da “Mi chiamo Rigoberta Menchù” di E.Burgos

 

 

Cominciammo a studiare la Bibbia: nella Bibbia ci sono molti aspetti che possiamo collegare alle nostre relazioni con gli antenati, i quali a loro volta vissero una vita. simile alla nostra. L'importante per noi era di cominciare a intendere quella realtà, come se fosse la nostra, ed è in questo modo che ci siamo messi a studiare la Bibbia. Non si tratta di imparare a memoria, né è qualcosa da dire o recitare e morta lì. Era anche un modo per toglierci l'immagine che avevamo, come cattolici e cristiani, di un Dio che sta là in alto e che ha un suo grande regno per noi poveri, mettendo da parte la concreta realtà che stavamo vivendo.

 

Ci mettemmo dunque a studiare i testi essenziali. Prendiamo il caso dell'Esodo, che è uno dei testi che abbiamo studiato e analizzato. Si parla molto della vita di Mosè; il quale cercò di strappare il suo popolo dall'oppressione e fece di tutto per liberarlo. Noi paragonavamo il Mosè di quei tempi con il Mosè di adesso, ossia noi stessi. Nella vita di Mosè, si parla della vita di un uomo.

 

Ci mettemmo a cercare testi in cui fosse rappresentato ciascuno di noi, facendo una sorta di paragone con la nostra cultura indigena. Nell'esempio di Mosé sono rappresentati gli uomini. Abbiamo poi nella Bibbia l'esempio di Giuditta, anche lei una donna famosa ai suoi tempi, che tanto lottò per il suo popolo e tanto fece contro il re di quei tempi, che arrivò a tagliargli la testa. Eccola avanzare con in pugno la vittoria, Ia testa del re. Questo esempio ci dà un'ulteriore visione, un'ulteriore idea di come noi cristiani dobbiamo difenderci. Ci faceva pensare che senza la giusta violenza nessun popolo può arrivare a ottenere la sua vittoria. E per vittoria non è che noi indigeni intendiamo chissà quali ricchezze, ma almeno avere il necessario per vivere. E c'è poi la storia di David. che nella Bibbia appare come un povero pastorello e che riuscì a sconfiggere il re di quel tempo, che era il re Golia; questo episodio va destinato all'educazione dei bambini della nostra comunità. In tal modo, dunque, cercammo testi e salmi che ci insegnassero a difenderci dai nostri nemici. Ricordo che riuscivamo a ricavare grandi esempi da ogni testo, in modo che servissero alla comunità e a tutti quanti per comprendere meglio la situazione. Non è solo oggi che ci sono i grandi re, i potenti che tengono tutto il potere nelle loro mani, ma è qualcosa per cui anche i nostri antenati si trovarono a soffrire. Così, ci colleghiamo alla vita dei nostri antenati, che furono conquistati per brama di potere, e vennero uccisi e torturati perché erano indigeni. Arrivammo a questa conclusione, che essere cristiano vuol dire pensare ai fratelli che stanno intorno, pensare a che ciascuno della nostra gente abbia da mangiare. Questa è una visione che discende direttamente da Dio, il quale dice che in terra si ha il diritto di avere ciò di cui si ha bisogno.

 

La Bibbia era il nostro principale testo come cristiani e ci indicava qual è il ruolo di un cristiano. Io studiai la Bibbia sin da bambina, come pure i canti e la dottrina, ma in modo assai superficiale. Inoltre ci avevano messo nella testa quest'altra idea che tutto è peccato. Arrivammo a chiederci: se tutto è peccato, perché il proprietario terriero ammazza degli umili contadini come noi, che non siamo capaci di offendere nemmeno la natura, e poi ci tolgono Ia vita? Io all'inizio ero una catechista. e pensavo che, sì, c'era un Dio e bisognava essere a sua disposizione. Pensavo che Dio stesse là in alto. Che avesse un regno per i poveri. Poi scoprimmo che Dio non è d'accordo con la nostra sofferenza, che questo destino non ce lo ha dato Dio, ma sono stati gli stessi uomini, qui sulla terra, a darci questo destino di sofferenza, di povertà, di miseria, di discriminazione.

