SAN PAOLO-ADISTA. Quando si parla di "azione diretta" è
facile far riferimento al Movimento dei Senza terra del Brasile, una delle
componenti più vive e originali di quel movimento anti-globalizzazione che si è
espresso, ultimamente, nel Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre. Con le sue
occupazioni di terre e di edifici pubblici, con le sue marce ed iniziative,
come quella della recente distruzione di alcuni ettari di soia transgenica
della Monsanto, il Movimento dei Senza Terra ha mostrato grande capacità
nell'utilizzo di nuove strategie di lotta. Sulla questione, su cui è in corso
un grande dibattito nel movimento anti-globalizzazione in Italia, abbiamo
chiesto un contributo a João
Pedro Stédile, uno dei leader più rappresentativi del Movimento.
Rispondendo alle domande inviategli da Adista, Stédile ha posto l'accento su
alcuni punti decisivi per il futuro del cosiddetto popolo di Seattle, a
cominciare dalla significativa sostituzione del concetto di "azione
diretta" con quello di "lotte di massa" o "mobilitazione di
massa": la necessità di avere un progetto chiaro di società; di
organizzare queste mobilitazioni puntando sul numero di persone che si riesce a
coinvolgere piuttosto che sulla forma dello scontro, e promuovendo non solo
azioni di valore pedagogico, dimostrativo, come può essere, appunto,
l'invasione di un Mc Donald's, ma anche e soprattutto azioni mirate alla
conquista reale dei diritti della popolazione, come avviene in Brasile con le
occupazioni di terra; di svolgere, infine, un lavoro quotidiano, instancabile
di coscientizzazione, per raccogliere il più alto numero di persone intorno al
proprio progetto alternativo di società. Di seguito l'intervista.
A partire da Seattle, nelle strategie di mobilitazione del movimento
anti-globalizzazione ha assunto un ruolo centrale l'azione diretta. Il
Movimento dei Senza Terra, che fa un ampio uso di questo strumento, quale
utilità e quali limiti gli riconosce?
Credo che l'espressione "azione diretta" sia un po' riduttiva. Noi
del Movimento dei Senza Terra preferiamo utilizzare l'espressione "lotte
di massa", o "mobilitazione di massa", che riflette meglio
quello che realmente facciamo. Nella storia dell'umanità non è stato realizzato
nessun mutamento sociale, non è stato ottenuto nessun progresso sociale che non
fosse opera di mobilitazioni di massa. Cioè, la necessità di organizzare il
popolo e realizzare azioni di massa è fondamentale per qualunque conquista. E
le persone, il popolo, i movimenti sociali si coscientizzano, diventano
effettivamente cittadini della società in cui vivono solo quando partecipano
attivamente alle mobilitazioni. Le mobilitazioni e le lotte di massa, da sole,
presentano evidentemente dei limiti, e in alcuni casi possono ridursi appena a
interessi corporativi, di gruppo. E forse il loro limite maggiore emerge quando
non rivelano un progetto chiaro di società. Quando non hanno un obiettivo
strategico. E quando non riescono ad organizzare il popolo, ma solo a
mobilitarlo. Questi sono i loro limiti. Perché sono l'organizzazione e il
progetto che garantiscono le conquiste e il valore permanente dei successi.
Azioni come l'assalto ad un McDonald's che ha reso famoso Bové o
come la distruzione di alcuni ettari di soia transgenica della Monsanto
avvenuta durante il Forum Sociale Mondiale in che rapporto si trovano con il
processo di costruzione di un'opposizione sociale di massa? Credi che possano
aiutare a promuovere una maggiore conoscenza sugli argomenti in questione e
dunque a coinvolgere un più alto numero di persone o che, al contrario,
spaventino l'opinione pubblica?
Queste azioni di massa realizzate contro McDonald's o contro le
coltivazioni transgeniche hanno prima di tutto un valore pedagogico. Cioè,
attraverso un'azione di massa si riesce a generare un dibattito all'interno
della società in maniera che le persone riflettano, discutano e si
coscientizzino su determinati problemi sociali. Per esempio, in Brasile avevamo
già realizzato innumerevoli seminari e dibattiti, nelle università e in altri
organismi, sui semi transgenici, ma la questione ha provocato un dibattito
nell'opinione pubblica quando è stata distrutta quell'area di soia transgenica.
Così, quando nostri compagni sono danneggiati dalla costruzione di una centrale
idroelettrica e la occupano, questa azione ha il potere di condurre il
dibattito all'interno di tutta la società. Ma è evidente che non possiamo
limitarci solo ad azioni di massa, di taglio pedagogico, perché questo comporta
anche dei limiti. Abbiamo bisogno di coscientizzare e di sviluppare azioni di
massa che portino anche a conquiste reali in termini di diritti della
popolazione, come è tradizione della classe lavoratrice nel corso della storia
del capitalismo. Gli scioperi operai, le occupazioni di terra da parte dei
contadini, le manifestazioni studentesche, le occupazioni di edifici pubblici e
di case disabitate, tutto ciò rappresenta azioni di massa più importanti,
perché alterano la correlazione di forze in campo politico e conducono a
conquiste concrete e reali per la popolazione. Alla fine, il popolo non si
mobilita solo attorno a idee, a ideali. Il popolo si mobilita per i suoi
diritti e per le idee.
