Intervento di
FREI BETTO a GENOVA 2002
È “GLOBOCOLONIZZAZIONE”. PORTO ALEGRE CI SALVERÀ.
Viviamo oggi in un mondo che grazie ai mezzi di
comunicazione è stato trasformato in un piccolo villaggio. Questo processo di globalizzazione ha conciso con la fine del bipolarismo.
Oggi abbiamo un mondo unipolare controllato
dall’egemonia anglosassone. In realtà, l’attuale modello di globalizzazione
può essere definito meglio come globocolonizzazione.
La differenza con la colonizzazione dell’America Latina nel
XVI secolo è piccola: prima arrivavano le caravelle, ora le missioni del Fondo
Monetario Internazionale; prima estraevano dal suolo le nostre ricchezze
naturali, adesso portano via la nostra sovranità e il nostro sangue attraverso
il debito estero. Il Brasile ha un debito di 250 miliardi di dollari, pari alla
metà del Prodotto interno lordo. Non è un debito estero, ma un debito eterno.
Economizzazione: l’uomo è per
le cose
Tre fattori spiegano questo nuovo carattere della globalizzazione. Il primo è la caduta del muro di Berlino,
che ha reso possibile al capitalismo di trasformare il pianeta in un grande mercato: non c’è una mondializzazione dell’economia,
ma un’economizzazione del mondo. Tutto si è
trasformato in merce. E le persone si dividono tra coloro che
hanno accesso al mercato e coloro che non lo hanno. Ma
l’impatto della caduta del muro di Berlino è stato più grande: ha sotterrato la
speranza di un mondo diverso. Ha sotterrato l’utopia, per usare una parola che
molti intellettuali europei non amano molto, ma che è molto importante in
America Latina. E quando le persone non hanno utopia,
non hanno speranza, diventano facilmente addomesticabili dal sistema. Per
questo Fukuyama, che è uno degli ideologi del
neoliberismo, ha detto che la storia è finita. Questa è un’eresia per noi
cristiani, perché è un peccato contro la virtù della speranza. Ma è un’eresia anche per i marxisti, perché anche i marxisti
hanno fede nel progresso della storia. Allora immaginare che il futuro sia
soltanto un perfezionamento del capitalismo è
immaginare una cultura senza civiltà. Questo fenomeno porta con sé un secondo
aspetto: l’imposizione di un pensiero unico nel pianeta. Io posso scegliere tra
varie marche di birra, ma non tra differenti modelli di società.
E questo finisce per creare l’idea che tutti devono accettare
il neoliberismo come una cosa naturale e che solo dinosauri, terroristi e pazzi
parlano ancora di socialismo. Per il Forum economico di Davos
che quest’anno si è svolto a New York, il Forum
Sociale Mondiale di Porto Alegre è una banda di
pazzi, che sta pensando a cose che non esisteranno mai.
Ma passiamo al terzo punto, che è forse il più importante.
Come, il sistema neoliberista, gestisce questo pensiero unico per l’economia di
mercato? Primo, invertendo quello che dicevano gli
economisti classici nel XIX secolo: che, cioè, la relazione naturale è persona-merce-persona. Io vengo qui
con questa camicia per facilitare la mia socializzazione con voi: all’inizio e
alla fine della relazione ci sono le persone. Il prodotto è solo un fattore di
mediazione sociale. Ora non è più così. Ora la relazione è mercepersona-
merce. È la marca della mia camicia che mi dà valore. Se io arrivo a casa vostra con una Mercedes ho un
valore A, se arrivo in bicicletta ho un valore Z. Sono la stessa persona, ma è
la merce che mi imprime un valore minore e maggiore.
Milioni di persone si muovono in funzione di questo criterio di valore. Questo
influenza anche le relazioni personali. Nel neoliberismo tutto è mercificato, tutto è misurabile. Per questo il neolibersimo non si preoccupa della nostra qualità della
vita. Quando Bush si rifiuta
di firmare il Protocollo di Kyoto, è come se dicesse:
non posso offendere il dio denaro e non importa che molti muoiano avvelenati
dall’inquinamento. E quando Bush
si rifiuta di riconoscere il Tribunale penale internazionale, è come se stesse
dicendo: non posso accettare che i miei soldati siano giudicati da un tribunale
differente. Perché chi nasce negli Stati Uniti vale molto di
più di quelli che nascono altrove. È come essere
cittadini romani all’epoca dell’impero.
