Globalizzazione come ideologia menzognera che altera e giustifica i mali della realtà attuale
di FRANZ HINKELAMMERT
La parola globalizzazione è ambigua.
Nella sua interpretazione c'è molta arbitrarietà. Comunque dobbiamo precisarla
per poter discutere il problema del rapporto tra diritti umani e
globalizzazione nel momento presente. In effetti, questa analisi dei diritti
umani nel contesto che chiamiamo globalizzazione è oggi - in un senso che va
precisato quanto mai urgente.
I/
LA GLOBALITÀ DEL MONDO: LE MINACCE GLOBALI
Il mondo è diventato globale. Nel senso
più ampio possiamo affermare che lo sviluppo tecnologico ci ha portati a una
situazione nella quale siamo costretti a prendere coscienza della globalità
della nostra terra. Si tratta certamente di un processo storico molto ampio, ma
questo processo ha portato a una coscienza di globalità che oggi molte volte
dimentichiamo quando parliamo di globalizzazione. Si tratta di una esperienza
di globalità che ha comportato una frattura storica e che distinguerà la nostra
storia presente e futura da tutta la storia umana precedente.
La parola globalità, dunque, ha un
senso che deve essere tenuto presente in qualsiasi discussione sulla
globalizzazione. Essa implica una trasformazione fondamentale di tutta la vita
umana, e si è fatta notare per la prima volta nel 1945 con il lancio della
bomba atomica su Hiroshima. In quel momento iniziava una nuova coscienza della
globalità della vita umana e dell'esistenza stessa del pianeta, che si era
globalizzato in maniera nuova. Se l'umanità voleva continuare a vivere, doveva
assumersi una responsabilità che fino ad allora aveva potuto solo sognare. Era
la responsabilità della vita sulla terra. Questa responsabilità apparve, allora,
come obbligo etico, ma nello stesso tempo come condizione di possibilità di
qualsiasi vita futura. L'esigenza etica e la condizione di possibilità della
vita si sono unite in un'unica esigenza. L'utile e l'etico si sono uniti
nonostante una tradizione positivistica che, per molto tempo, li aveva
separati.
In certo senso, tuttavia, la bomba
atomica appariva ancora qualcosa di esterno all'azione umana quotidiana. Se si
riusciva ad evitare il suo uso, con mezzi che corrispondevano alla politica
degli stati, sarebbe stato possibile continuare a vivere come sempre. E
tuttavia la globalizzazione bussò di nuovo alla porta. Questa volta con la
relazione del Club di Roma sui limiti della crescita, che nel 1972 rimbalzò
nella pubblicità [trad. it., MIT-CLUB Dl ROMA, I limiti dello sviluppo,
Mondadori, Milano 1972]. I limiti della crescita espressero in un modo nuovo la
rotondità della terra, il suo carattere di globo. Di nuovo la terra si faceva
sempre più rotonda. Solo che la minaccia proveniva questa volta dall'azione
umana quotidiana, non da qualche strumento specifico che potesse essere
controllato con mezzi apparentemente esterni. Qualsiasi azione umana, quelle
delle imprese, degli stati e l'azione di ciascuno, erano inserite nel fare
quotidiano. Appariva di nuovo la responsabilità umana nei confronti del globo,
anche se, questa volta, con intensità molto maggiore. L'umanità doveva dare una
risposta agli effetti quotidiani della sua azione quotidiana. Tutta la
canalizzazione dell'azione umana da parte del calcolo dell'utilità (il proprio
interesse) e la massimizzazione dei guadagni nei mercati veniva allora messa in
questione. Questa critica si trasformò, così, in condizione di possibilità
della propria vita umana, ed anche in esigenza etica. Di nuovo, l'utile e l'etico
si univano in un'unica esperienza.
Seguirono altre esperienze della
rotondità e, pertanto, della globalità della terra, come per esempio
l'esperienza dei limiti della crescita possibile della popolazione mondiale.
Comunque, durante gli anni Ottanta si fece notare un altro scossone quando
apparve la biotecnologia. La vita stessa era stata trasformata in oggetto di
una nuova azione umana e, ancora una volta, in termini di presenza quotidiana.
