di Laura Pisanello
Toscano di razza. Va fiero
verso il traguardo dei novant'anni, ma non li dimostra. Trascorre l'estate in
Italia dove anima giornate di riflessione e ritiri spirituali e l'inverno in
Brasile, nelle favelas dei poverissimi di Foz d'Iguacu.
Nato a Lucca nel 1912,
Arturo Paoli viene ordinato sacerdote nel 1940. All'inizio degli anni
Cinquanta diventa assistente generale della Gioventù dell'Azione cattolica,
ma contrasti con l'orientamento politico e culturale dell'associazione lo
portano alle dimissioni. Dal 1954 entra tra i piccoli fratelli di Gesù di
Charles De Foucault, conosciuti sui transatlantici per l'America Latina su cui
era cappellano. Dal 1959 si trasferisce in America Latina, animatore delle
Comunità di base, da vita a una nuova fondazione in Argentina dove, durante
gli anni della dittatura, alcuni piccoli fratelli vengono incarcerati e
torturati. Fonda una cooperativa agricola in Venezuela e dal 1985 va a vivere
nel Paranà.
Tra i meriti, mai ostentati,
di fratel Arturo c'è quello di aver salvato nel 1944 la vita a un ebreo a
Lucca, fatto che gli è valso nel 1999 il titolo di «Giusto tra le nazioni»
conferitogli da Israele.
Nella sua vita ha sempre
amato il mondo e guardato il cielo sempre immerso profondamente nella vita degli
uomini. Le sue riflessioni sono anche confluite in molti libri: ha scritto una
trentina di volumi, tra cui:
Gesù, amore (Borla,
1960), Dialogo della liberazione (Morcelliana, 1969), II grido della
terra (Cittadella, 1976), Facendo verità (Gribaudi, 1984), Quel
che muore, quel che nasce (Sperling & Kupfer - Edizioni Gruppo Abele,
2001).
L'intervista
Abbiamo ripercorso con
Arturo Paoli tanti anni di vita, sua, della società e della Chiesa. Partiamo
dagli anni dell'Azione cattolica...
Sono arrivato a Roma come
assistente nazionale della Gioventù cattolica, dopo dieci anni di vita di sacerdote
diocesano. Sono stato lì fino al '54, quando si apriva una crisi che già datava
nel tempo per la diversa visione nel seno dell'Azione cattolica circa
l'azione politica dei cattolici. Una parte, tra cui la Gioventù, era per
l'autonomia nelle scelte politiche, anche se era chiaro che tutti dovevamo
scegliere un partito anticomunista. Questa crisi portò alle mie dimissioni
dalla presidenza di questa Gioventù cattolica.
Quale deve essere la
posizione dei cattolici in politica?
L'autonomia dei cattolici è
stata sancita solennemente dal Concilio vaticano II: l'autonomia dell'uomo
nelle sue scelte politiche. Anche se queste scelte devono essere sempre guidate
da un'etica, direi da una responsabilità verso la fede, le credenze religiose.
Però sappiamo che attraverso le sue scelte politiche l'uomo risponde della sua
vocazione essenziale di uomo, di persona, che è quella di contribuire alla
creazione e alla trasformazione della società.
In questo momento come si
stanno comportando i cattolici in politica?
Questo momento lo vedo
caotico, ma nello stesso tempo positivo. Si vedono delle cose che un po'
disorientano: per esempio persone di sinistra che si alleano con uomini di
destra, ecc. Questo indica la fine delle ideologie e da questa fine, secondo
me, deve nascere una nuova concezione della politica. La vita politica ha
obbedito troppo a delle ideologie che vengono dall'alto e forse deve tornare
a essere quello che è nella sua essenza, cioè qualcosa che serva a migliorare
realmente la convivenza degli uomini, a renderla più giusta, più civile, più
pacifica. In fondo le alleanze del domani non saranno più in base alle
ideologie politiche, ma in base a un progetto che faccia avanzare la società
verso più giustizia, più uguaglianza, più fraternità, una convivenza più
felice. Quindi se anch'io lamento questa distruzione delle ideologie politiche,
dei progetti politici, però penso che sia molto più cristiano vedere dei
progetti politici ispirati piuttosto al miglioramento della convivenza.
Torniamo alla sua vita...