La destoricizzazione vanifica il progetto politico
Un altro fenomeno ancora più profondo è la destoricizzazione del tempo. La maggior parte di noi è stata formata con l’idea che il tempo abbia un carattere storico. Questo ci viene dall’eredità ebraico-cristiana, che gli ebrei hanno a loro volta ereditato dai persiani. L’idea che il tempo è storia è tanto forte nella Bibbia che lo stesso racconto della creazione del mondo è un racconto storico, in sette giorni. Tanto che i greci hanno potuto pensare che Javeh, il Dio degli ebrei, non fosse un Dio molto competente, dal momento che un Dio veramente potente non avrebbe avuto bisogno di sette giorni. Quello che i greci non hanno capito è che la dimensione della storicità del tempo era così forte per gli ebrei da apparire nella natura prima ancora della comparsa dell’essere umano. E ora il neoliberismo promuove la destoricizzazione del tempo. Ma chi ha l’idea del tempo come storia ha un’idea di progetto, tanto nella vita personale, come in quella sociale e nazionale. Noi viviamo nell’epoca dell’immagine. La televisione fonde e mescola tra loro passato, presente e futuro. Io posso nello stesso momento vedere Elvis Presley che canta ed Elvis Presley che viene seppellito. Questo crea una percezione non storica della vita e rende difficile l’elaborazione di progetti politici. Di più: oggi noi abbiamo valori, abbiamo principi, ma non sappiamo dove appenderli, a cosa legarli. E questo vale soprattutto per le nuove generazioni. È molto difficile che i giovani abbiano un progetto storico, che si sentano, come negli anni ‘60, parte di una generazione che lotta per la liberazione. Quelli che avevano vent’anni anni negli anni ‘60 sanno di cosa sto parlando. Era un mondo di grandi speranze. Tutto era nuovo e valeva la pena sognare. Ora sognare è diventato così difficile che si è creato molto spazio per il narcotraffico, perché chi non sogna con l’utopia deve sognare con la droga. Perché non è possibile vivere senza sogni.
I numeri della
globocolonizzazione
Questo è il modello di globocolonizzazione
che ci viene imposto. Noi siamo 6 miliardi di abitanti nel pianeta. Un miliardo e 200 milioni vive al di sotto della soglia della miseria con un reddito
massimo di un dollaro al giorno. 2 miliardi e 800 milioni vivono al di sotto della soglia della povertà con un reddito
massimo di due dollari al giorno. Sono dati della Banca Mondiale. Due terzi
dell’umanità vivono nella povertà. Il 20% della popolazione del mondo concentra
nelle sue mani l’80% della ricchezza industriale.
L’esempio più scandaloso è che 4 cittadini degli Stati Uniti possiedono,
insieme, una ricchezza superiore a quella di 42 Paesi del mondo con 600 milioni
di abitanti. Questo è il ritratto dell’attuale modello
di globalizzazione. Ma la globalizzazione è reale: il mondo si è trasformato in un
piccolo villaggio. E non ci sono muri che possano
impedire ai poveri di andare verso il mondo dei ricchi. L’11
settembre è un esempio. Mentre Bush pensava di
costruire uno scudo antimissili, un semplice aereo ha
fatto una strage che magari un missile non avrebbe prodotto. In verità oggi,
grazie a Bin Laden, il
mondo si trova sotto l’impero del terrore americano. Io credo che sia Bush a nascondere Bin Laden, perché se Bin Laden dovesse essere ucciso, finirebbe la festa di Bush. Perché Bin Laden ha reso un grande servizio a
Bush, così come ogni terrorismo rende sempre un
servizio alla destra.
Di fronte a questo panorama dobbiamo fare una scelta:
vogliamo costruire un mondo di consumatori come quello della televisione o di
cittadini? Dobbiamo scegliere: le due cose sono incompatibili. E poiché la
televisione opera in funzione del consumismo, sempre più ci viene
sottratta la nostra capacità di critica: e questo avviene attraverso l’offerta
sempre minore di cultura e sempre maggiore di intrattenimento. La cultura è tutto ciò che fa crescere il nostro spirito e la
nostra coscienza, l’intrattenimento è quello che parla ai nostri sensi. Se
passate una settimana senza vedere la televisione, perdete molto
poco; ma se passate molte ore davanti alla televisione è possibile che
ne risentiate negativamente: si abbasserà il vostro livello di autostima,
perché vedrete moltissime cose che non avete e vi sentirete meno felici di
quanto avreste potuto essere.
