Globalizzazione come ideologia menzognera che altera e giustifica i mali della realtà attuale

 

di FRANZ HINKELAMMERT

 

 

La parola globalizzazione è ambigua. Nella sua interpretazione c'è molta arbitrarietà. Comunque dobbiamo precisarla per poter discutere il problema del rapporto tra diritti umani e globalizzazione nel momento presente. In effetti, questa analisi dei diritti umani nel contesto che chiamiamo globalizzazione è oggi - in un senso che va precisato quanto mai urgente.

 

 

I/ LA GLOBALITÀ DEL MONDO: LE MINACCE GLOBALI

 

Il mondo è diventato globale. Nel senso più ampio possiamo affermare che lo sviluppo tecnologico ci ha portati a una situazione nella quale siamo costretti a prendere coscienza della globalità della nostra terra. Si tratta certamente di un processo storico molto ampio, ma questo processo ha portato a una coscienza di globalità che oggi molte volte dimentichiamo quando parliamo di globalizzazione. Si tratta di una esperienza di globalità che ha comportato una frattura storica e che distinguerà la nostra storia presente e futura da tutta la storia umana precedente.

 

La parola globalità, dunque, ha un senso che deve essere tenuto presente in qualsiasi discussione sulla globalizzazione. Essa implica una trasformazione fondamentale di tutta la vita umana, e si è fatta notare per la prima volta nel 1945 con il lancio della bomba atomica su Hiroshima. In quel momento iniziava una nuova coscienza della globalità della vita umana e dell'esistenza stessa del pianeta, che si era globalizzato in maniera nuova. Se l'umanità voleva continuare a vivere, doveva assumersi una responsabilità che fino ad allora aveva potuto solo sognare. Era la responsabilità della vita sulla terra. Questa responsabilità apparve, allora, come obbligo etico, ma nello stesso tempo come condizione di possibilità di qualsiasi vita futura. L'esigenza etica e la condizione di possibilità della vita si sono unite in un'unica esigenza. L'utile e l'etico si sono uniti nonostante una tradizione positivistica che, per molto tempo, li aveva separati.

 

In certo senso, tuttavia, la bomba atomica appariva ancora qualcosa di esterno all'azione umana quotidiana. Se si riusciva ad evitare il suo uso, con mezzi che corrispondevano alla politica degli stati, sarebbe stato possibile continuare a vivere come sempre. E tuttavia la globalizzazione bussò di nuovo alla porta. Questa volta con la relazione del Club di Roma sui limiti della crescita, che nel 1972 rimbalzò nella pubblicità [trad. it., MIT-CLUB Dl ROMA, I limiti dello sviluppo, Mondadori, Milano 1972]. I limiti della crescita espressero in un modo nuovo la rotondità della terra, il suo carattere di globo. Di nuovo la terra si faceva sempre più rotonda. Solo che la minaccia proveniva questa volta dall'azione umana quotidiana, non da qualche strumento specifico che potesse essere controllato con mezzi apparentemente esterni. Qualsiasi azione umana, quelle delle imprese, degli stati e l'azione di ciascuno, erano inserite nel fare quotidiano. Appariva di nuovo la responsabilità umana nei confronti del globo, anche se, questa volta, con intensità molto maggiore. L'umanità doveva dare una risposta agli effetti quotidiani della sua azione quotidiana. Tutta la canalizzazione dell'azione umana da parte del calcolo dell'utilità (il proprio interesse) e la massimizzazione dei guadagni nei mercati veniva allora messa in questione. Questa critica si trasformò, così, in condizione di possibilità della propria vita umana, ed anche in esigenza etica. Di nuovo, l'utile e l'etico si univano in un'unica esperienza.