Nelle contestazioni ai vertici ufficiali, che sembrano ormai un
appuntamento fisso del movimento anti-globalizzazione, l'azione diretta si è
manifestata nel tentativo di bloccare lo svolgimento del vertice di turno,
traducendosi inevitabilmente in uno scontro tra le forze dell'ordine e una
parte dei manifestanti (attrezzati a questo scopo con caschi e protezioni di
gomma). Ad alcune di queste contestazioni erano presenti anche rappresentanti
del Mst. Vi è stata una valutazione, all'interno del Movimento, riguardo a tale
tipo di azioni? Quale strategia seguirebbe il Mst in questi casi?
Praticamente in tutte le mobilitazioni internazionali che vi
sono state recentemente, come Seattle, Colonia, Praga, Washington, erano
presenti alcuni militanti del Mst. Siamo andati evidentemente molto più come
segno della nostra solidarietà e anche per imparare. Tutte quelle
manifestazioni sono state molto importanti. Più che alterare il funzionamento
del vertice, esse si sono trasformate in un esempio pedagogico per la
popolazione di tutto il mondo, dimostrando come ampi settori della società siano
contro l'attuale modello economico. In tutte le azioni di massa del Mst,
adottiamo sempre un criterio (e lo riporto non come consiglio, ma come scambio
di esperienze): la nostra forza di fronte ai nemici è nel numero di persone che
riusciamo a mobilitare. È il numero che altera la correlazione di forze, non la
forma dello scontro. La forma dello scontro è data dalla correlazione di forze
che si stabilisce. E quanto minore è il gruppo di persone che si riesce a
mobilitare, più repressivi saranno la polizia e i nostri nemici. Quanto
maggiore il numero, minore il grado di violenza e più grande la vittoria. Per
questo cerchiamo di applicare l'insegnamento di Ho Chi Min, per cui ciò che
rende soldati della causa non è ciò che si porta nelle mani, ma ciò che si
porta nella testa. È evidente che le scene di violenza sono provocate di
proposito dalla classe dominante per proiettare tali scene e non le idee dei
manifestanti, e con ciò tentare di cancellare di fronte all'opinione pubblica
la ragione dei manifestanti.
Di fronte alle proteste del popolo di Seattle, i mass media
tendono a dare il massimo risalto agli episodi che offrono anche il più piccolo
appiglio a rappresentare come violenti tutti i contestatori, trascurando
completamente i contenuti delle proteste. In Italia, tra le forze politiche di
destra, si parla, a proposito delle forze anti-globalizzazione (persino quelle
di matrice cattolica e nonviolenta) addirittura di rischio terrorismo. Come è
possibile contrastare queste campagne di disinformazione? Quali strumenti
adottare? Come difendere il diritto a contestare in forma diretta la
legittimità dei vertici ufficiali, delle istituzioni che vi partecipano, senza
offrire all'informazione ufficiale la possibilità di ridurre la protesta ad uno
scontro di piazza?
Si tratta realmente di una grande sfida. Il monopolio dei mezzi di
comunicazione presente in tutti i Paesi del terzo mondo e in alcuni Paesi
dell'Europa, come la stessa Italia, è forse uno dei più gravi problemi che
affronta l'umanità. Tuttavia, non dobbiamo essere paranoici e pensare che sia
impossibile sconfiggerlo. Perché i mezzi di comunicazione vivono una
contraddizione fondamentale: tutta l'informazione basata sulla manipolazione
della realtà ha le gambe corte e toglie credibilità ai suoi autori. Qui in
Brasile la Tv Globo ha il monopolio quasi totale del giornalismo televisivo e
se fosse per i suoi proprietari vivremmo ancora nella dittatura militare, che
essi difendevano con le unghie e con i denti. E c'è stato un tempo in cui il
popolo nelle strade arrivava ad abbattere le apparecchiature della Tv Globo.
Nel Rio Grande do Sul, recentemente, più di 10mila militanti hanno manifestato
davanti alla Rete Globo locale e incollato manifesti contro le sue
manipolazioni e bugie. In questo modo è possibile realizzare azioni di massa
anche per smascherare i padroni dei mezzi di comunicazione. E abbiamo anche
bisogno di creare mezzi di comunicazione alternativi, quanti più possibile e
con il massimo di tecnologia disponibile. Il nostro lavoro deve avere una pazienza
storica e una volontà politica di cambiamenti reali. E non dobbiamo fermarci,
ma vivere tutta la vita, quotidianamente, per aiutare a coscientizzare le persone, a mobilitare il
popolo. Fino a riuscire a raccogliere milioni di persone intorno al nostro
progetto. I cambiamenti avverranno soltanto con le moltitudini per le strade.
Adista n.28
aprile 2001