Si ripresentava la minaccia del globo, ritornava a presentarsi l'esigenza della
responsabilità nei confronti del globo, solo che questa volta scaturiva
direttamente dal metodo delle scienze empiriche. Sviluppandosi la conoscenza
degli elementi costitutivi della vita, il metodo tradizionale della scienza
empirica - il trattamento del suo oggetto mediante la sua parcellizzazione -
fece sì che apparisse una minaccia al globo che va, ancora una volta, alla
radice della modernità. Ormai non è più possibile fare una distinzione netta
tra lo sviluppo della conoscenza e la sua applicazione. Nella scienza della
vita, e quindi nella biotecnologia, lo sviluppo della conoscenza è già la sua
applicazione. Non è possibile sviluppare la conoscenza su cloni umani senza
realizzarli. Quello che ora veniva messo in questione non era la
massimizzazione del profitto nei mercati, bensì la propria percezione della
scientificità. Di nuovo si presenta la necessità della responsabilità umana di
fronte alla terra rotonda. Questa volta, però, si tratta di una responsabilità
relativa agli effetti del proprio metodo scientifico.
L'insieme di queste minacce globali è
sfociato in una crisi generale della convivenza umana. Lo sgretolamento delle
relazioni umane che stiamo vivendo influisce sulla possibilità della
convivenza. Quanto più si diffonde la crescente esclusione di settori della
popolazione, tanto più si generalizza il comportamento disumano inevitabile in
relazione a questi esclusi, e viene assimilato al comportamento vicendevole tra
i non esclusi. Non è che si verifichi una polarizzazione tra non esclusi da una
parte, i quali conservano la capacità di convivenza, ed esclusi dall'altra, i
quali la perdono: la perdita di questa capacità diventa generale. Nel polo dei
non esclusi, la capacità di convivenza si dissolve forse in misura maggiore che
nel polo degli esclusi. Si tratta, per adesso, dell'ultima minaccia globale,
che può risultare, alla fine, la peggiore perché toglie all'essere umano la
capacità di affrontare le altre. Si presenta, di conseguenza, la responsabilità
di fronte alla propria capacità di convivenza umana.
Questa responsabilità globale di fronte
alle minacce globali ha un carattere costrittivo, anche se non in forma
automatica. Viviamo in un tempo di rifiuto di questa responsabilità. Eppure si
tratta di una responsabilità di fronte alla quale non è possibile la
neutralità. Quando un amico che parte per un viaggio ci affida un oggetto di
valore perché glielo conserviamo, noi possiamo rifiutare questa responsabilità
dandone i motivi. L'amico, allora, deve cercarsi un'altra persona a cui
affidare l'oggetto. In questo caso, il nostro atteggiamento non è
irresponsabile, può anzi essere un'espressione di responsabilità. La
responsabilità per le condizioni di possibilità della vita, invece, non è di
questo tipo. Siamo responsabili anche se non lo vogliamo. Anche se rifiutiamo
questa responsabilità, non ce la leviamo di dosso. Siamo, allora, degli
irresponsabili. Possiamo scegliere tra responsabilità e irresponsabilità, ma
non possiamo uscire dalla disgiuntiva. O ci rendiamo responsabili del globo
globalizzato, o siamo coinvolti nella sua distruzione.
È evidente che la nostra vita è stata
globalizzata in una maniera nuova, come mai era accaduto nella storia umana.
L'umanità ormai non può vivere senza accettare la sua responsabilità nei
confronti del globo. Questo si riflette nella vita personale, in quanto uno sa
che vive in una catena di generazioni. Perché noi o i nostri figli e figlie si
possa vivere, bisogna accettare questa responsabilità. Siamo globalizzati, lo
vogliamo o meno.
Questa globalità della terra, che si
impone a noi con le minacce globali, è il prodotto del metodo scientifico
parcellizzato e della applicazione dei suoi risultati in uno sviluppo tecnico
guidato da un calcolo costo-beneficio totalizzato. Lo sviluppo tecnico
conseguente si scontra con il suo limite oggettivo costituito dalle minacce
globali.
II/
LA GLOBALIZZAZIONE COME STRATEGIA DI ACCUMULO DI CAPITALE
Lo stesso sviluppo tecnologico, che è
sfociato nelle minacce globali per la vita umana nonché per tutta la vita sulla
terra, ha portato con sé un aumento dell'accesso a tutte le ricchezze della
terra da parte delle imprese, che a partire dalla seconda guerra mondiale si
costituiscono come imprese transnazìonali. Si tratta della globalizzazione dei
messaggi, dei calcoli, dei trasporti con la conseguente disponibilità del
globo. In questo senso, si parla di "villaggio planetario". I
messaggi e i calcoli si sono fatti praticamente istantanei, e da qualsiasi
luogo del globo si può raggiungere qualsiasi altro luogo in meno di un giorno
di tempo di trasporto. Il globo è diventato disponibile.