 

Seguirono altre esperienze della rotondità e, pertanto, della globalità della terra, come per esempio l'esperienza dei limiti della crescita possibile della popolazione mondiale. Comunque, durante gli anni Ottanta si fece notare un altro scossone quando apparve la biotecnologia. La vita stessa era stata trasformata in oggetto di una nuova azione umana e, ancora una volta, in termini di presenza quotidiana. Si ripresentava la minaccia del globo, ritornava a presentarsi l'esigenza della responsabilità nei confronti del globo, solo che questa volta scaturiva direttamente dal metodo delle scienze empiriche. Sviluppandosi la conoscenza degli elementi costitutivi della vita, il metodo tradizionale della scienza empirica - il trattamento del suo oggetto mediante la sua parcellizzazione - fece sì che apparisse una minaccia al globo che va, ancora una volta, alla radice della modernità. Ormai non è più possibile fare una distinzione netta tra lo sviluppo della conoscenza e la sua applicazione. Nella scienza della vita, e quindi nella biotecnologia, lo sviluppo della conoscenza è già la sua applicazione. Non è possibile sviluppare la conoscenza su cloni umani senza realizzarli. Quello che ora veniva messo in questione non era la massimizzazione del profitto nei mercati, bensì la propria percezione della scientificità. Di nuovo si presenta la necessità della responsabilità umana di fronte alla terra rotonda. Questa volta, però, si tratta di una responsabilità relativa agli effetti del proprio metodo scientifico.

 

L'insieme di queste minacce globali è sfociato in una crisi generale della convivenza umana. Lo sgretolamento delle relazioni umane che stiamo vivendo influisce sulla possibilità della convivenza. Quanto più si diffonde la crescente esclusione di settori della popolazione, tanto più si generalizza il comportamento disumano inevitabile in relazione a questi esclusi, e viene assimilato al comportamento vicendevole tra i non esclusi. Non è che si verifichi una polarizzazione tra non esclusi da una parte, i quali conservano la capacità di convivenza, ed esclusi dall'altra, i quali la perdono: la perdita di questa capacità diventa generale. Nel polo dei non esclusi, la capacità di convivenza si dissolve forse in misura maggiore che nel polo degli esclusi. Si tratta, per adesso, dell'ultima minaccia globale, che può risultare, alla fine, la peggiore perché toglie all'essere umano la capacità di affrontare le altre. Si presenta, di conseguenza, la responsabilità di fronte alla propria capacità di convivenza umana.

 

Questa responsabilità globale di fronte alle minacce globali ha un carattere costrittivo, anche se non in forma automatica. Viviamo in un tempo di rifiuto di questa responsabilità. Eppure si tratta di una responsabilità di fronte alla quale non è possibile la neutralità. Quando un amico che parte per un viaggio ci affida un oggetto di valore perché glielo conserviamo, noi possiamo rifiutare questa responsabilità dandone i motivi. L'amico, allora, deve cercarsi un'altra persona a cui affidare l'oggetto. In questo caso, il nostro atteggiamento non è irresponsabile, può anzi essere un'espressione di responsabilità. La responsabilità per le condizioni di possibilità della vita, invece, non è di questo tipo. Siamo responsabili anche se non lo vogliamo. Anche se rifiutiamo questa responsabilità, non ce la leviamo di dosso. Siamo, allora, degli irresponsabili. Possiamo scegliere tra responsabilità e irresponsabilità, ma non possiamo uscire dalla disgiuntiva. O ci rendiamo responsabili del globo globalizzato, o siamo coinvolti nella sua distruzione.

 

È evidente che la nostra vita è stata globalizzata in una maniera nuova, come mai era accaduto nella storia umana. L'umanità ormai non può vivere senza accettare la sua responsabilità nei confronti del globo. Questo si riflette nella vita personale, in quanto uno sa che vive in una catena di generazioni. Perché noi o i nostri figli e figlie si possa vivere, bisogna accettare questa responsabilità. Siamo globalizzati, lo vogliamo o meno.

 

Questa globalità della terra, che si impone a noi con le minacce globali, è il prodotto del metodo scientifico parcellizzato e della applicazione dei suoi risultati in uno sviluppo tecnico guidato da un calcolo costo-beneficio totalizzato. Lo sviluppo tecnico conseguente si scontra con il suo limite oggettivo costituito dalle minacce globali.

 

 

II/ LA GLOBALIZZAZIONE COME STRATEGIA DI ACCUMULO DI CAPITALE

 

Lo stesso sviluppo tecnologico, che è sfociato nelle minacce globali per la vita umana nonché per tutta la vita sulla terra, ha portato con sé un aumento dell'accesso a tutte le ricchezze della terra da parte delle imprese, che a partire dalla seconda guerra mondiale si costituiscono come imprese transnazìonali. Si tratta della globalizzazione dei messaggi, dei calcoli, dei trasporti con la conseguente disponibilità del globo. In questo senso, si parla di "villaggio planetario". I messaggi e i calcoli si sono fatti praticamente istantanei, e da qualsiasi luogo del globo si può raggiungere qualsiasi altro luogo in meno di un giorno di tempo di trasporto. Il globo è diventato disponibile.

