IL CONTAGIO VIENE DAL SUD
Le peripezie del Fmi ( e dintorni)
di Maurizio DONATO
Le istituzioni finanziarie
internazionali
Tra le istituzioni
finanziarie internazionali che si occupano quotidianamente dei possibili esiti
della crisi un ruolo di primo piano è certamente svolto dal Fondo monetario
internazionale che proprio in queste settimane sta scegliendo il nuovo
presidente tra alcune selezionatissime candidature tra cui spicca quella
dell'attuale direttore generale, l'economista statunitense Stanley Fischer. Un
recente articolo di quest' ultimo [S. Fischer, Reforming the international
financial system, in the Economic journal, nov.1999] può contribuire a chiarire
quale sia l'attuale "Washington consensus" riguardo al giudizio sulla
crisi e sull'operato delle principali agenzie economiche internazionali.
Le due questioni al centro
dell'interesse del Fondo sono la volatilità dei flussi di capitale verso i
mercati dei paesi "emergenti" e il pericolo di "contagio"
dell'intero sistema economico internazionale. Come si vede già
dall'impostazione metodologica il messaggio è chiaro: il problema non sta nel
"centro" ma nella "periferia" del sistema, con dei bravi
lanciatori di palle da baseball che abbisognerebbero di ricevitori più
all’altezza della situazione, ma tant'è. Ora, la volatilità dei flussi di
capitale è un fenomeno noto e abbastanza chiarito [anche sulle pagine di questa
rivista]: quando le condizioni di profittabilità dei mercati dei paesi
imperialisti dominanti peggiorano, gli speculatori si riversano in massa su
qualche paese "emergente" (negli ultimi tempi emerge, la Turchia, ad
esempio) salvo scapparne rapidamente non appena i mercati deI centro riprendano
ad assicurare rendimenti sostanziosi.
In un contesto sempre
più interdipendente, "globalizzato" come si dice, ovvio che le
tensioni scaricate sui mercati da cui si scappa tendano, a seconda del grado di
integrazione, a ripercuotersi su paesi e mercati diversi, e questo è il
contagio. Ma, come nota cinicamente Fischer, "there is typically method in
the mddness" , ossia c'è del metodo nella pazzia, nel senso che - guarda
un po' - il contagio normalmente colpisce più le economie deboli che quelle
forti, sicché conviene avere economie forti, oppure ti fotti. D'altra parte,
annota Fischer, il Fondo e le altre istituzioni cercheranno di fare il
possibile per prevenire le crisi, ma "nondimeno la crisi inevitabilmente
scoppierà", e allora il vero problema non é tanto quello di prevenire, ma
di gestire le crisi prossime venture. Proprio come pensavamo noi.
Che cosa possono anzi
debbono fare i paesi "emergenti" per cercare di prevenire non tanto
la crisi, che abbiamo visto giudicata inevitabile, ma per evitare di
"contagiare" i sani paesi del centro del mondo? II dogma neoliberista
monetarista ripete per l'ennesima volta le sue litanie: impostare buone
politiche rnacroeconomiche con particolare attenzione alla scelta del sistema
di tassi di cambio, aumentare l'informazione a disposizione degli
investitori-speculatori-creditori, rafforzare il sistema bancario e quello
finanziario più in generale, rafforzare gli strumenti del diritto commerciale
ivi comprese eventuali leggi per bancarotte e fallimenti, occuparsi dei
potenziali effetti negativi dei flussi di capitale. Ancora una volta, come
sempre, il Fondo rifiuta ogni minimo elemento autocritico sul fallimento delle
proprie politiche e insiste da un lato nel non prendere assolutamente in
considerazione gli effetti che la volatilità dei movimenti di capitale hanno
avuto ed avranno sui settori più poveri e meno protetti delle popolazioni, ma
anzi ribadisce il proprio ruolo di vera e propria centrale della politica del comando indicando quali regimi
di cambio siano da considerare più esposti al rischio di contagio finanziario
internazionale, facendo notare come l'ultima ondata della crisi abbia colpito
di più paesi con tassi di cambio fissi o agganciati al dollaro (Thailandia,
Korea, Indonesia, Russia, Brasile) e meno paesi con cambi flessibili (Messico,
Sud Africa, Turchia).
In realtà quella che ora viene
considerata - ex post - una scelta sbagliata, quella di tenere agganciata la
propria valuta nazionale a una moneta di riserva come il dollaro, era stata
riconosciuta a suo tempo come una delle componenti fondamentali di quel
"miracolo sud est asiatico" su cui lo stesso Fondo ha speso pagine e
pagine di elogi e incoraggiamenti ad andare avanti. Cambi flessibili, dunque e
rafforzamento del sistema bancario, che non significa solo o tanto
regolamentazioni e supervisione, che - si sa - sono un optional, quanto
piuttosto e soprattutto concorrenza, più chiaramente apertura dei sistemi
finanziari locali alle grandi banche straniere, come stanno virtuosamente
sperimentando i paesi dell'America latina.