Ciò ha reso possibile creare mercati
globali, compresi quelli finanziari. Ma adesso è anche possibile costituire
delle reti di divisione sociale del lavoro, pianificate da imprese
multinazionali che decidono globalmente. Nascono le imprese di produzione
globale che non soltanto comperano e vendono in tutto il mondo, ma che
realizzano un processo di produzione distribuito anch'esso nelle sue parti nel
mondo intero. Anche prima c'erano imprese di compravendita mondiale, ma ora
nascono imprese che sono di produzione mondiale. Un esempio chiaro è la maquila
(In Centroamerica l'espressione si riferisce all'attività economica - svolta
nelle "zone franche" istituite dai singoli paesi - di imprese
nazionali o straniere che si occupano solo di una parte del processo di
confezione di un prodotto, che poi viene venduto all'estero) per mezzo della
quale semplici tappe del prodotto finale sono distribuite nel mondo intero. Lo
sfruttamento di questa globalizzazione dei messaggi, dei calcoli e dei mezzi di
trasporto impregna oggi la nostra vita. Tuttavia, ad essa è stato imposto il
globali di una strategia di accumulazione di capitale a livello mondiale, che
oggi si chiama politica di globalizzazione. Questo globalismo non è
assolutamente risultato necessario del processo di globalizzazione di messaggi,
calcoli, mezzi di trasporto, bensì uno sfruttamento unilaterale di detta
globalizzazione in funzione della totalizzazione dei mercati. In America Latina
si tratta di quella che molte volte viene detta politica neoliberale degli
aggiustamenti strutturali. Questi aggiustamenti sono la condizione imposta al
mondo per il funzionamento dell'economia di accumulazione globale del capitale.
Essi esprimono con molta fedeltà le esigenze del funzionamento delle imprese di
produzione mondiale. Si tratta di una nuova strategia di accumulo di capitale,
detta strategia di globalizzazione.
Il nostro linguaggio sulla
globalizzazione di solito si riferisce molto unilateralmente a questo
globalismo della strategia di accumulo di capitale. Ma i globalizzatori di
questa strategia quasi non parlano della globalità della terra che ci si
manifesta nelle minacce globali. Anche se queste minacce globali non le possono
negare, essi stessi si rendono ciechi di fronte ad esse. I timidi tentativi di
rispondere a queste minacce vengono rapidamente abbandonati, come è accaduto
recentemente con gli accordi di Kyoto e la leggerezza della loro deroga da
parte dell'attuale presidente degli Stati Uniti, Bush.
Questa strategia - e la sua cieca
prosecuzione - ha qualcosa di un fondamentalismo della religione del mercato.
Le religioni sogliono sviluppare fondamentalismi ciechi quando le loro credenze
fondamentali vengono messe in questione. La religione del mercato dei
globalizzatori non è diversa. Quando è diventato chiaro che le minacce globali
che oggi incombono su di noi sono strettamente legate allo sviluppo e
all'applicazione di nuove tecnologie secondo un criterio di costo-beneficio
totalizzato, il fondamentalismo neoliberale non ha chiamato alla cautela, bensì
all'estremismo più radicale. Questo spiega il fatto che, dopo l'apparizione di
queste minacce globali, si sia intensificato - con gli occhi aperti - il
processo distruttivo che scaturisce dall'applicazione indiscriminata del
proprio sviluppo tecnologico. Il fondamentalismo neoliberale si trasforma in
fondamentalismo di talebani della religione del mito della crescita infinita.
III/ IN AMERICA
LATINA LA STRATEGIA
DELLA GLOBALIZZAZIONE È STATA IMPOSTA MEDIANTE I COSIDDETTI AGGIUSTAMENTI STRUTTURALI
Gli aggiustamenti strutturali
interessano in particolare tre dimensioni della società.
a) L'apertura tendenzialmente
illimitata per il capitale finanziario e le correnti di valuta e merci.
b) La ristrutturazione dello stato in
direzione di uno stato poliziesco e militare. Ormai pare che lo stato
poliziesco significhi libertà e lo stato sociale schiavitù. Si tolgono allo
stato le funzioni della politica di sviluppo e della politica relativa alla
infrastruttura economica e sociale. Da ciò la privatizzazione delle proprietà
pubbliche, che sfocia in una nuova accumulazione originaria. Si verifica nel
mondo intero un saccheggio di queste proprietà.
c) La flessibilizzazione della forza
lavoro, la quale porta con sé l'annullamento di diritti di importanza decisiva,
provenienti dal contratto di lavoro, quali la protezione di fronte al
licenziamento e la protezione della donna, ma anche dei bambini, ecc. La
sicurezza sociale viene annullata, i sindacati indeboliti, e a volte
addirittura disciolti.
