Da “Invito alla sobrietà felice” – AA.VV. edizioni EMI aprile 2000 – lit.18000

 

Capitolo VI “Quale benessere vogliamo” di Fausto PIAZZA

 

Sottocapitolo Tempo di lavoro, tempo di vita”

 

 

     È azzardato affermare che la "qualità della vita" è legata soprattutto alla dimensione relazionale, allo "star bene" insieme a e fra altri? Se, come credo, non lo è, la domanda successiva prende le mosse dalla constatazione che stabilire rapporti con gli altri richiede tempo: come si pone l'uso che ne facciamo rispetto alla nostra vita di relazione?

 

Per rispondere proviamo a leggere una pagina tratta da una sorta di reportage dall'Europa dei primi del '900, in cui il Capo Tuiavii di Tiavea, delle Isole Samoa, descrive con occhio disincantato le abitudini dei cittadini europei. Egli dice che « Il Papalagi (l'europeo, Ndt) ama il metallo rotondo e la carta pesante (il denaro, NdT [...] ma più di tutti ama quel che non si lascia afferrare e che tuttavia esiste: il tempo. [...] Il Papalagi è sempre scontento del tempo che ha a disposizione, e accusa il Grande Spirito di non avergliene dato di più [...] dividendo e ridividendo ogni nuovo giorno secondo un piano preciso. Lo spezza proprio come si farebbe con una noce di cocco servendosi di un coltello da boscaglia. [...] Se anche il Bianco ha voglia di fare qualcosa che in cuor suo desidera, per esempio stare al sole o andare sul fiume in barca, oppure amare la sua ragazza [...] - i Papalagi si danno reciprocamente tempo in molte maniere: niente viene tanto stimato quanto questa attività [...] guasta quasi sempre il suo piacere fissandosi sul pensiero: "Non mi rimane tempo per essere contento". Il tempo ci sarebbe, ma lui, anche con la migliore volontà, non riesce a vederlo. Parla di mille cose che gli rubano il tempo, si piega imbronciato e scontento su un lavoro che non ha voglia di fare, che non gli da nessuna gioia [...]. Credo che il tempo gli sgusci via come un serpente tra le mani umide proprio perché lo tiene troppo stretto a sé. Non gli lascia il modo di riprendersi [...], non gli concede alcuna sosta perché possa stendersi al sole. [...] Il tempo però è quieto e pacifico, ama la tranquillità e starsene disteso su una stuoia»33      .

 

È passato quasi un secolo da quando queste note sono state scritte, ma la descrizione appare ancora attuale. Il nostro tempo è scandito da ritmi frenetici, che sono dettati in primo luogo dalle esigenze del lavoro e delle altre attività che gli sono necessarie e complementari, ma che da li si estendono anche al resto di ciò che facciamo. Nel corso del secolo che si è appena concluso ha dispiegato i suoi effetti un processo iniziato agli albori dell'età moderna, che ha portato gradualmente alla sostituzione di un tempo meccanico e preciso, scandito dal ticchettio dell'orologio, a quello biologico e approssimativo misurato dai moti degli altri e dal susseguirsi delle stagioni e delle età. Questo profondo rivolgimento si è compiuto prima nel tempo di lavoro, all'interno delle fabbriche con la catena di montaggio, e poi nel resto delle attività lavorative e nel tempo cosiddetto libero - di una libertà di cui per altro abbiamo già discusso i limiti. Mi sembra che, quando il saggio delle Samoa nota l'insistenza con cui il tempo viene letteralmente fatto a pezzi per misurarlo, in modo da destinare ad ogni attività quella parte di esso strettamente necessaria e non di più, colga esattamente questo aspetto. Sul piano della relazione, ciò si traduce in legami frettolosi e perciò fragili, la cui quantità vorrebbe supplire alla scarsa qualità34. Come sottolinea Tuiavii, per stabilire rapporti umani occorre invece dare tempo al tempo e darselo reciprocamente, fermarsi per guardare l'altro negli occhi ed essere guardati, per ascoltarlo ed essere ascoltati: è necessario condividere un tratto di strada percorso lentamente. Il bisogno di relazione, indagato a partire dal consumo, entra in conflitto col primato attribuito al tempo di lavoro. Si aprono a questo punto due filoni di riflessione, all'inizio distanti ma poi convergenti.