Il terzo "consiglio" del
Fondo, dopo una rituale richiesta di maggiore e migliore informazione sui
propri conti da parte dei paesi "emergenti", facendo riferimento alla
recente crisi asiatica, porta dritti dritti ad affrontare la questione che più
sta a cuore alle istituzioni economiche internazionali, la cosiddetta corporate
governance, che a noi suona "neocorporativismo", e che in questo
caso indica il governo delle imprese nel senso
di capitale finanziario. Secondo il Fondo un elemento che emerge dalla
crisi asiatica é che, in quel particolare contesto, le banche creditrici
avevano tutto l' interesse a prestare fondi anche oltre il necessario in quanto
avevano dietro i governi locali a sostenerle. Diverso sarebbe il caso per le
imprese indebitate, le quali potrebbero giovarsi di un rinnovato e più efficace
sistema di leggi e procedure che regolasse fallimenti e bancarotte.
A parte altre considerazioni,
schierarsi contro il modello di indebitamento nei confronti delle banche (il
cosiddetto capitalismo renano, adottato anche da alcuni paesi ex estasiati-ci)
vuol dire implicitamente spezzare una lancia a favore del modello capitalistico
anglosassone, più orientato nel senso della borsa. Ma che si tratti solo di due
facce di una stessa medaglia lo rivela il caso della crisi asiatica, in cui il
boom dei profitti coincideva non solo con quello dei debiti-crediti, ma anche
con quello delle borse. Prima del tonfo dell'estate '97, praticamente in tutti
i mercati estasiati-ci, il rapporto pricelearning, ossia il rapporto tra il
prezzo delle azioni e il valore della società quotata, era assolutamente da
bolla: 27,5 a Manila (crollato a 12 'in cinque mesi, 19,4 a Giacarta (12), 26,4
a Kuala Lumpur (12), 23,5 a Singapore ( l 7) e 12 a Bangkok (6).
D'altronde che indebitarsi con le
banche piuttosto che col "mercato" non faccia una gran differenza è
testimoniato dalla mitica Microsoft, probabilmente la più ricca compagnia al
mondo, che mentre raccoglie soldi in borsa esibisce un rapporto di leva sui
debiti pari a 1:19. Infine, il Fondo sembra dispensare un "consiglio"
ai governanti dei paesi che "ospitano temporaneamente" flussi di
capitali. Saggezza infinita. Visto che lo sapete che i capitali stranieri sono
volatili, prima che si volatilizzino del tutto, accumulate riserve di valuta,
che vi potranno essere utili, perché "i paesi che avevano riserve di
valuta maggiori sono usciti dalla crisi meglio di quelli che ne avevano
poche". Un'alternativa consiste nel prendere esempio dall'Argentina e,
come dire, "assicurarsi" con "linee di credito precauzionali"
possibilmente da banche privatizzate. in ogni caso, anche il Fmi ha aperto
recentemente una sua nuova linea di prodotto denominata Contingent credit line,
che è a disposizione.
I compiti dei paesi dominanti
Controllo dei capitali? Lo sta
facendo la Malaysía con l'appoggio di eminenti cattedratici, sfotte Fischer, ma
sfortunatamente senza altra compagnia apprezzabile, per cui il Fmi ribadisce la
dottrina ortodossa: rimozione di qualsiasi controllo sul capitale. Comunque si,
distingue: c'è flusso e flusso; per i flussi in entrata di investimenti
diretti, di controlli non se ne parla nemmeno, per quelli più speculativi, a
breve, il Fmi "riconosce gli inconvenienti" e ne sostiene il
controllo ... da parte del mercato.
La differenza tra un normale elenco di "consigli" da
parte di una agenzia internazionale e la brutalità dei diktat emerge quando si
passa a considerare quali misure è possibile adottare per
"incoraggiare" i paesi “emergenti" ad aderire alla strategia del
Fondo. La casa migliore, nota Fischer con stile anglosassone, sarebbe che i
paesi si convincessero da soli che quello che facciamo è nel loro interesse;
comunque, è meglio adottare standard internazionali che vincolino i paesi
membri e per finire, en passant, facciamo che la nuova Contingent credit line
la ottenga solo chi si adegua subito. A titolo personale, Mr.Fischer confessa:
sarebbe un incentivo importante per l'adozione di queste misure se le
condizioni di debito-credito estero (future) dipendessero da quanto paesi e
imprese le applichino.