L'imposizione di queste misure di
aggiustamento strutturale è accompagnata nella maggior parte dei paesi
dell'America Latina (Brasile, Cile, Uruguay, Argentina) dal terrorismo di
stato. Questo terrorismo oggi svolge una funzione chiave all'interno della
strategia di globalizzazione, attualmente soprattutto in Colombia.
L'imposizione degli aggiustamenti
strutturali va di pari passo con la propaganda della ideologia della
competitività e dell'efficienza. Per questo tali aggiustamenti vengono
giustificati come una politica dell'eliminazione delle distorsioni del mercato
o dell'eliminazione degli "interruttori" della mobilità del mercato.
L'economia, allora, viene portata avanti in termini di guerra economica, nella
quale quello che importa è conseguire vantaggi competitivi che rendano
possibile l'uscire vincitori dalla guerra. La situazione stessa dei paesi viene
discussa nei termini della loro competitività, e tutta l'attività sociale viene
valutata secondo il suo contributo a questa competitività. L'economista, e
soprattutto l'amministratore di imprese, diventa consulente militare di questa
guerra economica. La sua funzione non è quella di fare teoria o capire che cosa
significa questa maniera di focalizzare l'economia: deve solo contribuire a far
vincere la guerra. Di conseguenza, la teoria economica e sociale diventa
cinica.
Per questa guerra economica, le misure
di aggiustamento strutturale servono per preparare e pulire il campo di
battaglia. Le imprese che si scontrano nella guerra economica hanno in comune
l'interesse a pulire il campo di battaglia, onde poter lottare in esso senza
subire "distorsioni". Dal punto di vista che ci interessa, questa
eliminazione delle distorsioni del mercato ha un'importanza centrale. La logica
reale del processo di globalizzazione viene espressa più chiaramente in termini
di eliminazione delle distorsioni del mercato. Questa espressione presenta
questo processo travolgente del mercato come un grande ingranaggio che segue
una logica propria e la impone. Per mezzo di questa logica, il mercato, come
ingranaggio, si autoriproduce, "perfezionandosi" nei termini del
proprio funzionamento. Per questo motivo, il concetto delle distorsioni del
mercato è così centrale per il linguaggio. L'ingranaggio del mercato appare
come una grande macchina calcolatrice che deve essere perfezionata. Le
cosiddette distorsioni vengono considerate elementi di frizione per questo
funzionamento. Tuttavia, una macchina deve funzionare con un minimo di
frizioni. Eliminarle significa migliorare le sue prestazioni. E il
miglioramento si ottiene eliminando le distorsioni.
IV/ I DIRITTI UMANI E L'ELIMINAZIONE DELLE
DISTORSIONI DEL MERCATO
Le distorsioni del mercato, che man
mano vengono scoperte, sono molte. Qui, però, ci interessano quelle che sono
rilevanti per il discorso dei diritti umani. Risulta che i diritti umani, in
quanto scaturiscono dall'affermazione dell'essere umano come essere naturale,
sono visti nella loro totalità, alla luce del perfezionamento dell'ingranaggio
del mercato nel processo di globalizzazione attuale, come distorsioni del
mercato. Si evidenzia, quindi, uno scontro tra i diritti umani e la logica del
processo di globalizzazione.
Questo scontro è oggi evidente, ma si realizza
in una società che parla dei diritti umani più di qualsiasi società del
passato. Lo stesso impero, le grandi imprese, l'opinione pubblica girano
attorno all'affermazione dei diritti umani. Tutti sono preoccupati per i
diritti umani. Tuttavia, esiste una frattura evidente all'interno delle
concezioni dei diritti umani. In effetti, tanto l'impero globalizzato quanto
coloro che ne subiscono le conseguenze - i perdenti del processo di
globalizzazione - parlano di diritti umani, solo che questi diritti umani si
presentano con accentuazioni molto diverse a seconda dei casi.