 

Dalla Bibbia abbiamo ricavato persino delle idee . per perfezionare le nostre armi popolari, che erano rimaste la nostra unica soluzione: Io sono cristiana e partecipo alla lotta in quanto cristiana. E per me come cristiana Ia cosa più importante è Ia vita di Cristo. Per tutta la sua vita, Cristo fu umile. Come narra il racconto nacque in una piccola capanna. Fu perseguitato e, per questo, dovette decidere di avere un piccolo gruppo per far sì che la sua semente non si disperdesse. Furono i suoi discepoli, gli apostoli. Anche, chissà, a quell'epoca non c'era forse modo di difendersi in altra forma, altrimenti Cristo lo avrebbe utilizzato per difendersi contro i suoi oppressori, contro i suoi nemici. Arrivò a dare la sua vita, ma la vita di Cristo non è morta, perché continua in tutte le generazioni. Ed è proprio questo che abbiamo capito: dei compaesani, i nostri migliori catechisti, sono caduti, ma il popolo li fa rivivere attraverso la sua lotta, attraverso la sua partecipazione alla lotta contro il regime, contro un nemico che ci opprime. Noi non abbiamo un gran bisogno di consigli; di teorie, di documenti, perché la vita stessa ci è stata maestra. Quanto a me, sono bastati gli orrori a cui ho dovuto assistere. Ho inoltre provato nel più profondo del mio essere che cosa siano la discriminazione e Io sfruttamento, la mia vita parla proprio di questo. Nel mio lavoro ho sofferto molte volte la fame. Credo che ci vorrebbe un sacco di tempo se dovessi raccontare di tutte le volte che ho sofferto Ia fame nella mia vita. Quando uno comprende questo e vede in faccia Ia propria realtà, è ben grande l'odio che gli nasce dentro verso questi oppressori che provocano al popolo tante sofferenze. Come dicevo, e lo ripeto, non è un nostro destino di essere poveri. Non è perché non lavoriamo; loro dicono che gli indigeni sono poveri perché non lavorano, perché sono addormentati, mentre l'esperienza mi insegna che alle tre del mattino siamo già fuori di casa per andare al lavoro.

 

Tutto ciò ha significato molto per me, perché riuscissi a decidermi a intraprendere la lotta. Questa è stata la mia motivazione, ma è anche la motivazione di tutti e soprattutto dei padri di famiglia, che vorrebbero avere al loro fianco quel figlio, di cui hanno un grande ricordo, ma che è morto intossicato nelle fincas; oppure è morto di denutrizione o semplicemente è stato dato via perché non c'era modo di aver cura di lui.

 

E’ una lunga storia, e proprio vedendo la vita dei personaggi cristiani che vissero in quei tempi, è la realtà stessa a mostrarci il ruolo che i cristiani in quanto cristiani devono assumere. Tuttavia sono costretta a dire che anche le religioni sono manipolate dal sistema stesso, sono manipolate dagli stessi regimi che ci sono ovunque. Essi fanno uso della religione dal loro punto di vista e a modo loro. Possiamo vedere, così, che un curato non lavorerà mai alla finca, non lavorerà mai nella raccolta del cotone o del caffè. Non saprà dire neanche che cos'è la raccolta del cotone. Sì, molti sacerdoti non sanno che cos'è il cotone.

 

Se a noi dunque è la realtà stessa a insegnarci che come cristiani dobbiamo costruire una chiesa dei poveri, non vengano perciò a cercare di imporci una chiesa, che non sa neanche parlare di fame. Su questo punto noi sappiamo discernere con precisione quel che il sistema ha voluto imporci, per dividerci meglio e per addormentarci come poveri. Questo è quel che prendiamo dalla religione. Per quanto riguarda i peccati, voglio dire che la concezione della chiesa cattolica, o di qualsiasi altra religione molto più conservatrice, dice che Dio ama i poveri e che ha un gran paradiso in cielo per i poveri. Perciò uno deve adattarsi alla vita che ha. Ma, proprio a questo riguardo, noi riteniamo che essere cristiani non vuol dire essere d'accordo con tutte le ingiustizie che vengono commesse contro il nostro popolo. Non vuol dire essere d'accordo con tutta la discriminazione che viene attuata contro un popolo umile, che neanche sa cosa sia mangiare carne e viene umiliato più di un cavallo. E stata l'esperienza stessa della nostra vita a farci scoprire tutte queste cose. Certo, il risveglio di quel che sonnecchia nell'indigeno non è avvenuto da un giorno all'altro, perché tanto l'Azione Cattolica, che le altre chiese e il regime, hanno tutti cercato di lasciarci nello stato in cui eravamo. Ogni concezione religiosa, finché non nasce in seno al popolo, è secondo me essenzialmente un'arma del sistema.

