REINVENTARE LA SOLIDARIETÀ NORD-SUD

di Jean-Marc Ela

 

Come "rifondare la solidarietà" - per riprendere l'espressione di P. Van Parijs - tra attori del Nord e del Sud in vista di stabilire un "contratto di generazioni" di fronte alle sfide della società di oggi e di domani? Tale è la questione alla quale noi vorremmo dare un tentativo di risposta nelle riflessioni che seguono. Per situare il soggetto che ci interessa, alcune constatazioni sono necessarie.

 

 

Il tempo delle esclusioni

 

Quello che ci colpisce innanzitutto è la necessità di ritornare sul tema che ci sembra fondamentale all'inizio del terzo millennio. Più che mai ci appare urgente ripensare in profondità ciò che significa vivere insieme in un mondo dalle molte facce. Dobbiamo riconoscere, per esempio, che la solidarietà tra le società e le culture esige il rispetto delle libertà senza frontiere. Questo suppone, evidentemente, di rivedere le pratiche che non permettono di mettere in opera la solidarietà nelle relazioni tra gli individui e i popoli.

 

Al riguardo, se si considerano i movimenti di popolo che foggiano i mutamenti attuali del mondo, ci si deve interrogare sulle condizioni di esercitare la solidarietà umana negli Stati che rischiano di legittimare rotture e separazioni con la chiusura delle frontiere. E questo, nello stesso momento in cui le società contemporanee ci spingono all'apertura, allo scambio, all'incontro e al riconoscimento delle differenze. Tale questione s'impone in un contesto dove, come si osserva da molti anni, i Paesi ricchi si barricano. Le politiche relative all'ingresso e al soggiorno degli stranieri in Occidente tendono a restringersi con lo sviluppo della crisi mondiale.

 

In effetti, se l'immigrazione a scopo economico vede alzarsi nuove barriere, l'esilio per motivi politici può sperare di essere trattato secondo altri criteri dai Paesi democratici poiché si tratta di un diritto la cui difesa solleva principi universali.

 

Lo dimostra il caso del diritto d'asilo in Europa essendo il controllo delle migrazioni diventato una priorità per gli Stati preoccupati dalla crescita del numero di domande d'asilo. Questa crisi del diritto d'asilo è lo specchio di una società che si chiude e si costruisce su un modello di sviluppo per il quale, in definitiva, i poveri sono di troppo. Si coglie qui una delle sfide della solidarietà tra le generazioni all'interno del processo di globalizzazione in corso.

 

Dobbiamo approfondire la riflessione sulle sfide comuni con le quali gli attori del Sud e del Nord si confrontano prendendo coscienza dei danni di quella che io chiamo "la civiltà dell'anti-fratello". Essa tende a costruirsi sulla base dell'esclusione a partire dalle pretese di universalità di un sistema che privilegia il "redditizio" a detrimento del "sociale".

 

Al di là delle disparità tra i ricchi e i poveri in un Paese e degli scarti tra il Nord e il Sud, conviene sottolineare l'ampiezza delle dinamiche della precarietà e dell'insicurezza all'opera in una economia che non può prosperare che sulla distruzione della società.

 

Osservando i volti degli uomini e delle donne segnati dalla disperazione, la stanchezza o la rivolta nelle società dove la crisi del lavoro fa vacillare i valori fondamentali che hanno mobilitato generazioni, si scopre "l'orrore economico" dell'"idolatria del mercato". Si tratta, nel profondo, di una religione secolare che, investendo tutti gli spazi della vita in società per sottometterli al regno del profitto, si fonda su dei sacrifici umani. Si constata l'ampiezza dei processi di violenza e di criminalizzazione propri dell'espansione del capitalismo che, come mostra opportunamente J-F. Bayart, "all'occasione sa essere un tantino immondo".

 

È quanto fanno venire in mente gli effetti perversi dei programmi di aggiustamento strutturale imposti dal FMI e dalla Banca Mondiale ai Paesi africani. Per forzare lo Stato ad abbandonare l'economia al settore privato, gli organismi finanziari internazionali utilizzano l'arma del debito in modo da distruggere il potenziale futuro di sviluppo attraverso la riduzione delle spese pubbliche per l'educazione e la sanità. Non è necessario insistere oltre sui meccanismi di povertà e di disoccupazione che colpiscono milioni di uomini e di donne in un continente senza speranza, dove giovani senza avvenire nei loro villaggi e nei loro quartieri sono tentati di espatriare nei Paesi del Nord. Esponendosi ad ogni rischio.