    

Il primo prende in esame il ruolo di paradigma, di "tempo per eccellenza" esercitato dal lavoro su tutto il resto. Per esplorarlo si dovrebbe prima aprire una lunga parentesi sul suo significato nella nostra cultura, su come il ` `negozio" , cioè l'attività economica legata alla produzione e al commercio, dall'avvento della borghesia abbia assunto un significato positivo in contrapposizione all' "ozio", considerato un modo inutile e parassitario di sprecare il tempo, mentre dall'antichità fino ad allora era stato esattamente il contrario35. Poi si dovrebbe analizzare come, proprio per questo, i mutamenti in atto nel sistema produttivo - nella transizione dal fordismo al cosiddetto postfordismo - riverberino i loro effetti sull'intera vita individuale e associata36. In estrema sintesi, quello che qui si può dire, e che ci interessa, è che ci troviamo di fronte a un paradosso. L'introduzione delle tecnologie informatiche ha generato un'accelerazione senza precedenti nella capacità produttiva dell'economia capitalista, ma, come ho già ricordato, ciò non si è tradotto nella liberazione dal lavoro di più tempo da dedicare ad attività diverse, "oziose", estranee alla logica di mercato e creatrici di relazioni, bensì, al contrario, da un lato nella progressiva perdita di posti di lavoro accompagnata dalla precarizzazione di quelli esistenti, dall'altro nell'intensificazione dell'orario per quei lavoratori che restano occupati, sempre più spesso con rapporti di tipo parasubordinato38.

    

Il secondo filone considera che, rispetto al consumo, cui abbiamo dedicato in gran parte la nostra attenzione, il lavoro rappresenta l'altro versante dell'agire economico ed è sorprendente come, in genere, spesso non ci si renda conto di quanto le due dimensioni siano legate. Viviamo in modo schizofrenico: non solo il più delle volte ignoriamo che le nostre scelte di consumo sono rese possibili da - e si traducono in - precise scelte produttive, le cui ricadute su altri lavoratori certo non vorremmo fossero applicate a noi stessi39, ma non vediamo che le forme e le condizioni del nostro stesso lavoro non sono estranee al nostro modo di consumare. Il circuito perverso per cui più si guadagna più bisogna spendere, e più si spende più bisogna guadagnare, non è che la superficie di ciò che lega le due dimensioni. Più in profondità sta il comune rapporto col tempo, che porta a una specie di compenetrazione: per massimizzare la soddisfazione che ne può derivare, si è portati alla saturazione del tempo di consumo con modalità "tayloristiche”40, nel tentativo di non lasciarsi sfuggire nessuna delle esperienze in esso possibili; al tempo stesso, meno il lavoro è rigido e ripetitivo - e più è attraente - più si tende a ricercarne tutte le possibili gratificazioni, applicando al tempo di lavoro le stesse modalità di crescita già viste a proposito del consumo.

    

Riprendendo alcune considerazioni cui ho già accennato nel secondo capitolo, si può affermare dunque che abbiamo anche nei confronti del tempo un atteggiamento globalmente consumista ed efficientista. È la logica de "il tempo è denaro", che ci spinge a "guadagnare tempo”; è ancora una volta il linguaggio lo tradisce - l' interiorizzazione dello schema ideologico dell'economia capitalista di mercato.

    

Come conseguenza, acquista nuova luce il fatto che gran parte del nostro tempo venga assorbito dal lavoro, quando lo abbiamo. Il conflitto che ci crea con le esigenze di famiglia è l'aspetto più facilmente individuabile di come questa situazione condizioni la nostra possibilità di stabilire e mantenere relazioni con gli altri. Nel film "Hook" di Steven Spielberg, Peter Pan, divenuto un adulto immemore della propria infanzia giocosa e dedito alla speculazione finanziaria sui processi di fusione e ristrutturazione aziendale, non trova il tempo per stare con i propri figli e rischia di perderli come genitore, di diventare per loro un estraneo. Per la mia generazione è stata esperienza comune quella di crescere con padri perennemente assenti e ricordo che, ad un certo punto, di mio padre giunsi ad odiare il lavoro che, anche se ci dava da mangiare, lo teneva lontano da me e da mia madre.

    

Contro la logica che vuole il moderno lavoratore come un individuo in perenne competizione con gli altri per l'acquisto e il mantenimento di un posto di lavoro sempre temporaneo e che lo obbliga ad investire in un continuo processo di aggiornamento molto del tempo che gli resta libero dal lavoro, si afferma, pertanto, un'esigenza di sobrietà analoga a quella che riguarda i bisogni legati al consumo.

    