 

La Bibbia, come dicevo, è per noi un'arma essenziale, che ci ha insegnato a fare molta strada. E potrebbe magari esserlo per tutti quelli che si chiamano cristiani, anche se i cristiani solo teorici non capiscono perché noi gli diamo un significato diverso dal loro e non lo capiscono proprio perché non hanno vissuto la nostra stessa realtà. Forse, ma solo in secondo luogo, perché non sono capaci di analizzare la Bibbia. Io posso assicurare che qualsiasi persona della mia comunità, analfabeta, a cui facessero analizzare un paragrafo della Bibbia, anche solo leggendoglielo o traducendoglielo nella sua lingua, saprebbe ricavarne importanti conclusioni, perché non farà fatica a comprendere la reale differenza tra il paradiso fuori, sopra, o in cielo, e la realtà che sta vivendo il popolo.

 

Noi facciamo proprio questo perché ci sentiamo cristiani e il dovere di un cristiano è di pensare a come far sì che esista il regno di Dio in terra, con i nostri fratelli. Il regno esisterà solo quando tutti avremo da mangiare, quando i nostri figli, i nostri fratelli, i nostri genitori non debbano più morire di fame o di denutrizione.

 

Questo sarebbe la gloria, questo per noi sarebbe un regno, perché non lo abbiamo mai avuto. Ed è esattamente il contrario di quel che pensa un curato. Ma nemmeno questo si può generalizzare, perché ci sono molti curati che arrivarono nella nostra regione come anticomunisti e che tuttavia si resero conto che il popolo non era comunista, bensì denutrito, non era comunista, bensi discriminato dal sistema. E fu così che optarono per la lotta. del nostro popolo, scegliendo di condividere la stessa realtà di noi indigeni. Invece, molti curati si dicono cristiani, ma pensano solo ai loro piccoli interessi. Per non mettere a repentaglio questi piccoli interessi si allontanano dal popolo. Meglio per noi, perché sappiamo di non aver bisogno di un re che stia in un palazzo, ma di un fratello che viva assieme a noi. Noi non abbiamo bisogno di un capo che ci insegni dove sta Dio, se esiste o non esiste, dato che la nostra concezione ci porta a credere in un Dio che è padre di tutti e al tempo stesso non è d'accordo quando uno dei suoi figli sta morendo, o è infelice, o non ha mai la possibilità di un momento di gioia. Noi riteniamo che quando ci siamo messi a studiare e a utilizzare la Bibbia in relazione alla nostra realtà, è stato perché nella. Bibbia abbiamo trovato un. testo che ci avrebbe guidato. Non nel senso che sia il testo principale su cui basare il cambiamento, ma per il fatto che ciascuno di noi deve conoscere la propria realtà e scegliere a favore degli altri.

 

Era insomma, più che altro, il nostro strumento di studio. Se ne avessimo avuti altri, forse sarebbe stato diverso. Ma noi abbiamo compreso che ogni elemento della natura serve a cambiare l'uomo, quando l'uomo è disposto a cambiare. Per questo riteniamo, che Ia Bibbia sia un'arma fondamentale per il nostro popolo. E oggi posso dire che si tratta di una lotta incontenibile. E una lotta che né il regime, né l'imperialismo possono fermare, perché nasce dalla fame, dalla miseria. E né il regime né l'imperialismo possono dirci «Non abbiate fame» quando tutti stiamo morendo di fame.

 

 

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