Sia dal punto di vista sociale che
da quello ambientale, sappiamo bene che i disastri di cui siamo testimoni sono
il frutto di una crescita ossessiva. La parola d'ordine di questo sistema è:
crescere, crescere, crescere. Questo
sistema ci dice che solo se siamo capaci di crescere potremo risolvere i nostri
problemi sociali, legando così alla crescita l'occupazione e il soddisfacimento
dei servizi fondamentali. E alla fine tutti siamo convinti che dobbiamo
crescere. In realtà, non possiamo disgiungere il concetto di sostenibilità
ambientale da quello di equità.
Quando pensiamo alla sostenibilità
non dobbiamo pensarla soltanto in termini di responsabilità nei confronti delle
generazioni che verranno, ma di responsabilità nei confronti quanto meno dei
tre miliardi di persone che oggi nel mondo sono ridotte allo stato di larve
umane. Persone che non sono messe in condizione di soddisfare i loro bisogni
fondamentali, persone che hanno perduto la loro dignità umana.
Viviamo in un mondo dove una piccola
minoranza si appropria di una quantità enorme di risorse. Le statistiche dicono
che il 16-18 % della popolazione del mondo si appropria dell'86% delle
ricchezze della terra, a fronte di una grandissima quantità di persone che non
riesce neanche a soddisfare i propri bisogni. Questa piccola minoranza ha messo
a repentaglio non soltanto alcuni meccanismi naturali fondamentali, ma tutto un
patrimonio naturale che non riesce a rigenerarsi in maniera molto rapida.
Leggevo in questi giorni su un
giornale che non può essere sospettato di avere idee di sinistra, il Financial Times, il giornale degli
industriali del mondo, che lo stock
di pesce è diminuito di ben il 60% dal 1950 ad oggi. Ed è un fatto drammatico
che minaccia popolazioni intere che oggi vivono sulla pesca e a cui viene
quindi impedito di fatto di nutrirsi. Noi consumiamo troppo, e consumando
troppo impediamo a questa gente di recuperare la propria dignità umana. Per cui
è evidente che, se vogliamo costruire la sostenibilità e l'equità, dobbiamo
introdurre una parola nuova nella nostra società, che è quella della sobrietà.
La parola sobrietà ci fa paura,
perché quando parliamo di sobrietà pensiamo di dover tornare all'epoca in cui
si viveva nelle caverne, ai tempi in cui si moriva per tetano. Ma non è questa
la sobrietà: la sobrietà è la capacità di recuperare il nostro potere di
scelta, il fatto che le persone decidano finalmente loro stesse quali sono i
propri bisogni e non producano più di quanto serva per soddisfarli. Sobrietà
significa saper fare una scelta nell'ambito delle tecnologie che siamo riusciti
a mettere a punto. Significa saper organizzare diversamente la società, perché
se passiamo, ad esempio, da un consumo privato ad un consumo collettivo,
potremo riuscire a garantire a tutti la possibilità di soddisfare una serie di
bisogni, utilizzando molte meno risorse. La sobrietà è la parola d'ordine del
domani.
Ma parlare di sobrietà significa
rimettere in discussione un po' tutto nella nostra società, a partire dai
nostri stili di vita personali, fino all'organizzazione dell'economia. Questo
sistema è basato esclusivamente sulla crescita, e se cominciamo a dire che
dobbiamo organizzare una società che finalmente accetti l'idea del limite,
tutta una serie di meccanismi su cui questa economia è fondata non funziona
più, e ne dobbiamo inventare di nuovi.
Per questo, oltre che sperimentare
nuovi stili di vita per mostrare che è possibile vivere non bene ma addirittura
meglio, consumando meno e consumando diversamente, è necessario affrontare
anche un altro tema, quello della progettazione, del come organizzare i
meccanismi di una nuova economia che finalmente si ponga l'obiettivo del limite
e non della crescita.
Da Adista nov.02