Puntare ad una riduzione generalizzata dell'orario di lavoro per consentire una piena occupazione è anche la traduzione in termini politici, per incidere sulle forme di vita, di un mutamento nello stile di vita, in cui alla vendita di parte del proprio tempo per procurarsi un reddito monetario non venga assegnato il posto più importante. Scoprendo in questo modo che il lavoro racchiude una forte componente relazionale: "[...] nel mondo moderno, ancor più che in quello antico, nessuno è in grado di produrre direttamente le condizioni materiali della propria esistenza. Per riuscire a produrre per se stessi, bisogna cioè produrre per altri; cosicché la soddisfazione dei propri bisogni consegue solo dal fatto che si riescono a soddisfare bisogni altrui"41. Certo, si tratta di una relazione di tipo strumentale e, come tale, limitata; proprio per questo è pericoloso far dipendere il riconoscimento sociale, e spesso gli stessi diritti di cittadinanza, esclusivamente dal fatto di avere un lavoro retribuito. L'anziano o il disoccupato42 che non sono "utili" - nel senso che non servono più o non ancora o forse mai al sistema economico rischiano l'insignificanza e la perdita di autostima. Con le parole di Tuiavii: «Solo una volta ho incontrato un uomo che aveva molto tempo e non si lamentava mai per la sua mancanza; ma quest'uomo era povero, sporco e abbandonato. La gente si teneva alla larga da lui e nessuno lo rispettava. Non riuscivo a comprendere un tale comportamento: camminava senza fretta e i suoi occhi sorridevano in modo tranquillo e amichevole. Quando lo chiesi a lui, la sua espressione si alterò e disse tristemente: "Non ho saputo mai utilizzare il mio tempo e per questo sono una povera nullità disprezzata da tutti". Quest'uomo aveva tempo, ma neanche lui era felice»43. L'esperienza delle banche del tempo costituisce, da questo punto di vista, un modo per far riemergere una capacità lavorativa altrimenti inutilizzata, una sorta di autoproduzione collettiva in un contesto estraneo alla logica di mercato e, dunque, un'occasione di sobrietà nel lavoro nel senso indicato in precedenza.

 

 

 

 

 

Note

 

33         T. Di TIAVEA, Papalagi, in "Stampa Alternativa", Viterbo 1997, pp. 28-31. Le indicazioni fornite sulle circostanze e i luoghi in cui sarebbe avvenuta la visita del Capo Tuiavii mostrano chiaramente che l'opera è un falso, ma merita comunque di essere letta per le argute osservazioni che contiene sullo stile di vita occidentale.


 


34         Si pensi al grande successo della telefonia mobile: per il solo fatto che non siamo più costretti a fermarci per parlare con qualcuno all'altro capo del filo, riusciamo ad essere indipendenti non solo dal luogo in cui ci troviamo, ma anche dall'attività in cui in quel momento siamo immersi. Ciò moltiplica le occasioni di comunicazione, ma, se non diamo ad esse di volta in volta tutto il nostro tempo, tralasciando quello che in quel momento stiamo facendo - e, dunque, fermandoci - impoverisce la conversazione.


 


35         Come ci testimonia l'uso linguistico, in cui il positivo è il latino otium e il negativo il corrispondente neg-otium. Cosi nel Dizionario Devoto-Oli cit.: ---il tempo libero dalle occupazioni della vita politica e dagli affari pubblici (otium, opposto a negotium), che poteva essere dedicato alle cure della casa, del podere. oppure agli studi: donde, estens., gli studi stessi. l'attività letteraria". Tuttavia, un'eco della concezione antica è rimasta nell'uso di chiamare ' `tempo libero" - quindi positivo - quello che ad essa corrisponde e che infatti dedichiamo al gioco, allo svago, al godimento estetico, all'esercizio della curiosità intellettuale, alle relazioni interpersonali ecc. Per un approfondimento sulla genesi della concezione moderna del lavoro, vedere D. DE Masi Il futuro del lavoro, RCS Libri, Milano 1999 e V. PAGLIA, Storia dei poveri in occidente. Indigenza e carità, RCS Libri, Milano 1994, cap. XIII.


 


36            L'argomento esula dagli scopi del presente libro. Vedere in proposito, oltre ai citati DE MASI 1999, LUNGHINI 1995, REVELLI 1997 e RIFKIN 1997, anche C. marazzi Il posto dei calzini. La svolta linguistica dell'economia e i suoi effetti sulla politica, Bollati Boringhieri, Torino 1999; A. GORZ, Il lavoro debole. Oltre la società salariale. Edizioni Lavoro, Roma 1997; R. BeNNsr, L'uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, Feltrinelli, Milano 1999; G. MAZZETTI, Tempo di lavoro e forme della vita. Verso le 35 ore ed oltre. Manifestolibri, Roma 1999.


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38         È questo il caso, per esempio, di quei dipendenti che vengono spinti a licenziarsi per costituire un'impresa autonoma cui l'azienda commissiona lo stesso tipo di lavoro che prima veniva svolto all'interno, con la conseguenza che sono portati a lavorare di più pur di non perdere la commessa.


 


39         È il caso del rapporto tra consumatori del Nord e lavoratori del Sud analizzato in altra parte del libro.

 

40         Frederick W. Taylor è stato il primo grande studioso di organizzazione industriale, le cui teorie sono state applicate con successo da Henry Ford nelle sue fabbriche di automobili ed in seguito universalmente adottate.


 


41         MAZZETTI, Tempo di lavoro e forme della vita, cit., p. 122.

 

42         Compresa la categoria delle casalinghe, che di solito non vengono considerate tra i disoccupati, ma, come questi, non dispongono di un reddito monetario derivante direttamente dal proprio lavoro.

 

43         T. di Tiavea, Papalagi cit. p. 31