 

In questo contesto, ciò che ha portato a quello che poc'anzi chiamavamo "sviluppo" è stato abbandonato al profitto dell'aggiustamento strutturale, a dispetto dei discorsi sulla lotta contro la povertà che mascherano il cinismo delle istituzioni finanziarie internazionali. Il loro compito messianico è quello di condurre gli africani verso la Terra Promessa del Mercato, come suggerisce tutto il catechismo della Banca mondiale. Tutto accade come se bisognasse smantellare le strutture economiche locali, indebolire lo Stato e ridurre le politiche sociali, sanitarie ed educative per forzare l'integrazione dei Paesi del Sud nell'economia del mercato mondializzato.

 

È importante qui rilevare i processi che mostrano che le società del Sud si devono confrontare con la stessa logica e con problemi simili a quelli del Nord, nel momento in cui, con un sistema che non integra più ma rende vulnerabili diventando una vera macchina per l'esclusione, sei miliardi di esseri umani rischiano di perdere l'equilibrio nella giungla mondiale. È questa situazione grave che, ci sembra, costituisce una sfida alla solidarietà tra gli attori del cambiamento nel mondo di oggi e di domani. In effetti, si tratta di sapere come ricostruire il legame sociale nel momento in cui entriamo nel tempo delle esclusioni.

 

 

La resistenza delle società africane

 

In questa prospettiva, al di là delle immagini apocalittiche che si rinnovano, ci si può domandare se l'Africa non debba essere considerata come una miniera di risorse il cui scavo in profondità potrebbe arricchire il dibattito sulla ricerca di alternative alla violenza del mercato. Un certo numero di indicatori orienta la riflessione in questa direzione. Infatti, non si può trascurare il peso di esperienze individuali e collettive messe in atto nei Paesi africani, dove la gran maggioranza della popolazione ha conosciuto una vera regressione del suo potere d'acquisto e una forte riduzione dei livelli di vita rispetto a vent'anni fa.

 

Ciò che si impone all'attenzione è la capacità di mobilitazione delle società africane nell'elaborare delle "risposte alla crisi" sia nel contesto rurale che nei quartieri popolari di città in piena crescita. Non basta individuare i singoli aspetti di questa crisi che qui riguarda, a livelli diversi, numerose società. Bisogna anche constatare come essa conduca a ricomposizioni sociali, a ristrutturazioni economiche e all'emergere di nuovi comportamenti.

 

Ora, è incontestabile che le società africane hanno reagito in maniera sorprendente alle amputazioni che hanno accompagnato le misure tendenti a forzare lo Stato ad abbandonare l'economia alle forze del mercato. Dopo gli anni in cui gli obblighi economici hanno messo in questione le condizioni di sopravvivenza, mentre lo Stato ha rinunciato alla sua influenza, si sono manifestate in tutti i settori dinamiche impreviste e diffuse Si apre un vasto campo alla ricerca pluridisciplinare per inquadrare questo periodo di crisi scoprendo i modi di adattamento dei popoli sottomessi ad una diminuzione durevole del loro potere d'acquisto ed alla stagnazione del loro livello di vita.

 

La vitalità delle società africane sottoposte a drammi e sofferenze emerge qua e là, secondo percorsi originali e incerti, come si osserva nelle città che sono il luogo di risposte ricche di inventiva e multiformi all'urgenza del quotidiano. Dopo gli anni '70, gli esperti del BIT hanno saputo mettere in evidenza l'esistenza di un vasto settore informale giocando un ruolo maggiore nell'accoglienza degli immigrati: creazione di impiego, circolazione dei flussi monetari, costituzione di risparmio, ecc.

