La denuncia di Eduardo Missoni,
esperto del ministero degli Esteri italiano
Chi specula sulla salute dei poveri
di ALBERTO CHIARA
Il nostro Governo propone un Fondo per la gestione
globale della sanità, comprendente le multinazionali farmaceutiche, che così
sarebbero in grado di orientare la destinazione dei soldi: «E comanderanno i
potenti».
Che cos’è la salute? È una variabile dello sviluppo
economico (se stai bene puoi produrre ricchezza, se no sei un ingranaggio
rotto, dunque inutile) o è uno dei diritti fondamentali della persona, per
raggiungere e difendere il quale vanno organizzate le varie politiche di uno
Stato, da quella ambientale a quella del welfare
e a quella, va da sé, sanitaria?
La questione non è di poco conto. Le risposte
cambiano a seconda della gerarchia dei valori che si sceglie come bussola. Se
ne parlerà tra poco più di un mese al summit del G8, in una Genova blindata. In
vista di allora, sul tema salute si discute. Ci si accapiglia. Ci si dimette,
persino.
È il caso di Eduardo Missoni. Compirà 47 anni il 31
luglio. Ha sposato la cilena Maria Ines Bussi, nipote di Salvador Allende. Alle
spalle ha una formazione cristiana maturata nell’Agesci (scout). È un medico
esperto in malattie tropicali: tra l’80 e l’83 ha operato come volontario in
Nicaragua.
Dopo una parentesi all’Onu (funzionario dell’Unicef,
in Messico, tra l’84 e l’87), da 14 anni lavora con il ministero degli Esteri
italiano (Direzione generale per la Cooperazione allo sviluppo). Oggi è il
responsabile delle iniziative di carattere sanitario che l’Italia promuove in
America latina e in varie zone dell’Africa.
Grazie a questo curriculum di tutto rispetto, nel
dicembre 2000 Eduardo Missoni è stato nominato dalla Presidenza del Consiglio
dei ministri coordinatore del gruppo degli esperti sanitari del G8. A lui, per
tutto il 2001, ovvero per l’intera durata della presidenza italiana del G8,
erano chiamati a far riferimento i colleghi di Usa, Gran Bretagna, Francia,
Germania, Canada, Giappone, Russia e dell’Unione europea. Il 19 aprile, però,
Missoni si è dimesso dall’incarico.
Perché?
«Perché il nostro Governo propone di coinvolgere le
multinazionali nella gestione globale della salute, indebolendo di fatto le
Nazioni Unite ed escludendo i Paesi poveri dalle decisioni: afferma che la
salute è un presupposto della crescita economica, piuttosto che un diritto in
sé, da garantire a tutti. La salute, invece, è anche frutto di ciò che mangi o
non mangi, dell’ambiente più o meno inquinato in cui vivi, delle condizioni in
cui lavori, dell’istruzione, dell’accesso ai servizi sanitari che hai o non
hai».
Genova,
comunque, il G8 s’impegnerà a lottare contro le malattie...
«Ripeto: la salute non è soltanto "assenza"
di malattia. In ogni caso, già nel luglio scorso, a Okinawa, in Giappone, il G8
aveva preso il solenne impegno di far diminuire del 25 per cento il numero
delle persone infette dal virus Hiv, di ridurre l’incidenza della tubercolosi
del 50 per cento, di dimezzare la diffusione della malaria. Il tutto entro il
2010. Restava da decidere come».
Cosa
propone l’Italia?
«Senza sentire né me, né il ministero della Sanità, e
senza considerare il lavoro del gruppo di esperti che presiedevo, in aprile la
Presidenza del Consiglio ha elaborato e trasmesso ai Paesi partner il documento
intitolato The Genova Trust Fund for
Health Care, suggerendo la creazione di un fondo che raccolga contributi
pubblici e privati per migliorare l’assistenza sanitaria nei Paesi più poveri».
In
concreto?
«Il Trust Fund
for Health Care verrebbe costituito dai Paesi del G7 (com’è noto, quando si
tratta di decisioni economico-finanziarie, la Russia è ancora esclusa dal
Club), che dovrebbero versare 500 milioni di dollari. Il Fondo sarebbe poi
alimentato dalle multinazionali (non solo farmaceutiche), chiamate a donare 500
mila dollari ciascuna. Stando alle indicazioni avanzate da Palazzo Chigi, il Trust Fund for Health Care dovrebbe
essere amministrato dalla Banca Mondiale, mentre le strategie e le decisioni
sull’impiego dei soldi verrebbero adottate da un consiglio direttivo composto
dai donatori, pubblici e privati, nazionali e internazionali. Aziende incluse,
dunque».
Quali
critiche formula?
«Contesto soprattutto l’aver voluto affrontare il
problema salute ipotizzando solo la creazione di un Fondo per l’assistenza
sanitaria. È una scelta riduttiva. La proposta iniziale dell’Italia, messa a
punto in gennaio sulla base di un documento da me preparato, faceva un passo
avanti rispetto a Okinawa: poneva la salute come un obiettivo dello sviluppo.
Ma c’è dell’altro».
Che cosa?
«Per un gigante farmaceutico come la
Glaxo-SmithKline, la quota indicata rappresenterebbe l’equivalente del profitto
realizzato in circa mezz’ora. Chiedere alle grandi multinazionali 500 mila
dollari significa accontentarsi di contributi ridicoli a fronte di vantaggi
immensi per quelle imprese che potranno partecipare alla decisione su come
usare i fondi. Destinandoli magari, un giorno, ad acquistare i farmaci prodotti
da quegli stessi "donatori"».
«Trovo poi inaccettabile affidare la gestione del
Fondo alla Banca Mondiale, cioè proprio a quell’istituzione che con il suo
insistere sui famigerati aggiustamenti strutturali ha obbligato numerose
nazioni africane, asiatiche e latinoamericane a smantellare i rispettivi
sistemi sociosanitari, escludendo così dalle cure milioni di persone. Il Fondo
andrebbe affidato all’Organizzazione mondiale della sanità (Oms, fa parte
dell’Onu). Peccato. L’Italia poteva fare molto di più».
Si spieghi
meglio...
«La prima bozza della presidenza italiana puntava a
coinvolgere gruppi, movimenti, associazioni di volontariato, con l’obiettivo di
ottenere il consenso di tutte le componenti della società civile, e non
soltanto quello delle imprese. Insisteva inoltre sulla necessità di rendere più
disponibili ed economicamente più accessibili i farmaci principali».
Cosa è
cambiato, allora?
«La salute è stata messa nelle mani degli economisti
del ministero del Tesoro. E dei banchieri. Non a caso è stato il ministro Visco
ad annunciare con enfasi l’idea del Fondo, sulla quale si era spaccato il
gruppo di esperti G8. Piuttosto che diventare, con la mia credibilità, il
paravento di quest’operazione, mi sono dimesso».
Alberto Chiara
Da Famiglia Cristiana n.23/2001