni
del titolo di Città Benedettina che nel 1995
l' Ordine di San Benedetto ha riconosciuto per Frattamaggiore e si
pongono le giustificazione di una nuova prospettiva di vita ecclesiale e
morale per la comunità locale. Quest'ultima infatti si ritrova ad essere oggi
custode attenta e primaria di una memoria che ci riporta con il martire San
Sosio al paleocristianesimo in Campania
e con San Severino all'evangelizzazione europea operata nello spirito
monastico medievale: due direzioni significative nella storia della civiltà
cristiana che fanno di Frattamaggiore una sede particolare di relazioni internazionali che coinvolgono l'Austria,
di cui San Severino è patrono, e di relazioni spirituali sviluppate nello
spirito di San Benedetto, Patriarca del Monachesimo occidentale. Non è acccertata per il passato la cosciente influenza di questa
tematica sulla pratica paesana della costruzione del presepe, ma sicuramente essa avrà nel futuro un riverbero
importante, recuperando il significato originario delle rappresentazioni
presepiali che si affermarono nel medioevo, favorite nell'ambito monastico
benedettino come espressione visibile del Mistero della Nascita del
Salvatore, come episodio coerente di quella Bibbia dei Poveri , di
quella storia sacra che veniva dai monaci e dagli artisti predisposta e dalle plebi incolte
letta e contemplata nelle immagini, negli affreschi e nelle sculture delle
Chiese e dei Monasteri, e soprattutto in quelle opere che come il presepe
suscitavano una immediata comprensione popolare, A questa immediata
comprensione popolare in fondo aveva fatto riferimento lo stesso San
Francesco d'Assisi allestendo il presepe vivente di Greccio la notte di
Natale del 1223, e riconducendo nell'ambito della semplicità francescana la
rappresentazione principale della benedettina Bibbia dei Poveri. Depositaria
della importante tematica monastica Frattamaggiore non potrà non svilupparne
questi ulteriori spunti attraverso l'opera dei suoi artisti e suoi costruttori di presepi. D'altro canto non è mancato un certo riferimento francescano
nella cultura religiosa frattese, nell'immaginario collettivo della gente
antica che ricorda l'importanza rivestita dalla comunità monastica
alcantarina del convento di Santa Caterina e di San Pasquale della vicino
Grumo Nevano, e ricorda quel luogo come una importante meta religiosa nella
locale esperienza spirituale e
natalizia . A quella comunità si era rivolto nel 1820 , giovane postulante,
il nostro Beato Modestino di Gesù e
Maria per incamminarsi nei sentieri della
vita e della santità francescana. Ebbene la leggenda popolare frattese
potrebbe fornire tanti episodi
connessi al Beato sulla scia dei Fioretti, ricordare la collocazione
della sua immagine sugli altarini familiari costruiti a mo' di presepi sui
mobili alti delle camere antiche; potrebbe raccontare, come in effetti si è
fatto da parte di qualcuno, le sue apparizioni per aiutare gli anziani ad illuminare le edicole votive agli angoli dei vicoli bui. Anche con la
riproposizione di questa tematica non mancherebbero spunti utili a
caratterizzare la ricerca storico-religiosa e la rappresentazione materiale
nell'arte presepiale. Sicuramente anche questa tematica appartiene
profondamente all'humus storico-culturale del paese, è connessa
intimamente alle fondamentali linee della civiltà cristiana che fortemente ha
caratterizzato la vita religiosa frattese. L'esperienza del beato
Modestino non è isolata dal contesto locale, la sua
devozione animatrice della sua grande vocazione religiosa fu orientata alla
Madre del Buon Consiglio, allo stesso titolo della Madonna che all'inizio
dell'800, a partire dalla religiosità alfonsiana e dalle iniziative dei
vescovi di casa Lupoli , venne così fortemente onorato nella Fratta del
tempo, nella chiesa del Ritiro e nella iconografia presente nella Chiesa di
San Sosio, di Sant'Antonio, e nelle edicole votive dei palazzi e dei vicoli.
E in tanta religiosità, come si è visto,grande era la dimensione della
devozione del Natale. E’ evidente, quindi,
che le piste della ricerca storica ufficiale conducono alla rilevazione di un
interessante e sicuro legame esistente tra la città di Frattamaggiore,
considerata nella dimensione della sua storia ecclesiastica, e la devozione
natalizia che si è sviluppata secondo lo spirito alfonsiano e con le modalità
culturali proprie della tradizione del presepe napoletano. Ulteriori elementi caratteristici circa questa tradizione
potrebbero ancora essere individuati sulle piste della ricerca di
antropologia culturale che è possibile percorrere nella storia popolare del
nostro paese. Ritengo, infatti, che anche nel tipo di storia che si basa
sulla tradizione trasmessa, senza documentazione scritta e senza dotte
pretese, attraverso modelli di comportamento, di valore e di linguaggio
popolari, siano presenti importanti riferimenti utili per il discorso svolto
sul Natale e sul Presepe frattese. Un primo riferimento lo si può individuare nei contenuti degli
antichi paesaggi strutturati sulle piattaforme dei presepi realizzati nelle
chiese e nelle case frattesi. Quegli antichi paesaggi costruiti
nell’affabulazione dei costruttori, grandi e piccoli insieme, si animavano di
personaggi e si arricchivano di angoli, di aditi, di poteche, di bettole e di
spazi urbani che talora eufemisticamente richiamavano persone, negozi,
attività e siti del paese antico: la Taverna della Crucivia, la Cantina
di Cirella, la Trattoria della Ricciulella a Chiazza Pertuso, la Taverna
dell’Agnolo, Franceschina ‘a potecara, Ciccio Paccone che
manteneva con le spalle i mobili sconnessi, ‘o Lattaro, Martelluccio
d’oro…Oggi molti di quei luoghi non esistono più oppure sono recuperati
con nuove funzioni nella moderna struttura urbana, o ancora sono rammemoranti
dai padri che inseguono il sogno di un presepe, oggetto di rappresentazione
del ricordo infantile oppure proposta di racconto da narrare nell’umana
comunicazione e nel dialogo formativo con i figli di questa epoca. Questo riferimento non può essere considerato come uno
specifico esclusivamente frattese, in quanto il richiamo alle ambientazioni
personali e locali è un patrimonio diffuso che qualifica la cultura
presepiale napoletana in generale, quella di San Gregorio Armeno in
particolare, i cui fattori e artigiani da sempre amano rappresentare i
personaggi e gli eventi correnti che riescono a trovar luogo nell’immaginario
collettivo (Totò, Eduardo, Di Pietro, Diana, Madre Teresa, Massimo Troisi…)
accanto gli stereotipi natalizi e ai simboli fissati dalla tradizione
popolare: cieli stellati, vie, terre, costoni, siepi, fiumi, sorgenti, vicoli
urbani che contornano la Capanna della Natività e che si animano di Magi,
pastori, bettolai, carrettieri, di avventori
antichi e e di personaggi estemporanei come Benito ed il Cacciatore.