1/
Diritti del possessore
L'attuale strategia di globalizzazione
intende i diritti umani come i diritti del possessore, del proprietario. Si
basa, per questo, su una lunga tradizione che proviene dalle dichiarazioni dei
diritti umani del XVIII secolo: la dichiarazione degli Stati Uniti e la
dichiarazione della Rivoluzione francese. Si tratta di diritti umani ubicati
all'interno di un mondo pensato a partire dal mercato, e quindi formulano i
diritti del proprietario nel mercato e per conservare il mercato. Sono centrati
sulla relazione mercantile. Non riducono l'individuo a semplice partecipante
del mercato, ma comunque pensano il mercato come un ambito di libertà naturale.
Pertanto, gli individui non reclamano mai e non possono reclamare diritti umani
di fronte al mercato. Si orientano verso diritti di fronte allo stato. In
questo modo, però, risulta che ci sono alcuni diritti umani che non sono
esclusivi degli esseri umani: sono diritti che si riferiscono sia a persone
giuridiche sia a persone chiamate "naturali". Appaiono, di
conseguenza, diritti umani di semplici categorie collettive, che però sono
anche diritti umani di persone naturali. È così che l'impresa appare come soggetto
di diritti umani, esattamente come gli esseri umani; e appare nel contempo la
tendenza a ridurre i diritti umani fondamentali a diritti che gli esseri umani
hanno in comune con le collettività private. Solo che, essendo insieme diritti
umani di persone e di collettività private, non possono essere se non diritti
dell'essere umano come proprietario. Di conseguenza, appare la tendenza a
identificare i diritti umani con i diritti del proprietario, anche se il punto
di partenza di questa concezione è l'individuo autonomo inserito nel mercato,
anche senza ridursi ad esso.
A partire da questa concezione dei
diritti umani si spiega il fatto che i grandi collettivi del grande capitale
oggi reclamino diritti umani, come fossero i veri portatori di questi diritti.
È evidente che, in senso stretto, non si tratta di diritti umani. Questi, come
diritti esclusivi degli esseri umani, appaiono giustamente come reazione ai
diritti del proprietario, ed emergono nel contesto di un conflitto che è già
percepibile ai tempi della Rivoluzione francese. La quale non manda a morte
soltanto il re e gli aristocratici, ma anche i primi rappresentanti dei diritti
umani dell'essere umano stesso: Olympe de Goughes, la donna femminista, e
Babeuf, l'uomo dell'uguaglianza operaia. Sono questi i diritti che d'ora in poi
promuoveranno l'emancipazione umana.
Nascono qui diritti umani che non sono
diritti di collettività, ma esclusivamente di esseri umani, e le persone
giuridiche non hanno alcuna istanza per pretenderli. Si tratta di diritti umani
che scaturiscono dal riconoscimento dell'essere umano come un essere corporeo o
come essere naturale. Sono diritti umani che si riferiscono alla integrità
fisica (in relazione alla tortura e alla morte violenta), alla soddisfazione
delle necessità (lavoro, alimentazione, abitazione, educazione, salute), nonché
al riconoscimento relativo a genere, etnia e cultura. Si tratta di diritti
umani che scaturiscono dalla soggettività dell'essere umano e che entrano in
conflitto con la riduzione dell'individuo al proprietario e all'Io.
Questi diritti umani si sviluppano
durante i secoli XIX e XX e contrassegnano le grandi dichiarazioni dei diritti
di questo tempo, soprattutto la dichiarazione dell'Organizzazione delle Nazioni
Unite - e risulta significativo il fatto che gli Stati Uniti non abbiano mai
ratificato nessuna delle convenzioni di diritti umani che comprendevano questi
diritti specificamente umani.
2/
Dichiarazioni senza sostanza
Orbene, l'attuale strategia di
globalizzazione ha ripristinato questo sviluppo della concezione dei diritti
umani. I quali sopravvivono in dichiarazioni senza sostanza, mentre tutto il
potere insiste sui diritti umani come diritto del proprietario e, alla fine,
come diritti che si riferiscono a collettivi e non all'essere umano nella sua
specificità. L'insistenza attuale dell'impero sui diritti umani rimanda quasi
esclusivamente ai corrispondenti diritti del proprietario. Sono perdenti della
strategia di globalizzazione coloro che continuano ad insistere sui diritti
umani dell'essere umano stesso. I diritti umani dell'essere umano naturale e
corporeo: del corpo che parla. È chiaro che una persona collettiva non può far
presenti simili diritti umani, per il semplice motivo che non ha corpo. Non è
un essere naturale. Tuttavia, l'attuale strategia di globalizzazione passa
sopra a questi diritti umani, perché la loro validità si trova nel conflitto
diretto e immediato con questa stessa strategia.