 

Ciò ha reso possibile creare mercati globali, compresi quelli finanziari. Ma adesso è anche possibile costituire delle reti di divisione sociale del lavoro, pianificate da imprese multinazionali che decidono globalmente. Nascono le imprese di produzione globale che non soltanto comperano e vendono in tutto il mondo, ma che realizzano un processo di produzione distribuito anch'esso nelle sue parti nel mondo intero. Anche prima c'erano imprese di compravendita mondiale, ma ora nascono imprese che sono di produzione mondiale. Un esempio chiaro è la maquila (In Centroamerica l'espressione si riferisce all'attività economica - svolta nelle "zone franche" istituite dai singoli paesi - di imprese nazionali o straniere che si occupano solo di una parte del processo di confezione di un prodotto, che poi viene venduto all'estero) per mezzo della quale semplici tappe del prodotto finale sono distribuite nel mondo intero. Lo sfruttamento di questa globalizzazione dei messaggi, dei calcoli e dei mezzi di trasporto impregna oggi la nostra vita. Tuttavia, ad essa è stato imposto il globali di una strategia di accumulazione di capitale a livello mondiale, che oggi si chiama politica di globalizzazione. Questo globalismo non è assolutamente risultato necessario del processo di globalizzazione di messaggi, calcoli, mezzi di trasporto, bensì uno sfruttamento unilaterale di detta globalizzazione in funzione della totalizzazione dei mercati. In America Latina si tratta di quella che molte volte viene detta politica neoliberale degli aggiustamenti strutturali. Questi aggiustamenti sono la condizione imposta al mondo per il funzionamento dell'economia di accumulazione globale del capitale. Essi esprimono con molta fedeltà le esigenze del funzionamento delle imprese di produzione mondiale. Si tratta di una nuova strategia di accumulo di capitale, detta strategia di globalizzazione.

 

Il nostro linguaggio sulla globalizzazione di solito si riferisce molto unilateralmente a questo globalismo della strategia di accumulo di capitale. Ma i globalizzatori di questa strategia quasi non parlano della globalità della terra che ci si manifesta nelle minacce globali. Anche se queste minacce globali non le possono negare, essi stessi si rendono ciechi di fronte ad esse. I timidi tentativi di rispondere a queste minacce vengono rapidamente abbandonati, come è accaduto recentemente con gli accordi di Kyoto e la leggerezza della loro deroga da parte dell'attuale presidente degli Stati Uniti, Bush.

 

Questa strategia - e la sua cieca prosecuzione - ha qualcosa di un fondamentalismo della religione del mercato. Le religioni sogliono sviluppare fondamentalismi ciechi quando le loro credenze fondamentali vengono messe in questione. La religione del mercato dei globalizzatori non è diversa. Quando è diventato chiaro che le minacce globali che oggi incombono su di noi sono strettamente legate allo sviluppo e all'applicazione di nuove tecnologie secondo un criterio di costo-beneficio totalizzato, il fondamentalismo neoliberale non ha chiamato alla cautela, bensì all'estremismo più radicale. Questo spiega il fatto che, dopo l'apparizione di queste minacce globali, si sia intensificato - con gli occhi aperti - il processo distruttivo che scaturisce dall'applicazione indiscriminata del proprio sviluppo tecnologico. Il fondamentalismo neoliberale si trasforma in fondamentalismo di talebani della religione del mito della crescita infinita.

 

 

III/    IN AMERICA  LATINA  LA  STRATEGIA  DELLA GLOBALIZZAZIONE È STATA IMPOSTA MEDIANTE I COSIDDETTI AGGIUSTAMENTI STRUTTURALI

 

Gli aggiustamenti strutturali interessano in particolare tre dimensioni della società.

 

a) L'apertura tendenzialmente illimitata per il capitale finanziario e le correnti di valuta e merci.