A questo proposito la lettura di brani di Bernari e di De Crescenzo circa i
momenti caratteristici della tradizione presepiale può risultare una amena ed
interessante riscoperta di situazioni, spiegazioni e vicende vicino alle
esperienze di tutti. Il presepe antico era quindi, intorno al centrale luogo della Natività, rappresentazione della vita del
paese affidata all’ingegno del costruttore e alla fantasia sviluppantesi
attraverso le concrezioni che liberamente prendevano luogo con l’incollo e
con l’inchiodo delle carte, delle tavolette, dei sugheri e del muschio. Un presepe siffatto
della tradizione popolare poteva essere pure considerato un riflesso concreto
di una esperienza piena di risvolti soggettivi, spiritualistici, e ricca
delle profondità di una sentita religiosità interiore. Questa possibilità non è stata sconosciuta alla tradizione
natalizia popolare frattese, che per secoli, fino alla moderna transizione
degli anni ’60, si è fregiata di tratti singolarissimi, sia artistici che
umani, profondamente legati all’esperienza della locale comunità delle
canapine: le pettinatrici di canapa che affidavano al canto popolare la
rappresentazione delle proprie esperienze di vita, di lavoro , di sentimento
e di religiosità. I canti di lavoro delle pettinatrici di canapa ed il loro
significato di grande patrimonio storico-culturale del paese hanno
recentemente ricevuto una positiva celebrazione attraverso una iniziativa
congiunta del Progetto Donne e della Rassegna Storica dei Comuni, patrocinata
dal Comune di Frattamaggiore, che hanno curato la pubblicazione di una
raccolta tematica. Ebbene tra questi canti emerge con chiarezza l’importanza di
quelli a tema religioso e predisposti secondo il ritmo dell’anno liturgico, e
quindi emerge anche l’importanza dei canti riferiti al Natale. La vita sociale, la vita interiore e le personali riflessioni
venivano riverberate in tutti i tipi di canti delle canapine, compresi quelli
natalizi. Il Natale veniva vissuto come un atteso evento comunitario
giustificatore di comportamenti sociali, stimolatore della meditazione
personale e generatore di un genuino sentimento religioso vissuto al
femminile. Apprezziamo questo corto canto che è un vero presepe
spirituale:
Bambino mio divino
vieni a nascere
rint’ ‘u core mio;
vieni a nascere vagliardo ‘i
affetto
biata a te sposa diletta!
Alcune cose indimenticabili sul clima natalizio frattese e delle
canapine furono scritte anche dal compianto sacerdote don Pasqualino
Costanzo. Il presepe in definitiva, pur connotato dei caratteri
dell’universalità sia laica che religiosa, recupera il proprio significato
più profondo nell’antropologia cristiana, nella visione della vita che fa
riferimento alla Incarnazione del Verbo di Dio, nella Presenza di Dio in
mezzo agli uomini. Indubbiamente in questa visione antropologica che è
espressione precipua della fede cristiana si riscontra una dimensione
ecclesiale, o ecclesiastica se si vuole. Ebbene nell’ultimo decennio questa
dimensione ha trovato in Frattamaggiore manifestazioni notevolissime lungo il
percorso che ha portato al Grande Giubileo del 2000: la beatificazione del
francescano frattese Modestino di Gesù e Maria (1994), e l’intitolazione di
Frattamaggiore Città Benedettina (1995). Questi due eventi assumono ulteriori
significati nell’epoca in cui lo stesso Tempio principale della città, la
Chiesa di San Sossio, compie il suo millennio di storia e si configura come
importante santuario della Cristianità Europea, grazie alla custodia delle
spoglie del Martire di Miseno e del Patriarca evangelizzatore dell’Austria e
dei popoli del Danubio. La ricchezza della tematica religiosa ed antropologica
derivante da questo patrimonio è come si vede importantissima e si associa
con quella di altre devozioni antiche: ad esempio il culto della Martire Giuliana, compatrona della città, ed il
diffuso reliquario di Santi presenti
anche nella altre chiese del paese (Secondiano, Paolino martire…). A
rappresentare questo patrimonio è tesa l’iniziativa del Museo Sansossiano
impiantato nella Cripta medievale della Chiesa Madre, sono tese le
diversificate attività di valorizzazione dell’iconografia storica del Patrono
, di rilievo artistico e devozionale delle edicole votive, e sicuramente è
tesa l’opera dell’ arte presepiale
che ha fatto di Frattamaggiore un luogo rinomato ed esemplare.
|
Per una Storia del Presepe (Franco
Pezzella)
1- Aspetti del Presepe italiano tra Duecento e Ottocento
Natività, Giotto, Assisi
La più antica rappresentazione plastica della Natività di Cristo
realizzata con figure a tutto tondo sullo sfondo di un paesaggio in
rilievo, il cosiddetto Presepe, è
documentata sin dalla fine del Duecento (1291 ca.), dalle superstiti statue
marmoree scolpite da Arnolfo di Cambio (Col Val d'Elsa, 1245 ca. Firenze, 1302)
per "l'Oratorium praesepis" in S. Maria Maggiore a Roma (1):
quantunque documenti precedenti in cui si accenna a luoghi di culto
specificamente dedicati al Presepio, come ad esempio la chiesa di S. Maria
"ad praesepe" a Napoli (citata in una carta del 1021), già lascino
ipotizzare l'esistenza di questi particolari manufatti artistici (2).