Dal punto di vista delle imprese
transnazionali, i diritti umani, come diritti di esseri umani corporei, non
sono altro che distorsioni del mercato. Queste imprese operano e calcolano a
livello mondiale, e per esse il mondo intero è lo spazio nel quale appaiono le
distorsioni del mercato. La loro esigenza di apertura per i flussi finanziari e
di merci, di dissoluzione dello stato nelle sue funzioni economiche e sociali e
di flessibilizzazione del lavoro sono conseguenza di queste operazioni
mondiali. Da tutto questo segue precisamente che l'eliminazione di tali
distorsioni del mercato conduce all'annullamento dei diritti umani. Non tutte
le distorsioni del mercato sono prodotto del riconoscimento dei diritti umani,
ma tendenzialmente, ogni difesa dei diritti umani, come diritti di esseri umani
corporei, appare come distorsione del mercato. Di conseguenza, l'eliminazione
indiscriminata delle distorsioni del mercato sfocia, per una logica implicita,
nella distorsione dei diritti umani propri. Questo è ciò che accade quando
l'eliminazione di queste distorsioni del mercato viene effettuata nel nome di un
principio generale, come nel caso del processo di globalizzazione. Tuttavia, la
politica di eliminazione delle distorsioni oggi viene presentata come semplice
applicazione di una tecnica.
Si arriva così alla conclusione che la
trasformazione dell'economia in guerra economica, e la conseguente
trasformazione della competitività in valore unico e supremo, stanno
distruggendo ed eliminando tutti i diritti umani in nome dei diritti del
mercato, che sono i diritti vigenti nel mercato e soltanto in esso. I diritti
del mercato sostituiscono i diritti umani.
3/
Una domanda
Quanto precede spiega il motivo per cui
la nostra società continua a parlare tanto e con tanta intensità dei diritti
umani. In realtà, oggi si tratta quasi esclusivamente di diritti del mercato e
nel mercato. Si tratta, pertanto, di diritti che può avere sia l'individuo
naturale sia la persona giuridica collettiva (per esempio, le imprese e le
corporazioni, cioè le istituzioni). Tuttavia, riducendo la persona umana a un
individuo con i medesimi diritti delle persone giuridiche collettive, questa
persona perde il carattere di persona, cioè di essere corporeo fatto persona.
Quelli che nella strategia di globalizzazione oggi vengono presentati come
diritti umani sono in ultima istanza diritti come quelli che hanno personaggi
collettivi quali sono la Mercedes, la Siemens, la Toyota e la Microsoft. I
diritti che queste pretendono nel mercato, li impongono alla società attuale
come gli unici "diritti umani" validi. Da ciò consegue che il loro
diritto di eliminare le distorsioni del mercato, e con esse i diritti umani
delle persone corporee, viene imposto come l'essenza di tutti i diritti umani.
E così, i pretesi "diritti umani" delle persone giuridiche e
collettive eliminano i diritti umani delle persone umane corporee.
Nasce allora una domanda: la Microsoft
ha dei diritti umani? oppure gli esseri umani hanno dei diritti umani dei quali
bisogna imporre la validità di fronte alla Microsoft? la CNN ha diritti umani,
o gli esseri umani hanno dei diritti umani di fronte alla CNN? In realtà, in
linea con la propria logica, i diritti delle persone collettive divorano i
diritti umani della persona umana come essere corporeo e essere naturale, che è
parte di tutta la natura. Pertanto, dobbiamo affrontare il conflitto tra i
diritti umani e i diritti collettivi di istituzioni, e assicurare che i diritti
umani siano rispettati da parte di queste persone giuridiche e collettive. I
diritti umani sono un nuovo ampliamento dell'habeas corpus, di fronte a diritti
collettivi che pretendono di sostituire i diritti umani.
Oggi, la critica della strategia della
globalizzazione è l'altra faccia della necessaria difesa dei diritti umani
nella loro integrità come diritti della vita umana.
da
CONCILIUM 5/2001
Editrice
Queriniana
Via
Ferri, 75 25123 BRESCIA