 

Come afferma M. Dijk, non si possono chiudere gli occhi sui nuovi attori di economie reali che fanno parte di una realtà ben presente dei Paesi del Sud. Nell'Africa nera, si tratta di "quei piccoli mestieri che, in un ambiente esuberante, offrono beni e servizi poco costosi e adatti alle realtà socioculturali e ai bisogni delle popolazioni. Queste imprese sono essenziali per stimolare la ricchezza collettiva. Permettono di realizzare entrate consistenti, di creare impieghi, di risolvere alcuni problemi di disoccupazione (...). Contribuiscono anche agli sforzi di sviluppo endogeno e autocentrato". Sicuramente le strategie di sopravvivenza non possono, da sole, risolvere i problemi di sviluppo che si iscrivono nelle dinamiche macro-economiche. Ma è evidente che, attraverso le capacità d'iniziativa e il potenziale di creatività dispiegato nei differenti settori, si vedono prendere forma le evoluzioni innovatrici di cui bisognerebbe valutare la portata.

 

 

Si può a tal fine, distinguere:

 

- evoluzioni ci comportamento: diversificazione dei modi di vita e di consumo, responsabilizzazione dei giovani e delle donne, tendenze all'investimento...

 

- la creazione di nuove strutture economiche e sociali attraverso diversi tipi di organizzazioni e di associazioni contadine, imprese agricole, tontine...

 

- l'impiego di nuove forme di divisone del lavoro: settore alimentare e piccolo commercio, artigianato, commercio regionale e frontaliero, lavoro a domicilio, multi-attività e crescita del tasso di attività femminile...

 

- l'emergere di una nuova generazione che si fa notare per il suo incontestabile spirito imprenditoriale e il senso degli affari.

 

Comunque lo si veda, il fallimento di un modello unico di sviluppo non deve nasconderci i cambiamenti importanti e i nuovi dinamismi comparsi in numerosi Paesi del Sud. All'origine di questi dinamismi, troviamo attori il cui emergere contribuisce alla riconfigurazione dei processi istituzionali nella misura in cui sono suscettibili di esercitare un'influenza sulla vita economica, sul mercato del lavoro, sulle nuove forme di organizzazione, di ridistribuzione dei redditi, sulla costituzione di poteri locali e sul processo di decentralizzazione.

 

Non possiamo ignorare oggi:

- l'auto-organizzazione delle comunità contadine

- i movimenti sociali nei quartieri urbani

- i piccoli imprenditori di città

- i creatori e i responsabili di imprese

- le comunità di ricercatori

- gli animatori sociali e culturali

- gli opinion leaders

- i sindacati e i diversi movimenti di difesa dei diritti dell'uomo e dell'ambiente

- gli scrittori e gli artisti

- i movimenti di giovani e di donne.

 

Tutto avviene come se assistessimo alla rivincita delle società nei Paesi dove i dinamismi interni sono stati troppo a lungo soffocati dallo Stato che ha fatto della violenza un metodo di governo. In differenti Paesi sono in gestazione dei veri contro-poteri. Si tratta di nuovi attori politici dei quali bisogna tener conto. A dispetto degli ostacoli sulla strada della democrazia si ai aprono delle brecce: spazi di parola, di iniziativa e di creatività sono segni innegabili dei cambiamenti in Africa.

 

Qui l'attenzione va posta sul fatto che la maggior parte degli attori di questi cambiamenti affidano alle loro risorse e alle loro culture i mezzi per sopravvivere e per vivere meglio. Non si tratta solo di competenze endogene di cui ci si riappropria in differenti settori di attività. Si tratta anche di logiche d'azione e di organizzazione che sostengono numerose iniziative prese dagli uomini e dalle donne per la creazione di piccole imprese. È sufficiente ricordare la rinascita del movimento associativo in un contesto dove, a dispetto dei processi di individualizzazione accelerata dall'urbanizzazione e dalla scolarizzazione, l'Africa del parentado è il luogo delle resistenze alla tirannia del mercato. Nei Paesi devastati dalle politiche di aggiustamento strutturale, i manager della strada o del quartiere riscoprono l'importanza delle reti sociali. "La nostra banca sono le nostre relazioni", dicono le donne di Dakar interpellate da Emmanuel S. Dione.