La pia consuetudine di rappresentare con
figure a grandezza naturale ora di legno, ora di marmo o terracotta, la nascita
del Bambino Gesù –
raffigurazione che si può considerare
a tutti gli effetti una filiazione
delle sacre rappresentazioni liturgiche o "misteri" che già si
andavano
svolgendo, fin dai primissimi secoli del
Millennio, nelle piazze e nelle chiese di tutta Europa (3) - si diffonde solamente nel
Quattrocento, specie
in Italia, segnatamente in Emilia, in
Lombardia, nelle Marche e nel Regno
di Napoli (4).
Risalgono, infatti, alla seconda
metà di questo secolo, i primi Presepi fin qui noti: il documentato Presepe di
Niccolò dell'Arca (Bari,
1435/40-Bologna, 1494), il Presepe di Rivolta D'Adda (1480) in
provincia di Cremona, il Presepe
del cosiddetto Maestro dei Magi
nell’Arcivescovato di Fabriano, di cui restono le sole figure di S.Giuseppe e
dei Magi, la Natività dell'ignoto scultore marchigiano conservata nel Museo
della Basilica di S.Nicola a Tolentino, dove la Madonna adagiata su di un
fianco con il mento appoggiato alla mano ricorda le figure femminili dei
sarcofaghi etruschi;ed ancora, in Italia meridionale, l'altro documentato
Presepe realizzato nel 1484 da Pandolfello di Solofra per la Cappella dei
Bajani a Montoro presso Avellino (5), e i Presepi allestiti da Pietro Alamanno
e da suo figlio Giovanni per le chiese napoletane di S.Maria la Nova, di
S.Eligio, dell'Annunziata e di
S.Giovanni a Carbonara;ai quali va aggiunto il Presepe della Chiesa
dell'ospedale di Palma de Maiorca, già a Napoli, sempre di mano degli Alamanno (6) ed il perduto Presepe di
Martino Simone De Jadena, realizzato nel 1458 per la Chiesa di S.Agostino alla
Zecca di Napoli. Della vasta produzione degli Alemanno però, se si escludono le
erratiche figure della Madonna e di S.Giuseppe per la Cappella del Sacramento
nell'Ospedale dell'A.G.P.(7), solo del Presepe di S.Giovanni a Carbonara,
approntato tra il 1478 e il 1484 con quarantuno figure in legno intagliato,
dorato e grandi quasi al naturale, ci restano quattordici rari, incomparabili
pezzi, tra cui anche Sibille e Profeti:una presenza quest'ultima che conferma,
se mai ce ne fosse stato bisogno, gli originali legami tra Presepe e
rappresentazioni sacre (8).Della stessa epoca era forse il Presepe della
Duchessa Costanza, costituito da ben 116 pezzi, che furono rinvenuti, nel 1567,
in due cassapanche nel Castello di Celano, in Abruzzo.Era probabilmente parte
di un Presepe andato perduto anche il Bambino Gesù trafugato alcuni anni fa
dalla chiesa dell'Aracoeli a Roma, che una devota tradizione locale indicava
scolpito alla fine del quattrocento da un frate francescano utilizzando il
legno proveniente da un ulivo dell'orto dei Getsemani.Una fedele riproduzione
di questo Presepe ci è fornita da un incisione di Bartolomeo Pinelli.
Quasi integralmente conservato nel numero delle figure
risulta essere invece il Presepio in terracotta policroma realizzato nella
seconda metà dell'ottavo decennio del XV secolo da Guido Mazzoni (Modena, 1450 ca.-1518) per il Duomo della sua città
natale.
Nel gruppo si avvertono i ricordi delle patetiche
composizioni di Niccolò dell'Arca, anche lui artefice, come già si ricordava,
di un Presepe andato perduto, e tuttavia "il corposo ma frammentario
realismo [del Mazzoni] non raggiunge mai i risultati dell'altissima sintesi
lirica e drammatica" dello scultore di origine pugliese; semmai "il
metallico rigore dei contorni, le precise strutture di volumi, le scelte
accurate dei colori, la bilanciata composizione delle figure" rimandano,
più appropriatamente, agli esiti della coeva scuola pittorica ferrarese (9).
Alla fine del XV secolo appartengono anche la Natività
in terracotta di un anonimo maestro abruzzese e la statua lignea della Madonna
che adora il Bambino di Saturnino de'Gatti (S.Vittorino, Aq, 1463-1518 )
entrambe conservate nel Museo Nazionale dell'Abruzzo a L'Aquila (10). Alle
capaci mani di figuli abruzzesi (secondo alcuni al maestro umbro Paolo
Aquilani), si può altresì attribuire il Presepe, realizzato agli inizi del
Cinquecento (1501-1503), esposto nella vasta cappella di destra della chiesa di
S.Francesco a Leonessa, presso Rieti, a pochi chilometri da Greccio, dove,
com'è noto, nel Natale del 1223, S.Francesco realizzò il primo documentato
Presepe vivente della storia. La composizione di Leonessa, riprodotta su un
francobollo italiano alcuni anni fa, risulta composta da molte sculture, tutte
modellate in terracotta policroma, oltremodo caratterizzate da volumi vigorosi
e da linearismi ancora fortemente goticheggianti, soprattutto nella definizione
delle chiome e dei panneggi (11).