Democrazia a (misura di) fondo.
Anche se - ovviamente - non hanno
alcuna responsabilità circa la crisi, i paesi più importanti devono fare la
loro parte, ed è dunque giusto che pure per loro il Fmi elenchi una serie di
compiti a casa. Primo, dobbiamo prosperare, perché se non prosperano i paesi
più forti, è tutto il mondo che non cresce. Secondo dobbiamo rafforzare i
nostri sistemi finanziari, e particolarmente quelli bancari. A proposito, le
misure del Fondo, coI loro trattamento preferenziale accordato alle linee di
credito interbancarie a breve termine pare che abbiano accentuato quella
volatilità nel movimento di capitali di cui stiamo parlando, rendendo per le
banche più profittevole prestare a breve che a lungo termine. Ma no?! È che
molte banche "altamente rispettabili" pare abbiano perso un po' di
denaro (nel senso di mancati maggiori profitti, si intende) nella fase russa
della crisi e - di nuovo – il0 contagio, questa volta esteuropeo, ha colpito di
più chi più si era indebitato sulla piazza rossa. A questo proposito S. Fischer
sostiene che bisognerà inventare qualcosa ad hoc, non per risarcire i cittadini
russi o albanesi fregati dalle mafie finanziarie finanziate dal Fondo, ma per
quelle "istituzioni fortemente indebitate" (Hli's) che non sono iI
governo di Addis Abeba o la municipalità di Oventic ma i fondi tipo Long
term capital management. Ricordate la vicenda Ltcm? Fondo
strasicuro, Fondo raccomandato a fondo e fondato da tre premi Nobel per
l'economia. Ci mettevano fondi tutti i migliori, la crème de la crème, compresa
Bankitalia. Affondato. Come potrebbero affondare le nostre pensioni se i
lavoratori dessero credito agli ottimi e spassionati consigli del Fondo e dei
suoi adepti nostrani. E per fortuna finora nessuno li sta a sentire.
Il Fondo vuole affrontare la questione
dei "fondi chiusi" (hedge funds)? È il momento di fare più chiarezza
sui potenziali gestori delle nostre pensioni? Purtroppo no, perché, spiega il
Fondo, stanno tutti "domiciliati" nei paradisi fiscali e a noi non ci
pensano neanche. Però da aprile `99 è
stato costituito un nuovo Financial stability forum - con tre membri per
ciascun paese G7,. Fmi, Banca mondiale, Banca dei regolamenti internazionali e
altre istituzioni - che alla prima riunione ha deciso di costituire tre gruppi
di lavoro che hanno già cominciato ad occuparsi di: Hli's, paradisi fiscali,
flussi di capitale a breve.
Controllo dell'informazione e
condizionalità
Tanto per restare in tema, tra le
misure che il comando del capitale sta approntando nel tentativo di favorire
una certa gestione della crisi, alcune riguardano le procedure di informazione
e controllo sui movimenti del capitale. Non c'è dubbio che i mercati dei paesi
dominati offrano da questo punto di vista maggiore incertezza in quanto ad
affidabilità dei dati in circolazione, e per questo motivo il Fondo ha chiesto
ai paesi membri di sottoscrivere uno Special data dissemination standard
che dovrebbe servire ad omogeneizzare le
procedure di raccolta ed elaborazione dell'informazione economicamente
rilevante per gli imprenditori-creditori-speculatori, oltre a quella già
normalmente fornita da enti come l'Eurocurrency standard committee o la
ricordata Bri che stanno a loro volta riorganizzando i propri servizi per far
fronte all'aumentata velocità di circolazione dei capitali. Solo per fare un
esempio, fino a pochissima tempo fa la suddetta Bri forniva i dati sui
movimenti internazionali di capitale a breve solo due volte l'anno, dunque con
un intervallo di tempo oggi considerato troppo lungo per prendere decisioni
rapide e accurate.
Per quanto riguarda invece
l'informazione non privata, ossia la pubblicità delle sue attività, a
tutt'oggi, per lo statuto del Fondo, si esplica fondamentalmente attraverso la
consultazione annuale (Articolo IV) con ciascun stato membro sullo stato di
salute della economia nazionale. Piccolo particolare, i rapporti su queste
consultazioni non sono pubblici, né il Fondo medita di renderli tali, ci
mancherebbe; solo, da due anni a questa parte, il Fondo pubblica degli estratti
di tali rapporti, le Public information notices, di cui comunque il paese
membro può impedire la pubblicazione. Ora il Fondo, che è ovviamente
un'istituzione democratica, responsabile e dunque riformabile, vorrebbe tanto poter
pubblicare integralmente i propri "consigli" sulle pensioni, sulle
privatizzazioni, sulle liberalizzazioni, ma a non volerlo sono quei fetentoni
dei paesi non-industrializzati (subito retrocessi da emergenti che erano) che
chiaramente hanno paura di essere pubblicamente sputtanati dai saggi dirigenti
del Fmi.