 

b) La ristrutturazione dello stato in direzione di uno stato poliziesco e militare. Ormai pare che lo stato poliziesco significhi libertà e lo stato sociale schiavitù. Si tolgono allo stato le funzioni della politica di sviluppo e della politica relativa alla infrastruttura economica e sociale. Da ciò la privatizzazione delle proprietà pubbliche, che sfocia in una nuova accumulazione originaria. Si verifica nel mondo intero un saccheggio di queste proprietà.

 

c) La flessibilizzazione della forza lavoro, la quale porta con sé l'annullamento di diritti di importanza decisiva, provenienti dal contratto di lavoro, quali la protezione di fronte al licenziamento e la protezione della donna, ma anche dei bambini, ecc. La sicurezza sociale viene annullata, i sindacati indeboliti, e a volte addirittura disciolti.

 

L'imposizione di queste misure di aggiustamento strutturale è accompagnata nella maggior parte dei paesi dell'America Latina (Brasile, Cile, Uruguay, Argentina) dal terrorismo di stato. Questo terrorismo oggi svolge una funzione chiave all'interno della strategia di globalizzazione, attualmente soprattutto in Colombia.

 

L'imposizione degli aggiustamenti strutturali va di pari passo con la propaganda della ideologia della competitività e dell'efficienza. Per questo tali aggiustamenti vengono giustificati come una politica dell'eliminazione delle distorsioni del mercato o dell'eliminazione degli "interruttori" della mobilità del mercato. L'economia, allora, viene portata avanti in termini di guerra economica, nella quale quello che importa è conseguire vantaggi competitivi che rendano possibile l'uscire vincitori dalla guerra. La situazione stessa dei paesi viene discussa nei termini della loro competitività, e tutta l'attività sociale viene valutata secondo il suo contributo a questa competitività. L'economista, e soprattutto l'amministratore di imprese, diventa consulente militare di questa guerra economica. La sua funzione non è quella di fare teoria o capire che cosa significa questa maniera di focalizzare l'economia: deve solo contribuire a far vincere la guerra. Di conseguenza, la teoria economica e sociale diventa cinica.

 

Per questa guerra economica, le misure di aggiustamento strutturale servono per preparare e pulire il campo di battaglia. Le imprese che si scontrano nella guerra economica hanno in comune l'interesse a pulire il campo di battaglia, onde poter lottare in esso senza subire "distorsioni". Dal punto di vista che ci interessa, questa eliminazione delle distorsioni del mercato ha un'importanza centrale. La logica reale del processo di globalizzazione viene espressa più chiaramente in termini di eliminazione delle distorsioni del mercato. Questa espressione presenta questo processo travolgente del mercato come un grande ingranaggio che segue una logica propria e la impone. Per mezzo di questa logica, il mercato, come ingranaggio, si autoriproduce, "perfezionandosi" nei termini del proprio funzionamento. Per questo motivo, il concetto delle distorsioni del mercato è così centrale per il linguaggio. L'ingranaggio del mercato appare come una grande macchina calcolatrice che deve essere perfezionata. Le cosiddette distorsioni vengono considerate elementi di frizione per questo funzionamento. Tuttavia, una macchina deve funzionare con un minimo di frizioni. Eliminarle significa migliorare le sue prestazioni. E il miglioramento si ottiene eliminando le distorsioni.

 

 

IV/   I DIRITTI UMANI E L'ELIMINAZIONE DELLE DISTORSIONI DEL MERCATO

 

Le distorsioni del mercato, che man mano vengono scoperte, sono molte. Qui, però, ci interessano quelle che sono rilevanti per il discorso dei diritti umani. Risulta che i diritti umani, in quanto scaturiscono dall'affermazione dell'essere umano come essere naturale, sono visti nella loro totalità, alla luce del perfezionamento dell'ingranaggio del mercato nel processo di globalizzazione attuale, come distorsioni del mercato. Si evidenzia, quindi, uno scontro tra i diritti umani e la logica del processo di globalizzazione.

 

Questo scontro è oggi evidente, ma si realizza in una società che parla dei diritti umani più di qualsiasi società del passato. Lo stesso impero, le grandi imprese, l'opinione pubblica girano attorno all'affermazione dei diritti umani. Tutti sono preoccupati per i diritti umani. Tuttavia, esiste una frattura evidente all'interno delle concezioni dei diritti umani. In effetti, tanto l'impero globalizzato quanto coloro che ne subiscono le conseguenze - i perdenti del processo di globalizzazione - parlano di diritti umani, solo che questi diritti umani si presentano con accentuazioni molto diverse a seconda dei casi.