Gli Stati Uniti, il nemico della democrazia
In questa prospettiva noi dobbiamo pensare realmente a come trasformare questa globalizzazione in globalizzazione della solidarietà. La speranza passa per il Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre. Dobbiamo avere il coraggio di pensare ad un mondo diverso da questo. È importante che le persone capiscano che il Paese che più ha impedito lo sviluppo della democrazia nel mondo sono gli Stati Uniti. Tutti i colpi di Stato militari in America Latina sono stati patrocinati dalla Casa Bianca. Sapete perché non c’è una dittatura militare negli Stati Uniti? Perché a Washington non ci sono ambasciate americane! In America Latina stiamo vivendo un momento molto difficile, perché la Casa Bianca intende trasformare il continente in un’area di libero commercio. Questo vuol dire distruggere tutto il nostro sistema industriale, tutta la nostra produzione agricola e il nostro allevamento. Vuol dire rendere ufficialmente l’America Latina una colonia degli Stati Uniti. I russi sono entrati in Afghanistan e la Casa Bianca ha gridato, gli iracheni sono entrati in Kuwait e la Casa Bianca ha gridato, sapete bene cosa è successo nei Balcani e la Casa Bianca ha gridato. Ma gli Stati Uniti a metà del XIX secolo hanno rubato la metà del Messico e nessuno ha gridato, nel 1898 si sono impossessati di un intero Paese, Porto Rico, e nessuno ha gridato. I portoricani possono eleggere senatori e deputati per il Congresso americano. Gli eletti hanno diritto di parola, ma non di voto. Questa è la democrazia. Potete immaginare l’esistenza di una base cubana sulle coste della California? Però esiste una base militare a Cuba che serve anche come carcere per gli afghani. E nessuno grida. Per non parlare dell’embargo che gli Stati Uniti impongono a Cuba da più di 40 anni.
Unire
le forze delle società civili del Primo e del Terzo mondo
Ma sta sorgendo un movimento contro questo modello di globalizzazione. Una serie di forze della società civile,
movimenti religiosi, movimenti politici si stanno unendo nella ricerca di una
società futura. Per noi, in America Latina, questa ricerca passa quest’anno attraverso un atto politico molto importante: la
possibilità che Lula venga
eletto presidente del Brasile. Il Brasile è la decima economia del mondo.
Purtroppo non siamo solo campioni mondiali di calcio, siamo
anche campioni mondiali di disuguaglianza sociale. Ma il nostro è un Paese che
ha molto peso in America Latina e la possibilità che le forze popolari vincano
queste elezioni rappresenterebbe la speranza di un grande
cambiamento nell’intero continente. In questo momento non ci sono le condizioni
per un nuovo golpe militare. Le elezioni sono in ottobre e oggi Lula ha nei sondaggi il 40% delle preferenze degli
elettori, mentre il candidato che è al secondo posto è
al 21%. Ma è cominciato il terrorismo economico. Di
tutti i Paesi amministrati dal Fmi, nessuno ha
lasciato la miseria per la prosperità. La migliore alunna del Fmi, l’Argentina, è fallita. E ora dicono che se Lula verrà eletto il Brasile
finirà come l’Argentina. Noi non lo credia-mo. Il Brasile ha molte più risorse rispetto a
quelle che l’attuale governo sa amministrare, soprattutto contando sulle forze
interne, quelle stesse forze che sono riuscite ad allontanare il presidente Collor e hanno costruito in Brasile una grande rete di
movimenti popolari.
Questo lavoro che si sta facendo in America
Latina avrà successo solo se si sommerà al lavoro che voi fate qui. Il Primo
mondo non ha futuro senza il Terzo mondo, perché non si può creare un’isola di
benessere nel pianeta. Il Terzo mondo non ha futuro senza il Primo mondo. E quindi noi dobbiamo sviluppare sempre più una
collaborazione tra noi, trasformando la solidarietà in un nuovo progetto di
società e creando, all’interno di tutto questo, un uomo e una donna nuovi. Io
credo che saranno esseri umani profondamente spirituali, nel senso più profondo
ed ecumenico della parola. Persone che troveranno la loro
felicità e il significato della loro vita all’interno di se stesse e non nei
prodotti che consumano. E, allo steso tempo, persone
molto sensibili e solidali nei confronti di quelli che soffrono. L’uomo
e la donna nuovi dovranno insomma nascere dal matrimonio di santa Caterina da
Siena con Ernesto Che Guevara.
Frei Betto
Da Adista n.62 agosto 2002