Informazione, sorveglianza,
controllo: alla fin fine, siccome sanno bene chi sono i loro polli, tutta la
grande nuova strategia del Fmi per preparare la gestione della crisi consiste
nella famosa nuova linea di prodotto Ccl, presentata sul mercato nella
collezione primavera dello scorso anno e che significa: se ti vuoi assicurare
contro la prossima crisi ventura, vieni a provare Ia nuova fiammante Contingent
credit line, ma, attenzione! si tratta di un prodotto riservato solo a quei
paesi con i conti così a posto, un debito estero ben gestito, "le cui
politiche sona generalmente buone", che hanno aderito agli standard
internazionali e che hanno pure cercato linee di credito nel settore privato:
ma che, a questo punto, se stanno così bene non si capisce come e perché vadano
in crisi.
Per chi ne avesse i requisiti, le
linee di credito diventeranno automaticamente disponibili nel caso in cui il
paese è affected by contagion. In effetti, il Fmi aveva già lanciato sul
mercato, subito dopo lo scoppio dell'estasia, una linea chiamata Supplementary
reserve facility [Srf], in cui l'elemento di condizionalità nei prestiti, tante
volte criticato dai movimenti di opposizione, era esplicito come non mai. Anche
la Ccl è altamente condizionale, con la differenza che questi non sona prestiti
post-crisi, ma pre-crisi. Il Fondo ha pure preso in considerazione altre
possibilità, per esempio quella di fornire garanzie, da parte di banche di
sviluppo multilaterali, in grado di favorire l'accesso di alcuni paesi ai
mercati finanziari internazionali. È quanto ha fatto la Banca mondiale per i
paesi asiatici, ma non può diventare la regola, ammonisce il severo Fischer,
soprattutto quando non sembra sussistere un problema di scarsità di capitali.
Quanto sia fondato il paradosso
secondo cui i capitalisti sono oggi più "marxisti" di tanta sinistra
è rivelato da uno dei passaggi più espliciti deI documento che stiamo
commentando [a mo' di editoriale rovesciato]. Si può cercare di rendere i
movimenti di capitale meno volatili e tentare di riportare i prezzi delle
azioni a livelli più ragionevoli, ma in ogni caso, "per quanto il sistema
internazionale possa funzionare bene, la crisi inevitabilmente scoppierà. E noi
dobbiamo rafforzare la capacità dei paesi membri e dell'intero sistema di
gestire la crisi".
Il rischio mor(t)ale
La parte principale spetta ai
governi, che non possono pensare di farla franca così facilmente facendo gli
sciattoni a tutto spiano per bassi motivi elettorali e poi, quando la crisi
scoppia, venire a piangere dal Fondo. Comunque, tanto per ricordare la
dottrina, Fischer ripete il comandamento # 1: quando scoppia la crisi, per
prima cosa aumentate i tassi di interesse; e, se i tassi di cambio sono flessibili,
comandamento #2: lasciate svalutare la moneta; e, per concludere #3: una
politica fiscale più restrittiva non guasta. Per quanto riguarda i
finanziamenti pubblici, la cosa migliore sarebbe che un piano lo aveste fatto
da voi; se proprio non ne siete capaci, il Fondo vedrà che cosa può fare.
Ovviamente tutta dipende dalla credibilità dei governi: per alcuni di loro,
quelli che non vogliono o non sono capaci di intraprendere le politiche targate
Fmi, niente da fare; per chi si mostrerà volenteroso, prima deve dare prova, e
poi si potrà ragionare.
Ma veniamo al vero punto dolente
della faccenda: le eventuali perdite del settore privato, ossia come ti
assicuro il capitale. Esiste un'ampia letteratura economica che si è occupata
per anni dei problemi relativi al cosiddetto moral hazard (rischio o azzardo
"morale"), tipica situazione di chi, essendo assicurato, tende a
comportarsi in maniera più rischiosa di quanto non farebbe in una situazione
normale. Non si parla in questo caso di semplici automobilisti che potrebbero
avere meno cura di usare l'antifurto . sentendosi assicurati contro questa
eventualità, ma di investitori che, se passasse la tesi del Fmi come
"garante di ultima istanza", avrebbero praticamente risolto in
anticipo tutti i loro problemi, scaricando direttamente sulla collettività il
costo di ogni operazione.