 

Nella misura in cui l'autonomia non può essere pensata al di fuori da una solidarietà negoziata con la comunità, le società africane hanno preso coscienza della necessità di rinventare la tradizione per trovare una soluzione di ricambio alla strutturazione di una economia barbara che si costruisce sulle rovine della società. Al di là del "cavarsela", la portata di queste tradizioni popolari è tale che sono forme concrete di una socio-economia radicata nelle culture del territorio. Come mostra il fenomeno delle tontine, per gli africani l'accesso alla modernità non è incompatibile con l'articolazione di due elementi: denaro e parentado. Le forme di creatività che si dispiegano in questo spirito si traducono in esperienze di uno sviluppo solidale di cui bisogna saggiare la pertinenza in un contesto dove la resistenza s'impone alla pretesa di universalità di un sistema fondato su una "cultura di morte" (J-M. Ela, 1998).

 

 

Ascolto dell'altro

 

Queste osservazioni chiariscono i termini del nuovo rapporto tra il Nord e il Sud nel mondo che verrà. Considerando quello che avviene nell'Africa subsahariana - dove, di fronte alla crisi, appaiono nuove situazioni sociali che si aggiungono alle antiche forme sociali - si è tentati di porre alcune domande. Si può rompere il consenso alle credenze neoliberiste, che marciano su logiche di esclusione imposte all'insieme del pianeta, senza interrogarsi sulla "capacità storica di indocilità" (A. Mbembe, 1989) delle società africane? Le quali, a partire dagli attori di base, aprono in effetti la strada a un contro-modello di sviluppo da cui potrebbe trarre profitto il resto del mondo. Dove trovare progetti pilota che diano senso e speranza agli sforzi di sopravvivenza di masse escluse qui come altrove? Quali solidarietà creare fra gli attori del Sud e del Nord di fronte agli stessi aggiustamenti strutturali, alle stesse politiche asociali? In breve, come resistere alla strutturazione del mondo sulla base della violenza economica e dell'esclusione?

 

È attorno a queste sfide che dobbiamo definire quello che qui chiamiamo "contratto di generazione". Questo contratto concerne i nuovi attori del Nord e del Sud nel senso di mobilitare le loro capacità di iniziativa, di creatività e di invenzione in vista di ricercare alternative a un modello di sviluppo che rischia di trasformare le nostre società in una sorta di giungla dove i più forti eliminano i più deboli. Questo contratto implica anche trovare delle risposte nuove ai problemi di medio e lungo termine. Le sfide da considerare impongono un'attenzione durevole perché le nuove generazioni siano socializzate da un altro modo di vedere il mondo, di pensare e di vivere in rottura con i dogmi che ci rinchiudono nella dittatura dell'immediato. Si tratta di imparare a guardare lontano e in profondità, contrariamente a quello che capita oggi quando, pur di aumentare i profitti, il mondo degli affari non esita a creare disoccupazione e inquinamento senza alcuna preoccupazione del "nostro avvenire di tutti".

 

Di fronte alle sfide che ci mettono alla prova, non basta denunciare gli effetti e gli abusi di un sistema la cui perversità è evidente da anni. Sembra urgente ricentrare lo sviluppo su alcuni valori dimenticati. A questo riguardo, per agire nel cuore della Bestia, sembra utile restare in ascolto dell'Africa che sa investire le scaltrezze della sua intelligenza per dissociare lo "sviluppo" dal "progetto neoliberista". Tale è, in effetti, il senso di queste pratiche "devianti" che ricordano che c'è un altro modo di vedere il mondo e di vivere rispetto al modello di economia e di società che imprigiona gli esseri umani nell'universo delle cose e nella tirannia dell'istante.

 

La sfida delle esperienze popolari, dove si inventa un altro sviluppo, è la restituzione delle società dove le persone acquistano un senso. A questo livello, la relazione Nord-Sud assume un'altra dimensione. Forse non si tratta più di fare un tot di cose con e per la gente. Quello che importa è il rimettere in questione se stessi a partire dall'ascolto dell'altro. Al di là di azioni d'urgenza legate ad interventi umanitari, un tale approccio suppone un nuovo spirito che differisce dalle antiche strategie di assistenza. Più che il decentramento e la deburocratizzazione delle iniziative miranti a privilegiare e a promuovere esperienze di prossimità e di immersione in un gruppo di base, si tratta di comprendere che le persone, quelle "povere", sono attori di cui bisogna considerare le logiche, le strategie e i sistemi di riferimento.