Più tardi, nel 1507, Pietro Belverte, da Bergamo,
realizzò per la chiesa di S.Domenico Maggiore a Napoli, un Presepe composto da
ventotto pezzi, le cui uniche figure superstiti (la Madonna e S.Giuseppe), presentano forti analogie stilistiche con
quelle di S.Giovanni a Carbonara (12).Ma è un allievo di quest'ultimo, Giovanni
Merliano detto Giovanni da Nola (Marigliano, Na, 1488-Napoli, 1558)-l'artista
che avrebbe dato inizio ad una prima vera e propria scuola napoletana-a
realizzare, su commissione del poeta Iacopo Sannazaro, uno dei più bei presepi
del Cinquecento:il Presepe per la Cappella di S.Maria del Parto a Mergellina,
"la quale Natività è del gusto che il Sannazaro l'have in versi depicta
nel divino suo libro "de Partu Virginis", come avrebbe scritto di lì
a poco Pietro Summonte nella sua famosa lettera a Marcantonio Michiel (13).
Del Merliano era altresì il Presepe posto sull'Altare
Maggiore dell’altra chiesa napoletana di S.Giuseppe Maggiore, demolita nel
1934. Anche di questo Presepe, datato dal Bologna al 1530 ed eseguito parte in
bassorilievo, parte in sculture a tutto tondo, rimangono le sole figure della
Madonna e di S.Giuseppe, ora nella Chiesa di S.Giuseppe al Rione Luzzatti (14).
Testimoniato dalla sola figura di S.Giuseppe, copia
letterale dell'esemplare testè citato è invece il Presepe realizzato poco prima
del 1518, da Cristiano Moccia (notizie dal 1516 al 1549) per la chiesa di
S.Maria del Pozzo a Somma Vesuviana (15).Il Presepe vesuviano, distrutto
dall'incendio che devastò la chiesa negli ultimi decenni dell'800, non è
tuttavia il solo eseguito fuori Napoli.
Nel resto del Regno vi fu una discreta fioritura di
presepi soprattutto in Lucania e Puglia:pittoresche rappresentazioni della
Natività di Cristo, ambientate talvolta in grotte artificiali di roccia
autentica, furono infatte realizzate un pò dappertutto in queste regioni.
In particolare, il maggior artefice pugliese di presepi,
Stefano da Putignano (Putignano, ?-1530), lascia alcuni esemplari, scolpiti per
lo più in tufo "carparo", a Polignano a Mare (nella cappella ricavata
nel basamento del campanile della chiesa dell'Assunta), a Bari (già nella
chiesa di S.Paolo, ora nella Pinacoteca Provinciale della stessa città), a
Cassano Murge (Convento di S.Maria degli Angeli), e a Grottaglie (chiesa del
Carmine). Oltremodo interessante si presenta quest'ultimo esemplare, datato
1530, dove egli fonde in modo mirabile elementi tratti dalla scultura
napoletana degli Alamanno e di Pietro Belverte con i modi abruzzesi, ovvero
adriatici e lauraneschi, della sua prima formazione (16).
Lo scultore pugliese trova un continuatore dei suoi modi
nell'opera di Altobello Persio (Montescaglioso, 1507-1593), decano di una
famiglia di letterati ed artisti, il quale, in collaborazione con Sannazaro di
Alessano, realizza nel 1534, un pittoresco Presepe in pietra policroma nel Duomo
di Matera (17).
In altre parti d'Italia, relativamente allo stesso
periodo, vanno segnalati i Presepi di Baccio Bandinelli (Firenze 1488 o
1493-1560) in Santa Maria Novella a Firenze (18);di Prospero Antichi, detto il
Bresciano (Brescia, ?-Roma, 1599), posto sotto il tabernacolo del SS.Sacramento
nella Cappella Sistina in Santa Maria Maggiore a Roma "opera accurata e
gentile, che deriva effetti pittorici alla lombarda dalle ombre rarefatte del
fondo paesistico"(19) e di Antonio Begarelli (Modena ca.1499-1565) nel
Duomo di Modena.La superba freschezza d'invenzione di questo Presepe, espressa
da una fluida sintassi formale e da una eleganza nella quale si coglie uno
squisito principio d'Arcadia, è stata purtroppo compromessa, prima dal
trafugamento di alcuni pezzi (intercorso agli inizi del Seicento) e poi dalla
sovrapposizione di pesanti stuccature (20).Al Presepe del Begarelli sembra
collegarsi il Presepe di Federico Brandani (Urbino, 1520 ca.-1571) conservato nell'Oratorio di S.Giuseppe ad
Urbino.Più semplice e raffinato del prototipo modenese, ridotto ai personaggi
principali, esso è articolato sul fondo di una cappella, sulle cui pareti sono
rappresentata le città del Ducato di Urbino, come su un
palcoscenico.Commissionato dalla locale Confraternita della Grotta, il Presepe urbinate è certamente l'opera più
matura del repertorio figurativo del Brandani, il quale seppe mirabilmente
coniugare, raggiungendo risultati assai
brillanti, motivi tratti dalla pittura raffaellesca con motivi ispirati alla
coeva produzione dei plastificatori veneziani (21).
In Sicilia la tradizione presepiale si ispira invece
prevalentamente a quella napoletana:del 1573 è il grande Presepe a figure
naturali della chiesa di S.Bartolomeo a Scicli, presso Ragusa, realizzato da
maestranze locali ma ampamente restaurato ed ampliato, dopo il 1693, dal napoletano Pietro Padula.
Anche in Italia settentrionale troviamo presepi
realizzati con figure al naturale, specie sui cosiddetti Sacri Monti di
Lombardia e Piemonte, dove i rapporti tra religiosità popolare e tradizione
delle sacre rappresentazioni si mantennero sempre molto stretti. Il Sacro Monte
di Varallo è il più antico di essi:
formato da una sequela di ben 43 cappelle nelle quali sono rappresentate in
terracotta dipinte scene della vita di Gesù, fu realizzato nei primi decenni
del XVI secolo dal pittore, scultore ed architetto Gaudenzio Ferrari
(Valduggia, Vc, 1475-Milano, 1546).Tre delle cappelle illustrano la nascita di
Gesù.Nella prima c'è la carovana dei Magi e del loro seguito di uomini
orientali. Segue la seconda cappella che mostra, in una grotta naturale,
l'Adorazione dei pastori.Infine nell'ultima, si osserva l'Adorazione della
Madonna e di S.Giuseppe al Bambino.
