L'esercizio del pensare, per contro Ia logica della competizione

 

di Maria Cristina Bartolomei

docente di filosofia e teologia

 

Citius, altius, fortius, "più in alto, più veloci, con più forza": il motto coniato dal marchese de Coubertin per esprimere lo spirito olimpico ci è stato riproposto nella sua concreta attuazione dai recenti Giochi invernali. Qualche bella emozione, qualche gara ammirevole e alcune pesanti ombre. Lo sport in generale e persino le Olimpiadi, che dovrebbero esserne la manifestazione più nobile, sembrano spesso intendere quel motto non innanzitutto come impegno a superare se stessi, a migliorare, con fatica, le proprie prestazioni, bensì come determinazione a prevalere a ogni costo e con ogni mezzo sugli altri. Di qui i ricorrenti scandali di doping. Ma i guasti prodotti da un malinteso spirito di competizione non si fermano al mondo della pratica sportiva. Il motto citius, altius, fortius, frainteso, sembra aver pervaso la mentalità e il costume di vita della nostra civiltà: sempre più veloce, nella quale il prevalere con la forza suscita ammirazione invece che biasimo e che mira e spinge ad ascendere sempre più in alto: in ricchezza, potere, successo. Un mirare "più in alto" che è non di rado una rincorsa verso il più basso della dignità e della eticità.

 

Ne è un tristissimo e inquietante segno il moltiplicarsi di episodi di omissione di soccorso di persone investite sulla strada. In una specie di rovesciamento della parabola del Buon Samaritano, qui l'altro è ridotto a un mero ostacolo alla propria corsa e viene travolto come un birillo senza perder tempo nel fermarsi a dargli aiuto. L'infittirsi di tali comportamenti ci deve indurre a pensare che non siano episodi singoli bensì che in essi si manifesti un'attitudine diffusa e profonda, propria del nostro modo di vivere e considerare gli altri. Che la vita sia una corsa è ormai metafora acquisita nel linguaggio, magari con l'aggiunta che si deve prendersi cura di chi resta indietro. Il gareggiare appartiene allo sport e, in una certa misura, all'economia. Ma perché mai dovremmo intendere tutto il nostro vivere come una gara, gli uni contro gli altri? E non invece come una collaborazione, un inserire ognuno il proprio libero e singolare genio nella polifonia della vita sociale? Almeno ai cristiani questo linguaggio dovrebbe suonare familia

re: dall'ideale della comunità cristiana tratteggiato negli Atti degli Apostoli (2,42-44) alla vita comune monastica. E come parlare in modo moralmente accettabile di "gara della vita" se in palio non sono onori e benefici "in più", bensì la possibilità stessa di una vita piena e dignitosa? I diritti fondamentali non si conseguono per competizione, né possono essere mere opportunità. E i beni che ne consentono l'esercizio concreto dovrebbe garantirli ad ognuno il lavoro. Anche il lavoro ha subìto un degradante trasloco, in primo luogo "mentale". Da diritto/dovere (la Costituzione italiana ne fa il fondamento della Repubblica), è diventato una merce. Parlare di mercato del lavoro è una scelta lessicale, entrata nella lingua corrente, ma che rischia di far dimenticare che non di "lavoro" si parla, ma di persone che lavorano, col pericolo di arrivare a considerare merci gli esseri umani e le loro capacità di produzione.

 

Certo, è bene soccorrere velocemente, elevare (per tutti) il livello di vita, mettere più energia nel fare lavori utili. Eppure non si va dappertutto, non si realizza tutto al meglio in questo modo. Non è uno stile adatto per toccare il cuore umano; per aprirsi all'apparire della verità; per scoprire sé stessi; per prendersi cura di un malato; per far crescere l'intesa tra i diversi e la pace; per disporsi ad accogliere il mistero ineffabile che presiede alla nostra vita, che i credenti chiamano "Dio"; per trattare col dovuto rispetto la terra; per parlare d'amore. Citius, altius,fortius va bene nei rapporti con le cose, con dimensioni materiali; per quel che è essenziale nella vita, non solo non serve ma è dannoso: là dove sono in gioco le relazioni umane, gli affetti, la crescita morale, culturale, spirituale; quando si tratta di valori, di conquiste in umanità, di aprire nuove vie di ricerca. Alex Langer, deputato europeo scomparso tragicamente nel 1995, che si impegnò per la pace, la concordia tra i popoli diversi, la salvaguardia dell'ecosistema, proponeva il contromotto lentius, profundius, suavius: più lentamente, più in profondità, più dolcemente.

 

Un'inversione di rotta indispensabile alla nostra civiltà occidentale industrializzata. E non è forse così che le Scritture presentano l'agire di Dio? Un pastore che si regola sul passo dei più deboli, che con pazienza, soavità e in profondità agisce ed effonde la sua grazia e la sua salvezza nella storia e nel cuore di ognuno. Il pensiero matura solo nel tempo lento, approfondendo, procedendo con tenacia e dolcezza. E l'esercizio del pensare è il primo modo di convertirsi a tale atteggiamento. Pensiamoci.

 

da Jesus n.4/02