 

L'impegno a favore di una popolazione del Sud necessita dell'applicazione di una "antropologia della soggettività" che permetta di vedere come questa popolazione si organizza per affrontare le sfide del suo ambiente a partire dai suoi modi di essere, di pensare e di fare. Sul terreno dell'operatività, nessuna azione di vasta portata può essere fatta senza inscriverla in una storia dello sviluppo che parta dalle "dinamiche del di dentro". Se la solidarietà non esige la distribuzione di ricette magiche, tutto si gioca allora sul rafforzamento delle capacità imprenditoriali degli attori locali.

 

Senza dubbio, gli strumenti e i saperi prodotti dal Nord tornano utili ai Paesi del Sud per "addomesticare" la modernità a partire da ciò che ha senso nel loro modo di vivere. Allo stesso tempo, prendiamo coscienza del rischio di scimmiottare l'Occidente e di riprodurre le sue contraddizioni. Per quanto riguarda il Nord, dopo essere stato a lungo un dispensatore di lezioni, forse deve imparare a scoprire quello che gli altri hanno da dirgli di valido. Questo comporta una straordinaria capacità di ascolto e di modestia. Forse deve passare per questa strada per ritrovare le sue radici e la sua memoria. Una cosa sembra certa: senza tamburo né tam-tam, le alternative si elaborano nei luoghi di lotta e di resistenza dove poveri e oppressi alzano la testa. La solidarietà si attualizza nei luoghi dove bisogna risvegliare la speranza degli uomini e delle donne lasciati ai margini del mondo.

 

A tale riguardo, sembra importante allargare la problematica dei movimenti sociali dei Paesi del Nord integrandovi le sfide dei Paesi del Sud. Perché, in un certo senso, i problemi di questi Paesi si inscrivono nel vissuto quotidiano e mettono in gioco le politiche dei Paesi del Nord. Pensiamo qui al sostegno alle dittature africane da parte di gruppi mafiosi occidentali. Bisogna anche richiamare l'impatto ambientale delle imprese del Nord e delle società multinazionali in espansione nel quadro della privatizzazione e della liberalizzazione economica.

 

 

Riabilitare la politica

 

Di fronte alle sfide, si rende evidente la necessità e l'urgenza di riabilitare la politica e di riconquistare la cittadinanza in un contesto mondiale dove i dirigenti politici hanno la tendenza a diventare portavoce ed esecutori del mondo finanziario la cui crescita di potere non ha cessato di estendersi imponendo alla società scelte segnate dall'attrattiva del lucro. In questa prospettiva, ricollocare le sfide del rapporto Nord-Sud nello spazio comune che si è visto, implica l'emergere di una cultura della cittadinanza, se si vuole raggiungere l'insieme delle istituzioni e delle strutture dove l'esercizio della cittadinanza è in gioco e deve mettere in causa i meccanismi che sono oggi all'origine di drammi umani e sociali.

 

Questa dinamica non può essere assunta che da attori che ritrovano la forza sovversiva dei valori "maledetti". Questi valori ci spingono più che mai a trasgredire l'ordine delle cose che si vuole imporre all'umanità come una fatalità. Per ricostruire il legame sociale e "invertire il corso della storia", dobbiamo ritrovare tutte le nostre capacità di dissidenza di fronte all'arroganza del modello trionfante. In un mondo dove tutto è merce, compresi gli esseri umani, questo significa, come reclama già Polanyi, "risituare l'economia nella società". Tale è, all'alba del nuovo secolo, la sfida maggiore che obbliga le nuove generazioni a ridefinirsi ricordando il motto celebre di Cheikh Hamidou Kane: "Ogni ora che passa apporta un supplemento di fuoco al crogiolo dove fonde il mondo. Non abbiamo avuto lo stesso passato, voi e noi, ma avremo lo stesso avvenire, rigorosamente. L'èra dei destini singolari è tramontata".

 

 

Adista n.16 26-02-2001