In Toscana, invece, tra la fine del'400 e gli inizi del
'500, fu particolarmente fiorente la produzione di presepi in ceramica a
rilievo da parte soprattutto della bottega dei Della Robbia (Bibbiena, Chiesa
di San Lorenzo) e delle officine di Cafaggiolo.
I primi decenni del Cinquecento segnano anche la data di
nascita dei primi Presepi popolari, di quei presepi cioè, dove, accanto alle
figure evangeliche e a quelle direttamente desunte dalle sacre
rappresentazioni, appaiono per la prima volta vestiti secondo le fogge del
tempo, personaggi secondari come i pastori dormienti, i venditori di
generi commestibili o i saltimbanchi.
Con essi appaiono, altresì, le prime rappresentazioni dei luoghi tipici che
avrebbero poi caratterizzato oltre misura i presepi successivi:il mercato, la
cantina, i ruderi romani, la cascata. E'il presepe che esalta la gioia di
vivere, il presepe dell'abbondanza, della festa e dell'allegria. Ideatore ne fu
un napoletano d'adozione, S.Gaetano da Thiene, la cui attività di religioso si
svolse, come si sa, quasi esclusivamente nel capoluogo campano, che egli amò
più di ogni altra città.
Tuttavia è verso la fine del XVII secolo e lungo tutto
il corso del secolo successivo, con la riduzione delle figure presepiali a
formato terzino e con l'invenzione del pastore articolato in fil di ferro e
stoppa, rivestiti di stoffa e con le sole mani e le teste in legno o
terracotta,che il presepe s’afferma definitivamente,cominciando ad apparire
anche nelle dimore borghesi e nobiliari. Le maggiori realizzazioni di questo
genere si hanno, manco a dirlo, ancora
una volta a Napoli, grazie soprattutto all'interesse mostrato da Carlo di
Borbone, il quale come scrisse il D'Onofri "in certe ore sfaccendate del
giorno, con le sue regali mani, si industriava ad impastare mattoncini e
cuocerli e disporre soveri (sugheri) a formare la capanna...situarvi
pastori" mentre la moglie, Maria Amalia di Sassonia si trasformava in
sarta "quasi tutto l'anno per confezionare gli abitini dei pastori
(22).Dalle fonti sappiamo che alla realizzazione di pastori si applicarono, tra
gli altri, alcuni dei più importanti scultori napoletani del tempo:da Giuseppe
Sanmartino a Matteo Bottiglieri, da Domenico Antonio Vaccaro a Francesco
Celebrano (23).
Relativamente ai secoli XVII e XVIII non sembra essere
da meno alla tradizione napoletana l'arte presepiale genovese, che dopo la
produzione seicentesca dei Pippi e dei Bissoni, trova in Anton Maria Maragliano
(Genova, 1664-1741) il suo maggior artefice.Legato a doppio filo con la
scultura di marca berniniana di Filippo Parodi e con l'estro pittorico di
Domenico Piola e Francesco Solimena, la produzione dello scultore genovese,
caratterizzata da un delicato decorativismo barocco e rocaille, si ammira nei
Presepi della Chiesa di S.Barbara, del Santuario della Madonnetta, della chiesa
della SS. Concezione e della chiesa di S.Filippo a Genova (24).Nella città ligura va ricordata inoltre l'attività dei
vari G.B.Caggini, De Scopft, Casanova e
Pittalunga, documentata dalle numerose figure di pastori conservate nei Musei
cittadini Giannettino Luxoro e di Palazzo Rosso. Presepi popolari di
particolare bellezza oltre che a Napoli e a Genova si sono tramandati in
Abruzzo, in Puglia ed in Sicilia. Nell’isola l’uso di celebrare con presepi le
festività natalizie portò nei secoli XVII e XVIII alla realizzazione di pittoreschi
esemplari su sfondi architettonici eseguiti con i più svariati materiali:dal
corallo all'avorio, dall'alabastro alle conchiglie. Ad Andrea Tipa (Trapani,
1725-1766), localmente rinomato come intagliatore e scultore, appartiene forse
l'originalissimo Presepe conservato nel Museo Pepoli di Trapani, tutto
realizzato con materiali marini, dove la grotta è formata da conchiglie e le
figure in alabastro sono sapientemente disposte tra le balze e gli anfratti di
una montagna sormontata da una città turrita.
E' nel fulgore cromatico e nella durezza del corallo
però che l'arte presepiale trapanese raggiunge i risultati più alti, specie
quando il prezioso calcare marino si sposa col rame, lo smalto bianco o
l'oro, come nei due presepi del Museo
di San Martino a Napoli e del Museo Pepoli di Trapani.L'esemplare trapanese,
proveniente dalla collezione del conte ericino Ernandez, è montato su una base
di rame dorato sulla quale si eleva un architettura in rovina di legno
ricoperta da una lamina di rame con inserti in corallo nei plinti, nelle
colonne e nei cunei degli archi. Una fitta vegetazione, fatta di fogli e fiori,
ricopre le strutture del finto edificio che fa da sfondo alla scena della
Natività. La figura della Madonna, di S.Giuseppe, del Bambino, dei tre pastori
e dell'angelo sono realizzati con frammenti di coralli legati insieme dalla
ceralacca, tecnica questa adoperata sul finire del secolo XVIII, a causa della
diminuzione del corallo (25). Il presepe di S.Martino presenta invece, su di
una base d’argento dorato, una struttura architettonica dello stesso materiale
mentre le figure – una dozzina circa – e le numerose colonne, balaustre, volute
ed archivolti che ornano l'edificio sono tutte realizzate in corallo. La
Sicilia vanta pure una discreta produzione di presepi in cera: nativo di
Siracusa era Giulio Gaetano Zummo, il maggiore plastificatore in cera del
Seicento, autore, tra l'altro, di un bel presepe ora al Victoria and Albert
Museum di Londra, mentre di Messina era Giovanni Rosselli, autore di un analogo
presepe settecentesco conservato nel Museo Regionale di Messina "un
delizioso insieme scenografico di ruderi, alberature, angeli, pastori, raggi di
luce, minuziosamente intagliato, con
gustosa eleganza, in ogni dettaglio"(26). In altre parti d'Italia si
segnalano gli scenografici presepi conservati nel Museo Diocesano di
Bressanone, tra cui, bellissimo, un Presepe di Franz Xaver Nissl del 1790.