Ora, in inglese bail
significa cauzione, ed il Fondo deplora che i propri strumenti di prestito
siano confusi con una sorta di in-debito aiuto agli investitori, giacché la
politica del Fondo non consiste mica nell'assicurare i creditori ma -- come
tutti sanno - nell'aiutare i paesi in crisi. E sapete qual è Ia prova, che
quest'ultima è Ia vera natura del Fmi? II fatto che molti investitori, nelle
ultime tappe della crisi, hanno effettivamente perso quattrini; comunque -
sostiene Fischer' - l'argomento del rischio morale è certamente valido, ma
ancora più stringente appare l'evidenza che oggigiorno i flussi di capitale
sono diventati cosi enormi che il settore pubblico non ha risorse a sufficienza
da coprire - tutti - i debiti del settore privato, e dunque bisogna trovare
qualche altra soluzione.
Durante la crisi del debito degli
anni `80, il Fondo decise di non intervenire fino a che una massa di
finanziamenti fosse ancora disponibile da parte delle banche commerciali. Gli
attori in questione erano in quel caso i paesi latino americani e il risultato
di quella scelta del Fondo fu un peggioramento drastico nella forza
contrattuale di paesi che dovettero in seguito sottostare alla "dittatura
di Washington" espressa nei
termini del "piano Brady". Le banche private avranno un ruolo
cruciale anche nei prossimi episodi della crisi, ma il Fmi nota che
"obbligare" le banche a condividere il peso di un possibile
intervento potrebbe avere effetti "destabilizzanti" sul sistema
finanziario internazionale..
Allora, nessun obbligo, per carità.
Piuttosto si potrebbe fare come in Brasile, il cui governo, durante la
primavera del `99, ha stipulato un accordo con le banche creditrici in base al
quale gli istituti di credito hanno deciso "volontariamente" di
mantenere la loro esposizione. Qualcosa del genere era già successo verso la
fine del `98 in Ucraina, dove i maggiori creditori accettarono di convertire i
titoli la cui maturità era in scadenza con nuovi titoli, e in Romania. Il
meccanismo della modifica della maturità dei titoli deI debito pubblico è stato
in realtà ufficialmente proposto nel caso della crisi messicana, e in
quell'occasione alcuni paesi indebitati fecero sommessamente notare che
cambiare i termini contrattuali del debito pubblico a "partita in
corso" significa solo rendere più caro il peso del debito. È vero, rispose
e risponde il Fondo, ma questo é il mercato: se un paese è diventato più
"rischioso", deve pagare di più.
Una proposta che prevede l'uso di strumenti in parte diversi è stata
recentemente formulata dall'ineffabile Jeffrey Sàchs, secondo il quale; più che
dichiarare ufficialmente aperta una crisi, bisognerebbe dare al Fmi - con una
maggioranza speciale, per carità - la possibilità di dichiarare il fallimento
di un paese, in modo da stabilire con calma e ufficialmente a chi spetti di
diritto l'eredità. Ma c'è un problema, secondo il Fmi: e riguarda l'ambiguità
dell'espressione "fallimento di un paese". Se è il governo ad andare
in crisi, allora è giusto che ogni decisione spetti aI governo stesso, mentre,
per quanto riguarda il settore privato, tutto dipende dall'efficacia delle
leggi fallimentari in quel paese in vigore. Fino a quando un paese riesce a far
fronte alla crisi facendo ricorso alle proprie riserve valutarie, è
"giusto" che lo faccia, nel senso che il settore pubblico locale, se
vuole, può aiutare a ripagare i debiti privati, come è successo in Corea e in
Cile, ma qui ritorna la questione dell'azzardo morale, e il Fondo si dispiace
che questo accada, e dunque confida in ulteriori riforme delle leggi
fallimentari dei paesi più esposti al rischio di infezione.
In conclusione, il Fondo sa che se
non vuole trasformarsi in prestatore (e creditore di ultima istanza, l'unica è
coinvolgere in qualche modo il settore privato dell'economia nella gestione
delle crisi. Obbligarlo a intervenire non si può, ché quelli poi scappano,
sicché la soluzione prospettata per le banche è piuttosto semplice: se non
volete correre rischi, investite poco nei paesi emergenti e la questione
finisce qui; se proprio volete investire, mettetevi d'accordo bene con i
governi dei paesi, in modo da assicurarvi contro spiacevoli evenienze. Poi, se
proprio tutto dovesse andare storto ...
Maurizio DONATO
LA CONTRADDIZIONE
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