Io avevo già in mente da anni la necessità di una scelta dei poveri, che dovevo vivere una vita più evangelica, più vicina ai poveri. Posso dire che Dio mi aprì il cammino verso la fraternità del padre Foucault, perché ho incontrato un fratello che mi ha chiarito qual era lo spirito, come vivevano, ecc. Poi sono andato tredici mesi nel deserto dove è avvenuta la mia seconda, terza... conversione, cioè un cambiamento di vita spirituale, ma anche di idee, di modi di vedere la vita. Dopo il noviziato sono stato circa due anni in Algeria, ai tempi della guerra d'indipendenza. Poi sono andato in Sardegna a vivere con i minatori e quindi in Argentina all'inizio degli anni Sessanta. Per quattordici anni ho percorso tutta l'America Latina.
Un'esperienza, la sua, per
molti versi simile a quella di Carlo Carretto...
Certo, anche se a lui è
mancata l'esperienza dell'Africa e dell'America Latina. Il luogo da cui si può
vedere il cammino del cristianesimo, cioè il passaggio da una visione religiosa
borghese a una visione religiosa messianica, cioè di trasformazione del
mondo. Infatti la teologia della liberazione è nata lì. Anche se oggi è
esportata da tutti i teologi un po' originali anche in Europa. Oggi non si può
più fare teologia se non partendo dall'ipotesi della teologia della liberazione.
Sono i fatti che lo dicono.
Lei in questo momento è
vicino al movimento brasiliano di contadini che per vivere vanno alla
conquista della terra da coltivare. Che cosa dicono a noi i «Senza terra»?
I «Senza terra» aiutano a
scoprire una concezione della terra che è molto più cristiana, cioè la terra è
diventata oggi, anche questa, strumento di speculazione, di investimenti e
quindi in Occidente la terra ha perduto il suo senso che è quello di
alimentare, quello che le da san Francesco d'Assisi quando dice Laudato sii
mi' Signore per la terra che ci da molti frutti. La terra-madre la cui
prima finalità è quella di alimentare l'uomo e anche di essere l'habitat
dell'uomo con la sua bellezza, con la scansione delle stagioni. Invece nella
visione neoliberista è diventata uno dei tanti oggetti di speculazione come
sono le armi e la droga. Quindi i «Senza terra» che vanno in cerca di terra
non per comprarla, perché non hanno soldi, ma per trovare il modo di vivere, ridanno
alla terra il suo vero senso. In Brasile c'è un signore che ha una proprietà
terriera uguale alla superficie del Belgio e dell'Olanda messi insieme. Questo
è anticristiano, al di fuori da una concezione di una relazione dell'uomo con
la terra. I «Senza terra», che non sono violenti, ma sono soggetti a
repressioni continue dalle quali devono difendersi, ridanno alla terra il suo
senso vero. Anche Dante parla di una mediazione della terra fra Dio e l'uomo,
perché questa vita, di cui Dio è la fonte, praticamente ci viene trasmessa
attraverso la terra.
La Chiesa dei poveri...
Lì nasce questa riscoperta
della terra come valore evangelico, sacro perché, se è vero che Gesù è venuto
per dare la vita al mondo, questo senso della terra come simbolo di vita nasce
lì. Molte volte abbiamo dato alla religione un senso astratto, staccandola
dalla vita. Mentre un teologo diceva: la prima attribuzione di Dio è
«creatore, datore di vita». Questo è essenziale. La vita è divina.
Messaggero di
sant'Antonio 9/2001
Il grande dramma
umano dell'Occidente è proprio la separazione: abbiamo lasciato il mondo da una
parte e questo Dio invisibile lo abbiamo separato, illusi di poterlo trovare
in tutta la sua purezza, sciolto dalla contingenza, dalla sofferenza umana.
Questo è il nostro grande dramma, innamorarci di Dio e lasciare il mondo fuori
oppure impegnarci nel mondo dimenticando che il mondo è il luogo che Dio ha
scelto per la sua operazione di salvezza. Non si può trovare Dio separatamente
dal suo progetto di salvezza, perché Lui vi si identifica. Cercarlo fuori è forse
trovare una certa soddisfazione, una certa calma, illuderci di essere fuori da
tutte le sofferenze, le tragedie, le angosce del mondo. Ed è proprio questa la
ragione per la quale Cristo polemizza con il tempio, con la religiosità dei
suoi contemporanei che non capiscono che "Dio opera sempre", è fonte
di vita, sta presente in questo mondo non come una statua, ma operando,
attuando, e quindi lo può trovare solamente chi vive nel mondo, "operando
nel mondo" per usare l'espressione di Gesù. lo credo che questo sia il
grande compito della modernità, dei cristiani nella modernità. Riunire quello
che Dio ha unito e che noi abbiamo separato».