Nelle Marche la scuola presepistica locale è
rappresentata invece, quasi
esclusivamente, dalla famiglia Paci di Ascoli Piceno che opereranno per ben tre
generazioni estendendo in seguito la loro produzione, ampiamente rappresentata
nelle collezioni della Pinacoteca del capoluogo marchigiano, anche nel Fermano.
Per tornare ai presepi napoletani sei-settecenteschi- ma
il rilievo vale anche per i presepi genovesi e di altre zone d'Italia- va
evidenziato come essi siano oggi apprezzabili solo in parte, giacché le
originarie sistemazioni, vuoi per la perdita di molti pezzi in seguito a
reiterati furti, vuoi per il carattere effimero delle varie composizioni, sono
stati in seguito massicciamente integrati o modificati con apparati
ottocenteschi (27). E' il caso, ad esempio, del Presepe di Palazzo Reale a
Caserta (28) e del presepe Cuciniello del Museo di San Martino, cosi detto dal
nome dell'architetto e drammaturgo Michele Cuciniello che dopo aver fatto dono
delle sue collezioni di pastori al museo napoletano nel 1879, ne curò personalmente l'allestimento nella
nuova sistemazione, coadiuvato da Luigi
Farina per l'esecuzione del "masso", dallo scenografo Luigi Massi per
la pittura e dall'architetto Fausto Nicolini per l'illuminazione (29). Disposte
in una suggestiva scenografia che si svolge con una pittoresca montagna a balze
ed altipiani, si ammirano la grotta, la taverna, la cantina e le case
circostanti. La grotta, costituita da due dirute colonne simili a quelle del
Foro romano è interamente occupata dalla Sacra Famiglia del
Sammartino;tutt'intorno è un pullulare di pastori in adorazione, di donne ed uomini recanti offerte, di
montanari con zampogne, di angeli, cherubini e puttini, e più lontano,
favoloso, si ammira in tutto il suo splendore, uno stupefacente corteo di Magi
accompagnato da un gruppo di suonatori orientali i cosidetti
"giorgiani":tutte opere scelte tra le migliori realizzate dai più
rinomati artisti napoletani. Nell'Ottocento si assiste ad un progressivo
disinteresse per questa nobile arte per cui non si registrano, sotto il profilo
artistico, significativi passi in
avanti ed i risultati più apprezzabili sono ancora nella scia dei modelli
settecenteschi.
Le
testimonianze maggiori sono al solito di marca meridionale:due per tutte si
citano il Presepe realizzato con le finissime e malinconiche immagini della
Madonna e di S.Giuseppe da Gaetano Gigante (Napoli, 1806-1876) nel 1856, ora in
collezione privata a Napoli (30), e il Presepe già Rinaldoni in collezione
Campana ad Osimo, presso Ancona, realizzato sul finire del secolo dal
cartapistaio leccese Luigi Guacci (Lecce,
1871-1934), che oltre al committente Rinaldoni e sua moglie volle
rappresentare anche se stesso tra i pastori.
(1) Il Presepe di Arnolfo di Cambio fu realizzato come complemento alla
"sacra culla"(che secondo una tradizione non ben documentata, avrebbe accolto Gesù appena nato),
allorquando l'architetto fiorentino fu incaricato di rinnovare l'antica
cappella, sottostante la Basilica, dove
fin dall'epoca di Papa Teodosio I (642-649) si custodiva la preziosa
reliquia.Analoghe cappelle furono create più tardi nella Basilica Vaticana e in
S.Maria di Trastevere rispettivamente dai pontefici Giovanni VII (705-707) e
Gregorio IV (827-844).L'Oratorio arnolfiano si trova attualmente sotto la
cosidetta cappella "Sistina",
ubicata nella navata destra della Basilica, dove fu ingegnosamente fatta
trasportare da Domenico Fontana nel 1585.Del Presepe originario, sostituita nel XVI secolo la figura centrale
rappresentata dalla Madonna e dal Bambino, sopravvivono la statua di
S.Giuseppe, quelle dei tre Re Magi nonchè quelle del bue e
dell'asinello;quest'ultime sono però scolpite a rilievo nella parete di
fondo.In ogni caso le prime rappresentazioni figurali del Presepe compaiono già
dal II secolo nelle pitture parietali delle catacombe di Roma (catacomba di S.Priscilla),
e, a partire dal IV secolo, nei bassorilievi di alcuni sarcofaghi
paleocristiani (sarcofago in S.Ambrogio a Milano, sarcofago di Flavio Gorgonio
nel Museo Diocesano di Ancona).Più recentemente la primogenitura del Presepe
arnolfiano è stata messa in predicato a favore di alcune statue, custodite a
Bologna nella chiesa del Martirio, che,
dipinte da Simone de'Crocifissi nel Trecento ma risalenti alla metà del XIII
secolo, erano già state classificate, in passato, come elementi di una
Adorazione dei Magi.
(2) Una esauriente storia del Presepe, scritta in lingua tedesca è in
R.Berliner, Die WeihnachtsKrippe,
Monaco , 1955. Relativamente al Presepe napoletano si cfr. G.Borrelli, Il
Presepe Napoletano, Napoli, 1970 e
F.Mancini, Il presepe napoletano Scritti e testimonianze dal secolo XVIII al
1955, Napoli, 1983
(3) A.Rava, Teatro medioevale L'apparato scenico negli Offici drammatici
del tempo di Natale, Roma, 1940.Si cfr.in particolare il I capitolo "Il
presepe prima di S.Francesco"
(4) Una sorta di Presepe erano pure le cosidette "stallette di
Betlemme", termine con cui si indicavano, nel Trecento, in Alto Adige i
pannelli laterali degli altari intagliati che ospitavano scene della Natività,
la più famosa delle quali e quella di S.Sigismondo, in Val Punteria, del 1390.
