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Il Realismo letterario

Il nuovo pensiero scientifico e filosofico ebbe immediati riflessi sulla letteratura del tempo, anche se non bisogna dimenticare che una tendenza realistica era già presente nel Romanticismo: ne sono un esempio Manzoni, Dickens, Stendhal, Balzac, ritenuto infatti il precursore del Realismo vero e proprio della seconda metà dell’Ottocento; la differenza tra il Realismo romantico e quello positivistico consiste nel fatto che il primo fu illuminato da una concezione religiosa e idealistica della vita, mentre il secondo fu materialistico e scientifico.

In precedenza la letteratura aveva avuto come protagonista l’uomo, ritenuto un essere privilegiato, dotato di spirito, autocoscienza e libero arbitrio, dominatore della natura e della storia. Con l’avvento del Realismo, invece, l’uomo viene considerato una creatura come le altre, sottoposta agli stessi condizionamenti, come dice Hyppolite Taine (1828-1893), dell’ereditarietà (la race), dell’ambiente (il milieu), del momento storico (il moment).

La letteratura che lo rappresenta deve quindi essere realistica, abbandonando il suggestivo, il sentimentale, il fantastico e attenendosi al positivo, al reale, all’oggettivo.

Rispettando tale concezione la poetica del Realismo si fonda su due principi fondamentali:

  1. il reale-positivo come oggetto;
  2. l’impersonalità dell’opera d’arte.

Attenendosi al primo principio gli scrittori posero l’attenzione sulle classi più umili, in quanto più vicine alla “natura” e al “vero”, così facendo essi rappresentarono l’arretratezza e la miseria delle plebi, del proletariato e della piccola borghesia richiamando lo Stato al dovere di realizzare l’uguaglianza ed il benessere, ovvero, come dice il De Sanctis, di “calare l’ideale nel reale”.

Per quanto riguarda invece il secondo principio, esso venne interpretato diversamente dai naturalisti e dai veristi: i primi lo esasperarono, riducendo l’opera d’arte ad una rappresentazione fotografica e scientifica della realtà, i secondi lo considerarono un freno al soggettivismo dello scrittore.

Al fine di rispettare questi due principi venne abbandonato il romanzo storico e ci si rivolse a quello sociale, vennero esclusi i lirismi, le rievocazioni autobiografiche, i commenti dello scrittore e furono inoltre inseriti l’uso di un linguaggio semplice e popolare, con l’introduzione di termini e costrutti dialettali, di monologhi e dialoghi, e la descrizione particolareggiata di paesaggi, personaggi e ambienti.

Il Realismo fu dunque l’indirizzo generale della cultura europea della seconda metà dell’800, esso comunque si adeguò alle particolari condizioni politiche, economiche, e sociali di ciascun popolo e assunse in rapporto ad esse caratteristiche diverse.

Il Realismo letterario sorse in Francia, dove assunse il nome di Naturalismo, ed ebbe il suo precursore in Honoré de Balzac (1799-1850), autore di una serie di romanzi che vanno sotto il titolo generale di “Commedia umana”; uno dei suoi scrittori più significativi fu invece Gustave Flaubert (1821-1880), autore del celebre romanzo “Madame Bovary”. Egli a differenza di Stendhal e Balzac, che intervenivano nel corso della narrazione con commenti e giudizi, si limitò a scegliere i fatti e a tradurli in linguaggio, convinto che la perfetta espressione di un fatto bastasse ad interpretarlo; lo scrittore doveva quindi rinunciare a confessarsi e a prendere posizione, vivendo unicamente in funzione dell’opera. A tale concezione, che può essere considerata una prima definizione della teoria dell’impersonalità, Flaubert giunse reprimendo le tendenze romantiche del suo temperamento senza tuttavia sopraffarle completamente.

Altra importante figura del Naturalismo fu Emile Zola (1840-1902), considerato per esattezza il suo caposcuola: egli tentò di dare una veste teorica al movimento, giustificando la trasposizione del metodo sperimentale dall’ambito delle scienze fisiche a quello dei fenomeni morali e spirituali. Seguono poi Alphonse Daudet (1840-1897), Guy de Maupassant (1850-1893) e i fratelli Edmond (1822-1896) e Jules (1830-1870) de Gouncourt.

Dalla divulgazione dei prototipi francesi e dalle discussioni condotte da filosofi e storici circa la portata dello scientismo positivista francese prese le mosse il Realismo letterario italiano, che va sotto il nome di Verismo e i cui maggior rappresentanti furono Luigi Capuana, considerato il teorico riconosciuto del Verismo, Giovanni Verga e F. de Roberto.

Naturalismo e Verismo furono due momenti letterari affini , che ebbero in comune i due canoni del Realismo letterario, ma che essendosi svolti in ambienti culturalmente, economicamente e socialmente diversi finirono con il differenziarsi assumendo caratteristiche proprie.

Prima di tutto erano differenti gli ambienti e le classi sociali oggetto di studio: i naturalisti ritraevano la vita dei quartieri periferici delle grandi metropoli e dei bassifondi di Parigi, popolati da esseri depravati, emarginati, abbrutiti dalla miseria, dall’alcool e dal vizio, in contrasto con la borghesia affaristica.

