INTERVISTA A

 

JEAN FABRE

direttore dell'UNDP (Programma delle Nazioni Unite per Io Sviluppo)

 

Durante i lavori dell'Assemblea dell'ONU dei Popoli, lei ha fatto diversi interventi dai toni esplicitamente chiarificatori. Ritiene che tra i partecipanti ci sia una certa ignoran­za sui temi economici e sociali che sono sta­ti affrontati.

In alcuni casi, forse si, ma d'altronde non credo che sia necessaria una conoscenza accurata dell'economia per poter trattare certi problemi. Questa gente può avvalersi della loro esperien­za di operatori sul campo. Il punto veramente centrale non è la conoscenza e lo studio dei fe­nomeni, quanto la reale capacità di incidere e di trascinare il potere politico sulle proprie, le­gittime, posizioni.

Molti paesi della terra hanno un grande stru­mento per fare questo: la democrazia. Ma biso­gna farla funzionare bene, usare i suoi mecca­nismi tecnici per produrre risultati politici capa­ci di migliorare la vita della gente.

 

Nel suo discorso di presentazione del primo giorno di lavori, ha detto che negli ultimi anni, in media, il mondo ha migliorato diversi stan­dard di vita: dalla scolarizzazione alla speran­za di vita, dal reddito pro capite all'assistenza sanitaria. Alcuni cittadini angolani e sudanesi hanno però detto che così si rischia di dimen­ticare alcune dolorose eccezioni, come per esempio i loro paesi.

Non è vero che i loro paesi sono delle ecce­zioni a questi trend mediamente positivi. Cer­to ci sono eccezioni, ma non lo sono ne l'An­gola ne il Sudan. I dati in nostro possesso so­no attendibili e dicono cose diverse da quanto affermato da questi signori. Mi pare che tal­volta può crearsi un rapporto distorto e inge­neroso con le buone notizie: il fatto che abbia detto che in media ci sono stati dei migliora­menti, non significa che questo sia accaduto ovunque, ne tanto meno che tutto ora vada già benissimo.

Mi premeva precisare che qualcosa di buono sia­mo riusciti a farlo. Siamo riusciti a farlo spesso in condizioni politiche molto difficili e con risor­se finanziarie inferiori a quanto necessario.

Immaginatevi cosa saremmo capaci di fare se cambiassero il modo di governare e le scelte prioritarie dei paesi ricchi. Nei nostri rapporti, non è comunque stato mai dimenticato la so­stanza del problema universale: un uomo su cin­que è stato completamente dimenticato dallo svi­luppo planetario.

L’esperienza del nostro lavoro di questi ultimi anni, trasmette un messaggio che non deve in alcun modo essere trascurato: rendiamoci conto del potenziale che , nelle istituzioni che già oggi sono operanti, possiamo migliorare ancora molto e non è giusto pensare che tutto sta peggiorando.

 

Lei prima ha parlato dell'importanza della de­mocrazia. Eppure la mancanza di democrazia interna è considerato uno dei principali proble­mi dell'ONU.

Noi dobbiamo chiederci chi è l'ONU. E’ un grup­po di persone potentissime e inarrivabili? Op­pure è un gruppo di persone che non ha alcun potere sul mondo reale dei governi e delle rela­zioni internazionali? Oppure ancora in esso so­no rappresentati i governi del mondo? Nel caso di quest'ultima   ipotesi, vuol   dire che all'ONU ci sono dei referenti di quei governi legittimamente  eletti attraverso elezioni libere e democratiche, per lo meno dove queste sono possibili, ovviamente. L'ONU quindi è ciò che i nostri governi vogliono che sia. E se il suo modo di essere non ci piace,  allora dobbiamo dirlo ai nostri governanti. La vera domanda quindi è "come posso controllare  il mio rappresentante?”.

Siete a conoscenza delle posizioni assunte dai  vostri ambasciatori all'ONU? Avete verificato che gli impegni presi in passato sono sta­ti poi rispettati? 

È spaventoso pen­sare che in un regime democratico il governo da delle decisioni in nome e all'insaputa del popolo.

Il cambiamento  dell'ONU non de­ve avvenire a  New York, ma nei parlamenti nazionali. E deve av­venire, in generale, nel modo che i cittadini hanno di rapportarsi alla politica  globale. Quando mi viene chiesto  di parlare di que­sto   argomento  cerco sempre di spiegare che in  democrazia   il problema non sono mai solo gli altri, il problema  è sempre un po' anche in me.

I problemi del nostro tempo sono troppo importanti  per lasciarli decidere ad altri. Non deve essere   data   carta bianca ne ai burocrati ne ai politici. La società civile deve intensificare la propria opera di controllo  sui propri rappresentanti: la     democrazia dà ad essa questo  compito.

 

In questo mancato  controllo po­polare, qual'è la responsabilità dei mezzi di informazione?

La stampa è lo specchio della so­cietà in cui vive. Non si può solo affermare, che la stampa pubblica unicamente ciò che fa  vendere, per­ché i lettori leggono            anche solo ciò li interessa. Le responsabilità devono essere equamente condivise. Oggi poi Internet costituisce un buon modo di informarsi aggirando le inevitabili selezioni e censure operate dal giornalismo.

 

Da TERRA DI NESSUNO sett-ott.01