Per il resto, gli unici frammenti di Presepi italiani trecenteschi pervenutici si riferiscono alla Madonna
puerpera, già parte di un Presepe donato dalla Regina Sancia alle monache
clarisse del Monastero di S.Chiara a Napoli nel 1320 circa ed ora nel Museo di
S.Martino;ad alcune figure di legno policromo,
forse di origini veronesi, che si conservano nel Museo di Castel
S.Angelo a Roma;alle ceramiche faentine dell'Albert Museum di Londra (5)
Archivio Storico Napoli, Protocollo del notaio A.Casanova, a.1478, fol.15 r
(6) G.Alomar, Guillermo Sagura, Barcellona, 1970, tavv.160-170
(7) R.Causa, Contributi alla conoscenza della scultura del'400 a Napoli
in F.Bologna-R.Causa, Sculture lignee della Campania, cat.della Mostra di
Napoli, Napoli, 1950, pp.137-138, scheda 57, tavv.60, 61, 62, 63 (8) Ibidem,
pp.138-139, scheda n.59, tavv.54, 55, 56, 57, 58
(9) A.G.Pettorelli, Guido Mazzoni da Modena plastificatore, Torino, 1925
(10) M.Rotili, L'arte del cinquecento nel Regno di Napoli, Napoli,
1976, pag.109, foto 81
(11) C.Verani, Aspetti e problemi delle opere d'arte di Leonessa,
Rieti, 1957
(12) R.Causa, Contributi... in F.Bologna-R.Causa, Sculture
...op.cit, pp.149-150, scheda 65,
tav.66
(13) P.Summonte, Lettera a Marcantonio Michiel, 20 marzo 1524, pubblicata da F.Nicolini, L'Arte Napoletana
del Rinascimento, Napoli, 1925,
pp.168-169
(14) F.Bologna, Problemi della scultura del Cinquecento a Napoli in
F.Bologna-R.Causa, Sculture..., op.cit., pp.178-179, scheda n.77, tavv. 80-81
(15) R.Causa, Contributi... in F.Bologna-R.Causa, Sculture..., op.cit.
pp.150, scheda n.66
(16) R.Semeraro, Stefano da Putignano, Cisternino, 1963
(17) G.Gattini, Note storiche sulla città di Matera, Napoli, 1882, pag.
420.Per una più dettagliata descrizione del presepe cfr.M.S.CalòC.Guglielmi
Faldi-C.Strinati, La cattedrale di Matera nel Medioevo e nel Rinascimento,
Milano, 1978.pp.63-68, figg.45-47, tavv.VII-X
(18) A.Parronchi, Resti del presepe di Santa Maria Novella in
"Antichità Viva", 3, 1965, pag.15
(19) A.Venturi, Storia dell'arte Italiana, X, 3, Milano, 1937, pp.574
(20) M.Marangoni, Il presepe del Begarelli nel duomo di Modena, in
Dedalo, VI, 2 (1925-26), pp.457-475 (ripubblicato in Arte Barocca, Firenze, 1953, pp.193-201)
(21) F.Mazzini, Guida di Urbino, Vicenza, 1962
(22) P.D'Onofri, Elogio estemporaneo per la gloriosa memoria di Carlo
III, Napoli, 1789, pp.187-88
(23) P.Napoli Signorelli, Vicende della coltura nelle Due Sicilie, Napoli, 1811
(24) M.Labò, Il presepio di S.Filippo in "Bollettino del Comune di
Genova", 23 (1922)
(25) A.Daneu, L'arte trapanese del corallo, Palermo, 1964
(26) G.Consoli, Messina Museo Regionale, Bologna, 1980, pag.103
(27) Tra i numerosi presepi, specialmente privati, smembrati già "ab
antiquo" e oggi noti solo grazie alle testimonianze scritte dei visitatori
del tempo, ricordiamo quello di Antonio Cinque, delle famiglie de Giorgio,
Sgambati, Sorvillo, Catalano, del notaio Morbillo, di Francesco Marotta. I più belli ed importanti presepi
chiesastici ricordati dalle fonti si realizzavano invece nella chiesa di
Donnaromita, di S.Marcellino, nel
Santuario di Piedigrotta, nella chiesa dell'Annunziata, in quella della Sanità
e nella chiesa del Gesù Vecchio, detto di "Don Placido", l'unico, con quello della chiesa di S.Maria
in Portico, di cui sopravvive la tradizione.
(28) A.Catello, Il Presepe della Reggia di Caserta, Napoli, 1988
(29) T.Fittipaldi (a cura di), Cat.della Mostra Il presepe Cuciniello
Mostra di "pastori" restaurati, Napoli, 1966
(30) G.Catello, Giacinto Gigante scultore da presepe in "Il
Fuidoro" a.I, nn.3-4, 1954
2- Il primo Presepe Vivente Presepe di Greccio,Giotto,Assisi La tradizione
narra che nel 1217 S.Francesco cominciò a dimorare sulla sommità del monte
che domina Greccio, il Lacerone, detto poi S.Francesco in suo
onore,costruendosi una capanna fra due carpini. A questo luogo dove fu
fondato il primo ritiro, e più tardi, ai tempi di S.Bonaventura, un convento,
è legata anche la tradizione del Presepio. Fu qui infatti, secondo il
racconto di Tommaso da Celano, il frate già discepolo di S.Francesco e suo
primo biografo, che la notte di Natale del 1223, il Santo rievocò, in presenza
di una folla di fedeli accorsi da Greccio e dai casolari circostanti, il
mistero della Natività del Redentore facendo ricorso non più alle parole ma
ad una vera e propria rappresentazione sacra con tanto di figure umane e
animali viventi. Sempre secondo il racconto di Tommaso, durante la
celebrazione, che avvenne in una grotta trasformata nell'attuale cappella del
Presepe o di S.Luca (subito dopo l'ingresso del convento a sinistra), un uomo
di grandi virtù ebbe la visione nella greppia di un fanciullo di meravigliosa
bellezza che S.Francesco abbracciò teneramente. Ma lasciamoci trasportare dal
racconto del celanese, che dell'avvenimento fu testimone oculare,
nell'atmosfera di quel magico momento: "La sua maggior cura (di S.Francesco), il suo
più vivo desiderio, il suo supremo proposito era di osservare in tutto e
sempre il santo Vangelo, e perfettamente, con ogni vigilanza e premura, con
tutto il desiderio della mente e tutto il fervore del cuore seguire gli
insegnamenti e imitare gli esempi del Signor nostro Gesù Cristo.
