II progresso oggi si chiama stabilità

 

di Lodovico Galleni

(docente universitario)

 

Quando la parete della casa mi comunicherà che ha bisogno di essere ridipinta, dovrò dirle: «Cara parete, ho speso tutti i miei soldi per farti costruire e quindi ora non ho più soldi per pagare l'imbianchino (senz'altro costosissimo) che ti deve ridipingere; quindi dovrai accontentarti di rimanere sporca».

 

Questa frase un po' curiosa vuol fare riflettere sul fatto che la vera sfida del futuro non è quella di immaginare scenari sempre più avanzati dal punto di vista tecnologico. Infatti la scoperta più importante della scienza del ventesimo secolo consiste nella consapevolezza che viviamo in un piccolo pianeta a risorse limitate. La sfida dunque non è tanto quella di produrre una sovrabbondanza di strumenti ad alta tecnologia che saranno disponibili solo per una parte limitata dell'umanità (le risorse non bastano per tutti), ma è quella di permettere a tutta l'umanità di sopravvivere con un progetto di vita che sia degna di essere vissuta per tutti e secondo la cultura e la dignità di ciascuno. Occorre dunque costruire un progetto di vita "buona" (per utilizzare il termine che era nel titolo dell'ultimo forum del Progetto culturale della Chiesa italiana) ma che sia vita "buona" per tutti i componenti della famiglia umana e non per pochi privilegiati.

 

Per vedere come il dialogo tra la Chiesa (o le Chiese) e la scienza possa essere utile per realizzare questo progetto occorre fare una premessa. Come può la scienza contribuire a realizzare questo progetto? E allora emerge una prima constatazione importante: in questo momento gli scienziati non sono affatto concordi sulla visione del mondo che ci viene dalla scienza e sulle prospettive del futuro. Da questo ne consegue che, già la scelta degli scienziati da intervistare, comporta differenti quadri interpretativi della scienza stessa.

 

Se gli intervistati fossero stati, ad esempio, la biologa indiana Vandana Shiva o l'economista francese Serge Latouche o il biotecnologo statunitense Jeremy Rifkin; il panorama delle scienze sarebbe stato completamente diverso e anche culturalmente più articolato. Vi è in questi autori un'attenzione allo sviluppo globale della Biosfera, che sia fondamentalmente armonico e godibile per tutti e non squilibrato e a vantaggio solo di pochi. La loro impostazione è a mio parere la grande novità della scienza che si affaccia al terzo millennio.

 

Ancora come riflessione generale, non si può dimenticare che le novità scientifiche hanno sempre grosse difficoltà a farsi accettare, specie se mettono in dubbio risultati che hanno risvolti economici non indifferenti. Da questo punto di vista è fondamentale ripercorrere la riflessione della biologia e della medicina. I grandi investimenti nell'indagine della biologia molecolare richiedono ritorni economici rapidi ed eccessivi: il problema di fondo è che chi investe non si accontenta di recuperare il suo denaro con un onesto interesse, ma vuole guadagnare moltissimo e rapidamente. Questo fa sì che tutti i dubbi e i limiti vengano spazzati via da un circolo vizioso, per cui più risultati vanno nella direzione di ottenere prodotti vendibili rapidamente, più si ottengono alti stipendi e fondi per lavorare e ottenere altri risultati dello stesso tipo. Ma i circoli viziosi portano alla catastrofe.

 

Come via d'uscita diventa doveroso ricordare che le buone idee non costano, ma bisogna avere in funzione un attrezzo che sta divenendo sempre più raro perché sempre meno coltivato, cioè un buon cervello aperto al nuovo e capace di progettare idee e non di leggere gli strumenti. Le grandi rivoluzioni scientifiche, come ad esempio la nascita e lo sviluppo del metodo galileiano, sono innanzitutto rivoluzioni concettuali piuttosto che tecniche.

 

Questo, a mio parere, è il primo compito fondamentale della Chiesa e delle Chiese: ricordare come anche gli intellettuali e gli scienziati hanno dei doveri di sobrietà e di libertà di ricerca che devono essere recuperati come valori primari. Ricordiamoci anche che vi è una parte importante della scienza - purtroppo minoritaria in questo momento, ma a cui va data voce -, che cerca di essere abbastanza autonoma rispetto ai grandi fínanziamenti, che si pone il problema dei limiti di un certo tipo di progresso e che pone come punto fondamentale della ricerca il concetto di stabilità.

