LE RESPONSABILITÀ DEI CONFLITTI

 

Di chi è la colpa se l’Africa muore

 

Sfruttamento indiscriminato delle risorse, commercio di armi, corruzione: sono questi fatti, e non i popoli, a provocare le guerre. Il commento di padre Alex Zanotelli, missionario in  Kenia

 

I drammi dell’Africa sono sotto gli occhi di tutti: 16 paesi stanno partecipando in questo momento a guerre di vario tipo. Il problema dei rifugiati non ha ancora trovato una soluzione. Proprio quando la guerra tra Etiopia ed Eritrea sta creando un nuovo esodo di poveri verso il Sudan. Mentre scrivo, manca la luce: il kenia, una volta considerato vetrina dell’Occidente, non ha sufficiente energia elettrica per mandare avanti il Paese. E la crisi non potrà che aumentare.

 

L’Africa, forse il continente più ricco di materie prime, è sempre più povero. Il debito estero pesa con la sua mole di 250 miliardi di dollari. Non può essere ripagato. Di chi è la colpa? Certe risposte semplicistiche – come è capitato di leggere recentemente su qualche giornale – non aiutano a capire i problemi e rischiano di alimentare solo xenofobia o luoghi comuni.

 

Certo, esistono colpe locali. Gli Stati totalitari africani hanno gravissime responsabilità. Ma non si può generalizzare e addossare ai popoli interi queste colpe. Sarebbe invece interessante scoprire quali potentati economici e politici internazionali hanno sostenuto e sostengono le élites africane. Le élites che hanno tradito la loro gente, scavando un fossato sempre più largo tra le popolazioni. La distanza tra privilegiati e poveri, infatti, è sempre più grande anche in Africa.

 

Le colpe esterne esistono, eccome. Gli ultimi cinque secoli hanno visto l’Africa subire prima lo schiavismo occidentale e arabo (quest’ultimo cominciato molto prima), poi la colonizzazione e, oggi, la globalizzazione, che incoraggia un meccanismo economico di sfruttamento sempre più intenso e raffinato. Un meccanismo che incatena le economie nazionali agli interessi esterni e che non ha colore né nazionalità, non è né bianco né nero. Una struttura che ha portato alla crescita smisurata del debito dei Paesi più poveri. Banca mondiale e Fondo monetario ne sono i rappresentanti più visibili, ma non va dimenticato che queste istituzioni rispondono a potentati economici multinazionali.

 

Questi non avranno forse un volto preciso, ma hanno dei nomi. Quelli delle corporations, per esempio, che hanno fatto varare dal Congresso di Washington una legge per avere mano libera nei mercati africani, dettando le proprie condizioni per il loro sfruttamento negli anni futuri. «Provo rabbia», dicevo dalle pagine di Nigrizia all’indomani dell’approvazione di questo "Africa Bill", «per il silenzio totale in cui avvengono queste cose, per la non volontà di smascherare i meccanismi economici imperiali». E poi andiamo a chiederci di chi è la colpa se l’Africa muore. E diciamo che la colpa è dell’Africa!

 

L’Africa continua a pagare per questa struttura economica con un salasso finanziario, umano (la fuga dei cervelli e della manodopera più valida), culturale. Emblematico è il vile commercio delle armi, al quale la popolazione è estranea. Congo, Etiopia, Eritrea, Sierra Leone, quali di questi popoli vogliono la guerra? Non si tratta forse di conflitti fomentati dal commercio delle armi, dalla corsa alle risorse, da cui pochi traggono beneficio?

 

Una vera analisi dei mali dell’Africa richiederebbe molto più spazio. Posso solo dire che di questo continente molto spesso si vedono solo i problemi e si tralasciano i valori. Devo molto a questa gente africana. La sua voglia di vivere, il suo calore umano, la volontà di andare avanti nonostante le difficoltà e il tradimento dei leader. Per quanto mi senta ferito ogni volta che un nuovo attacco è lanciato all’Africa, so anche che la speranza di una rinascita partirà da qui. Gli ultimi cinque secoli hanno visto l’Africa usata da altri. Ma l’Africa ha in sé la forza di reagire: la sua gente saprà ritrovare i valori messi a tacere dai poteri locali e da quelli esterni e dare nuova vita a questo continente.

 

Da FC n.25 25-06-00