Continuamente ricordava e meditava le parole di Lui, e con acutissima
considerazione ne teneva davanti agli occhi le opere. Specialmente l'umiltà
dell'Incarnazione e la carità della Passione gli erano presenti alla memoria,
così che raramente voleva pensare ad altro. E' da ricordare a questo
proposito e da celebrare con riverenza quanto fece, tre anni prima di morire,
presso Greccio, il giorno di Natale del Signor nostro Gesù Cristo. Viveva in quel territorio un tale di nome Giovanni
di buona fama e di vita anche migliore, assai amato dal beato Francesco,
perché, pur essendo di nobile del sangue, ambiva solo la nobiltà dello
spirito. Il beato Francesco, circa quindici giorni prima del Natale, lo fece
chiamare, come faceva spesso, e gli disse: "se hai piacere che
celebriamo a Greccio questa festa del Signore, precedimi e prepara quanto ti
dico. Vorrei raffigurare il Bambino nato in Bethlehem, e in qualche modo
vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si trovava per la mancanza di
quanto occorre a un neonato; come fu adagiato in una greppia, e come tra il
bove e l'asinello sul fieno si giaceva". Uditolo quell'uomo buono e pio
se ne andò in fretta e preparò nel luogo designato tutto ciò che il Santo
aveva detto. 85. Giunge il giorno della letizia, il tempo
dell'esultanza; sono convocati i frati da parecchi luoghi, e gli uomini e le
donne della regione festanti portano, ognuno secondo che può, ceri e fiaccole
per rischiarare la notte, che con il suo astro scintillante illuminò i giorni
e gli anni tutti.Giunge infine il Santo di Dio, vede tutto preparato e ne
gode; si dispone la greppia, si porta il fieno, son menati il bue e l'asino.
Si onora ivi la semplicità, si esalta la povertà, si loda l'umiltà, e Greccio
si trasforma quasi in una nuova Bethlehem. La notte riluce come pieno giorno,
notte deliziosa per gli uomini e per gli animali; le folle che accorrono si
allietano di nuovo gaudio davanti al rinnovato mistero; la selva risuona di
voci, e gli inni di giubilo fanno eco
le rupi. Cantano i frati le lodi del Signore, e tutta la notte trascorre in
festa; il santo di Dio se ne sta davanti al presepio, pien di sospiri,
compunto di pietà e pervaso di gioia ineffabile. Si celebra il solenne rito
della Messa sul presepio, e il sacerdote gusta un'insolita consolazione. 86. Il santo di Dio si veste da levita, perchè era
diacono, e canta con voce sonora il santo Evangelo; quella voce robusta,
dolce, limpida, canora invita tutti alla suprema ricompensa. Poi predica al
popolo e dice dolcissime cose sulla natività del Re povero e sulla piccola
città di Bethlehem. Spesso volte,
pure, quando voleva chiamare Cristo col nome di Gesù, infiammato d'immenso amore,
lo chiamava il Bimbo di Bethlehem, e a guisa di pecora che bela, dicendo
Bethlehem riempiva la bocca con la voce o, meglio, con la dolcezza della
commozione; e nel nominare Gesù o Bambino di Bethlehem, con la lingua si
lambiva le labbra, gustando anche col palato tutta la dolcezza di quella parola.
Si moltiplicano là i doni dell'Onnipotente, e un uomo assai virtuoso vi ha
una mirabil visione. Vedeva nel presepio giacere un bambinello senza vita; e
accostarglisi il Santo e svegliarlo da quella specie di sonno profondo. Ma
tal visione era in disaccordo con la realtà; giacché il Bambino Gesù nei
cuori di molti, ove era dimenticato, per la sua grazia veniva risuscitato dal santo servo suo Francesco,
il suo ricordo profondamente impresso nella loro memoria. Terminata
finalmente la veglia solenne, ognuno se ne tornò a casa con gioia. 87. Il fieno posto nella mangiatoia fu conservato,
affinché‚ per esso il Signore guarisse i giumenti e gli altri animali
moltiplicando la misericordia. E veramente è avvenuto che parecchi animali
colpiti da varie malattie, nella regione circostante, dopo aver mangiato un
po' di quel fieno, furono sanati. Anzi anche alcune donne in lungo e
difficile parto, postosi indosso un poco del detto fieno, felicemente han
partorito, e molti uomini e donne con tal mezzo sono scampati da vari mali.
Ora quel luogo è stato consacrato al Signore, e vi è stato costruito un
altare in onore di san Francesco e dedicatagli una chiesa, affinché‚ laddove
gli animali un tempo mangiarono il fieno, ivi ora gli uomini possano, per la
salute dell'anima e del corpo, mangiare le carni dell'Agnello immacolato e
incontaminato, Gesù Cristo Signore nostro, il quale con infinito indicibile
amore diede se stesso per noi; ed ora col Padre e con lo Spirito santo vive e
regna, Dio eternamente glorioso, nei secoli dei secoli. Amen,
Alleluia, Alleluia”. (Da: Fra Tommaso da Celano,Vita di S.Francesco d'Assisi e
Trattato dei Miracoli (capitolo XXX: Del presepio preparato la notte del
Natale), Ediz. La Porziuncola, S.Maria degli Angeli-Assisi 1982, Traduzione di
Fausta Casolini,pp.90-93.). |