 

Abbiamo a che fare con un pianeta piccolo e a risorse limitate: come possiamo far sì che si riesca a costruire una terra godibile non solo da pochi fortunati, ma da tutti i componenti della famiglia umana, senza distruggerla? La medicina è un esempio importante dei problemi che emergono: di fronte a soluzioni sempre più raffinate e relativamente poco invasive, ma molto costose e quindi per pochi, si prospetta una tragedia medica per interi continenti, come ad esempio, l'Africa con diffusione di malattie altrimenti curabili e comunque circoscrivibili con un livello minimo di prevenzione e di intervento. Mi pare chiaro che l'autorevolezza morale della Chiesa e delle Chiese deve sempre ricordare anche allo scienziato di maggior successo che bisogna innanzitutto ascoltare

il grido del povero.

 

Più in generale, in biologia, la grande sfida non è quella di sequenziare questo o quel gene isolandolo dal contesto in cui opera, ma di comprendere e descrivere le relazioni che collegano i vari oggetti biologici fino a giungere a comprendere le relazioni che mantengono la stabilità della Biosfera. In un'ottica più propriamente applicata, la grande sfida è quella di procedere nel cammino di costruire la Terra, ma lavorando all'interno di quei meccanismi che permettono il mantenimento della stabilità della Biosfera.

 

Qui si inserisce la riflessione alternativa: Vandana Shiva, ad esempio, indaga sulle tecniche tradizionali di coltivazione e tende a dimostrare che, in un'ottica di stabilità, queste tecniche di coltivazione sono più vicine alla concezione che sta emergendo dalle ricerche biologiche più avanzate perché mantengono la stabilità con un basso investimento energetico. In effetti il trasporto di geni da un organismo all'altro semplifica la ricchezza della biodiversità e indebolisce l'ecosistema, perché diminuisce le relazioni tra gli oggetti che lo compongono.

 

Al contrario le coltivazioni tradizionali sono invece più ricche di biodiversità e quindi più ricche di quella rete di relazioni che mantengono stabile un ecosistema. Se a questo si aggiunge il dramma dei brevetti e quindi il fatto che la fonte del cibo di milioni di persone finisce per essere controllata da poche mani, ci si rende conto dei rischi biologici, economici e sociali di alcune prospettive del futuro.

E la Chiesa? Innanzitutto preferisco parlare delle Chiese, perché

in una prospettiva che guarda al futuro non si può non sperare in un ritrovato percorso ecumenico delle comunità cristiane e anche (almeno su alcuni temi) dei figli di Abramo. E questo un punto importante da ricordare. Infatti, nel momento in cui un progetto religioso diviene di nuovo di fondamentale importanza per l'umanità, non si può più accettare né lo scandalo delle guerre tra i figli di Abramo, né le divisioni di quelle Chiese che, per usare le parole del Vaticano II, condividono quegli strumenti di salvezza che derivano loro direttamente dallo Spirito di Cristo. Il cammino ecumenico non può fermarsi, proprio perché l'umanità ha bisogno di un progetto di salvezza comune tra le Chiese, che deve essere anch'esso non un progetto di assimilazione, ma di riconoscimento reciproco della presenza di quello Spirito di Cristo che le rende strumenti di salvezza.

 

Le Chiese hanno dunque il compito di essere la coscienza critica. Di porre le domande che la scienza rischia di non porsi più, di ricordare a voce alta che sono altri i valori oltre quelli del profitto e del controllo di pochi sui molti.

 

Vi è tutta una riflessione etica che le Chiese devono proporre alla scienza. E da questo punto di vista è importante che le Chiese creino spazi di discussione libera, non viziata dalla ossessionante ricerca di fondi, successo personale, visibilità e ricchezza. Inoltre vi sono aspetti che vanno al di là del forum di discussione: vi sono veri e propri campi di ricerca che hanno bisogno non solo di un forum culturale dove possono essere discussi, ma anche strutture in cui possano essere indagati senza condizionamenti di tipo economico.

 

E allora è forse un sogno immaginare che come la Specola Vaticana cerca nell'astronomia i segni della sapienza creatrice, possano esistere anche istituzioni che cerchino nella biologia, nella medicina, nella agricoltura, quelle prospettive che propongano progetti di costruzione della Terra che sia vivibile per tutti e non privilegio e proprietà di pochi? Anche questa è in fondo una sfida: non solo adorare il Dio Creatore nello splendore dei cieli, ma anche su una terra in cui gli affamati siano ricolmati di beni.

 

Jesus/aprile ‘02