 

 

1/ Diritti del possessore

 

L'attuale strategia di globalizzazione intende i diritti umani come i diritti del possessore, del proprietario. Si basa, per questo, su una lunga tradizione che proviene dalle dichiarazioni dei diritti umani del XVIII secolo: la dichiarazione degli Stati Uniti e la dichiarazione della Rivoluzione francese. Si tratta di diritti umani ubicati all'interno di un mondo pensato a partire dal mercato, e quindi formulano i diritti del proprietario nel mercato e per conservare il mercato. Sono centrati sulla relazione mercantile. Non riducono l'individuo a semplice partecipante del mercato, ma comunque pensano il mercato come un ambito di libertà naturale. Pertanto, gli individui non reclamano mai e non possono reclamare diritti umani di fronte al mercato. Si orientano verso diritti di fronte allo stato. In questo modo, però, risulta che ci sono alcuni diritti umani che non sono esclusivi degli esseri umani: sono diritti che si riferiscono sia a persone giuridiche sia a persone chiamate "naturali". Appaiono, di conseguenza, diritti umani di semplici categorie collettive, che però sono anche diritti umani di persone naturali. È così che l'impresa appare come soggetto di diritti umani, esattamente come gli esseri umani; e appare nel contempo la tendenza a ridurre i diritti umani fondamentali a diritti che gli esseri umani hanno in comune con le collettività private. Solo che, essendo insieme diritti umani di persone e di collettività private, non possono essere se non diritti dell'essere umano come proprietario. Di conseguenza, appare la tendenza a identificare i diritti umani con i diritti del proprietario, anche se il punto di partenza di questa concezione è l'individuo autonomo inserito nel mercato, anche senza ridursi ad esso.

 

A partire da questa concezione dei diritti umani si spiega il fatto che i grandi collettivi del grande capitale oggi reclamino diritti umani, come fossero i veri portatori di questi diritti. È evidente che, in senso stretto, non si tratta di diritti umani. Questi, come diritti esclusivi degli esseri umani, appaiono giustamente come reazione ai diritti del proprietario, ed emergono nel contesto di un conflitto che è già percepibile ai tempi della Rivoluzione francese. La quale non manda a morte soltanto il re e gli aristocratici, ma anche i primi rappresentanti dei diritti umani dell'essere umano stesso: Olympe de Goughes, la donna femminista, e Babeuf, l'uomo dell'uguaglianza operaia. Sono questi i diritti che d'ora in poi promuoveranno l'emancipazione umana.

 

Nascono qui diritti umani che non sono diritti di collettività, ma esclusivamente di esseri umani, e le persone giuridiche non hanno alcuna istanza per pretenderli. Si tratta di diritti umani che scaturiscono dal riconoscimento dell'essere umano come un essere corporeo o come essere naturale. Sono diritti umani che si riferiscono alla integrità fisica (in relazione alla tortura e alla morte violenta), alla soddisfazione delle necessità (lavoro, alimentazione, abitazione, educazione, salute), nonché al riconoscimento relativo a genere, etnia e cultura. Si tratta di diritti umani che scaturiscono dalla soggettività dell'essere umano e che entrano in conflitto con la riduzione dell'individuo al proprietario e all'Io.

 

Questi diritti umani si sviluppano durante i secoli XIX e XX e contrassegnano le grandi dichiarazioni dei diritti di questo tempo, soprattutto la dichiarazione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite - e risulta significativo il fatto che gli Stati Uniti non abbiano mai ratificato nessuna delle convenzioni di diritti umani che comprendevano questi diritti specificamente umani.

 

 

2/ Dichiarazioni senza sostanza

 

Orbene, l'attuale strategia di globalizzazione ha ripristinato questo sviluppo della concezione dei diritti umani. I quali sopravvivono in dichiarazioni senza sostanza, mentre tutto il potere insiste sui diritti umani come diritto del proprietario e, alla fine, come diritti che si riferiscono a collettivi e non all'essere umano nella sua specificità. L'insistenza attuale dell'impero sui diritti umani rimanda quasi esclusivamente ai corrispondenti diritti del proprietario. Sono perdenti della strategia di globalizzazione coloro che continuano ad insistere sui diritti umani dell'essere umano stesso. I diritti umani dell'essere umano naturale e corporeo: del corpo che parla. È chiaro che una persona collettiva non può far presenti simili diritti umani, per il semplice motivo che non ha corpo. Non è un essere naturale. Tuttavia, l'attuale strategia di globalizzazione passa sopra a questi diritti umani, perché la loro validità si trova nel conflitto diretto e immediato con questa stessa strategia.