L’ Italia, a causa del ritardo del suo sviluppo industriale non aveva grandi metropoli né bassifondi periferici nelle sue città, perciò i veristi ritraevano la vita stentata e primitiva della piccola borghesia e delle classi più umili, quali pescatori, contadini, minatori, ecc.

Differente era inoltre il porsi dei veristi e dei naturalisti di fronte alla realtà: l’atteggiamento dei naturalisti era attivo, polemico, provocatorio, volto alla denuncia delle ingiustizie sociali, accompagnata dalla fiducia ottimistica nel loro superamento; quello dei veristi era invece più contemplativo, volto a ritrarre le miserie degli umili senza volontà di denuncia, e soprattutto senza fiducia nel loro riscatto.

Altra differenza è il rapporto tra lo scrittore ed il pubblico: i naturalisti operavano in una società più solidale, matura ed evoluta, sensibile all’ansia di rinnovamento da loro auspicata; i veristi operavano invece in una società ancora arretrata, sia a livello di plebi, incapaci di recepire un messaggio di riscossa ad esse rivolto, sia a livello della borghesia e dell’aristocrazia, sorde ai problemi sociali. Infine, il naturalismo assunse subito un carattere nazionale in quanto operante in una nazione socialmente omogenea quale era appunto la Francia; il verismo ebbe invece un carattere meridionale, regionale, dialettale. Dopo l’unità rimasero infatti le vecchie strutture economiche, aggravate dalla differenza di sviluppo tra Nord Italia in ascesa e il Sud rimasto arcaico, immobile e chiuso in una sorta di fatalistica rassegnazione.

A prescindere da tali differenze il naturalismo ed il verismo ebbero comunque il merito di aver reagito all’inconcludente sentimentalismo del secondo romanticismo per una concezione più concreta, vigorosa ed operosa della vita; di aver riaperto all’arte il campo del reale; di aver evidenziato le miserie e le pene delle classi più umili e di aver infine creato una lingua ed uno stile più semplici, agili, vigorosi e popolari.

Il Realismo inglese : Thomas Hardy

Nella seconda metà del XIX secolo, ovvero verso la fine dell’età vittoriana, il romanzo inglese assunse caratteristiche chiaramente differenti da quelle della prima metà del secolo: gli scrittori cessarono di considerarsi degli intrattenitori o dei riformatori sociali, quali erano stati, ad esempio, Dickens e Thackeray, furono sempre più influenzati dai grandi scrittori continentali come Flaubert, Tolstoy e Dostoevskij e mostrarono una tendenza verso il realismo (lontana però dai canoni del naturalismo) visibile specialmente in George Elliot (1819-1880), pseudonimo di Mary Ann Evans, ed in Thomas Hardy (1840-1928), con cui sembra culminare quella tradizione realistica del romanzo ottocentesco, che aveva avuto inizio con il realismo romantico di Dickens.

Hardy è uno dei migliori esempi di romanziere della fine dell’epoca vittoriana. Il suo primo successo, “Via dalla pazza folla” (1874), è già caratterizzato da quella visione amara e desolata della vita, in cui l’uomo è schiacciato da un fato indifferente o spesso ostile, che caratterizzerà le opere successive, e che assumerà accenti sempre più foschi. Egli si presenta come un narratore onnisciente e “riservato”, mostra un atteggiamento compassionevole verso i suoi personaggi, i quali non perdono mai la dignità morale e mostrano un certo tipo di stoicismo nell’accettare l’inevitabile.

Per la descrizione delle scene egli si serve di una tecnica di tipo cinematografico: inizia con una visione panoramica, per poi focalizzare i vari elementi, attraverso un dettagliato primo piano. Con questo tipo di descrizione, egli riesce a dare una percezione della scena attraverso i sensi: vista, udito e perfino tatto. La ricchezza delle immagini e l’uso del linguaggio parlato contribuiscono poi a creare un’intensa atmosfera e ad accrescere il realismo delle sue descrizioni.

La stagione realistica russa

Un interessante caratteristica dell’età del Realismo è l’allargamento della geografia letteraria dell’Europa, che ora comprende anche la Russia. Alla nascita del Realismo narrativo russo concorrono numerosi fattori quali, ad esempio, il naturalismo satirico di Gogol’, il realismo sentimentale di Balzac, ma soprattutto la nuova attenzione ai problemi sociali.

Tra le costanti di questa realtà letteraria si possono indicare un atteggiamento di comprensione verso tutti gli esseri umani, la volontà di portare alla ribalta gli aspetti finora sottaciuti e più infamanti della realtà russa, una relativa trascuratezza per la costruzione e l’intreccio narrativo a favore della psicologia, dell’introspezione e dell’analisi sociale, ed infine l’impegno a scegliere i soggetti esclusivamente dalla realtà contemporanea.

Tra i nomi più importanti troviamo quello di Aksakov, il quale rappresenta un momento di pura oggettività, aliena da motivazioni ideologiche riscontrabili invece in Goncarov e Turgenev.

La stagione del realismo russo culmina però in L. Tolstoj (1828-1910) e in Dostoevskij (1821-1881), il quale partito dall’iniziale influsso di Gogol’, Balzac, Dickens, giunse, sotto l’impulso di una profonda crisi religiosa e di una fortissima tendenza all’introspezione, a risultati che si pongono all’inizio del moderno romanzo psicologico.


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