ESSERE PADRONI DEI PROPRI CONSUMI.

IL CONTRIBUTO DI FRANCUCCIO GESUALDI A FIRENZE

 

Sia dal punto di vista sociale che da quello ambientale, sappiamo bene che i disastri di cui siamo testimoni sono il frutto di una crescita ossessiva. La parola d'ordine di questo sistema è: crescere, crescere, crescere.  Questo sistema ci dice che solo se siamo capaci di crescere potremo risolvere i nostri problemi sociali, legando così alla crescita l'occupazione e il soddisfacimento dei servizi fondamentali. E alla fine tutti siamo convinti che dobbiamo crescere. In realtà, non possiamo disgiungere il concetto di sostenibilità ambientale da quello di equità.

 

Quando pensiamo alla sostenibilità non dobbiamo pensarla soltanto in termini di responsabilità nei confronti delle generazioni che verranno, ma di responsabilità nei confronti quanto meno dei tre miliardi di persone che oggi nel mondo sono ridotte allo stato di larve umane. Persone che non sono messe in condizione di soddisfare i loro bisogni fondamentali, persone che hanno perduto la loro dignità umana.

 

Viviamo in un mondo dove una piccola minoranza si appropria di una quantità enorme di risorse. Le statistiche dicono che il 16-18 % della popolazione del mondo si appropria dell'86% delle ricchezze della terra, a fronte di una grandissima quantità di persone che non riesce neanche a soddisfare i propri bisogni. Questa piccola minoranza ha messo a repentaglio non soltanto alcuni meccanismi naturali fondamentali, ma tutto un patrimonio naturale che non riesce a rigenerarsi in maniera molto rapida.

 

Leggevo in questi giorni su un giornale che non può essere sospettato di avere idee di sinistra, il Financial Times, il giornale degli industriali del mondo, che lo stock di pesce è diminuito di ben il 60% dal 1950 ad oggi. Ed è un fatto drammatico che minaccia popolazioni intere che oggi vivono sulla pesca e a cui viene quindi impedito di fatto di nutrirsi. Noi consumiamo troppo, e consumando troppo impediamo a questa gente di recuperare la propria dignità umana. Per cui è evidente che, se vogliamo costruire la sostenibilità e l'equità, dobbiamo introdurre una parola nuova nella nostra società, che è quella della sobrietà.

 

La parola sobrietà ci fa paura, perché quando parliamo di sobrietà pensiamo di dover tornare all'epoca in cui si viveva nelle caverne, ai tempi in cui si moriva per tetano. Ma non è questa la sobrietà: la sobrietà è la capacità di recuperare il nostro potere di scelta, il fatto che le persone decidano finalmente loro stesse quali sono i propri bisogni e non producano più di quanto serva per soddisfarli. Sobrietà significa saper fare una scelta nell'ambito delle tecnologie che siamo riusciti a mettere a punto. Significa saper organizzare diversamente la società, perché se passiamo, ad esempio, da un consumo privato ad un consumo collettivo, potremo riuscire a garantire a tutti la possibilità di soddisfare una serie di bisogni, utilizzando molte meno risorse. La sobrietà è la parola d'ordine del domani.

 

Ma parlare di sobrietà significa rimettere in discussione un po' tutto nella nostra società, a partire dai nostri stili di vita personali, fino all'organizzazione dell'economia. Questo sistema è basato esclusivamente sulla crescita, e se cominciamo a dire che dobbiamo organizzare una società che finalmente accetti l'idea del limite, tutta una serie di meccanismi su cui questa economia è fondata non funziona più, e ne dobbiamo inventare di nuovi.

 

Per questo, oltre che sperimentare nuovi stili di vita per mostrare che è possibile vivere non bene ma addirittura meglio, consumando meno e consumando diversamente, è necessario affrontare anche un altro tema, quello della progettazione, del come organizzare i meccanismi di una nuova economia che finalmente si ponga l'obiettivo del limite e non della crescita.

 

Da Adista nov.02