 

Dal punto di vista delle imprese transnazionali, i diritti umani, come diritti di esseri umani corporei, non sono altro che distorsioni del mercato. Queste imprese operano e calcolano a livello mondiale, e per esse il mondo intero è lo spazio nel quale appaiono le distorsioni del mercato. La loro esigenza di apertura per i flussi finanziari e di merci, di dissoluzione dello stato nelle sue funzioni economiche e sociali e di flessibilizzazione del lavoro sono conseguenza di queste operazioni mondiali. Da tutto questo segue precisamente che l'eliminazione di tali distorsioni del mercato conduce all'annullamento dei diritti umani. Non tutte le distorsioni del mercato sono prodotto del riconoscimento dei diritti umani, ma tendenzialmente, ogni difesa dei diritti umani, come diritti di esseri umani corporei, appare come distorsione del mercato. Di conseguenza, l'eliminazione indiscriminata delle distorsioni del mercato sfocia, per una logica implicita, nella distorsione dei diritti umani propri. Questo è ciò che accade quando l'eliminazione di queste distorsioni del mercato viene effettuata nel nome di un principio generale, come nel caso del processo di globalizzazione. Tuttavia, la politica di eliminazione delle distorsioni oggi viene presentata come semplice applicazione di una tecnica.

 

Si arriva così alla conclusione che la trasformazione dell'economia in guerra economica, e la conseguente trasformazione della competitività in valore unico e supremo, stanno distruggendo ed eliminando tutti i diritti umani in nome dei diritti del mercato, che sono i diritti vigenti nel mercato e soltanto in esso. I diritti del mercato sostituiscono i diritti umani.

 

 

3/ Una domanda

 

Quanto precede spiega il motivo per cui la nostra società continua a parlare tanto e con tanta intensità dei diritti umani. In realtà, oggi si tratta quasi esclusivamente di diritti del mercato e nel mercato. Si tratta, pertanto, di diritti che può avere sia l'individuo naturale sia la persona giuridica collettiva (per esempio, le imprese e le corporazioni, cioè le istituzioni). Tuttavia, riducendo la persona umana a un individuo con i medesimi diritti delle persone giuridiche collettive, questa persona perde il carattere di persona, cioè di essere corporeo fatto persona. Quelli che nella strategia di globalizzazione oggi vengono presentati come diritti umani sono in ultima istanza diritti come quelli che hanno personaggi collettivi quali sono la Mercedes, la Siemens, la Toyota e la Microsoft. I diritti che queste pretendono nel mercato, li impongono alla società attuale come gli unici "diritti umani" validi. Da ciò consegue che il loro diritto di eliminare le distorsioni del mercato, e con esse i diritti umani delle persone corporee, viene imposto come l'essenza di tutti i diritti umani. E così, i pretesi "diritti umani" delle persone giuridiche e collettive eliminano i diritti umani delle persone umane corporee.

 

Nasce allora una domanda: la Microsoft ha dei diritti umani? oppure gli esseri umani hanno dei diritti umani dei quali bisogna imporre la validità di fronte alla Microsoft? la CNN ha diritti umani, o gli esseri umani hanno dei diritti umani di fronte alla CNN? In realtà, in linea con la propria logica, i diritti delle persone collettive divorano i diritti umani della persona umana come essere corporeo e essere naturale, che è parte di tutta la natura. Pertanto, dobbiamo affrontare il conflitto tra i diritti umani e i diritti collettivi di istituzioni, e assicurare che i diritti umani siano rispettati da parte di queste persone giuridiche e collettive. I diritti umani sono un nuovo ampliamento dell'habeas corpus, di fronte a diritti collettivi che pretendono di sostituire i diritti umani.

 

Oggi, la critica della strategia della globalizzazione è l'altra faccia della necessaria difesa dei diritti umani nella loro integrità come diritti della vita umana.

 

 

da CONCILIUM 5/2001

Editrice Queriniana

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